mercoledì 9 novembre 2011

Segnalazione cinematografica: Quando la notte

Ho ricevuto via mail il press book che presenta questo film di Cristina Comencini, e poichè l'opera è tratta da un romanzo della stessa Comencini, ho deciso di segnarlarne l'uscita (avvenuta il 28 ottobre scorso) sul mio spazio web personale.
Premetto che non ho letto il libro nè visto (ancora) il film, quindi questa non è una recensione ma solo una segnalazione.

Partiamo con qualche dettaglio in più sul film: qui trovate il sito ufficiale del film.
Qui la pagina ufficiale del film su facebook.

Questa è la sinossi:
Tra le montagne un uomo e una donna s'incontrano. Manfred è una guida, chiusa e sprezzante, abbandonato da moglie e figli; Marina una giovane madre in vacanza col suo bambino. Una notte qualcosa succede nell’appartamento di lei e Manfred interviene, portando il bambino ferito in ospedale. Da quel momento l'uomo si metterà sulle tracce di una verità inconfessabile che Marina ha nascosto a tutti, anche al marito, mentre lei intuirà il segreto familiare all'origine dell’odio di Manfred verso tutte le donne. Con una rabbia e un desiderio mai provati prima, i due scopriranno la radice di un legame potente che non riusciranno a controllare né a vivere. Anni anni dopo quella vacanza, Marina, d'inverno, tornerà al rifugio a cercare Manfred.


E questo il cast artistico:

MARINA:  CLAUDIA PANDOLFI
MANFRED: FILIPPO TIMI
ALBERT: THOMAS TRABACCHI
STEFAN: DENIS FASOLO
BIANCA: MICHELA CESCON
LUNA: MANUELA MANDRACCHIA
GUSTAV: FRANCO TREVISI

Devo confessare una cosa: guardo con sospetto al cinema italiano. Non si tratta di snobbismo culturale o pregiudizio; semplicemente ho l'impressione che il cinema italiano si compiaccia di una certa involutezza espressiva - come se comunicare idee e concetti in maniera oscura ed ermetica sia il segno distintivo di un'opera d'arte. Inoltre rimprovero al nostro cinema di produrre - quasi - esclusivamente sempre gli stessi generi: o il filmone drammatico oppure la commedia (più o meno sguaiata che sia). certo il discorso sarebbe lungo e quello che ho detto è una semplificazione estrema per non dilungarmi troppo sull'argomento, ma spero di essere riuscita a spiegare cosa intendo.In altre occasione ho apprezzato la Comencini, quindi eccomi qui a parlare del suo film.

Mi hanno colpito alcune righe dell'intervista alla regista  riguardo i rapporti umani che caratterizzano la storia.

“Quando la notte” è una storia sulle differenze profonde tra l’uomo e la donna congiunte da un bambino. Manfred, abbandonato dalla madre da piccolo, è un uomo cresciuto in un mondo di uomini (il padre e i suoi due fratelli) e prova un grande risentimento nei confronti delle donne. Marina è una giovane donna in vacanza con il suo bambino, senza un uomo in grado di capire la sua solitudine e i sentimenti ambivalenti di amore e violenza che sente per il figlio. Manfred paradossalmente sarà l’unico in grado di conoscerla perché ha sofferto l’abbandono della madre e non da per scontato l’amore materno.
Il rapporto con l’altro, con il diverso da sé è rappresentato nel film dalle due funivie che vengono da due posti opposti, e si incrociano per un attimo. Io credo che proprio dalla differenza tra gli uomini e le donne nasca il contrasto forte, la paura, l’ambivalenza, ma anche il desiderio e una possibile, miracolosa comprensione.


Trovo interessante l'affermazione della differenza tra uomo e donna, che genera conflitti ma allo stesso tempo è quello che rende la convivenza tra i due sessi interessante. Dico questo perchè in genere si fa un gran parlare di "parità" fra i sessi, ma io sono dell'opinione che cercare la parità è un processo sterile ed astratto di appiattimento, quello a cui noi donne - in particolare -  dovremmo aspirare è una accettazione ed esaltazione di quelle differenze che ci rendono uniche, speciali. Più che nella parità, io credo nelle pari opportunità, e nella valorizzazione delle differenze insite in noi. Perciò trovo sarebbe interessante vedere come il tema della differenza sia svolto nel film, anche se la parole della regista mi fanno ben sperare.
Dal mio punto di vista però, spero anche che il film non sia solo un pretesto per parlarci di queste tematiche, che, per quanto valide non possono costituire da sole lo spirito portante di un'opera cinematografica; spero che l'elemento nascosto, misterioso, la verità inconfessabile cui si accenna nella sinossi abbia altrettanta importanza. Solo sviluppando la trama insieme ad argomenti certamente profondi è interessanti il film potrebbe evitare quello che io ritengo uno dei difetti del cinema italiano, cioè quello di parlare dei massimi sistemi senza raccontarci una storia solida e degna di questo nome.
Se qualcuno per caso ha visto il film, un feedback sarebbe gradito...Ho sentito che l'anteprima del film è stata accolta positvamente dal pubblico, meno dalla critica, e qui potrei aprire un'altra lunga digressione su quello che penso di certa critica cinematografica...vi dirò che comunque il fatto che la Critica Ufficiale non apprezzi il film secondo me depone a suo favore!
Io non so se riuscirò a vederlo perchè la situazione cinema nella mia città è davvero disastrosa: una sola, minuscola sala che programma solo i film in apparenza più gettonati dal pubblico...in ogni caso la speranza è l'ultima a morire! ;)

giovedì 6 ottobre 2011

L'Atlante di smeraldo...

...di John Stephens.

E' la notte di Natale e Kate avrebbe voluto rimanere sveglia, ma i suoi occhi di bambina alla fine si sono arresial sonno. Sono le mani di sua mamma a scuoterla e svegliarla di colpo: sta succedendo qualcosa, qualcosa di brutto.
Kate ha solo 4 anni, suo fratello Michael due, Emma è appena nata. Questa è l'ultima volta che vedranno i loro genitori. Dieci anni e moltissimi orfanotrofi dopo, i tre fratelli si imbarcheranno per quello che pare l'ultimo istituto disposto ad accoglierli: Cambridge Falls. Ma quando arrivano nella enorme casa tutta sbilenca, piena di torri, sotterranei e sale colme di bizzarrie, molte sono le domande che si affacciano alle loro menti. Come mai non ci sono altri bambini? Chi è l'enigmatico dottor Pym, il direttore di quello strano orfanotrofio? E soprattutto, cos'è quell'inquietante libro dalle pagine bianche e dalla copertina verde che sembra brillare di luce propria nel buio della camera segreta? (dal risvolto di copertina)

L'Atlante di smeraldo è un libro fantasy di uno scrittore esordiente, John Stephens, il quale ha svolto per dieci anni la professione di sceneggiatore di importanti serie televisive americane (tra le altre O.C., Gossip Girl e anche Una mamma per amica) (detto tra noi: aver sceneggiato Una mamma per amica - la mia serie preferita! - depone a suo favore, sempre se non viene fuori che ha sceneggiato la prima metà della settima stagione, nel qual caso la cosa non deporrebbe a suo favore ^__^)
Il risvolto di copertina si premura anche di informarci che Stephens ha lo stesso agente di Christopher Paoline e Stephanie Meyer  (no, questo, dal mio punto di vista, non depone a suo favore) e che il libro è stato lanciato in contemporanea mondiale sul mercato il 28 aprile 2011. Questo tanto per chiarirci che tipo di esordiente abbiamo davanti: non proprio uno sprovveduto o un inesperto. Perciò, a parer mio, era lecito aspettarsi un pochino di più da questo volume, che naturalmente è il primo di una trilogia.

Essenzialmente, questo libro ha tre ordini di problemi.

Ordine di problemi n. 1: già visto, già sentito.
La sensazione di deja-vu non mi ha abbandonata mai per tutta la lettura. Ho già avuto occasione di ribadire come io non sia contraria all'uso degli stereotipi (uno dei miei libri preferiti ha come protagonista un orfano vessato che si scopre essere il prescelto: più clichè di così!), ma tutto sta ad inserire UNO stereotipo in un contesto o in una vicenda che lo rende interessante agli occhi del lettore. Ma qui non abbiamo niente di tutto ciò.
Il peregrinare dei tre ragazzi fra instituti e famiglia affidatarie fa molto "Lemony Snicket" per il mondo in cui è descritto (situazioni paradossali descritte con amara ironia); l'ultimo istituto a cui approdano, Cambridge Falls non si riesce a scrollare di dosso l'immagine di Howgarts un po' sfigata, con meno fondi e meno magia (saranno arrivati pure nel regno magico i tagli alla scuola?!?).
Cambridge Falls si trova su di un'isola al centro di un lago nebbioso, e fino all'ultimo minuto non si riesce a scorgerla tra la foschia; è un posto enorme, che cade a pezzi, pieno di corridoi, sale, torri. Addirittura i tre ragazzi il primo giorno, cercando la cucina, si perdono (come Harry e Ron il loro primo giorno di lezione).
Il Dottor Pym, enigmatico direttore dell'orfanotrofio, è il gemello perduto di Albus Silente. Canuto, con gli occhiali storti, un completo di tweed logoro, la prima volta che lo vediamo sta cercando di accendere il fuoco nel camino con sistemi normali (carta e fiammiferi) ma dopo innumerevoli tentatativi rinuncia e lo accende borbottando qualcosa. Sembra la versione meno furba di Silente che tenta di farsi passare per un babbano.
I tre fratelli sono dei prescelti; esiste una profezia su di loro e sulla possibilità che hanno di sconfiggere un grandissimo cattivone di turno; ad un certo punto Michael tradisce le sorelle alleandosi con la strega servitrice del cattivone di turno, convinto che lei possa aiutarlo a trovare i genitori (come Edmund de Le Cronache di Narnia insegna).
L'oggetto importantissimo si trova custodito dai nani che vivono in una roccaforte sotto una montagna.
La strega bellissima e all'apparenza gentile richiama la strega delle già citate Cronache di Narnia.
Quel poco che c'è di originale, invece, viene sminuito e ridotto ai minimi termini. Mi riferisco alla scoperta del libro magico.
Decisamente intrigante l'idea che appoggiando una foto sulle pagine bianche sia possibile viaggiare nel tempo e nello spazio, ritrovandosi nel momento e nel luogo in cui è stata scattata la fotografia. I tre ragazzi accidentalmente lo fanno, e si ritrovano nel passato recente di Cambridge Falls, quando un essere malvagio, la Contessa, ha rapito tutti i bambini della cittadina e costretto i loro genitori a cercare un misterioso manufatto magico di incredibile potere che si dice sia nascosto da quelle parti.
Onestamente avrei apprezzato di più questa trovata se l'autore non si fosse premurato di spiegarmi che il libro in questione, risalente all'epoca della biblioteca di Alessandria, non ha nulla a che vedere con le foto; le foto aiutano soltanto a catalizzare la forza del pensiero, e quindi il libro è perfettamente funzionante anche senza, se si impara ad usarlo; questo toglie al libro magico interessanti limitazioni, e taglia via una buona parte dei problemi connessi al suo uso. Poichè in fondo una storia avvincente ruota intorno ad una serie di ostacoli che l'eroe deve superare, tagliarli via così non mi è sembrata una buona idea. E poi, a dirla tutta, l'idea delle foto non era poi così male, ma ovviamente mal si adattava ad un manufatto magico antichissimo e potentissimo che ha scatenato l'eterna lotta fra il bene e il male per il suo possesso.

Ordine di problemi n. 2: il senso di mistero

Il romanzo ha uno svolgimento veloce, con un buon ritmo. La fase introduttiva dura appena una 50ina di pagine, il che è un bene (odio quei romanzi che la tirano per le lunghe, in cui ci vogliamo metà delle pagine perchè accada qualcosa che faccia progredire la trama). Il problema è che sembra che l'autore non si sia impegnato a fondo nella costruzione della sua storia, e i dettagli intriganti, i misteri, i dubbi sono tutti facilmente intuibili. Non c'è una vera sensazione di misterioso, di curiosità nello scoprire l'ambientazione e i personaggi.
Infatti bastano poche pagine infatti per capire che:
1. Cambridge Falls non è un posto normale, ma un posto dove la magia funziona.
2. Il dottor Pym è uno stregone.
3. I tre fratelli sono i prescelti per qualche sorta di impresa che
4. Coinvolgerà l'eterna lotta tra il bene e il male.
Insomma, la trama si dipana rapidamente, ma è facile vedere in anticipo dove andrà a parare.
Simpatica anche se non originalissima l'idea degli abitanti del mondo fatato che hanno scelto di allontanarsi dal mondo degli uomini e sono per loro diventati pressochè invisibili; però anche qui l'idea avrebbe meritato maggiore attenzione e cura nei dettagli.

Ordine di problema n. 3: i cattivoni

I cattivoni sono imbarazzanti. La Contessa, strega millenaria che si mantiene giovane e bella con la magia , sarebbe anche passabile se fosse chiarito un po' meglio perchè, invece che trovarsi da sola, con l'aiuto dei suoi poteri, il manufatto magico, ma preferisce schivizzare una intera cittadina, e vessare i cittadini fino a che- ovviamente - non si ribellano contro di lei.
La Contessa ha al suo servizio mostro orribili chiamati Strillatori. E' interessante notare come all'inizio del romanzo uno Strillatore sia praticamente invulnerabile (ucciderlo è quasi impossibile), mentre nella battaglia finale, di cui vi racconterò in seguito, gli Strillatori vanno giù che è un piacere quando sono attaccati da uomini con armi improvvisate.
Inoltre la Contessa è al servizio di un essere demoniaco, il Ferale Magnus, molto più potente di lei, e di cui lei ha un sacro terrore.
Ecco, nel finale, quando sembra che ormai la Contessa abbia messo le mani sul potente artefatto magico, decide di tradirlo. Il Ferale Magnus, essendo pressochè onnisciente, se ne accorge e arriva per distruggere la traditrice. Prende possesso del suo corpo, facendolo rapidamente avvizzire...e poi che fa? Consegna il manufatto magico a Kate e se ne va tranquillamente , perchè tanto un giorno si rivedranno!
Ditemi voi se avete mai visto una soluzione così sciocca, un deus ex machina così forzato e inutile.
Per concludere e tirare le somme di quanto detto fin'ora, cercherò di sintetizzare attraverso qualche domanda e risposta.
L'atlante di smeraldo è il nuovo Harry Potter?
Ma neanche per sogno!
L'atalnte di smeraldo vale i 18,60 euro cheho speso per comprarlo?
Secondo me no.
Ma allora L'atlante di smeraldo è proprio così brutto?
No, di sicuro ho letto di peggio, ma in ogni caso non me la sentirei di dargli più di 5. Uso smodato di clichè, poca cura per i dettagli dell'ambientazione e nelle motivazioni dei personaggi gli impediscono di raggiungere la sufficienza.

L'indice delle recensioni

Ecco l'elenco, in ordine alfabetico, di tutte le recensioni pubblicate sul blog. Tenete presente che, se un titolo comincia con l'articolo, non ne ho tenuto conto ai fini dell'ordine alfabetico, ma ho usato la parola immediatamente successiva all'articolo per determinare l'ordine (altrimenti avrei avuto un lungo elenco di Il.... La.... I... Un... e la ricerca sarebbe stata più difficoltosa).

31 ottobre (Glauco Silvestri) - ebook, horror

1984 (George Orwell) - fantascienza distopica

Acquanera (Valentina D'Urbano) - narrativa italiana, saga familiare

Adesso (Chiara Gamberale) - narrativa italiana

L'albergo delle donne tristi (Marcela Serrano)

Un anello da Tiffany (Laurell Weisberger) - chick lit

A occhi chiusi (Gianrico Carofiglio) - legal thriller all'italiana

Arrivederci, piccole donne (Marcela Serrano)

L'Atlante di Smeraldo (John Stephens) - fantasy

La biblioteca dei morti (Glenn Cooper) - romanzo fantastorico/avventura

La biblioteca dei libri proibiti (John Harding) - ghost story (?), giallo (?)

Il birraio di Preston (Andrea Camilleri) - romanzo storico

Il campo del vasaio (Andra Camilleri) - romanzo giallo

La casa per bambini speciali di Miss Peregrine (Ransom Riggs) - fantasy, youg adult

La chiave dell'alchimista (Cristina Brambilla) - urban fantasy, ragazzi

Chiamate la levatrice (Jennifer Worth) - storico

Chocolat (Joanne Harris)

La condanna del sangue (Maurizio De Giovanni) - giallo

Il conto delle minne (Giuseppina Torregrossa) - narrativa italiana

Le cronache del ghiaccio e del fuoco (George Martin) - fantasy

Crypto (Dan Brown) - thriller

I Diari delle streghe (Lisa Jane Smith), parte prima - urban fantasy

I diari delle streghe (Lisa Jane Smith), parte seconda - urban fantasy

Il diavolo e la signorina Prym (Paolo Coehlo)

Il diavolo nella cattedrale (Franz Schatzing) - romanzo storico

Le donne del club omicidi (James Patterson) - thriller

Eldest (Christopher Paolini) - fantasy

Eragon (Christopher Paolini) - fantasy

L'età del dubbio (A. Camilleri) - romanzo giallo

Eva Luna (Isabel Allende)

Fahreneit 451 (Ray Bradbury) - fantascienza distopica

La formula dell'arcanum (Livio Macchi) - romanzo storico

I garbati maneggi delle signorine Devoto (Renzo Bistolfi) - narrativa italiana

La gemella silenziosa (S. K. Tremayne) - thriller

Il gioco dei pianeti (Ray Bradbury) - fantascienza

Il gioco dell'angelo (Carlos Ruiz Zafon) - storico, soprannaturale

Giorno dei morti (Maurizio De Giovanni) - giallo

I guardiani della notte (Sergei Luk'janenko) - urban fantasy

Guida galattica per autostoppisti (Douglas Adams) - fantascienza umoristica

Harry Potter e i doni della morte (J.K. Rowling) - romanzo fantastico

Inferno (Dan Brown) - thriller storico/archeologico

L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome (Alice Basso) - giallo

In piedi sull'arcobaleno (Fanny Flagg)

Ines dell'anima mia (Isabel Allende) - romanzo storico

Io sono leggenda (Richard Matheson) - horror

Io sono Dio (Giorgio Faletti) - thriller

Le guerre del Mondo Emerso, I : La setta degli Assassini

I libri di Luca (Mikkel Birkegaard) - romanzo fantastico

I love shopping con il baby (Sophie Kinsella) - chick lit

L'invenzione delle ali (Sue Monk Kidd) - storico

Lasciami entrare (John A. Lindqvist) - horror

La lettrice bugiarda (brunonia Barry) - narrativa straniera, saga familiare

La lista dei miei desideri (Lori Nelson Spielman) - narrativa straniera

Maruzza Musumeci (Andrea Camilleri) - storico, drammatico

Il mercante di libri maledetti (M. Simoni) - theriller storico

Il metodo del coccodrillo (Maurizio De Giovanni) - giallo, thriller

La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo (Audrey Niffenegger) - fantascienza, amore

Il monastero dei libri proibiti (Antonio Garrido) - romanzo storico

Il mondo di Rhett (Daniel Creig) - romanzo storico/avventura

Una mutevole verità (Gianrico Carofiglio) - giallo

Niceville (Carsten Stroud) - horro, noir

Niceville 2. I confini del nulla (Carsten Stroud) - horror, noir

Niceville 3. La resa dei conti (Cartsten Stroud) - horror, noir

Non è stagione (Antonio manzini) - giallo

Nodo di sangue (laurell K. Hamilton) - urban fantasy, horror, vampiri

Le notti di Salem (Stephen King)

L'ombra del vento (Carlos Ruiz Zafon) - romanzo storico, giallo, suspence

Pan (Francesco Dimitri) - urban fantasy

La piuma (Giorgio Faletti) - fiaba

Il potere del numero sei (Pittacus Lore) - fantascienza, youg adult

Prede Innocenti (Alexandra Marinina)

La ragazza di fronte (Margherita Oggero) - narrativa italiana

La ragazza fantasma (Sophie Kinsella) - chick lit

La ragazza del treno (Paula Hawkins) - giallo, thriller

La rivoluzione della luna (Andrea Camilleri) - romanzo storico

Ragionevoli dubbi (Gianrico Carofiglio) - legal thriller all'italiana

Rossella (Alexandra Ripley)

Il senso del dolore (Maurizio De Giovanni) - giallo

Sex and the City (Candace Bushnell)

Signor Malaussene (Daniel Pennac)

Il simbolo perduto (Dan Brown) - avventura/fantastoria

La somma dei giorni (Isabel Allende) - biografico

Sono il numero quattro (Pittacus Lore) - fantascinza, youmg adult

La stagione della caccia (Andrea Camilleri) - storico, giallo

La stanza dei delitti (P.D. James) - romanzo giallo

Susan a faccia in giù nella neve (Carol O'Connel) - thriller

Il teorema del pappagallo (D. Guedj) - thriller matematico

Terapia di coppia per amanti (Diego De Silva) - narrativa italiana

Testimone inconsapevole (Gianrico Carofiglio) - legal thriller all'italiana

Ti ricordi di me? (Sophie Kinsella) - chick lit

La tredicesima storia (Diane Setterfield) - saga familiare

Twilight (Stephanie Meyer) - horror? ma anche no!

Urla nel silenzio (Angela Marsons) - thriller

Vango (Timothee De Fombelle) - ragazzi, avventura

Vipera (Maurizio De Giovanni) - giallo

Voli acrobatici e pattini a rotelle a Wink's Phillips Station (Fannie Flagg) - storico, narrativa straniera

Wintergirls (Laurie Halse Anderson) - narrativa straniera

giovedì 29 settembre 2011

Fermiamo la legge ammazza-blog!

Nel disegno di legge riguardante le intercettazioni telefoniche, c'è un famigerato comma 29 che, se approvato, tagliere le gambe a tutti i blogger.
Tralascio le mie personali considerazioni sul disegno di legge in questione, ma la storia del comma 20 è davvero assurda! Perchè?
Ve lo spiego subito, e per farlo aderisco a questa iniziativa lanciata da Valigia Blu. Il progetto è semplice: diffondere una corretta informazione sul disegno di legge in questione, per poter eventualmente protestare non per partito preso, ma con cognizione di causa.
Ecco quindi delle domande e relative risposte molto esplicative a riguardo.

Cosa prevede il comma 29 del ddl di riforma delle intercettazioni, sinteticamente definito comma ammazzablog?

Il comma 29 estende l’istituto della rettifica, previsto dalla legge sulla stampa, a tutti i “siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica”, e quindi potenzialmente a tutta la rete, fermo restando la necessità di chiarire meglio cosa si deve intendere per “sito” in sede di attuazione.

Cosa è la rettifica?

La rettifica è un istituto previsto per i giornali e le televisione, introdotto al fine di difendere i cittadini dallo strapotere di questi media e bilanciare le posizioni in gioco, in quanto nell’ipotesi di pubblicazione di immagini o di notizie in qualche modo ritenute dai cittadini lesive della loro dignità o contrarie a verità, questi potrebbero avere non poche difficoltà nell’ottenere la “correzione” di quelle notizie. La rettifica, quindi, obbliga i responsabili dei giornali a pubblicare gratuitamente le correzioni dei soggetti che si ritengono lesi.

Quali sono i termini per la pubblicazione della rettifica, e quali le conseguenze in caso di non pubblicazione?

La norma prevede che la rettifica vada pubblicata entro due giorni dalla richiesta (non dalla ricezione), e la richiesta può essere inviata con qualsiasi mezzo, anche una semplice mail. La pubblicazione deve avvenire con “le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”, ma ad essa non possono essere aggiunti commenti. Nel caso di mancata pubblicazione nei termini scatta una sanzione fino a 12.500 euro. Il gestore del sito non può giustificare la mancata pubblicazione sostenendo di essere stato in vacanza o lontano dal blog per più di due giorni, non sono infatti previste esimenti per la mancata pubblicazione, al massimo si potrà impugnare la multa dinanzi ad un giudice dovendo però dimostrare la sussistenza di una situazione sopravvenuta non imputabile al gestore del sito.

Se io scrivo sul mio blog “Tizio è un ladro”, sono soggetto a rettifica anche se ho documentato il fatto, ad esempio con una sentenza di condanna per furto?

La rettifica prevista per i siti informatici è quella della legge sulla stampa, per la quale sono soggetti a rettifica tutte le informazioni, atti, pensieri ed affermazioni ritenute dai soggetti citati nella notizia “lesivi della loro dignità o contrari a verità”. Ciò vuol dire che il giudizio sulla assoggettabilità delle informazioni alla rettifica è esclusivamente demandato alla persona citata nella notizia, è quindi un criterio puramente soggettivo, ed è del tutto indifferente alla veridicità o meno della notizia pubblicata.

Posso chiedere la rettifica per notizie pubblicate da un sito che ritengo palesemente false?

E’ possibile chiedere la rettifica solo per le notizie riguardanti la propria persona, non per fatti riguardanti altri.

Chi è il soggetto obbligato a pubblicare la rettifica?

La rettifica nasce in relazione alla stampa o ai telegiornali, per i quali esiste sempre un direttore responsabile. Per i siti informatici non esiste una figura canonizzata di responsabile, per cui allo stato non è dato sapere chi sarà il soggetto obbligato alla rettifica. Si può ipotizzare che l’obbligo sia a carico del gestore del blog, o più probabilmente che debba stabilirsi caso per caso.

Sono soggetti a rettifica anche i commenti?

Un commento non è tecnicamente un sito informatico, inoltre il commento è opera di un terzo rispetto all’estensore della notizia, per cui sorgerebbe anche il problema della possibilità di comunicare col commentatore. A meno di non voler assoggettare il gestore del sito ad una responsabilità oggettiva relativamente a scritti altrui, probabilmente il commento (e contenuti similari) non dovrebbe essere soggetto a rettifica.

Potete trovare l'intero articolo qui.

giovedì 24 febbraio 2011

La formula dell'arcanum...

...di Livio Macchi

Dopo un brutto, bruttissimo romanzo storico, mi sembra giusto parlare di un buon romanzo storico, qual è, appunto, La formula dell'arcanum.

Napoli, 1754. La splendida città distesa all'ombra del Vesuvio cela un prezioso segreto, un tesoro custodito con gelosa premura. Si tratta della formula dell'Arcanum, la chiave alchemica capace di dare vita a piccoli capolavori di inestimabile valore: le porcellane della Real Fabbrica di Capodimonte. Un tesoro che fa gola a molti, soprattutto a chi è abituato a ottenere sempre ciò che vuole. Una complessa trama di furti e rapimenti varcherà i confini della città partenopea per approdare nella gelida San Pietroburgo, alla corte della capricciosa zarina Elisabetta, disposta a tutto pur di strappare alla manifattura borbonica il segreto di tanto splendore. Toccherà al capitano Ferrante Chilivesto indagare su quello che nell'arco di breve tempo si tramuterà in un intricatissimo affaire internazionale.

La prima cosa che mi ha colpita, è l'ambientazione nella Napoli misteriosa e affascinante del '700. Napoli, in quel periodo, era sospesa fra esoterismo e illuminismo, fra scienza e magia, fra passato e progresso. Ok, forse sarò anche un pochino di parte, ma trovo che sia un'ambientazione splendidamente suggestiva per un romanzo.
Livio Macchi, poi, sa renderla al meglio.
In primo luogo, sceglie come teatro della sua storia, almeno all'inzio, la Real Fabbrica di porcellane di Capodimonte: una scelta originale e interessante, tanto più che l'autore ne parla con competenza e precisione.
Dai dettagli tecnici sulla preparazione dell'impasto per le porcellane, alla loro pittura; dalla vita nella Real Fabbrica fino alla vita di corte; dai vicoli, ai palazzi di giustizia, tutto è solidamente descritto e argomentato, ma senza mai essere pesante. L'autore non sale mai in cattedra, dispensandoci lezioncine: il romanzo mostra quel che è essenziale ai fini della trama, senza interromperla con conferenze didattiche di dubbia utilità (uhm, capito signor Schatzing? Sì, è l'ennessima frecciatina all'autore de il Il diavolo nella cattedrale il cui modo di impartire lezioncine storiche durante il romanzo mi ha irritato enormente!)
L'ambientazione storica si respira, non ci viene imposta dal narratore.

Il protagonista, Ferrante Chilivesto, è imbevuto di una leggera ed ironica solidità. Secondo me, non si può non trovarlo simpatico.

Il capitano era rimasto sempre nel suo primo ufficio, invecchiando insieme allo scrivano Costanzo, costretti lì, con la carriera imbalsamata entrambi, da una sua certa insofferenza al concetto stesso di gerarchia. A cinqueantasette anni Ferrante Chilivesto era ancora capitano di giustizia e condivideva il grado con dei giovanotti che si facevano beffe di lui usandolo ad esempio di come non bisognasse comportarsi se si voleva fare carriera: era diventato un manuale vivente. Perchè lui aveva sempre e solo fatto di testa sua, mostrando negli anni un'incapacità quasi fisica di blandire, di omaggiare, di piegarsi insomma ai rudimenti della diplomazia. Non aveva mai agito per calcolo, e i risultati si vedevano. I capitani di vent'anni prima ora erano tutti governatori, ufficiali, consiglieri, e per la strada, se lo incontravano, non potevano trattenere dei sorrisini come sciabolate da cui Chilivesto si sottraeva con schivate immaginarie, ovvero pensando a quanti culi avevano dovuto leccare per essere dov'erano.

Indubbiamente Chilivesto è un uomo amareggiato, cui la sorte non ha risparmiato brutti colpi, ma non è il tipo che si piange addosso, anzi, attraversa la vicenda di cui è protagonista con ironia e leggerezza, senza mai prendersi troppo sul serio.
Quest'ironia e questa leggerezza permeano tutto (o quasi, come chiarirò meglio in seguito) il romanzo facendone una lettura piacevolissima e rilassante, anche se, ad essere sincera, il primo impatto si è rivelato ostico a causa di una certa involutezza dello stile di Macchi. Niente di grave, niente che renda il libro illegibile: c'è solo bisogno di abituarsi ad uno stile ricercato, ricco, pieno di subordinate e incidentali.
Faccio un esempio.

[Carlo di Borbone è indispettito perchè qualcuno, ad un'asta, sta comprando tutte le preziose statuine appena uscite da Capodimonte]
"Ma chi cazz'è stu guaglione?"
Così, con grazia tutta regale, Carlo di Borbone interrogò i cortigiani, e il refolo di dispetto che intorbidiva la cesellata frase li fece mutissimi, in attesa.

Ancora:
Allora pensare Chiunque muoia io non soffrirò lo metteva, rispetto alla vita, nella posizione di uno spettatore che assista a una cuccagna, indifferente all'agitarsi dei contendenti e al loro precipitare proprio quando, saliti faticosamente fino in cima al palo, per un nonnulla scivolano sulla pece fino in fondo, imprecando.

Ma, come si può vedere dagli esempi, non è niente di terribile, basta farci l'occhio.

La trama ha ritmo ed è ben svolta, specialmente nella prima metà del libro. La storia comincia col capitano Chilivesto alla ricerca di un ladro, e poi di un rapitore, con i due casi che si fondono alla fine in uno; da notare che la casa editrice Piemme qualifica il romanzo come thriller, ma in realtà questo non è assolutamente un thriller, mancando del tutto la suspence, l'ansia, l'urgenza tipiche di questo genere letterario.
Vien da chiedersi se chi cura la pubblicazione di un libro l'abbia, non dico letto, ma almeno sfogliato. Domanda a maggior ragione legittima se si pensa che la copertina si premura di spiegarci che abbiamo in mano un "thriller", mentre nessuno ha ritenuto importante informarci che questo libro è il sequel di un altro, La voce dei Turchini, e che sebbene possa essere letto tranquillamente anche da solo, qui le vicende narrate ne La voce trovano il sigillo definitivo.

Dunque, La formula dell'arcanum è un giallo, e per comprenderne la soluzione Chilivesto dovrà confrontarsi e sforzarsi di capire la varia umanità che gli passa davanti.
Ecco dunque un altro punto di forza del romanzo: se Chilivesto è un protagonista credibile, simpatico e ironico, i comprimari non sono da meno, in particolar modo gli operai della manifattura e le loro famiglie. I personaggi secondari infatti sono vari, tutti diversi, solidi ed ognuno parla al lettore con voce propria.
Con i crimini sui cui il capitano indaga si intrecciano le vicende di Macedonio e Masella, due giovanissimi fidanzati che lavorano alla Fabbrica, la cui storia tragica e toccante è uno dei momenti più belli del romanzo.

Le indagini porteranno Chilivesto dapprima a Livorno e poi verso San Pietroburgo.
Interessante la scelta dell'autore, con un cambio stilistico audace, di raccontarci il lungo viaggio in carrozza attraverso un diario tenuto da Chilivesto stesso, ulteriore prova dell'originalità e cura con cui è scritto il romanzo.

Quando però Chilivesto arriva a San Pietroburgo, cominciano le dolenti note, ovvero le ragioni per cui, all'inizio, ho defintio il romanzo buono e non ottimo.
In Russia, la trama prende tutta un'altra direzione, col nostro capitano che incontra un fantasma del suo passato (narrato appunto ne La voce dei Turchini) e ne esce trasformato. Perde la sua leggerezza, il suo distacco verso la vita, la sua ironica indifferenza verso le umane miserie, e diventa svenevole, melanconico, romantico. La storia ne risente, la soluzione del giallo passa in secondo piano e il lettore ha l'impressione che il cambiamento sia stato troppo repentino e poco giustificato. Non posso escludere che, se avessi letto il primo dei romanzi con protagonista Chilivesto, forse avrei compreso meglio il suo mutamento; ma io sono dell'opinione che un libro deve comunque essere comprensibile e credibile di per sè, al di là del fatto che faccia o meno parte di un'opera più ampia.
Giudizio negativo anche per il finale, che viste le premese avrebbe meritato più spazio e che vede Chilivesto autore di un comportamento, collegato alla risoluzione del caso, che francamente non gli si addice per nulla.

Nonostante questo - e per concludere - La formula dell'arcanum è un libro da leggere, perchè è scritto con accuratezza storica e stilistica; perchè sa essere ironico, tragico, leggero o profondo a seconda delle situazioni; perchè ha personaggi ben delineati ed una trama interessante anche se non perfetta nel suo svolgimento.
In mezzo al mare di prodotti mediocri che spesso ci si ritrova in mano, spicca come un raggio di sole che si riflette sull'acqua.

lunedì 14 febbraio 2011

Il monastero dei libri proibiti...

...di Antonio Garrido.

Germania, anno 799. Theresa, una giovane apprendista che realizza pergamene pregiate, viene accusata di aver distrutto il laboratorio dove suo padre stava traducendo in segreto, per ordine di Carlo Magno, un documento di vitale importanza per la cristianità. Costretta a fuggire, la ragazza trova asilo nel monastero di Fulda, dove conosce l'erudito frate Alcuino di York. Insieme con lui (sic), dovrà far luce su una serie di misteriosi eventi che stanno sconvolgendo la regione e che ruotano attorno ad un archivio di libri proibiti...

In 469 pagine, avessi trovato un libro proibito che fosse uno! E nella quarta di copertina viene citato addirittura un intero archivio di libri proibiti! Dovevano essere così proibiti che sono stati cancellati dal romanzo, evidentemente!
Complimenti davvero a chi ha scelto il titolo per il romanzo (che nell'originale spagnolo di chiama La escriba) e a chi ha scritto la sinossi per la quarta di copertina. Sono stati davvero illuminanti.

Così come ho trovato illuminante che, sulla copertina del libro, appena sotto il nome dell'autore, sia scritto in bella evidenza: romanzo storico.
Ringrazio vivamente la Sperling e Kupfer per avermelo fatto sapere, perchè, in caso contrario, non credo che me ne sarei accorta.
Il contesto storico è tratteggiato in maniera piuttosto grossolana, con degli errori che vanno dalle imprecisioni fino alle vere e proprie castronerie.
Si va da una donna - Theresa - ospitata in un monastero (non in un convento, eh, e non in una foresteria), a persone del popolo che mangiano carne anche due volte al giorno (e in un periodo di carestia); dalla protagonista che va a vivere a casa di una nota prostituta senza subire riprovazione sociale di nessun tipo, alla medesima prostituta assunta nelle cucine del monastero.
Theresa, la protagonista, è una donna moderna (e non in senso positivo), che di medievale non ha proprio nulla. E' completamente fuori dal contesto storico e sociale.
Sa leggere e scrivere, è emancipata, va in giro da sola, amministra delle proprietà, compra degli schiavi e soprattutto, fa, nel 799 d. C. un lavoro da uomo: la scrivana, l'amanuense.
Ora, un personaggio emancipato, avanti coi tempi, ci può pure stare; ma l'intero mondo che la circonda dovrebbe inorridire nel vedere una ragazza comportarsi in questa maniera, e, probabilmente, dovrebbe andarla a stanare di notte con le torce e i forconi. L'ostilità nei suoi confronti dovrebbe ben presto diventare un problema per Theresa. Invece le viene finanche permesso di tentare la prova che da apprendista scrivana l'avrebbe fatta diventare una scrivana vera e propria. Poco o nulla conta il fatto che il percamenarius (ovvero, una sorte di custode delle pergamene da trascrivere) le sia ostile e la sottoponga a prove impossibili; poco conta che la sua ostilità generi poi l'accusa di aver causato l'incendio del laboratorio. Il punto è che all'epoca una donna non avrebbe mai potuto nemmeno aspirare a farla, quella prova.
La letteratura, storica e non, è piena di figure femminili che tentano di aggirare i limiti imposti dalla società nelle maniere più fantasiose. Potrei perfino citarvi Mulan delle Disney - che proprio un trattato di storia non è, ma almeno gli scenaggiatori si rendono conto che all'epoca, in Cina, una donna non poteva diventare un soldato, e difatti Mulan si traveste da uomo per andare in guerra al posto dell'anziano padre, ma, se non ricordo male, quando viene scoperta, Mulan non è elogiata per il suo coraggio e bla bla bla, ma viene accusata di aver disononrato la sua famiglia col suo comportamento inappropriato. Solo quando salva la vita all'Imperatore, per Mulan ci sarà un po' di gloria, e sto parlando di un cartone animato!
E quando ti viene spontaneo citare un cartone animato delle Disney come esempio di maggior accuratezza rispetto ad un romanzo storico, quello è il segnale che qualcosa nel mondo non va.
E secondo me, quello che non va si intuisce da un'affermazione che l'autore fa nei ringraziamenti finali.

Un romanzo storico deve essere, più che storia, un romanzo. La documentazione non è che la scenografia, la vernice che fa brillare e mette in luce i personaggi, l'involucro che li legittima e li rende verosimili. Ma, come accade anche con una vernice troppo densa, se la documentazione cresce fino a rendere opaca la tela, senza dubbio il dipinto verà rovinato.

Mi dispiace, ma il ragionamento è viziato. La documentazione non è scenografia, non è una cornice, ma rappresenta le fondamenta su cui poggia il romanzo. La documentazione non potrà mai essere così eccessiva da rovinare un romanzo, perchè per ambientare una storia in un determinato periodo storico, lo devi studiare fino alla noia; devi sapere vita, morte e miracoli dell'epoca - e poi, eventualmente, puoi prenderti qualche licenza artistica. Puoi far soggiornare un personaggio storico in un luogo dove in realtà non è mai stato; puoi mettere un'epidemia di peste in un periodo in cui non c'è stata, ma non puoi ignorare il contesto sociologico e culturale dell'epoca, perchè altrimenti il romanzo storico non è più tale. Ci sono dei paletti che non puoi spostare, altrimenti il periodo storico cessa di essere, per l'appunto, storico, e diventa altro, o meglio, niente.
Mi sarei aspettata come minimo che alla fine del romanzo l'autore mi illustrasse le libertà che si era preso nel rappresentare quel determinato periodo storico, e invece ho trovato un'affermazione abberrante, secondo cui documentarsi troppo potrebbe rovinare un romanzo storico. Come dire che se un avvocato studia troppo le leggi, potrebbe rovinare la causa che sta patrocinado. Insomma, il concetto è lo stesso, e a me questa affermazione sembra solo un modo per giustificare errori e imprecisioni.

Passando oltre, c'è da chiedersi: almeno il romanzo ha una storia avvincente? E' interessante? Vale la pena di passare sopra le approssimazioni storiche?
La risposta è no, no e ancora no.
La trama è formata da due doverse sotto-trame che alla fin fin non hanno nulla in comune; finita l'una si passa all'altra così, tanto per andare avanti. Theresa e Alcuino scoprono una partita di grano avvelenato che viene venduta e provoca diverse morti tra il popolo; a questi episodi è legato l'omicidio di una giovane, di cui viene accusato un povero ragazzo con disturbi mentali. Alcuino si batterà anche contro il vescovo per salvare il ragazzo, dimostrando uno spiccato senso della giustizia e una grande umanità (tenete a mente questa cosa!), non esitando a farsi nemici potenti pur di dimostrare la verità.
Theresa lo aiuta ad indagare, e nel frattempo si butta tra le braccia di uno, Hoos Larsson, che ha appena conosciuto (ok, lui l'ha salvata da un tentativo di stupro), e intreccia quasi immediatamente con lui una relazione anche sessuale; inutile precisare che la cosa, quando viene scoperta, non scandalizza nessuno, nemmeno i monaci.
Ho provato un'antipatia istantanea per Theresa, perchè nonostante dovesse essere una figura di donna libera ed emancipata, in realtà  riesce ad essere solo irritante.
Come quando ad esempio uccide un orso con un colpo solo di balestra senza aver mai usato una balestra in vita sua - e senza sapere nemmeno come si usa.
Oppure quando riesce ad impagliare il suddetto orso meglio del cacciatore che fa da quel mestiere, senza sapere nulla della tecnica per imbalsamare gli animali.
Ci sono molti piccoli episodi nella trama che fanno di Theresa una specie di super-donna, che fa benissimo ogni cosa, anche quando non ha le più elementari nozioni di base della materia. In questo modo il personaggio non ha un briciolo di credibilità e plausibilità.
Risolto il caso del frumento contaminato, Theresa riceve dal re Carlo Magno un appezzamento di terra e naturalmente sa come coltivarlo molto meglio dell'ingegnere che il re le ha inviato per aiutarla. L'ingegnere, tale Izam, si innamora all'istante di Theresa (e figurarsi se non era così!).
Subito dopo, la ragazza decide, così, tanto per, di tornare a Wurzburg dove è ancora accusata di aver incendiato il laboratorio (saranno passati si e no due mesi dalla sua fuga), e io quasi quasi mi aspettavo che dicesse qualcosa del tipo "il mio lavoro qui è finito!" e cavalcasse solitaria verso il tramonto.
Tornata a Wurzburg con Hoos, Izam, Alcuino e un delegato papale, Theresa si mette a cercare suo padre, che nel frattempo e scomparso ed è stato accusato di omicidio. Ovvio che la sua scomparsa e l'accusa hanno a che vedere con la preziosa pergamena, ma a questo punto la trama si fa così contorta che il famigerato spiegone finale dura diversi capitoli e io non sono sicura di averlo compreso per bene nonostante l'abbia riletto due volte (non sto scherzando, l'ho davvero riletto due volte!).
Allora, cercando di mettere ordine nel guazzabuglio di sparizioni, omicidi, trame, rapimenti e voltafaccia, scopriamo che:
- Gorgia, il padre di Theresa, stava trascrivendo per per ordine dell'imperatore una pergamena che altro non è che la Donazione di Costantino. Perchè la stesse trascrivendo  non ci è dato saperee soprattutto non ci è dato sapere perchè è di vitale importanza finire prima che arrivi il delgato papale - cioè, è di vitale importanza presentare al delegato una copia della Donazione, quando si ha in mano l'originale.

- Il segretario del conte di Wurzburg lavora per l'imperatrice di Bisanzio (la quale non vuole che si sappia della donazione di Costantino che darebbe troppo potere al papato), e d'accordo con il percamenarius Korne e Hoos Larsson, (che in realtà fa il doppio gioco) tenta di uccidere Gorgia, per sottrargli la pergamena. Visto che il primo tentativo, all'inizio del romanzo, va a vuoto, i tre decidono di imprigionarlo perchè trascriva la pergamena per loro (per favore, non chiedete spiegazioni).

- Gorgia, intanto, perde un braccio a causa di una ferita, ma riesce a scappare e si nasconde in una miniera abbandonata.

- Intanto il conte cerca Gorgia, e (cito testualmente) per avere una scusa per cercarlo imbastisce delle false accuse di omicidio contro di lui (per favore, non chiedete).

- Hoos intuisce dove si nasconde Gorgia, ma fa finta di nulla, e d'accordo con i suoi compari, rapisce le figlie del conte e le piazza nella miniera dove Gorgia si nasconde per farlo accusare di rapimento (ricordo che l'uomo è già accusato di svariati omicidi  - no, per favore, non chiedete).

- Theresa scopre casualmente che Hoos fa il doppio gioco (con un classico espediente: lo sente parlare, non vista,  con un complice e i due riepilogano per filo e per segno tutto il piano fin lì svolto, e tanto per essere sicuri che Theresa capisca, la minacciano pure di morte). Trenta secondi dopo aver scoperto che Hoos è un farabutto doppiogiochista, Theresa è già tra le braccia di Izam, l'ingegnere di Carlo Magno. Il fatto che lei andasse a letto con un altro (cosa risaputa perchè Alcuino li becca insieme) non lo turba minimamente (così come non sembra turbare nessuno, nemmeno i monaci).
Ridicolo il modo in cui il giovane giustifica la sua tenerezza per Theresa. Dovete sapere che quando Carlo Magno lo invia ad aiutare Theresa, lui le parla del suo lavoro e lei - da gran dama qual è - non fa altro che sbadigliare fino a che lui si scusa perchè la sta annoiando.
Ebbene, quando la donna emancipata e libera corre a rifugiarsi tra le braccia di Izam perchè ha scoperto che il suo amante è un gran bastardo, Izam stesso ricorda deliziato l'interesse con cui lei lo ascoltava.
Izam si è fatto un film nella sua testa e lo sta rivedendo al rallentatore. Contento lui...
A proposito della scoperta del tradimento di Hoos, quando all'inizio del romanzo qualcuno aggredisce il padre di Theresa per rubargli la pergamena affidatagli da Carlo Magno, noi vediamo che l'aggressore ha un tatuaggio a forma di serpente sul braccio.
Ebbene, Theresa va a letto con Hoos, gli cura una ferita quasi mortale e mai l'autore, nel descriverci le scene, sente il bisogno di dirci un piccolo, trascurabile particolare: indovinate che cosa ha tatuato Hoos sul braccio?
Esatto, un serpente. Questo particolare ci verrà rivelato solo dopo la scoperta che il giovane è un sicario prezzolato che sta con Theresa per arrivare a suo padre e alla pergamena. Io questo lo chiamo barare...evidentemente qualcun altro lo chiama scrivere un romanzo.
- Alcuino, uomo di mentalità aperta e di spiccato senso della giustizia, che non esista ad assumere nelle cucine del monastero di Fulda una nota prostituta incinta, improvvisamente si trasforma in un monaco cinico e freddo, lascia che Gorgia venga catturato e imprigionato pur sapendolo innocente perchè deve arrivare alla pergamena (la cosa migliore non sarebbe stato blandirlo per farsela consegnare?) e lascia addirittura che lui muoia in prigione a cusa di una ferita infetta. Senza che il lettore abbia alcun indizio o sentore, Alcuino tiene un comportamento diametralmente opposto a quello che aveva tenuto a Fulda quando aveva salvato un innocente e accusato invece un uomo potente.
- Alla fine Theresa, accusata di aver sottratto la pergamena viene scagionata grazie ad un duello dove il suo campione (Izam) sconfigge Hoos, campione dell'accusa, provando così la sua innocenza. Indovinate chi vibra il colpo mortale che decide il duello? Ma ovviamente Theresa con la balestra! E tenete presente che questo è il terzo colpo che abbia mai tirato in vita sua, ed è il secondo mortale.
Una volta finito il duello Alcuino rivela che sapeva che Theresa era innocente ma sperava di incastrare in quel modo Hoos e i suoi complici. Alcuino aveva le prove che il delegato papale era stato corrotto con denaro di Bisanzio (proibito in territorio franco), e che lo stesso denaro era stato poi passato ad Hoos, ma ritiene comunque opportuno far svolgere il duello (di nuovo, non chiedete).
Il romanzo si chiude con l'happy end di routine...ed un sospiro di sollievo da parte mia!

In conclusione, uno dei romanzi più inconcludenti, approssimativi e contorti che abbia mai letto.

lunedì 7 febbraio 2011

La biblioteca dei morti...

...di Glenn  Cooper.

Questo romanzo comincia nel dicembre 782 in un'abbazia sull'isola di Vectis (Inghilterra), quando il piccolo Octavus, accolto dai monaci per pietà, prende una pergamena e inizia a scrivere un'interminabile serie di nomi affiancati da numeri.
Questo romanzo comincia il 12 febbraio 1947, a Londra, quando Winston Churchill prende una decisione che peserà sulla sua conscienza sino alla fine dei suoi giorni.[...]
Questo romanzo comincia il 21 maggio 2009, a New York, quando il giovane banchiere David Swisher riceve una cartolina su cui ci sono una bara e la data di quel giorno. Poco dopo, muore.

Apro la recensione citando il risvolto di copertina perchè credo sia un buon modo di introdurre questo romanzo senza svelare troppo della trama. Infatti ho deciso di scrivere questo post tentando di parlare del libro senza rivelare particolari fondamentali della storia: La biblioteca dei morti si regge su di un'unica, splendida, affascinante idea, e se ve la rivelo, è finita.

Andiamo con ordine. Nel romanzo ci sono effettivamente tre linee temporali, all'apparenza separate tra di loro. Questo comporta qualche difficoltà, da principio, nella lettura del romanzo. Insomma, non è facilissimo saltare dal medioevo, al dopoguerra, fino ai giorni nostri tentando di non perdere il filo e di capire cosa abbiano in comune un'abbazia medievale, un intervento dei servizi segreti inglesi e un'idagine del FBI per la cattura di un serial killer.

Il romanzo si apre ai giorni nostri, con il primo omicidio del serial killer.
E qui devo segnalare una cosa che mi ha dato un po' fastidio: Glenn Cooper ha imbrogliato.
Mi spiego.
Ho già accennato al fatto che le vittime sel serial killer ricevono una cartolina con disegnata sopra una bara e la data della loro morte. Quando viene commesso il primo omicidio, la vittima chiede al suo carnefice se ha spedito lui la cartolina.
La risposta è: e gli sembrò che il ragazzo rispondesse "sì, lo spedita io, figlio di p******"
Il punto è che alla fine si scoprirà che la cartolina non l'ha spedita il ragazzo in questione. Ok, c'è quel sembrò che è un tantinello ambiguo, e capisco che l'autore deve anche poter sviare il lettore; ma seminare falsi indizi che mi portino fuori strada è un conto, affermare cose che non sono vere ne è un altro. Ed è sleale. Non vale tenere alta la suspence ricorrendo alle bugie.
Forse il punto è che questa linea narrativa è la più debole, e si sarebbe potuta eliminare senza fare un gran torto al romanzo.
Il serial killer che annuncia in anticipo i suoi delitti: sai che novità! Aggiungeteci l'agente FBI alcolizzato, insofferente alle regole, ma in fondo onesto, che si innamora di default della sua bella collega precisina fresca d'accademia, e avrete un quadro della situazione.
Apriamo una parentesi: ma la storia d'amore in un romanzo che tratta di altri argomenti è obbligatoria? La inseriscono gli editori come clausola obbligatoria nei contratti che fanno firmare agli scrittori, o cosa? Oppure è una legge immutabile dell'universo, cui nessuno può sfuggire? Qualcosa del tipo legge matematica?
Dati due personaggi in un qualsivoglia romanzo, di sesso opposto e che respirino entrambi, essi finiranno con l'innamorarsi in punto compreso fra pagina 50 e la pagina che rappresenta i due terzi del romanzo.
Signori scrittori, ebbasta! Davvero, non se ne può più di 'ste storie d'amore inserite random nei romanzi!
Io non ho nulla contro l'amore, intendiamoci, ma per innamorarsi i personaggi devo essere motivati, ci deve essere qualcosa che li spinge l'uno nelle braccia dell'altro...e poi perchè una volta tanto, due esseri umani di sesso opposto, dopo averne passate di tutti i colori, non possono scoprirsi profondamente e fraternamente amici?
Ok, chiudiamo la parentesi e andiamo avanti.
Dicevo che linea temporale ambientata ai giorni nostri in fin dei conti è piuttosto banalotta e superflua; questo perchè il mistero che sta alla base del romanzo si intuisce, tutto sommato, a circa metà libro,  ma mentre le altre due linee temporali conservano fascino e continuano ad essere avvincenti, la terza, una volta svelato il segreto che sta alla base delle azioni del supposto serial killer, è piuttosto piatta e senza mordente. Una volta che sai 1. chi è il serial killer, 2. come fa a fare quello che fa, e 3. che nessuno è in pericolo, non è che resti poi molto a tenerti incollato alle pagine, no?
E poi, avrei qualche dubbio sul fatto che una volta scoperto il grosso segreto che sta alla base del romanzo, una persona normale si metta a fare truffe assicurative... mah! Non è che la cosa mi abbia convinta molto!

Molto più interessanti le altre due linee temporali, specialmente quella ambientata nell'abbazia di Vectis nel VII secolo dopo Cristo, che vale da sola il prezzo del romanzo. Come detto, ad un certo punto si intuisce il mistero che sta alla base di questa linea temporale e delle altre due, ma la voglia di sapere come la storia ambientata nel Medioevo si sviluppi non viene meno, anzi.

Lo stile è scorrevole e pulito, ed il romanzo si lascia leggere facilmente, a parte un iniziale smarrimento dovuto alle tre linee temporali. Ho notato anche la tendenza a raccontare eventi del passato a volte superflui, spezzando lo sviluppo della trama, ma niente che renda il libro illegibile.

Perciò, in conclusione, lo considero un bel romanzo d'evasione che merita la sufficienza, nonostante qualche difetto. Consiglio la lettura anche perchè sembra che ci siano degli sviluppi interessanti nei due romanzi che seguono questo (Il libro delle anime e La mappa del destino). Per ora sto leggendo Il libro delle anime; sarò più precisa quando lo avrò finito.

domenica 30 gennaio 2011

Vango...

....di Timothee De Fombelle.

Quaranta uomini vestiti di bianco erano sdraiati sul pavè. Sembrava di vedere un campo coperto di neve. Le rondini garrivano, sfiorando i corpi. C'erano migliaia di persone, a guardare quello spettacolo. Notre-Dame de Paris stendeva la sua ombra sulla folla.
All'improvviso la città, tutt'intorno, parve raccogliersi.
Vango aveva la fronte contro la pietra. Ascoltava il proprio respiro. pensava alla vita che l'aveva condotto fin lì. Una volta tanto non aveva paura.
Pensava al mare, al vento salmastro, alle voci, ai visi, alle lacrime calde della donna che l'aveva cresciuto.

Avevo segnalato di aver ricevuto una copia in anteprima di questo romanzo che uscirà il 20 febbraio, allo scopo di recensirla. Onestamente non conoscevo l'autore e non sapevo cosa aspettarmi, ma devo dire che si è trattata di una piacevole sorpresa.

Parigi, 1934. Vango Romano è un ragazzo di 19 anni che sta per essere ordinato prete sul sagrato di Notre Dame, quando la polizia interrompe la cerimonia per arrestarlo e, contemporaneamente, qualcuno dalla folla presente gli spara addosso. Inutile precisare che il ragazzo non ha la minima idea di cosa stia succedendo, e perciò tenta di scappare. Vango sfugge all'arresto in modo piuttosto rocambolesco, arrampicandosi sulle pareti della chiesa e fuggendo sui tetti. Sì, perchè lui non è una ragazzo normale; è cresciuto sull'isola di Salina, nelle Eolie, con una tata che non ha mai voluto dirgli nulla del suo passato. E' cresciuto selvaggio, nella natura, arrampicandosi tra le rocce, tra i nidi degli uccelli marini e il mare.
Da qui in poi seguiremo la fuga di Vango e il suo tentativo di scoprire di cosa è accusato e perchè qualcuno lo voleva morto.

Vango è un romanzo per ragazzi. Lo si capisce più che altro dal modo in cui è narrato. C'è una gentile "voce" in sottofondo che ci narra le avventure di Vango e di tutti quelli che gli girano intorno, un narratore onnisciente che salta con disinvoltura da posto all'altro del mondo, da un personaggio all'altro e perfino dal presente al passato. Questa scelta stilistica conferisce un che di fiabesco al romanzo, ma qualche volta risulta un po' dispersiva, e il lettore fa una certa fatica a concentrarsi sulla vicenda, occupato com'è a non perdere il filo tra tutti quei continui salti narrativi.
Prendiamo ad esempio il primo capitolo. Il libro si apre con una panoramica sul sagrato di Notre Dame, su cui quaranta ragazzi aspettano di essere consacrati sacerdoti, per poi passare ai pensieri di Vango che attende, per poi saltare al punto di vista di una ragazza dagli occhi versi che guarda Vango commossa, per poi andare fino al campanaro di Notre Dame e alla sua solitudine,  per poi tornare alla ragazza, per poi passare al cardinale che officia la cerimonia... e non è finita qui.
Io ho fatto una gran fatica a seguire questo primo capitolo! Insomma, ero di fronte ad un nuovo romanzo, nelle prime pagine ci si aspetta di conoscere un po' personaggi e ambientazione e di cominciare ad abituarsi, per così dire, a loro, ma con questi continui salti mi sembrava di essere una pallina da ping pong sballottata da un lato all'altro senza tregua. Ad esempio, il punto di vista del campanaro di Notre Dame (un omaggio a Victor Hugo?) era proprio necessario? I pensieri del solitario gobbo, personaggio che non comparirà più nel romanzo nemmeno per sbaglio, che cosa aggiungono alla trama? Per dirla in parole povere, ma a me, cosa importa?
Fortunatamente nel prosieguo del romanzo questa tendenza si attenua drasticamente (anche se non scompare mai del tutto), altrimenti per continuare a leggere avrei avuto bisogno di un navigatore satellitare.
Il romanzo conserva una struttura piuttosto ampia e non legata al solo personaggio di Vango, e per le prime 200 pagine circa, ad ogni capitolo andiamo avanti e indietro nello spazio e anche nel tempo. Ci viene narrata infatti l'infanzia di Vango, e scopriamo anche nuovi personaggi, tra i quali Ethel, la ragazza dagli occhi verdi segretamente innamorata di Vango; Hugo Eckener, comandante di un dirigibile che è il vanto della flotta tedesca; padre Zefiro, un monaco molto particolare e con qualche scheletro nell'armadio.
Tutti questi personaggi e le loro vicende alla lunga si rivelano legati a Vango, e sono certamente interessanti (io ho adorato il capitano Eckener per quella sottile ironia che pervadeva i capitoli a lui dedicati) ma il romanzo tende ad essere un po' dispersivo. Niente che renda impossibile la lettura, certo, ma in un romanzo che si chiama Vango mi aspettavo di leggere più Vango e meno personaggi secondari. Forse, alla fin fin, Vnago è il personaggio più sfuggente di tutti almeno per metà libro.
Capita anche, e più volte, che mentre noi seguiamo pacificamente le vicende di un altro personaggio, Vango attraversi mezzo mondo braccato dalla polizia senza che nel romanzo ci sia una sola riga al riguardo.
Ad esempio, nel capitolo 9, Vango arriva in Germania per chiedere aiuto al capitano Eckener, e solo in questa circostanza apprendiamo che ha attraversato la Francia e la Svizzera inseguito dalla polizia, e poi è entrato in Germania, nella Germania nazista....in che modo? Boh!
Purtroppo non sarà la sola volta che capita una cosa simile nel romanzo: De Fombelle ha una certa tendenza a raccontare, più che a mostrare quello che accade, anche se lo fa con uno stile piacevole, leggero, non noioso nè tanto meno pretenzioso.

Mi rendo conto che fino ad ora ho elencato solo difetti nel romanzo, ma nonostante ciò Vango è stata una lettura molto piacevole.
Ho apprezzato i personaggi e la sottile ironia che pervade la pagine;  alcuni personaggi secondari sono davvero gustosi, come il commissario Boulard, che si occupa del caso Vango.

- Vi ha fregati! Vi siete fatti seminare da un ragazzino davanti a mille persone!
Boulard infilzò con la forchetta una patata al burro, si bloccò, fece roteare gli occhi intorno a sè e riepilogò l'evidenza:
-Siete un branco di incapaci.
La cosa più incredibile è che nessuno, fra tutti quei tizi, si sarebbe mai sognato di mettere in dubbio quell'affermazione. Quando Boulard diceva una cosa, era sempre vera. Il commissario avrebbe potuto dire:  e quelli si sarebbero messi tutti in punta di piedi con le braccia ad arco sopra la testa.

Ho apprezzato la trama, specialmente nella seconda metà del volume, in cui la storia comincia proprio a farsi interessante ed in alcuni tratti si fa fatica a mettere giù il libro.

Ho apprezzato la presenza di elementi storici nel libro, specie con riferimento al sorgere della potenza nazista, riferimenti che non erano appiccicati con lo scotch, ma parte integrante dell'ambientazione. A parer mio è così che un libro diventa "storico", cioè lo diventa quando riesci a respirare l'aria del periodo descritto come fossi uno dei personaggi....e non quando l'autore tiene interminabili sermoni sulla costruzione delle mura di Colonia (ok, per chi non avesse colto il riferimento, questa è una leggerissima frecciatina all'autore di Il diavolo nella cattedrale, che ho recensito qui ).
E' sempre positivo quando l'autore riesce a contestualizzare e rendere concreti gli avvenimenti di cui sta parlando.
Cito da pagina 254:

Vango aveva ascoltato. A un certo punto si era lentamente trascinato sotto il fico per potersi sedere all'ombra.
Non vedeva il lagame tra quel racconto e l'arrivo di un commissario francese sull'isola di Arkudah, più di quindici anni dopo quegli avvenimenti. Ma era sconvolto. Tutto d'un colpo comprendeva meglio che cos'era stata la guerra. Fino a quel momento non l'aveva conosciuta che attraverso monumenti fatti di fiori, di medaglie, di donne che avevano perso il loro unico figlio, di tamburi che suonavano una volta all'annodi uomini ai quali mancava un braccio o una gamba. La guerra...I ricordi di Zefiro mettevano carne e sangue dietro quella parola.

Più o meno è quello che succede anche a noi, con le parole di De Fombelle. Egli mette carne e sangue dietro le sue parole.

Belli gli scontri fra Eckener e vari esponenti della gerarchia nazista che tentano di imbrigliare la sua fama di capitano e le sue imprese per farne un vanto per il regime; belli, coraggiosi, significativi (tanto più che questo è un libro destinato ai ragazzi) i suoi tentativi ironici di sfuggire a questo destino, ed anche, ad un certo punto, la sua umana paura di ergersi, da solo, contro un mondo che sta impazzendo.

- Neppure io, padre, mi sento più a casa mia da nessuna parte. Non riconosco più il mio paese.
Zefiro si abbassò per aiutare l'altro ad alzarsi.
- Faccio tutto ciò che posso - continuò Eckener. - Per me la Germania è già in guerra contro se stessa. Ieri mattina la polizia è andata ad eliminare il nome del nostro amico Werner Mann dal monumento ai caduti del suo villaggio, vicino a Monaco di Baviera. Il nome di Mann, ti rendi conto? Hitler ha dato l'ordine tre giorni fa. Nessun nome ebreo sui monumenti ai caduti del 1918.
Werner Mann, l'eroe morto in combattimento, era appena stato cancellato dalla storia.

Nella seconda metà del volume, come accennavo sopra, la storia perde la sua caratteristica dispersiva e si concentra maggiormente sull'intreccio. Viene fatta luce - purtroppo soltanto parziale - sui misteri che circondano Vango.
Dico soltanto parzialmente perchè Vango è il primo volume di una serie (non so composta da quanti libri); mi è spiaciuto un po' dover lasciare i personaggi sospesi, con le mani ancora in pasta, per così dire, proprio quando le cose cominciavano a prendere un ritmo serrato e particolarmente "misterioso". Molti sono i nodi da sciogliere, e niente sembra deporre per una soluzione scontata o banale.
Infatti ad un certo punto entra in gioco anche Stalin, che a quanto pare cerca Vango; per un po' ho sospettato Vango (che è orfano, non sa nulla del suo passato ed è giunto in Italia in seguito ad un naufragio) fosse l'ennesimo superstite della famiglia reale russa - cosa che mi ha fatto un po' storcere il naso, ma a quanto pare le cose non sono così semplici e lineari. Tutto ciò è sicuramente da apprezzare, ed ovviamente incuriosisce il lettore anche in vista del prossimo volume.

In conclusione, posso tranquillamente affermare che Vango è un romanzo piacevole e ben scritto, non esente da qualche difetto che però non arriva mai a guastare il piacere della lettura. Merita un bel 7 pieno.

Un'ultima parola anche per l'iniziativa della casa editrice, le Edizioni San paolo, che mi ha permesso di leggere il libro in anteprima (l'uscita prevista è il 20 febbraio) e di recensirlo.
E' un gran bel modo di pubblicizzare un libro in uscita, perchè, oltre a riconoscere l'importanza fondamentale del passaparola quando di parla di libri, dimostra di non aver paura del giudizio dei lettori, di aver fiducia nei loro gusti e di considerare importanti e pesanti le loro opinioni.
Quindi, grazie per tutto!

lunedì 24 gennaio 2011

I diari delle streghe...(parte seconda)

La prima parte la potete leggere qui.

Abbiamo lasciato Cassie alla prese con la scoperta di essere una strega. La ragazza apprende di avere poteri soprannaturali, ma non chiede spiegazioni, le sembra tutto più o meno normale, presta il giuramento di rito e via.
Massì, che sarà mai? Scopri che le streghe esistono, che tu, tua madre e tua nonna lo siete, ma non c'è da meravigliarsi più di tanto. In fondo esprimere emozioni come lo stupore e la meraviglia fa venire le rughe. Lo sanno tutti.
Se scoprire di essere una strega non sconvolge Cassie più di tanto (la mia teoria è che in realtà non se ne è accorta), quello che la sconvolge davvero è scoprire che il fidanzatino di Diana è .....rullo di tamburi.... il misterioso ragazzo della spiaggia, di cui lei è segretamente innamorata!
Naturalmente, per non turbare l'amica, Cassie finge di non conoscere Adam (questo è il nome del ragazzo), ma, quando rimangono soli sulla via del ritorno dalla spiaggia, Cassie e Adam si baciano.
Si vede che Cassie non è abituata a prendere decisioni: una volta tanto che ne ha presa una, non riesce a mantenere il punto neanche dieci minuti. Complimenti davvero!
Anche se subito dopo Cassie e Adam pronunciano un giuramento, imponendosi di stare lontani per il bene di Diana, ormai la frittata è fatta. La perfida Faye li ha visti (come, non si sa), e il giorno dopo ricatta Cassie: se non farà tutto quello che lei vuole, racconterà a Diana ciò che ha scoperto. Cassie, naturalmente, acconsente, senza accennare il benchè minimo tentativo di reazione. Ah, no, aspettate: il tentativo di reazione c'è. Cassie sussurra debolmente a Faye un "credevo fossimo amiche", che detto a una che ti ha riempito l'armadietto di carne cruda, ha tentato di darti fuoco (sul serio) e ti sta ricattando, suona un po' ridicolo.

Da qui in poi, a qualunque lettore appare ovvio che Faye farà fare a Cassie cose che la sua coscienza non potrà sopportare; appare ovvio a tutti, meno che a Cassie, che non finisce mai di meravigliarsi e stupirsi di quanto Faye la costringe a fare.
Nel frattempo, i ragazzi hanno trovato un teschio di cristallo appartenuto a Black John, antico stregone malvagio. Questo teschio è uno degli oggetti magici che usava la vecchia congrega di streghe, ed è molto potente, ma quando provano ad usarlo, l'energia in esso contenuta sfugge al loro controllo. Sicchè Diana, leader del gruppo, decide di nascondere il teschio e di non usarlo più. Faye vuole però quel potere e vuole anche il posto di Diana come leader del cerchio, perciò costringe Cassie a scoprire dove è nascosto il manufatto, e a portarglielo. E Cassie esegue, anche dopo che i ragazzi scoprono che con molto probabilità è stata l'energia negativa legata al teschio ad uccidere Kori. Così Faye mette le mani sul teschio e lo usa, con conseguenze nefaste: infatti l'energia diventa sempre più forte e uccide altre due volte.
Ma nonostante ciò, Cassie non prende mai in considerazione l'idea di sottrarsi al ricatto di Faye, no, teme di far soffrire Diana qualora venga a scoprire che lei ha baciato Adam.
Ora, secondo me Cassie ha bisogno di rivedere le sue priorità. Da una parte c'è il rischio di infrangere il cuore di una sedicenne (ok, lo so, fa male ma ci siamo passati tutti, ma, Cassie, si sopravvive), dall'altra c'è una psicopatica che va in giro ad usare un teschio il cui potere uccide persone innocenti. Cassie ci pensa su un po', e sentendosi molto eroica, sceglie di salvare l'amore puro che Diana ha per Adam.
Sì, è vero che in maniera poco convinta e piuttosto vaga, Faye accenna al fatto che se Diana sapesse la verità, la congrega potrebbe anche sciogliersi; ma, come detto, è tutto molto vago, e Cassie non è davvero tormentata dalla scelta che è costretta a fare, dice e pensa soltanto di esserlo.
Così, tanto per dare un po' di spessore al personaggio, la Smith fa dire a Cassie che oramai è una persona cattiva e malvagia.
Per me la cosa non ha alcun senso; il comportamento di Cassie potrebbe acquistare un senso solo se davvero la ragazza, stretta tra i sensi di colpa e il ricatto, cominciasse davvero a cambiare, ad allontanarsi da Diana e ad assomigliare di più alla perfida Faye nei modi e nel comportamento.
In realtà questa evoluzione non avviene, se non, come sempre, ad un livello molto superficiale.
Infatti Cassie, al ballo scolastico (sì!! c'è anche il ballo scolastico!! E se questa cosa non vi dice niente, allora non avete letto Twilight!) flirta con tutti i ragazzi, anche con quelli impegnati, perchè lei è tanto tanto cattiva! Speriamo che Osama Bin Laden non legga mai questo libro! Non vorrei che scoprisse nuove vette di cattiveria attraverso le sue pagine!
Oltretutto nel finale scopriremo che questo comportamento terribilmente malvagio non è nemmeno tutta colpa sua, ma di un cristallo che Cassie aveva raccolto, e che aveva il potere di amplificare gli istinti negativi. E ti pareva! Non sia mai che Cassie faccia qualcosa di sua iniziativa!
Altro esempio.
Una sera, Cassie viene invitata a casa di Faye, e qui scopre che la ragazza, con i suoi poteri, affascina i ragazzi per avere...come dire...una compagnia occasionale (non si va al di là di baci e carezza, comunque!). Esorta Cassie a fare lo stesso ma quando la ragazza è lì lì per baciare il ragazzo che ha portato la pizza, si ribella e si rifiuta di farlo.
Ora, baciare un ragazzo non è questo grande esempio di comportamento malvagio, ma sicuramente non è bello usare i poteri magici per affascinare e irretire dei ragazzi; se Cassie, convinta oramai di essere perduta (sue testuali parole) fosse andata fino in fondo, la cosa avrebbe avuto senso! Finalmente la Smith ci avrebbe mostrato la protagonista che fa un passo in una direzione; ci avrebbe mostrato che oramai Cassie si sente persa, e si comporta di conseguenza (anche se, ad essere sincera, se dovessi mostrare una ragazza che scivola verso la via della perdizione, io avrei scelto qualcosa di diverso rispetto ad un bacio occasionale, ma evidentemente la mia visione del mondo e quella della Smith non coincidono).
Invece, la nuova Cassie cattiva non fa altro che piagnucolare nella propria testa perchè è tanto malvagia, però poi non si comporta di conseguenza.
Ad esser sinceri, nessuno nel romanzo si comporta mai di conseguenza - come disse qualcuno in un celebre film, i personaggi sono solo chiacchiere e distintivo!
In questa seconda parte del romanzo ci sono molte scene corali...o meglio, scene che avrebbero dovuto essere corali se i personaggi fossero stati qualcosa di più che delle semplici figurine appiccicate sulla trama. Degno di nota il fatto che uno dei ragazizi, Nick, che è quello sconstante, duro, taciturno, antipatico ma naturalmente fichissimo, si innamora di Cassie di punto in bianco, e comincia seguirla come un cagnolino, trasformandosi improvvisamente in un bel principe azzurro premuroso. L'unico commento possibile è: ???
Quando poi è necessario votare per scegliere un nuovo leade della congrega, Faye costringe Cassie a votare per lei contro Diana. Questo spezza il cuore a Diana, che crede Cassie amica, ma a lei non passa nemmeno per l'anticamera del cervello che con quel voto si giocherà l'affetto di Diana e metterà a rischio la sopravvivenza della congrega (perchè Faye è davvero una pazza psicopatica e vorrebbe allearsi con il cattivone di turno), e che quindi, perso per perso, converrebbe sottrarsi al ricatto di Faye, lasciare che spifferi tutto ma salvare la congrega da una leader psicopatica.
Sembra che Cassie faccia le sue scelte più per esigenza di trama (è necessario che Faye diventi leader della congrega per poter scatenare il dramma finale) che per coerenza interna o per motivazioni solide e credibili.
Cassie si decide a liberarsi del giogo impostole da Faye solo quando l'energia malvagia del teschio, che in realtà non è altro che lo spirito di Black John, uccide sua nonna, ferisce gravemente sua madre e da fuoco alla sua casa.
Il pathos di questo evento drammatico però viene spezzato da un terribile spiegone, ovvero uno di quegli espedienti narrativi che dovrebbero essere vietati dalla legge. Infatti, a questo punto della trama, è necessario che Cassie (e il lettore) apprendano determinate cose; allora l'autrice che fa? Le mette in bocca alla nonna morente. Ora, una nonna morente può sussurrare cose come "ti voglio bene", oppure "dietro al camino" per indicare il nascondiglio del Libro delle Ombre, ma non può andare avanti per nove pagine fonendoci spiegazioni su Black John, su come sia sfuggito alla morte attraverso i secoli, sul passato della congrega, sul segreto che lega i dodici ragazzi che ora ne fanno parte, sui Libri delle Ombre, e tutto quello che una strega provetta deve sapere.
Nove pagine. Ma si può? Ma raccontarlo prima no? Perchè portare Cassie a New Salem per raccogliere la sua eredità di strega e poi non dirle assolutamente nulla fino a che non succede l'irreparabile? Io non me lo spiego.
Ah, un'altra cosa: il cattivo si chiama Black John e Cassie, che non ha mai conosciuto suo padre, di cognome fa Blake...vi viene in mente nulla?
Già. Sì. Quello sara il sorpresone finale. Uao.

E come se il sorpresone non fosse sufficiente a darci il colpo di grazia, nelle ultime pagine scopriamo che Cassie è la strega più potente dell'universo (così, se ne accorgono all'improvviso! Cassie comincia a recitare ridicole ed elementari frasette in rima, e tutto le riesce -.- )
Faye, apertamente schierata con lo spitrito di Black John e contro la congrega, nello scontro finale, cambia idea a causa di due parole in croce di Cassie, e li aiuta a sconfiggere il cattivone (dopo aver passato un libro intero a tramare contro la congrega e a favorire il cattivone di turno, lo tradisce quando pramai è chiaro che senza il potere del circolo al completo, non possono sconfiggere Balck John)
Diana rinuncia a Adam perchè il suo destino è stare con Cassie, la quale, senza aver mai praticamente mosso un dito, sconfigge Black John, conquista l'amato e diventa leader della congrega.
Uao.

venerdì 14 gennaio 2011

I diari delle streghe... (parte prima)

...di Lisa Jane Smith.

Una premessa: I diari delle streghe è una saga composta da 4 romanzi (L'iniziazione, La prigioniera, La fuga, Il Potere), che io ho avuto la fortuna (...ehm...) di comprare e leggere in un unico volume. Certo che vendere i romanzi separatamente, al prezzo corrente di un libro, è una cosa veramente esagerata: i quattro capitoli della saga in totale superano di poco le 500 pagine. Oltretutto, non ne vale la pena nemmeno al prezzo scontatissimo a cui ho acquistato il mio volume, figuriamoci a prezzo pieno!
Comunque, trattandosi di 4 romanzi, seppur brevi, ho preferito spezzare la recensione in due parti (o forse tre, ancora non lo so), altrimenti sareste invecchiati a leggerla tutta in una volta, e la cosa non mi pareva carina.

Leggendo questo libro, ho fatto una scoperta sensazionale: adesso so dove Stephanie Meyer ha preso l'ispirazione per scrivere Twilight e compagnia bella.
Ok, la parola adatta non è propriamente ispirazione, ma se scrivessi davvero quello che penso al riguardo, rischierei una querela da parte dei legali della Meyer.
E se per caso mi sbaglio, e la Meyer non si è...ehm...ispirata all'opera di Lisa Jane Smith, le consiglio di prendere carta e penna e di scriverle immediatamente! Potrebbe essere l'inizio di una grande e solida amicizia!
Le due autrici infatti condividono la stessa identica visione del mondo. Nel loro universo, per essere delle eroine bisogna essere carine (ma senza rendersene conto), deboli, tristi, in attesa di un uomo che ti salvi, non bisogna mai prendere iniziative...insomma, in una parola: irrimediabilmente amebe!
La protagonista dei Diari, Cassie Blake, 16 anni, è fondamentalmente un essere umano inutile. Irritante oltre ogni dire, piagnucolosa e sempre sull'orlo della depressione, non prende un'iniziativa nemmeno a minacciarla di morte.
Il romanzo inizia con la protagonista in vacanza a Cape Cod, in compagnia di una ragazza, Portia, che è, se possibile, ancora più irritante di lei. Portia è snob, classista, petulante, saccente, non sta un attimo zitta e comanda tutti a bacchetta.  Dopo 4 righi, avevo già voglia di strappare le pagine in cui le compariva e mangiarle. Cassie non la sopporta (e non è la sola!), ma per ragioni che ci sono ignote, resta con lei, non la contraddice mai e fa tutto quello che lei dice. Salvo poi lamentarsi esclusivamente nella sua testa di quanto sia antipatica Portia...mollarla no, eh?
No.
Sicchè, quando sulla spiaggia arriva uno splendido ragazzo dagli occhi magnetici, e Portia ordina di ignorarlo in quanto di un ceto sociale inferiore, Cassie lo fa senza ribellarsi. Il massimo della sua reazione è pensare che non era affatto un comportamento giusto. Quando si dice avere carattere, eh?
Per vedere un minimo di vita nel personaggio, dobbiamo aspettare che i fratelli di Portia inseguano il suddetto ragazzo armati di fucile perchè Cassie  trovi il coraggio di mandarli fuori strada e proteggere così lo sconosciuto nascosto poco lontano.
Naturalmente ciò accade perchè Cassie si è innamorata all'istante del misterioso ragazzo dagli occhi magnetici (sì, lo so che l'ho gia detta 'sta cosa degli occhi magnetici, ma mi sto solo adeguando allo stile della Smith - vi chiarirò il concetto in seguito).
Ricapitoliamo: in 20 pagine, la Smith è riuscita a farmi fare pensiere omicidi su un personaggio secondario, a farmi odiare  la protagonista, e a farmi sbellicare di risate quando in piena estate i fratelli di Portia inseguono il ragazzo misterioso e dagli occhi magnetici nascondendo i fucili la giacca a vento. Ehm...sì, già, per la serie 101 modi per inseguire qualcuno con intenti omicidi e passare inosservati.

Le premesse non sono buone, vero?
Comunque, andiamo avanti. Quando finalmente la vacanza si avvicina al termine e Cassie pregusta il ritorno a casa, la madre le annuncia che non torneranno a casa loro in California, ma si trasferiranno in un paesino poco distante, New Salem (sì, quando si dice l'originalità...), dove vive la misteriosa nonna di Cassie. Quindi Cassie sta per trasferirsi dall'assolata California al piovoso New England, e se la cosa non vi suggerisce nulla, allora non avete letto Twilight. Buon per voi!
Naturalmente, come qualunque sedicenne normale (notate la graffiante ironia delle mie parole), Cassie non accenna la benchè minima reazione alla decisione che senza alcun preavviso le sconvolge la vita. Resta zitta e muta, sull'orlo delle lacrime, senza chiedere spiegazioni.
Quando finalmente giungono  a New Salem, però, Cassie ha un moto di ribellione. La madre scende dall'auto e comincia a scaricare i bagagli, e lei...udite udite...resta con il muso in macchina per qualcosa come 5 minuti scarsi.
Poi entra e basta. Stop, fine dei segnali di vita dal pianeta Cassie.

Città nuova significa anche scuola nuova, dove, appena arrivata, Cassie viene trovata carina e interessante dal capitano delle squadra di football, il quale cerca di flirtare con lei fino a che una delle ragazze più popolari della scuola, Faye, non si avvicina a lui e le sussurra che anche Cassie abita in Crowhaven Road. Lui subito la molla e si allontana spaventato. Ma non è il solo mistero che Cassie trova sulla sua strada. Sembra che nella nuova scuola esista un gruppo di ragazzi popolari, detto il Club, di cui Faye fa parte, che fanno il bello e il cattivo tempo a scuola, che godono di privilegi e a cui nessuno, professori e studenti, osa rifiutare nulla.
Per ragioni che ci sono ignote, Faye prende in antipatia Cassie (perchè poi, visto che Cassie non fa nulla di più del camminare e respirare?) e comincia a renderle la vita impossibile.
Potreste pensare che Cassie in qualche modo si ribelli a tutto ciò, e invece no, non accenna reazioni di nessun tipo, a parte un mezzo tentativo di riferire al preside, che però la ignora, quanto sta accadendo.
Cassie va avanti così, piagnucolando quando è sola, senza fare alcunchè, a parte desiderare ardentemente l'amicizia di Diana, un'altra delle ragazze del Club, che però è tutto l'opposto di Faye: è biondissima, buonissima, bellissima, amatissima, elegatissima, popolarissima, [...inserire qui altri superlativi a caso ...].
Nessun superlativo sarà mai troppo per Diana, durante il corso del romanzo.
Naturalmente Cassie non fa nulla per avvicinare Diana, a parte spiarla dalla finestra. C'è una parola per questo comportamento, ed è stalking.
Le cose non cambiano fino a che Diana non decide di "adottare" Cassie come mascotte del Club. Insomma, Diana la prende sotto la sua ala protettrice, e da quel momento in poi le cose migliorano, senza che Cassie abbia fatto nulla.
Così Cassie comincia a conoscere i ragazzi popolari della scuola che fanno parte del Club: oltre a Faye e Diana, ne fanno parte Suzan, Deborah, Kori, Nick, i gemelli Doug e Chris, Sean, Laurel, Melanie e il misterioso fidanzatino di Diana. Questi ragazzi, più che personaggi, sono sagome di cartone.
Per la Smith, per descrivere un personaggio basta ripetere fino alla sfinimento di che colore ha i capelli e gli occhi (e non sto scherzando o esagerando: ogni santa volta che qualcuno entra in scena, la Smith ci ricorda di che colore ha gli occhi e i capelli!). Va da sè che mai e poi mai si tratta di occhi normali: gli occhi sono sempre misteriosi, magnetici, brillanti, con sguardi strani, etc. etc. Sempre. Ogni volta.
Per dare spessore a un personaggio, invece, se si tratta di una ragazza, basta farle scuotere la splendida capigliatura; se è un ragazzo basta fargli fare un ghigno.
Facile, no? Prendano nota tutti gli aspiranti scrittori: è così che si da vità ad un personaggio!!
Ogni tanto l'autrice fa uno sforzo e appiccica un aggettivo a caso a uno dei nomi (per esempio, Laurel è quella seriosa) ma al di là di questo non c'è nessuna differenza nel modo di agire e parlare dei ragazzi, sono più o meno tutti uguali. Loro non sono...che so...intelligenti, studiosi, leali, eccetera perchè si comportano in maniera da apparire intelligenti, studiosi, leali; lo sono semplicemente perchè la Smith ce lo dice, ma dobbiamo crederle sulla parola, visto che non ce lo mostra mai, al di là di qualche misero tentativo superficiale.
Ad esempio, i gemelli Chris e Doug sono scavezzacollo così, per definizione, perchè vanno in skate nei corridoi della scuola. Uao! Che ribelli!
Ma al di là di questa patina superficiale, i gemelli non si comportano da adolescenti problematici, non fanno mai nulla di veramente aticonformista, che rompe gli schemi.

E a proposito di aggettivi, ho notato che la Smith ha un grande amore per la parola "strano": ad un certo punto ho cominciato anche a contare quante volte compariva nel romanzo, ma dopo averne contati 10 da pagina 189 a pagina 197, ho lasciato perdere.

Vabbè, si diceva che Cassie è la mascotte del Club: non è veramente una di loro, ma le permettono di scondinzolare intorno a loro, ma quando devono parlare di cose davvero importanti, la invitano ad allontanarsi. Una posizione davvero invidiabile, non c'è che dire.
Una brutta mattina, però, Kori viene ritrovata a scuola con il collo spezzato; sembrerebbe un incidente, ma qualcosa di sinistro aleggia nell'aria.
Quella stessa notte, Cassie viene rapita dal suo letto dai membri del Club, e portata in un luogo segreto e praticamente costretta a prendere parte ad un rito di iniziazione. Finalmente Cassie scopre la veirtà: i ragazzi del Club sono streghe e stregoni, e anche lei lo è, essendo originaria di Crowhaven Road.
Ora, come tutti sanno, un circolo di streghe deve essere composto da dodici membri, e siccome Kori è morta, al gruppo serve Cassie per completare il cerchio. E sì che il corpo della povera ragazza è ancora caldo! E sì che nel gruppo ci sono i suoi fratelli (i gemelli Chris e Doug), che evidentemente sono molto affranti dalla sua morte. Evidentemente il dolore per la perdita, l'elaborazione del lutto e lo shock in seguito a eventi traumatici devono essere passati di moda mentre leggevo.
Riprendendo l'esempio fatto prima, i gemelli sono i fratelli di Kori, ma il loro dolore è una patina superficiale: i ragazzi dicono di essere distrutti, ma non agiscono mai come se lo fossero. Mi sarei aspettata qualcosa di più, da due sopposti "ribelli" che partecipare all'iniziazione della strega che prenderà il posto della loro sorella morta.
Sono arrabbiati, meditano vendetta, azioni clamorose, eccetera, ma ne parlano ma non agiscono mai.
La caratterizzazione di un personaggio dovrebbe andare oltre qualche azione superficiale e qualche frase di circostanza ogni tanto.

Comunque, tornando a Cassie, ha appena scoperto, in maniera traumatica, di essere una strega. Riuscirà ad avere una reazione credibile? O meglio, riuscirà ad avere una qualunque reazione?
Lo scopriremo nella prossima puntata!