lunedì 26 dicembre 2016

La donna delle rose...

...di Charlotte Link.



La scheda del libro sula sito della casa editrice TEA

Beatrice ed Helene sono due anziane signore che vivono in una grande casa circondata da un roseto sull'Isola di Guernsey, un'isola britannica davanti alle coste della Francia. Un giorno una giovane donna tedesca, Franca, che soffre di violente crisi di panico, prende in affitto una camera in casa loro.
Franca rimane affascinata dall'apprendere che Helene e Beatrice vivono insieme dai tempi della seconda guerra mondiale, quando Helene era arrivata come moglie di un ufficiale delle truppe naziste di occupazione, ed era rimasta lì anche dopo la fine del conflitto.
Beatrice aveva ripreso le redini della sua vita dopo la guerra e aveva cominciato ad occuparsi del roseto dei suoi genitori, pur controvoglia, pur non amando le rose e ne aveva fatto una fiorente attività. Allo stesso modo si era dovuta occupare di Helene.
Anche dopo la sua partenza, Franca rimane in contatto con Beatrice, riuscendo a poco a poco a svelare la storia del rapporto che ha legato le due donne per settant'anni.
 
Come già il precedente La casa delle sorelle, anche questo romanzo si svolge su due piani temporali, il presente e il periodo della Seconda Guerra Mondiale. In questo caso però le vicende attuali hanno uno spazio più ampi rispetto a quelle che si svolgono nel passato.
Il legame tra Beatrice ed Helene è quanto mai ambiguo. Appare subito chiaro che Beatrice tollera a stento Helene, cosa di cui è difficile meravigliarsi visto che Helene con il marito ha requisito la casa di Beatrice, separata dai genitori durante una drammatica e caotica evacuazione dell'isola, si è installata lì e col marito ha preso a comportarsi come la padrona di casa, e come se Beatrice le appartenesse. Il dipanarsi della storia approfondirà le ragioni di questo legame e soprattutto la psicologia dei personaggi che resteranno legati l'una all'altra nonostante tutto.
Il rapporto tra le due sembra una sorta di simbiosi malata. Dopo la caduta de Terzo Reich Helene si trova tagliata fuori dalla ritirata delle truppe tedesche, timorosa di tornare in Germania, e si aggrappa alla giovane Beatrice costringendola, di fatto, con la sua debolezza a prendersi cura di lei. Beatrice tenterà di recidere  quel legame ma mai in maniera netta.
 
Parallelamente al rapporto Beatrice-Helene, il romanzo descrive altri legami ambigui o comunque non proprio sani; quello di Franca col marito (l'approfondimento del quale ho trovato di una straordinaria sottigliezza, sia per quel che riguarda il come è narrato, sia per quel che riguarda il cosa) e quello di Alan, figlio di Beatrice, con la giovane Maja, ragazza che usa il sesso come un'arma contro tutto e tutti.
 
La storia, per quanto curata e interessante, ha un difetto. Ha un ritmo molto, molto lento, e i lunghi intervalli tra i capitoli dedicati al passato non aiutano a creare quell'atmosfera pervasa da "ansia di sapere" che invece si trovava nell'altro romanzo della Link già citato.
Soltanto verso la fine gli intrecci cominciano a mostrare di essere molto più legati ed omogenei di quanto avremmo creduto, e la storia acquista organicità e un nuovo picco di interesse, anche grazie ad un paio di avvenimenti e colpi di scena ben piazzati.
 
Notevole, come sempre, lo sforzo dell'autrice di portare alla luce episodi meno noti della storiografia; in questo caso si tratta dell'occupazione delle Isole Normanne durante la Seconda Guerra Mondiale. Le truppe tedesche di occupazione arrivarono fiere e forti degli innumerevoli successi militari nel 1940; quando il Terzo Reich cominciò a crollare furono abbandonate a se stesse, così come furono in un certo senso abbandonati i cittadini inglesi delle Isole, a cui Churchill negava i rifornimenti per non "nutrire" il nemico ormai sul punto di cedere. Accumunati dalla sensazione di essere dimenticati dalla storia e dai propri governi, oltre che dalla fame e dagli stenti, tra occupanti e residenti si creerà una sorta di strano legame - ancora un altro legame ambiguo, basato più sulle circostanze che sulla volontà di stringerlo.
 
Credo perciò che il significato profondo di questo romanzo, e il suo punto di forza, sia l'approfondimento di rapporti non convenzionali, all'apparenza improbabili, ma che pure nascono perché in fondo siam tutti come sassolini trasportati dalla corrente del fiume della vita.
Con la differenza che però a volte è possibile tirarsene fuori.
 
Voto:7

domenica 25 dicembre 2016

Un'indagine al nero di seppia. Commissario Rebaudengo #1...

... di Cristina Rava.


La scheda del libro sul sito della casa editrice Frilli Editori.


Nella ridente località ligure di Alassio, vive e lavora il commissario Bartolomeo Rebaudengo, piemontese di Cuneo, mai abituatosi completamente alla località di mare e alle sue particolarità, usi e costumi (cibo compreso).
La routine tranquilla della cittadina viene interrotta il giorno in cui una donna denuncia la scomparsa del marito, professore di filosofia al locale liceo. Una decina di giorni dopo, viene ritrovato un cadavere...
 
Un'indagine al nero di seppia si inserisce nel prolifico filone di gialli "all'italiana", dove a farla da padrone sono investigatori che caratterizzano l'indagine con le loro peculiarità, il loro carattere, i loro pregi e difetti; in una parola, con la loro umanità. Spesso in questo genere di romanzi, non si sarebbe arrivati alla soluzione se l'investigatore di turno non avesse messo in campo, appunto, le sue peculiarità.
Perciò per parlare di un libro di questo filone narrativo inevitabilmente bisogna parlare del protagonista. Il commissario Rebaudengo è un uomo calmo, tranquillo, saggio e razionale. L'indagine per lui è fatta di lavoro paziente, di attesa, di dettagli.
La calma impregna l'atmosfera del romanzo. Non c'è suspense, quanto piuttosto un senso di attesa che impedisce alla storia di scadere nella noia.
Un professore di liceo, eccellente insegnante ma incline a correre dietro alle donne scompare. la moglie ne denuncia la scomparsa. Quando diversi giorni dopo viene ritrovato un cadavere, il lettore è in attesa di scoprire finalmente che ne è stato del professore. Ed è qui che invece l'autrice ci stupisce con una scoperta che non avevamo immaginato, e che imprime una svolta alla storia che pareva avviata verso uno svolgimento non noioso, ma forse un po' prevedibile.
Il resto della trama è abbastanza lineare, ed onestamente devo dire che il colpevole si intuisce abbastanza facilmente. Nonostante questo non posso dire che la storia sia stata noiosa, tutt'altro; in parte ciò è dovuto alla cura meticolosa con cui l'autrice ci descrive Rebaudengo e il suo modo di procedere. Il personaggio è ben fatto, ed appare vivo.
 
A mio parere, però, il romanzo ha due ordine di problemi. Il primo riguarda lo stile e il linguaggio. Al di là di qualche punto esclamativo di troppo, piazzato dove di enfasi non se ne sente proprio il bisogno, quello che non ho apprezzato sono i dialoghi.
Spesso i dialoghi o i monologhi interiori suonano tremendamente artificiosi, lontano dalla lingua parlata e non perfettamente intonati al personaggio che pronuncia le parole o formula i pensieri. 
esempio: un uomo scarsamente acculturato è arrestato perché sospettato di omicidio e di abusi legati alla pedofilia. Mentre lo interrogano l'uomo è smarrito e terrorizzato, e questi sono i suoi pensieri:
 
Gli occhi di Beniamino Bronda passavano dalle labbra del pelatino, che il suo avvocato chiamava con un tono sussiegoso “dottor Bottini”, a quelle dell’altro tipo, più belloccio ma imbronciato, che non parlava e osservava la scena con occhi di coyote, doveva essere il commissario e adesso gli sfuggiva anche il nome, lungo come la quaresima. Non capiva un accidente di tutto questo rimbalzare di parole, però aveva visto che la faccia del suo legale era diventata nuvolosa come un cielo estivo prima della grandine quando il pelato, che doveva essere un magistrato, un giudice, una roba simile, aveva pronunciato parecchie volte la parola “pedofilia”.
 
Ma sul serio un uomo di scarsissima cultura, che viene descritto come uno che non esce mai, legge solo riviste porno e passa tutta le sue serate a masturbarsi davanti a film per adulti, potrebbe pensare, mentre è in procinto di andare in galera con un'accusa infamante e pericolosa, che il nome del commissario è lungo come la quaresima? O davvero potrebbe richiamare, in un simile momento, i colori del cielo estivo prima della tempesta?
A me questi pensieri non sono sembrati intonati al momento ed al soggetto. 
Di esempi se ne potrebbero fare altri. Mi limito a citare una ragazzina di 15 anni che dice che la sorella starebbe benissimo anche con un "saio francescano"... non so, io non ce la vedo una ragazzina specificare saio e pure francescano parlando di vestiti e ragazzi.
 
Ho parlato di due grossi limiti. Detto del primo, resta il secondo.
Questo riguarda la trama e la soluzione con la scoperta del colpevole. Senza spoilerare nulla, mi limiterò a dire che se si accerta che da un cadavere è sparito l'oggetto A, se si accerta altresì che l'oggetto A è di proprietà di X, io trovo evidente sospettare di X, non del fratello del cognato del cugino del portiere di X.
 
Insomma, questa è una storia scritta con cura, forse anche troppa vista la perdita di spontaneità della narrazione, e l'autrice mi è sembrata più interessata a ricostruire un certo tipo di atmosfera che a narrare un mistery.Dal questo punto di vista il tentativo è riuscito, ma per me non è abbastanza.
 
Voto: 6

mercoledì 30 novembre 2016

Wolf...

....di Ryan Graudin.



La scheda del libro sul sito De Agostini
 
Germania, 1955. Hitler ha vinto la Seconda Guerra mondiale. I Giapponesi non hanno attaccato Pearl Harbor ma la Russia, gli Americani sono rimasti neutrali e l' Europa è caduta. In un mondo dove esecuzioni e pulizia etnica sono all'ordine del giorno, Yael, giovane sopravvissuta ai campi di sterminio, decide di intraprendere per conto della Resistenza una missione quasi impossibile. Avvicinare il Führer e ucciderlo. Per riuscirci dovrà partecipare ad una massacrante gara  motociclistica dalla Germania fino a Tokio; il vincitore potrà incontrare Hitler.
Per poter partecipare Yael dovrà prendere le sembianze di Adele Wolfe, eroina ariana. Yael nasconde un incredibile potere: può cambiare il suo volto e la sua apparenza a piacimento, e sarà questa la chiave che le permetterà di tentare l'impossibile.
 
Wolf è un romanzo distopico che prende spunto da una domanda classica circa la storia recente: cosa sarebbe successo se i nazisti avessero vinto la guerra? La risposta è, ovviamente, niente di buono per nessuno.
Questa storia si propone di raccontarci i disperati tentativi della Resistenza per rovesciare il regime. Lo spunto del romanzo è sicuramente affascinante, ma  poco spazio (troppo poco, a parer mio) è dato all'ambientazione storico -politico-sociale del Nuovo Mondo sorto dalle ceneri del conflitto. Le cose che sappiamo le apprendiamo solo tramite accenni a luoghi o situazioni che onestamente non mi sarebbe dispiaciuto approfondire.
La narrazione è tutta concentrata sulla gara motociclistica, e resta spazio per poco altro.
 
Il piano architettato è, a parer mio, troppo macchinoso. La protagonista, Yael, può cambiare faccia, altezza, peso, eccetera a piacimento. Nonostante questo, invece di studiare un modo per infiltrarla nella Cancelleria del Führer, si decide di farla partecipare ad una folle gara in motocicletta, dove il tasso di mortalità dei concorrenti è abbastanza alto, e le possibilità di vincere alquanto scarse. Un dubbio poi mi ha tormentato durante la lettura: ma Yael può diventare cambiare se stessa anche in un uomo o no? Perché certo le cose cambierebbero di parecchio, se così fosse. E se così non fosse... perché no? Sarebbe interessante capirlo. Non vi svelerò come e perché Yael ha assunto questo potere, però non sono riuscita a trovare nessuna buona ragione per cui Yael sia limitata a cambiare il suo aspetto assumendo esclusivamente caratteri femminili.
 
La cosa che più mi ha lasciata perplessa della congiura, comunque, è che il piano è di piazzare Yael al posto di Adele Wolfe, già vincitrice della gara l'anno precedente, darle una pacca sulle spalle e dirle "corri!". Cioè, un minimo di aiuto? Supporto logistico? Imbrogli clamorosi? (E' esplicitamente affermato che le regole di questa gara sono carta straccia, i colpi bassi, sabotaggi, avvelenamenti, etc., sono all'ordine del giorno...quindi magari un aiutino per Yael no, eh?).
 
Quindi Yael parte per questa lunga, interminabile e anche abbastanza monotona gara motociclistica, la cui narrazione è inframmezzata dai ricordi della deportazione di Yael e della sua famiglia.
Un altro problema è, a parer mio, lo stile dell'autrice. La Graudin compie quella che secondo me è una precisa scelta stilistica. Le scene clou, quelle piene di azione e adrenalina, vengono narrate usando una sorta di versione letteraria della tecnica cinematografica slow motion. La scelta non mi ha entusiasmato particolarmente, avendo contribuito, secondo me, ad appiattire la narrazione e spezzare la tensione.
 
Un esempio: due concorrenti tentano di far finire la moto di Yael/Adele fuori strada.
 
Luka le si fece addosso di nuovo, in perfetto sincrono con Katsuo, con un movimento a tenaglia che la intrappolò tra le punte della loro chela metallica. La tennero stretta in una morsa di lamiere, la imprigionarono nella puzza di gomma bruciata.
 Pericolosa, stupida, sconsiderata. Non c’erano abbastanza parole, in nessuna delle lingue di Yael, per descrivere quella manovra. Ogni curva, ogni scatto, poteva finire in un groviglio di motori e carne sulla strada… e la corsa sarebbe finita prima di iniziare.
 Yael tenne lo sguardo fisso sulle linee bianche tracciate sull’asfalto. Se avesse proseguito diritta, di sicuro si sarebbero stancati. Allontanati.
 Ma poi la mano guantata di Katsuo entrò nel suo campo visivo: puntava al suo polso, al manubrio. Voleva provocare un incidente e mandarla a sbattere contro Luka, liberandosi così dei due avversari più temibili prima ancora di uscire dai confini di Germania.
Non sarebbe riuscita a scacciare quella mano… non senza sbandare, provocando lei stessa un incidente, visto che Luka le stava ancora addosso, eccitato dalla sfida, ignaro del pericolo.
 
Ricapitoliamo: stiamo sfrecciando sull'asfalto a velocità elevate, due concorrenti stringono in una morsa Yael, e lei si mette a pensare che non c'erano parole in ciascuna delle lingue che conosce per descrivere la manovra? Oppure, stiamo sempre sfrecciando eccetera eccetera, è necessario che mi venga spiegato che volevano provocare un incidente? Ma davvero? E chi lo avrebbe mai immaginato, eh. Grazie per lo spiegone.
Io voglio sapere cosa succede, come reagisce la protagonista, voglio azione in circostanze come questa.
 
Ancora, qui Yael è costretta ad una manovra disperata:
 
Era il momento di colpire. [...]
     In un solo istante successero tante cose. Le sue dita si strinsero intorno al manubrio cromato. I freni di Luka fischiarono, il sibilo della gomma bruciata riempì l’aria. Katsuo girò la testa e incontrò lo sguardo di Yael. Gli occhi del giapponese non erano più affilati come una lama. Niente più sguardo da cacciatore. Ciò che Yael vide fu qualcosa di molto più selvaggio… di molto più umano: la paura. Che la penetrò fino all’osso, fino al midollo, e la riportò dritta alla bambina legata alla barella, gli occhi sbarrati per il terrore mentre gli aghi la ustionavano, uno dopo l’altro dopo l’altro. Che camminava sotto i fari e stava in mezzo a un fiume di sangue e sentiva ogni battito del suo cuore. Che, con la manica sollevata, esponeva la propria vita al nazionalsocialista che non era un nazionalsocialista.
La ragazza braccata. Quella che aveva paura. Aveva desiderato a lungo diventare la cacciatrice. Il predatore. La Valchiria – dispensatrice di vita e morte – soprattutto. Ma non così. Cosa stava facendo? Danzava tra i confini, beatamente ignara.
Yael e Katsuo proseguirono per altri due secondi, a fianco a fianco. Paralizzati e in volo.
Due secondi di troppo. L’emozione pura negli occhi di Katsuo si trasformò in qualcosa di disperato, di pericoloso.
Due secondi in cui entrò in vigore il comandamento della natura: uccidi o sii ucciso. I confini non si adattavano a questo mondo.
Katsuo l’agguantò per il polso, intrappolandola con le dita. Se ora Yael avesse strattonato il manubrio dell’avversario, sarebbe stata sbalzata via dalla sua Rikuo, risucchiata nel groviglio di lamiere e carne. Se l’avesse lasciato andare, tirandosi indietro, Katsuo l’avrebbe spintonata lo stesso, facendola finire fuori strada per poi ripartire.
 
In due o tre secondi, il tempo in cui Yael deve agire per superare un avversario e non compromettere tutta la missione, la ragazza riesce a farci stare il pippone mentale sulla paura, i traumi del passato, il fine che giustifica i mezzi e bla bla bla.
La scena, che alla fine segnerà comunque una svolta importante nella trama, è lenta, piatta e procede a singhiozzo.
E questo è un peccato, perché il romanzo ha un finale molto bello, inaspettato, e non scontato, che riesce a concludere le vicende del libro pur lasciando aperta la porta per il sequel (uscito in lingua originale il 1 Novembre 2016).
 
Insomma, i romanzi distopici sulla Seconda Guerra Mondiale sono sempre interessanti, ma qui ci sono due grosse pecche (ritmo lento e poco spazio lasciato all'ambientazione fanta-storica), solo in parte riscattate da un bel finale.
Voto: 6 e 1/2 

lunedì 26 settembre 2016

I delitti di Mangle Street. I detective di Gower Street...

...di M.R.C. Kasasian.

La scheda del libro sul sito della Newton e Compton


Londra, 1882. La giovane March Middleton, rimasta orfana, viene accolta in casa del padrino, Sidney Grice, investigatore privato (anzi, personale, come si definisce lui stesso) e personalità decisamente eccentrica. Per una serie di circostanze, March prende parte ad una delle sue indagini, nostante la contrarietà del suo tutore.
Un uomo è stato arrestato per il brutale omicidio della moglie; la madre della vittima però è convinta della sua innocenza e si rivolge al signor Grice, il quale però sembra più impegnato a dimostrare la colpevolezza dell'uomo piuttosto che la sua innocenza. March invece è anche lei convinta che sia innocente. Chi dei due ha ragione?
I delitti di Mangle Street è il primo giallo della serie I detective di Glower Street
I detective in questione sono ovviamente Sidney Grice e March Middleton.
Due personalità molto diverse ma molto originali. Mr. Grice è un uomo di mezza età, molto sicuro di sé, misogino, supponente e sprezzante verso qualunque altro essere umano. Si vanta di non avere amici, di non avere buone maniere e di tenere in conto esclusivamente il denaro e la conoscenza. Ciò nonostante accoglie March in casa sua, perché ritiene di avere un debito con il suo defunto padre. Nel romanzo si sprecano i suoi rimbrotti e le sue affermazioni sprezzanti contro le più disparate categorie: le donne, i poveri, i poliziotti, i domestici. Mr. Grice risulta quindi tutto fuorché simpatico.
March dal canto suo è una ragazza non convenzionale; è cresciuta in giro per il mondo al seguito del padre, ufficiale medico dell'esercito di Sua Maestà, aiutandolo in veste di infermiera, e pertanto è sempre sfuggita alle assurde ma ferree regole della società vittoriana. Risposta pronta, cuore tenero e ingegno brillante sono le sue caratteristiche, che non sono molto apprezzate in donna dell'epoca.
Indubbiamente sono una coppia alquanto bizzarra e male assortita, ma insieme  - nonostante l'apparente insofferenza di Sidney Grice nei suoi confronti - riescono a mettere in luce i diversi aspetti del delitto su cui stanno investigando.
In verità Mr. Grice incarna il vero spirito della società vittoriana ma senza la patina di ipocrisia e buone maniere. Una società classista fino al midollo, dove la povertà è una colpa e i più deboli sono lasciati in balia delle avversità. March ne è il contrappunto, e la sua presenza serve a mitigare la mancanza di empatia e di umanità del suo tutore, rendendo in qualche modo sopportabile la sua presenza in scena. Infatti Sidney Grice è insopportabile, ma allo stesso tempo la sua logica, la sua abilità deduttiva e la sua cultura non possono che affascinare il lettore e catturarne l'attenzione dalla prima all'ultima pagina.
Il romanzo è narrato in prima persona da March; la trama gialla è piuttosto articolata e ingarbugliata, ma il finale è logico e soddisfacente. Molto accurata e realistica l'ambientazione storica. Londra ci appare in tutto il suo (poco) splendore e con tutte le sue (molte) miserie, ma senza quel velo di romanticismo di cui a volte nella letteratura moderna si ammanta l'epoca vittoriana.
Voto: 7 e 1/2

mercoledì 21 settembre 2016

Le signore di Missolungi...

... di Colleen McCollough.
 
Drusilla, Octavia e Missy sono le componenti di un nucleo familiare che vive nella città di Byron (Nuovo Galles del Sud, Australia) nei primi anni del novecento.
Drusilla è un'anziana vedova, Octavia è sua sorella nubile e Missy la figlia di Drusilla, vicina alla trentina e quindi considerata ormai una zitella senza speranza.
Sebbene imparentate con la famiglia Hurlingford, la famiglia più ricca e potente di Byron, che ha fondato la città, a loro sono toccate solo le briciole della grande ricchezza della famiglia, che deriva da un'azienda di imbottigliamento di una miracolosa acqua di sorgente. Così le tre donne vivono in un piccolo e freddo cottage (Missolungi, appunto) campando di semolino e facendo economie su ogni cosa. Un giorno però Missy incontra una strana bibliotecaria, che la spinge a prendere in mano il suo destino. Quando incontra uno straniero tenebroso appena giunto in città, la ragazza decide che è arrivato il momento di cambiare la sua vita. E, con un pizzico di furbizia, ci riuscirà.
 
Quando ero una ragazzina, avevo letto un estratto di questo romanzo, e me ne ero innamorata. Essendo di difficile reperibilità già allora (il romanzo è del 1987, ed è arrivato in Italia due anni dopo), non avevo mai potuto completare la lettura, ma mi era rimasto davvero nel cuore. Quindi, quando mesi fa ho trovato una copia su una bancarella dell'usato, non potevo credere alla mia fortuna.
Per mesi però il libro è rimasto sullo scaffale, perché nel frattempo avevo scoperto una cosa che mi ha un po' sciupato il piacere della lettura.
Le signore di Missolungi è stato accusato di essere un plagio di un libro decisamente più datato, che non mi risulta essere mai stato tradotto in italiano, opera di Lucy Maud Montgomery, la scrittrice che ha creato Anna dai capelli rossi. Il romanzo in questione si chiama The blue castle, è del 1927, e potete leggerlo gratuitamente, in inglese qui, sul sito del Progetto Gutenberg australiano, oppure scaricarlo legalmente e gratuitamente (il libro è di pubblico dominio) qui.
Non ho letto integralmente il libro della Montgomery, ma soltanto leggiucchiato qui e lì. Certo, la trama de Le signore di Missolungi presenta inquietanti analogie sia per grandi linee, sia in alcuni piccoli particolari (il porridge come quasi unico alimento, i vestiti marroni, la cugina odiosa fidanzata con uno splendido partito che poi è morto prima del matrimonio).
Io sinceramente sono perplessa. Che senso avrebbe per una scrittrice affermata plagiare in maniera così evidente un'altra opera, di una scrittrice a sua volta molto famosa? Eppure le similitudini ci sono.
Vi lascio questo articolo tratto dall'archivio di La Repubblica, per un approfondimento sulla vicenda.
 
Passiamo ora al libro e alla recensione vera e propria.
Io questo romanzo, nonostante tutto, l'ho adorato. E' una di quelle storie romantiche ma non sdolcinate, che più che avere a che fare con l'amore hanno a che fare con la vita, il destino e il cercare il proprio posto nel mondo. Ho letto qua e là paragoni tra Missy e Cenerentola, ma secondo me sono impropri. Diciamoci la verità, Cenerentola non fa altro che "mettere in mostra la mercanzia" col Principe; Missy invece il suo lieto fine se lo deve guadagnare con intelligenza e astuzia.
Missy ad un certo punto decide che di angherie ne h subite abbastanza; bellissima, per me, la scena in cui, dopo anni di mortificazioni, decide di rifiutare la carità pelosa della bellissima cugina, restituendogli il vestito smesso che le aveva donato imbrattato di letame; il dono infatti non era frutto di affetto, ma della paura che Missy potesse far sfigurare la cugina durante il matrimonio a cui l'aveva invitata esclusivamente perché costretta dalla madre (sorella di Drusilla e Ottavia). E fatto questo primo passo di rifiuto del ruolo che la famiglia (e la società) le hanno imposto, non si fermerà più.
Certo, è un po' triste constatare che cambiare il proprio destino significa per Missy trovarsi un marito decente; ma non dimentichiamo che il romanzo è ambientato comunque all'inizio del Novecento. Insomma, il contesto è quello che è. E comunque Missy non è (e non sarà) il prototipo della moglie muta e sottomessa.
 
Allo stesso tempo questo romanzo è consolatorio, perché le cose filano esattamente come dovrebbero filare, ogni cosa va al suo posto, i buoni trionfano e finalmente i cattivi hanno quello che si meritano.
E lungo la via veniamo gratificati anche con un tocco di romanticismo e di mistero soprannaturale.
Certo, non si tratta del capolavoro che ha cambiato la storia della letteratura; ma è una lettura piacevole e garbata.
 
Non mi sento però di dare un voto al romanzo, per via della storia del plagio - che mi rattrista enormemente.
 

Il segreto di Ortelia...

...di Andrea Vitali.

La scheda del libro sul sito della Garzanti

Amleto Selva, garzone senza prospettive, sposa la pallida e spenta Cirene Crippa, per assicurarsi un posto nella macelleria del suocero. Il matrimonio non è dei più felici, e Amleto non disdegna di concedersi qualche avventura con le clienti compiacenti. L'arrivo della figlia Ortelia non cambia le cose, e Amleto continuerà la sua vita fatta di lavoro, invidia verso la macelleria rivale, indifferenza per la moglie e la figlia e ovviamente i piaceri carnali, goduti insieme a un gruppo di amici. Ma il diavolo fa le pentole e non i coperchi, e alla fine, dopo anni e anni di gozzoviglie, il passato tornerà a chiedere il conto...
 
Il segreto di Ortelia è un romanzo che sa come catturare l'attenzione del lettore. Questo perché l'Ortelia del titolo, figlia di Amleto Selva, non solo all'inizio della storia non è ancora nata, ma per quasi tre quarti del libro resterà in disparte, invisibile, a fare da sfondo alle vicende del padre. Quindi, si chiede il lettore, quale sarà mai questo segreto così importante da dare addirittura il titolo al romanzo?
Ed effettivamente dovremo aspettare il finale per capire poi, che di segreti ce ne sono due, mica uno solo!
La trama è frizzante e divertente, lineare senza mai essere noiosa e questa volta l'autore ha evitato eccessive digressioni su personaggi secondari che personalmente trovo siano l'aspetto meno riuscito nello stile di Vitali.
Dunque si procede dritti verso il punto, anche se ci vorrà un po' per arrivarci.
Strada facendo impareremo tutto della vita di Amleto Selva, uomo decisamente rozzo, indelicato e totalmente indifferente alla moglie e alla figlioletta.
Le due donne sono praticamente invisibili agli occhi dell'uomo, che ha attenzione per due soli aspetti della vita: il lavoro e il sesso. Poiché Cirene, sua moglie, a causa di una malformazione non può avere una normale vita sessuale, ella è, ai suoi occhi, inutile; altrettanto dicasi per Ortelia perché, un po' perché è femmina, un po' per la fiera opposizione di sua madre, non può essere d'aiuto come garzone di bottega.
Per risolvere almeno il problema del sesso (Amleto non è uomo da astinenza), il macellaio ricorrerà a una serie di espedienti che daranno il via alle vicende narrate nella trama, che si dipana lungo tutto l'arco della vita dell'uomo.
Fino al finale, dove l'invisibile Ortelia, ormai cresciuta, prenderà in mano le redini del suo destino, e avrà, a modo suo, il riscatto, dopo una infanzia grigia.

Un romanzo divertente, leggero, non impegnativo, incentrato sul sesso nel suo aspetto più carnale e godereccio; senza pretese ma capace di intrattenere il lettore.
Voto: 7

lunedì 19 settembre 2016

La scuola dei desideri...

...di Joanne Harris.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Garzanti

E' l'inizio di un nuovo semestre alla scuola maschile inglese St. Oswald. C'è aria di cambiamenti. Nuove materie vengono introdotte, e altre, come il latino, relegate negli spazi meno ambiti della scuola. Il sessantacinquenne professore di latino Roy Straitley, prossimo alla pensione, ama la scuola e i suoi ragazzi e cerca di arginare come può i cambiamenti che lo stanno travolgendo.
Ma durante il semestre cominciano ad accadere cose strane a scuola, prima piccoli incidenti, poi eventi via via più gravi, fino a che nella sua mente non si fa strada l'idea che non possono essere coincidenze, deve esserci una oscura regia dietro tutto questo... Una mano che si allunga dal passato della scuola per colpirla.
 
Questo romanzo è molto particolare. Il primo impatto per il lettore è piuttosto duro e pesante. La storia è narrata a due voci, quella del professor Straitley e un'altra, più misteriosa, e che rappresenta la vera particolarità della storia.
Infatti questa seconda voce racconta molti particolari riguardo se stesso, la sua infanzia e la scuola, ma non sappiamo a chi appartenga. Sappiamo che è qualcuno che attualmente è nella scuola, ma non sappiamo chi sia.
Questo ha comportato, da parte dell'autrice, uno sforzo notevole nel dosare le parole e nello scrivere in uno stile neutro e a volte anche ambiguo e involuto, per non fornirci indizi di sorta sull'identità della misteriosa voce narrante.
Questo rende la lettura pesante e poco scorrevole, tanto che stavo per abbandonare il romanzo.
Sono felice di non averlo fatto.

La trama, che si svolge nel presente ma che ha le sue radici nel passato, si dipana lenta, a volte anche in maniera esasperante.
La voce misteriosa (che chiameremo X) ci racconta la storia della sua infanzia, vissuta all'ombra di St. Oswald di cui il padre era custode. E' un racconto affascinante, che svela l'ossessione sempre crescente di X per la scuola e per il mondo elitario che rappresenta, mondo da cui è completamente escluso, ma a cui sente di appartenere per diritto.
Il colpo di scena finale, che ci svela chi sia X è un gioco di prestigio dell'autrice, che non ci ha mai ingannato durante la narrazione, ma è stata capace di nasconderci verità evidenti senza imbrogliare.
L'atmosfera claustrofobica della scuola è resa alla perfezione, tanto che St. Oswald rappresenta a tutti gli effetti un ulteriore personaggio, ingombrante e onnipresente con la sua mole di storia e di segreti.
L'ambientazione è un altro punto a favore del romanzo, anch'essa curatissima e intrigante.

Sinceramente mi sento di consigliare questo libro perché, nonostante la fatica iniziale, è un'esperienza di lettura notevole. Non credo di aver mai letto un mistery costruito con tanta certosina perfezione.
Trama su due piani temporali; ben costruita, intrigante. Il mistero si svolge anch'esso su due piani: vogliamo sapere chi sia X, e soprattutto vogliamo sapere cosa è successo perché sia tornato a St. Oswald deciso a vendicarsi.
L'unico appunto che mi sento di fare alla trama in sé è che i personaggi secondari sono troppo poco caratterizzati, alcuni restano semplicemente dei nomi sulla pagina, tanto che ho continuato a confonderli fin quasi verso la fine del romanzo.

Voto: 7

domenica 18 settembre 2016

La circonferenz delle arance...

...di Gabriella Genisi.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Sonzogno

Dalla presentazione:

UN COMMISSARIO DI POLIZIA COSÌ A BARI NON SE L’ERANO MAI NEMMENO IMMAGINATO:
LOLITA LOBOSCO, DETTA LOLÌ, 36 ANNI, OCCHI SEMPRE ACCESI, LUNGHI CAPELLI CORVINI E UNA QUINTA DI REGGISENO CHE NEGLI UOMINI EVOCA LA PIENEZZA DEI FRUTTI MEDITERRANEI
Se avesse paura delle maldicenze di colleghi e notabili, non avrebbe certo scelto di fare il poliziotto. E invece ha deciso di seguire con spavalderia la propria vocazione: combattere le prepotenze, riportare l’ordine nella vita degli altri, farsi rispettare dai maschi senza rinunciare a nessuna delle vanità del proprio sesso. Perché mai dovrebbe rinunciare alla cura della bellezza e della cucina, doti di una vera donna del sud? Ma in quella vigilia natalizia anche per lei le cose si fanno terribilmente complicate. E sì che tutto era cominciato alla grande: da anni non si ricordava un dicembre così caldo, se n’era andata in questura scoperchiando il tetto della sua Bianchina con un CD di Roberto Murolo a tutto volume. Al commissariato, però, l’attende una sorpresa. C’è un arrestato, le dicono, uno stimato professionista, con il golfino di cachemire e le mani tanto curate, accusato di violenza sessuale. Ordinaria amministrazione. Almeno finché Lolì non incrocia lo sguardo dell’incriminato. Quell’uomo lei lo conosce bene. E subito capisce che, oltre a far trionfare la giustizia, questa volta dovrà anche difendere se stessa.
 
Che bello, mi sono detta prima di cominciare questo romanzo. Un personaggio anticonformista, sopra le righe, che non ha paura di essere quello che è. Evvai!
Invece no, perché cominciamo maluccio già dalla presentazione. Dunque, qualcuno ha davvero scritto che cura della bellezza e cucina sono doti di una vera donna del sud?!? Ma dai, scherziamo? Ancora a questo punto siamo rimasti? Ma soprattutto, io allora sono un uomo di Bassano del Grappa?
La frase mi ha dato i brividi, ma siccome - suppongo - la presentazione non la scrive l'autrice, ho voluto darle una possibilità.
Ho fatto male.
 
Il commissario Lolita LoBosco riempie tutte le pagine con la sua prorompente fisicità e vitalità. Lei riempie il romanzo molto più della trama, per cui, se casca lei, casca tutto il libro. Peccato dunque che non sia un personaggio ben fatto. Ha la quinta di reggiseno (particolare fondamentale eh, l'autrice non ci permette di dimenticarcelo nemmeno un minuto perché che lo ripete in continuazione) ma anche se occupa un posto di rilievo, delicato e non facile, non rinuncia a essere se stessa, esuberante, dirompente, a vestirsi come più le aggrada, a truccarsi etc. etc. E ad essere sinceri questa è una cosa che mi è piaciuta molto. Ogni donna, anzi no, ogni essere umano ha il sacrosanto diritto di conciarsi e di apparire come gli pare.
Da un personaggio così diverso mi aspettavo qualcosa di diverso dall'etichettare come zoc***a la prima che entra nel suo ufficio a causa del rossetto che porta.
Mi spiego.
Un noto professionista viene accusato di violenza sessuale, e in lui Lolita riconosce il fidanzatino del liceo, bello, abbronzato, in forma e solo per questo - perché non lo vede dai tempi del liceo - decide che deve essere innocente. E vabbè.
Quando convoca in commissariato la presunta vittima e, ancora prima che apra bocca, Lolita l'ha già etichettata.
 
La tipa entra rumorosa e già appare piuttosto nervosa e pure instabile su tacchi a punta zeppati dieci centimetri buoni, se non dodici addirittura. La faccio aspettare in piedi cinque minuti abbondanti e intanto la esamino. Quel tipo di esame da femmina a femmina che non ha niente di indagatorio nel senso stretto del termine, piuttosto stabilisce chi sei tu e chi è lei e come mai gli uomini sono così coglioni da farsi infinocchiare da una come lei. Che poi tutta ’sta bellezza se vogliamo io non ce la vedo proprio, una bonazza più che altro, di quelle vistose e pure un poco cafone. Capelli lunghi lunghi neri, bocca rossa e gonfia come una pettola lucidata a olio e sopra uno di quei rossetti che azzeccano meglio se ti trovi a passare la serata sul lungomare davanti a un falò. E ci siamo capiti, ci siamo.
 
E non basta.
Viene convocata la moglie dell'imputato. Potrà mai passarla liscia?
 
Non vuole nemmeno sedersi nonostante Forte per due volte l’abbia invitata a farlo. «No guardi grazie» risponde tutta civettuola, che certe femmine ce l’hanno dentro ce l’hanno, il puttanamento, «ma adesso devo proprio andare.»
 
Cioè, un sorriso civettuolo e sei put***a. Ottimo.
Viene fuori che il presunto stupratore tradiva la moglie e faceva il cascamorto con le sue clienti (è un dentista).
 
Mi si stringe lo stomaco e capisco al volo che Stefano dev’essere molto innamorato di lei e vuole solo farla ingelosire.
 
Lei ---> sguardo civettuolo=meretrice.
Lui---> cascamorto con le clienti (sorvolo sul tradimento)= poverino, uomo innamorato.
Ok. Prendo nota.
Nel prosieguo più e più volte gli epiteti di tr**** e zoc***a si sprecano, riferite a queste due donne (ma anche al genere femminile in generale). Potrei citare puntualmente ogni rigo ma la recensione diventerebbe troppo lunga. Insomma, l'anticonformista che a Bari non se l'erano nemmeno mai immaginata conduce le sue indagine dando della passeggiatrice alle altre donne.
Che poi...indagini, che parolone. Praticamente il commissario se ne sta nel suo ufficio ad appiccicare etichette alla gente; interroga giusto un paio di persone senza mai approfondire, senza incalzare con le domande, più preoccupata di cosa mettere per capodanno (il giallo - vabbè, giallo... - è ambientato durante il periodo natalizio) che di chiarire la vicenda. Più preoccupata di tirar fuori Stefanuccio suo (sic) che di accertare la verità. Perché tanto lui è innocente. Cheil commissario abbia ragione o meno non ha importanza. Lei è convinta che lui sia innocente, quindi le indagini sono superflue, e stop. La trama è per questo esile esile.
La soluzione del caso le si presenterà in ufficio (e che ve lo dico a fare) sotto forma di confessione spontanea. E vabbè.
 
Sorvolo su un paio di scene che avrebbero dovuto essere erotiche e che a me hanno fatto ribrezzo oppure ridere (tipo: lei che prepara una crostata nuda... e vi taccio i dettagli... ma comunque io quella crostata non la mangerei...; oppure lei che a casa di amici sbaglia stanza - che neanche i film porcelloni per adolescenti - e becca il nipote ventiseienne della padrona di casa che sta per andare a dormire. Nudo. Senza mutande. A dicembre. Vabbè).
 
L'unico brivido - a parte quello con la crostata... non guarderò mai più uno crostata con gli stessi occhi - l'ho provato a poco più di venti pagine dalla fine, quando si verifica un omicidio collegato al caso, quando oramai il caso pareva risolto.
Poi però mi rendo conto che la procura ha stabilito l'ora della morte e incastrato il presunto colpevole grazie all'ora su uno scontrino nella tasca della vittima. Autopsia, esame necroscopico, esame del contenuto dello stomaco... ma no! Che li facciamo a fare, che sprechiamo i soldi dei contribuenti? La vittima aveva uno scontrino in tasca!!1!!1
E toccherà a Lolita smontare la tesi accusatoria di cui non è convinta. Naturalmente senza minimamente ricorrere alle moderne tecniche d'indagine. Con l'autopsia sono capaci tutti, eh.
 
E se a tutto ciò aggiungiamo uno stile pieno di costruzioni dialettali pugliesi, napoletane e siciliane che dovrebbero dare un taglio colloquiale al romanzo ma riescono solo ad apparire artefatte e avulse dal contesto, appare chiaro che del romanzo si salvano solo le ricette a fine libro. Sì c'è anche la crostata all'arancia.
 
Ultima cosa: ad un certo punto Lolita LoBosco riceve una telefonata da un collega siciliano da lei conosciuto durante il periodo di servizio prestato nell'isola. Il collega è a Trani e vorrebbe vederla per un caffè. Il collega è Salvo Montalbano.
Sacrilegio. Eresia. 
Eresia soprattutto perché questo personaggio posticcio tirato in ballo dall'autrice ha esclusivamente il nome del grandissimo commissario di Camilleri, per il resto parla con una voce non sua, tutta zucchero e miele e fa il lumacone con Lolita. Maddai, voi ce lo vedete Salvo Montalbano che fa il lumacone con una collega di vent'anni più giovane? Che lo schivo commissario la implori di prendere un caffè con lui? 
Non bastava rovinare il suo di personaggio? Doveva mettere le mani pure su Montalbano?
 
Voto: 4.
 

venerdì 16 settembre 2016

La perfida madrina...

...di M.C. Beaton.

La scheda del libro sul sito della Astoria Edizioni

Dalla presentazione della serie:

67 Clarges Street.
In una serie costituita da sei volumi, M.C. Beaton racconta le avventure legate a una dimora situata a Mayfair, quartiere elegante ed esclusivo di Londra, affittata di anno in anno, all’epoca della Reggenza, a inquilini che volevano sfruttare la Stagione, ovvero quel periodo che andava dalla primavera all’estate e durante il quale, attraverso balli e feste, si organizzavano matrimoni tra la ricca gioventù inglese.
La casa di Clarges Street appartiene al decimo duca di Pelham, essendosi il nono suicidato. Non solo per questo la casa non è stata affittata per due Stagioni: durante quella successiva al suicidio, il figlio degli affittuari aveva perso al gioco l’intero patrimonio di famiglia e la figlia era stata trovata morta in Green Park senza apparenti ragioni. L’alone di sfortuna che circonda la dimora fa sì che si siano abbassati i prezzi dell’affitto.
La casa è quindi vuota a eccezione della servitù, l’altra vera protagonista della serie. Trattata malissimo dall’intermediario del duca, le viene dato uno stipendio da fame, e quindi conta sugli inquilini per avere qualche mese più ricco.
Il maggiordomo Rainbird, il cuoco Angus MacGregor, la governante Mrs Middleton, le cameriere Jenny e Alice, Joseph il valletto e gli sguatteri Lizzie e Dave costituiscono un gruppo a cui è impossibile non affezionarsi.
Scritti con l’usuale folgorante umorismo di Beaton, questi libri ci regalano un delizioso intrattenimento accompagnato da un’ottima ricostruzione del periodo storico.

Harriet Metcalf ha solo venticinque anni ed è sola al mondo, ma un amico di famiglia, morendo, ha pensato che lei fosse la persona più adatta a fare da madrina alle sue due figlie, Sarah ed Annabelle, e a gestire il loro ingente patrimonio fino a che non compiranno ventuno anni.
Harriet ama molto le ragazze, ma non sa che le due sorelle invece la odiano dal profondo del cuore.
Quando Harriet deciderà di portarle a Londra per la Stagione mondana e affitterà la casa sita al numero 67 di Clarges Street, non sa che andrà incontro a diverse avventure, e troverà che lo staff della casa sarà pronto ad aiutarla nelle disavventure riuscendo anche a cambiare il finale della sua storia.

La perfida madrina è il terzo volume della serie.
Avvertiamo, dopo i primi due romanzi, che qualcosa sta cominciando a cambiare nell'economia della saga. Molto più spazio è riservato alle vicende della servitù, che gioca un vero ruolo risolutivo per arrivare ad una felice conclusione della vicenda.
La storia che riguarda Harriet e le sue pupille, affittuarie per questa Stagione, non acquista vero mordente finchè la servitù non entra in gioco.
Le due sorelle sono odiose e sciocche al punto giusto, ma escono di scena un po' troppo velocemente, a parer mio, e senza la giusta espiazione per tutto ciò che hanno combinato.
Harriet apparentemente sembra una figura un po' troppo scialba e ingenua, anche se ha una insospettabile vena polemica, ma in realtà viene usata dall'autrice per mettere in luce l'ipocrisia della società dell'epoca, dove il denaro e la posizione sociale contavano più di qualsiasi altra cosa, più dell'onestà e della moralità. L'importante era salvare le apparenze.
Quando si doveva combinare un matrimonio poi, ogni altro aspetto passava in secondo piano, e l'ipocrisia la faceva da padrona.

Delizioso anche il ritratto che la Beaton fa dell'alta società inglese, dove essere disapprovati era molto, molto più facile che essere accettati.

Che ragazzine orribili e noiose, pensò il marchese. Ma erano poi davvero così sgradevoli? Si stavano comportando esattamente come ci si aspettava che si comportassero delle giovani signore dell’alta società. Nel bel mondo non era raro trovare vivacità, spirito e una certa dose di anticonformismo. Ma non ci si aspettava, tanto per fare un esempio, che la propria moglie se ne andasse in giro a parlare in modo aperto e brutalmente sincero come Harriet Metcalf.

Come si evince dal brano precedente, essere come voleva la società significava essere banali e noiose. Essere se stesse, significava essere brutali e volgari.

Ben delineata anche la estrema caratterizzazione classista della società.
Ma essendo questo ovviamente un romanzo, è bello vedere Harriet unire le forze con i domestici di Calrges Street per arrivare al lieto fine.

Non il migliore della serie, ma comunque piacevole.
Voto: 6 e 1/2.

 
 

giovedì 15 settembre 2016

Una lunga estate crudele...

...di Alessia Gazzola.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Longanesi

Un altro cold case per Alice Allevi, la specializzanda in medicina legale goffa e pasticciona, ma con un talento per l'investigazione, arrivata ormai alla sua quinta avventura (contando anche il prequel).
Sono state ritrovati i resti di un giovane attore scomparso nel 1990, e sono stati scoperti in una sorta di cripta segreta nel teatro dove lavorava. I sospetti ricadono su quelli che all'epoca erano suoi colleghi: il divo che adesso ha fatto carriera, l'attrice innamorata di lui e gelosissima, che ha fatto perdere le sue tracce, il regista con cui aveva avuto pesanti dissidi.
Indagando nella vita del giovane uomo, spuntano fuori una fidanzata di cui nessuno sapeva nulla, e una collega con cui forse aveva avuto una relazione.
Chi è il colpevole? E quale era il movente?
 
Diciamo che nei cold case Alice da il meglio di sé. C'è da scavare nel passato delle vittime, ricostruire relazioni, stati d'animo, atmosfere. E qui la oramai proverbiale curiosità della nostra protagonista diventa indispensabile e da molti risultati.
Il tema dell'omicidio a teatro (e oltretutto un teatro di concezione elisabettiana, completamente dedicato all'opera di Shakespeare) è un tema tipico del giallo classico, ma non per questo meno interessante. Anzi, gli amanti del mistery classico troveranno l'atmosfera intrigante e sicuramente di loro gradimento.
Intorno a questo teatro ruotano le vicende che hanno portato alla sparizione di Flavio, della piccola compagnia che vi recitava, e delle persone a loro legati. Tutti sembrano avere dei segreti, e molti di loro mentono, per le più svariate ragioni. La ricostruzione delle vicende passate, dove si cela la soluzione del mistero, è progressiva; ogni volta che un tassello si aggiunge agli altri chiarisce qualcosa ma apre tutta una serie di possibili nuovi scenari, cosicché per il lettore diventa sempre impossibile arrivare ad un "punto morto" e mettere giù il libro.

Mi spiace ripetermi, ma per me le dolenti note arrivano quando entra in scena il dott. Conforti. Sul serio, non riesco a capire come questa attrazione possa andare avanti. Mentre la Gazzola ci regala una splendida riflessione sull'amore nel caso di Arthur, secondo me nella relazione discontinua Alice-Claudio ci sono delle forzature.
Quando Alice capisce che non può stare con Arthur perché l'amore non basta, purtroppo, ci vuole la volontà di costruire qualcosa insieme, e soprattutto di incontrarsi a metà strada, ci dice qualcosa di estremamente sensato ma che raramente si trova nei romanzi. Nei libri l'amore trionfa sempre, anche quando noi lettori capiamo benissimo che nella realtà la coppia in questione durerebbe cinque minuti.
Allora Alice compie una matura - e struggente - riflessione sul suo rapporto con Arthur, ma non riesce a fare lo stesso con quell'irritante del dott. Conforti? Boh.
 
Il finale è agro, e per una volta non pienamente risolutivo. Non mi ha soddisfatta appieno, onestamente. Ma non perché sia un finale brutto o incoerente. Semplicemente, io avrei desiderato qualcosa di più.

Voto: 7
 
Ps:
Avrei da notare un paio di particolari che mi hanno leggermente infastidito, ma che non sono strettamente legati alla recensione vera e propria.
 
Particolare n. 1: la vittima è scomparsa nel 1990, quindi, dicono a più riprese nel romanzo, ventiquattro anni prima. Ergo, il romanzo è ambientato nel 2014.
Ora, il romanzo precedente, Le ossa della principessa, si svolge immediatamente prima di questo (nell'ultimo capitolo viene introdotta la notizia del ritrovamento di un cadavere nel teatro).
Ebbene, ne Le ossa, la vittima, dicono le analisi, è morta più di tre anni prima ma meno di sei, quindi, ci informa l'ispettore Calligaris, tra il 2005 e il 2009 - ergo siamo nel 2012. E quindi qualcosa non torna. Non so se sto sbagliando qualcosa di ovvio e macroscopico nel mio ragionamento; in caso, vi chiedo di farmelo notare, perché mi pare un errore piuttosto banale e inverosimile.
 
Particolare n. 2: Alice parte per Marsiglia per svolgere delle indagini, e sua madre, a telefono, se ne esce con questa frase: «Ma tu lo sai che Marsiglia è peggio di Napoli? È una delle città più pericolose del mondo».
Ora, non commetterò certo l'errore di confondere la voce di un personaggio con quella del suo autore. Ma la frase in questione mi ha infastidito un poco, perché è messa in bocca ad un personaggio secondario ma senza la finalità di caratterizzarlo in un certo modo (come avente dei pregiudizi, o come ignorante o anche  - perché no, ci può stare - come razzista). La frase è buttata lì perché è semplicemente un paragone facile, un luogo comune trito; certo, è  di immediata comprensione, ma sciatto e banale, cosa che non mi aspetto da una scrittrice di talento. Una scorciatoia. Ecco cosa mi ha infastidito: il perpetuare un luogo comune sgradevole perché si è scelta la via più breve.  
Certo, è una piccolezza e me ne rendo conto. Ma allo stesso tempo non riesco a non sentirmi infastidita da questa abitudine dilagante specialmente nei titoli di giornale e sui social network di usare la città di Napoli, bella, splendida, particolare, complicata e problematica, come paradigma di ogni male, come pietra di paragone di tutto ciò che è negativo.
E' una sottigliezza, lo so. Ma mi da fastidio e volevo dirlo.
Un'ultima cosa: né Napoli, né Marsiglia, sono tra le città più pericolose al mondo.  E non perché lo dico io. Basta guardare qui (è in tedesco ma la mappa è abbastanza chiara, sono le 17 città considerate più pericolose in Europa) e qui
 
 

mercoledì 14 settembre 2016

Un giorno di gloria per Miss Pettigrew...

...di Winifred Watson.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Neri Pozza

Fuori, sul marciapiede, Miss Pettigrew rabbrividì leggermente. Era una fredda, grigia, nebbiosa giornata di novembre con l’aria umida di pioggia, e il suo cappotto, di un indefinibile, orrendo marrone e vecchio di cinque anni non era molto pesante. Intorno a lei rombava il traffico di Londra: i pedoni si affrettavano verso le proprie destinazioni, per allontanarsi da quell’atmosfera deprimente il più presto possibile. Miss Pettigrew si unì alla moltitudine: una spigolosa signora di mezza età e di media statura, magra per la scarsità di pasti nutrienti, con un’espressione timida e frustrata e un evidente terrore negli occhi, se qualcuno si fosse dato la pena di guardare. Ma al mondo non c’era più un parente, né un amico, che si curasse di sapere se Miss Pettigrew era viva o morta

Nella Londra degli anni trenta, vive e lavora Miss Pettigrew. Quarantenne zitella e senza mezzi, si mantiene facendo la governante, ma ha già perso quattro lavori, ed è arrivata all'ultima spiaggia. L'agenzia le procura un lavoro presso Miss LaFosse. Quando si presenta alla porta della possibile datrice di lavoro, Miss Pettigrew capisce che la signorina LaFosse non è come le altre signore per cui ha lavorato: giovane, impudente, spregiudicata ma anche gentile e passionale coinvolgerà miss Pettigrew nelle sue avventure. E dopo, niente sarà più uguale a prima.
 
Un giorno di gloria per Miss Pettigrew è una deliziosa commedia inglese frizzante e divertente, leggermente ironica ma anche profonda e piena di sentimento.
Miss Pettigrew, figlia di un vicario, con una rigidissima educazione alle spalle, ha raggiunto i quarant'anni senza avvenimenti degni di nota nella sua vita, ed è oramai rassegnata a non essere niente altro di quello che è: una infelice, incolore signora di mezza età, che cerca di sbarcare il lunario e mantenere la propria dignità.
Il decoro e la moralità sono importantissimi per Miss Pettigrew; quando incontra Miss LaFosse per la prima volta, e scopre che ha trascorso la notte con un uomo che non è suo marito (né tanto meno il suo fidanzato) si apre per lei un conflitto interiore; ma la signorina ha troppo bisogno di lavorare per potersi permettere di essere schizzinosa.
Delysia LaFosse ha dato un nuovo significato al concetto di triangolo amoroso: infatti, è incoscientemente coinvolta in un quadrangolo. Ad un vertice c'è Nick, violento e poco raccomandabile padrone del night dove lei si esibisce come cantante; poi c'è Phil, affascinante impresario teatrale che potrebbe dare slancio alla sua carriera; ed infine Michael, impulsivo pianista sinceramente innamorato.
Delysia sarà anche un pochino sventata, ma ha un gran cuore e soprattutto ha bisogno di qualcuno di cui fidarsi, e coinvolge Miss Pettigrew nelle sue trame sentimentali.
Tra innamorati gelosi, cocktail party, ricevimenti e serata al night, Miss Pettigrew trascorre la giornata più incredibile della sua vita; con il suo semplice buonsenso, di cui non è ben consapevole, mette ordine senza fatica nell'ingarbugliata vita di Miss LaFosse e dei suoi amici e spasimanti, riuscendo, in solo ventiquattro ore a dare una svolta anche alla sua, di vita.
 
«Non avrei mai pensato» considerò orgogliosa Miss Pettigrew «di poter essere così».
 
Il romanzo è risultato sorprendentemente moderno ai miei occhi, nonostante sia stato scritto nel 1937.
Certo, qua e la troviamo concetti ampiamente superati, come gli accenni al fatto che una donna dovrebbe tendere al matrimonio e alla cura della famiglia, e che un uomo deve occuparsi della donna che ha accanto, ma quello che mi ha sorpreso è stato che, nonostante Miss Pettigrew sia stata cresciuta secondo la morale imperante dell'epoca, quando incontra una donna "dissoluta" (Miss LaFosse) non la giudica per questa sua condotta "leggera", ma solo ed esclusivamente per quello che è realmente: una giovane donna confusa, bisognosa di consiglio ma gentile e con un grande cuore. E allo stesso modo riesce a vedere un mondo che a solamente immaginato attraverso i film hollywoodiani per quello che è, con le sue ombre ma anche le sue molteplici luci, con un candore e una sincerità degni di una bambina.
Per questo il personaggio di Miss Pettigrew, dimesso e silenzioso, diventa un personaggio capace di cambiare le sorti di diverse vite, e di far breccia nel cuore del lettore.
 
Voto: 7 e 1/2
  

martedì 13 settembre 2016

Le ossa della principessa...

...di Alessia Gazzola.



La scheda del libro sul sito della Longanesi

Alice Allevi è una specializzanda presso l'Istituto di Medicina Legale di Roma. Divisa tra due uomini, il collega Claudio Conforti e il fotoreporter Arthur Malcomess, scopre che la sua vera vocazione è l'investigazione che spesso ruota intorno alla scoperta di un cadavere.
In questa nuova avventura, Alice ha a che fare con un cold case: i resti di una ragazza scomparsa cinque anni prima vengono rivenuti per caso durante uno scavo; accanto al corpo, una moneta da due euro e una coroncina di plastica.
A questo caso si aggiunge l'improvvisa scomparsa di Ambre, la specializzanda più popolare e di successo dell'istituto.
Alice indaga, al fianco dell'Ispettore Calligaris, che ha preso la giovane studentessa sotto la sua ala protettrice.
 
 Alice è sempre la stessa: pasticciona, con la testa tra le nuvole, impulsiva e curiosa. Ma anche piena di empatia e di buone intuizioni. Quello che davvero le permette di risolvere i casi che l'ispettore Calligaris le presenta, è il fatto che lei prende a cuore le vittime e le loro storie, e non può darsi per vinta finché non ottengono giustizia.
E stavolta ottenere giustizia sembra abbastanza complicato: c'è da dare un nome a quei poveri resti, e poi scoprire cosa è successo al momento della scomparsa. Il caso si complica quando sembra esserci un collegamento con la sparizione di Ambra, soprannominata l'Ape Regina, la specializzanda più popolare e di successo dell'istituto.
La scomparsa improvvisa e inspiegabile di Ambra aleggia come un cupo presagio su tutta la storia, conferendo un'atmosfera diversa alle solite, leggere e ironiche avventure di Alice.
E in effetti questa mi è parso il romanzo più maturo della saga, con i personaggi più adulti, più consapevoli e con più spessore.
L'unica cosa che, da questo punto di vista continua a non convincermi, è l'attrazione che Alice prova per il dott. Conforti, quando appare chiarissimo che lui è un pelino bastardo. Capisco l'ingenua e sprovveduta Alice degli esordi, affascinata dalla sicurezza del belloccio in camice bianco; ma adesso, dopo due avventure e molteplici esperienze di vita abbastanza significative (prima tra tutte il profondo rapporto con Arthur, che le ha fatto scoprire che esiste un mondo oltre le porte della sua cameretta), non capisco come Alice riesca sempre a ricascarci.

La trama gialla è interessantissima. Intricata e intrigante al punto giusto. Non mancano tutti gli elementi necessari a farne un gran bel misteri: investigazione fatta come si deve, un'ampia rosa di sospettati, false piste e piste secondarie, sorprese e scoperte insospettabili.
Anche qui, un unico neo sul finale, quando l'indizio decisivo viene scoperto perché un tizio ricorda e racconta alla polizia di aver visto, cinque anni prima, la ragazza scomparsa in metropolitana, e casualmente se ne ricorda non quando la vittima sparisce ma quando ne vengono ritrovati i resti a distanza di anni. Un po' forzato, anche se non impossibile.

Il miglior romanzo con protagonista Alice Allevi.
Voto: 7.
 
 

martedì 6 settembre 2016

L'isola. Una storia misteriosa...

...di Charlotte Link.


La scheda del libro sul sito della TEA edizioni

Un uomo innamoratissimo della moglie, in vacanza sull'esclusiva e mondana isola di Sylt. La donna, Clara, scompare. E' fuggita con un uomo anziano e ricchissimo che la corteggiava. E il marito, distrutto, non riesce a darsi pace. Ma c'è qualcosa che non quadra...
 
Dopo aver letto La casa delle sorelle, un bel romanzo storico con un finale thriller, mi sono appassionata alle opere di Charlotte Link, cercando di recuperare, tra biblioteca e bancarelle dell'usato, i suoi libri. Così mi sono imbattuta in questo romanzo, ed in una grandissima delusione.
 
Una ottantina di pagine, qualche illustrazione, e quella che sembra più la bozza di un romanzo che un romanzo vero e proprio.
Abbiamo quest'uomo, distrutto, disperato, perché la moglie è scomparsa; la storia è narrata in terza persona ma il punto di vista è focalizzato esclusivamente sull'uomo e i suoi pensieri. Ogni cosa, persona o situazione la conosciamo esclusivamente attraverso il suo punto di vista.
Metà delle pagine sono dedicate alla descrizione dell'isola e della sua vita mondana  (e alle relative illustrazioni).
A proposito, questa Sylt.

Immagini tratte da Weekendsupply.com
Bella, vero?
Beh, almeno possiamo salvare l'ambientazione.
 
Ora, tornando alla storia, siccome, il sottotitolo italiano ci premura di informarci che stiamo leggendo una storia misteriosa, è ovvio che il lettore si aspetti il mistero e quindi cerca qualcosa di strano nella ricostruzione che il marito di Clara va facendo.
Ma un mistero è tale perché non ne intravedo la spiegazione. Se invece la spiegazione è chiarissima (o meglio, c'è un'unica spiegazione possibile, quella che tu pensi sia troppo scontata e che verrà travolta dal colpo di scena e invece no), e a metà libro mi piazzi un indizio enorme, chiarificatore e non camuffato, secondo solo ad un cartello indicatore di questo tipo:
 
 
beh, secondo me il mistero perde mordente. Un pochino, eh.
Quindi alla fine non resta niente di questo romanzo. Non è memorabile il cosa si racconta, non è il memorabile il come lo si racconta; non è memorabile la suspense... anche perché di suspense non ce n'è. Non c'è tempo di costruire il mistero che già le premesse cominciano a sciogliersi e i dubbi vengono chiariti.
Paradossalmente questo breve romanzo è schiacciato proprio dalla sua (scarsa) mole. Non c'è tempo di entrare nella storia, non c'è tempo di calarsi nel personaggio che già tutto risulta chiaro senza aver mai destato vera curiosità nel lettore.

Sconsigliato. Senza voto. Non classificabile.

lunedì 5 settembre 2016

Jane la bruttina...

...di M.C. Beaton.


La scheda del libro sul sito della Astoria Edizioni.

A Londra, al 67 di Clarges Street, nel quartiere di Mayfair, c'è una casa signorile che ha una brutta fama. L'ultimo proprietario, il conte di Pelham, si è suicidato all'interno dell'edificio, e il suo erede non si occupa granchè della sua proprietà e della servitù che lì vive e lavora. L'amministratore intasca il denaro che andrebbe speso per la casa e i bisogni della servitù, ridotta alla fame e al freddo. L'unica speranza è che arrivi un inquilino che prenda in affitto la casa per la stagione mondana, portando con sé feste, ricevimenti e dunque mance.
Le preghiere della servitù vengono esaudite e al 67 di Clarges Street arrivano, accompagnate dai genitori, le sorelle Euphemia e Jane Hart.
La madre della due ragazze punta tutto su Euphemia, perché, come non si stanca mai di ripetere, Jane è bruttina e insignificante. Sarà Euphemia la star della stagione, quella a dover fare un debutto spettacolare e a trovare un marito ricco, secondo la genitrice. Ma la donna non ha fatto i conti con la servitù, che prenderà sotto la sua ala Jane.
 
Secondo volume della serie ambientata al 67 di Clarges Street, Jane la bruttina è un romanzo molto piacevole. Non possiede l'originalità divertita del primo volume della serie, L'avaro di Mayfair, perché la storia scorre su binari molto ordinari. Lei è, più che bruttina, poco valorizzata, e oscurata da una sorella affascinante solo se rimane con la bocca chiusa; la madre parteggia per la bella senz'anima trascurando la figlia meno appariscente ma più assennata.
Il padre si rende conto di essere sposato con una sciocca arpia, ma raramente interviene per quieto vivere.
Fin troppo scoperti i richiami (fatte le dovute proporzioni) alle situazioni e atmosfere della famiglia Bennet di Orgoglio e Pregiudizio.
L'elemento dirompente è anche qui la presenza della serivitù, sei personaggi male assortiti ma che formano una vera e propria famiglia capitanata dal maggiordomo Rainbird. Un po' per dispetto alla signora Hart, severa e avara con la servitù, un po' per senso di giustizia, i domestici prendono a benvolere Janee l'aiuterà a realizzare i suoi sogni; ci metterà lo zampino anche la domestica francese giunta al seguito della signora Hart. Oltre a far girare la testa a Rainbird, sarà protagonista di un intrigo che susciterà scandalo a Mayfair.

Come detto, niente di nuovo sotto il sole, eppure ci troviamo davanti ad un romanzo piacevolissimo, ironico, divertente e anche consolatorio. Qui gli intrighi dei pettegoli e degli invidiosi non vanno a buon fine; esiste una giustizia universale che aggiusta le situazioni complicate e raddrizza i torti, il tutto narrato con leggerezza e ironia.
Gli unici a restare sempre, chi più, chi meno, senza il meritato lieto fine sono i domestici, legati al 67 di Clarges Street, e costretti a sperare in un nuovo inquilino per la stagione successiva, sognando che sia l'anno della svolta per la loro vita.

Voto: 7

Agatha Raisin e i giorni del diluvio...

...di M. C. Beaton.



La scheda del libro sul sito della Astoria Edizioni

E così, il matrimonio di Agatha con James non ha funzionato. Lui ha preferito ritirarsi in un convento in Francia piuttosto che restare con lei. Agatha è depressa, si sente uno straccio e James le manca. Dopo un periodo in cui si lascia completamente andare, Agatha decide che è arrivato il momento di reagiree si iscrive ad un corso di pilates ad Evesham. Qui incrocia casualmente una giovane donna in procinto di sposarsi. Giorni dopo, durante una piena del fiume seguite a piogge torrenziali, Agatha vede il cadavere di quella giovane donna galleggiare sul fiume, vestita da sposa e con un bouquet in mano. 
 
Questa dodicesima avventura della signora Raisin è il giallo meglio riuscito tra quelli della serie che ho letto finora.
Agatha riprende in mano la sua vita dopo lo smarrimento seguito all'abbandono di James - che onestamente spero di non rivedere mai più - e indaga praticamente da sola, riuscendo a dare il meglio di sé.
L'incontro casuale con una ragazza giovane e graziosa che sta per sposarsi tocca qualche corda nel cuore di Agatha, che poi la rivede, del tutto casualmente, galleggiare, ormai cadavere, trasportata dalla piena del fiume. Coinvolta emotivamente a causa delle sue vicende sentimentali, decide di indagare anche se non è in alcun modo coinvolta nell'omicidio.
 
L'intreccio giallo è interessante e coinvolgente. Alcuni elementi, come il ritrovamento del cadavere sul fiume, il vestito da sposa e il bouquet, sono intriganti e aggiungono qualcosa in più alla classica indagine per omicidio. Ma quello che più mi ha soddisfatto è stato trovare finalmente un'indagine ordinata, con interrogatori alle persone informate, indizi trascritti ordinatamente e non trascurati, un'indagine condotta, insomma, con metodo. Certo, il metodo risente comunque della particolarità del carattere di Agatha e del fatto che comunque, non è né una poliziotta né un'investigatrice. la nostra eroina quindi dovrà trovare un modo per intrufolarsi nella vita delle persone senza farsi mandare a quel paese (e senza farsi incriminare per intralcio alle indagini).
Sarà proprio questo suo nuovo modo di fare indagini, senza lasciarsi trasportare dall'impulsività, ma pretendendo che ogni dettaglio vada a posto, a portare Agatha al successo.
Difatti la donna coglie un dettaglio che non si incastra col resto della ricostruzione, e sarà proprio la caparbietà con cui cercherà di collocarlo al posto giusto a condurre alla soluzione del caso, come nella migliore tradizione del giallo deduttivo classico.
 
Voto: 7 e 1/2

domenica 4 settembre 2016

Agatha Raisin e l'amore infernale...

...di M.C. Beaton.


La scheda del libro sul sito della Astoria Edizioni.

Incredibile ma vero, Agatha Raisin, ex PR londinese, anni 53, caratteraccio burbero, prepotente ed allo stesso tempo affamato d'amore, è riuscita a coronare il suo sogno e a sposare James Lacey, l'affascinante vicino. Nonostante tutti le ripetano che James non è l'uomo per lei, che è rigido, freddo e non sa cosa sia la tenerezza, Agatha è decisa a far funzionare il loro matrimonio. ma subito dopo la luna di miele, le cose cominciano ad andare molto male. I due continuano a vivere ognuno nel prorpio cottage; James critica senza pietà qualunque cosa Agatha faccia, e intreccia anche una ambigua relazione con una giovane donna appena giunta a Carsely.
Quando la donna viene uccisa, Agatha indaga per scagionare suo marito, che nel frattempo, come suo solito, si è dato alla fuga.
 
Decisamente non c'è pace per Agatha. Com'è quell'antico adagio? Stai attenta a ciò che desideri perché potresti ottenerlo. Ecco, questo è proprio ciò che accade alla nostra eroina in questo undicesimo romanzo.
Tornata nella familiare cornice di Carsely, nei Cotswolds, Agatha scopre che non è tutto oro quello che luccica, e James non è il marito che lei aveva sognato. Non c'è nessuna tenerezza tra loro; il dialogo è scarso, e James vorrebbe una moglie obbediente ed esemplare come un soldatino. la goccia che fa traboccare il vaso è la notizia che Agatha  - ora che ha molto tempo libero, non dovendo più dare la caccia al suo vicino - vorrebbe tornare al lavoro. James si oppone senza neanche chiedersi il perché di questa decisione. Così Agatha torna nel suo cottage sbattendo la porta, fino a che una giovane donna, Melissa, bussa alla sua porta recandole una notizia sconvolgente. Da qui in poi gli eventi precipitano. melissa viene uccisa; nel cottage di James ci sono segni di lotta e tracce di sangue, e James stesso sembra sparito nel nulla.
Agatha deve fare i conti con la dure realtà: non sa nulla di suo marito, non è nemmeno sicura che lui sia innocente. Masi aggrappa a questa convinzione come ad un salvagente.
 
Probabilmente si tratta del romanzo meno giallo della serie (almeno di quelli letti finora) e più "storia di Agatha". Tocca i temi già accennati in precedenza con più approfondimento e sensibilità.
I temi a cui mi riferisco sono l'amore non in giovane età, la solitudine, la vita di coppia. E mai come prima Agatha è un personaggio a tutto tondo, che soffre e acquista una sua dimensione al di là dei suoi buffi difetti e dello stereotipo della (ex) donna in carriera londinese burbera e competitiva.
Credo che si tratti anche di una tappa fondamentale della serie, una sorta di giro di boa, ma naturalmente ne avrò la conferma soltanto continuando la lettura.
In ogni caso resta un punto ferma per chi ama la serie e la sua protagonista. Un po' meno magari per chi è alla ricerca esclusivamente di un intreccio giallo.
Qui naturalmente l'intreccio c'è, ed è anche interessante - mi piace il tema della malattia mentale mescolato ad una indagine per omicidio, aggiunge un tocco di suspence in più al dipanarsi della storia - ma è strettamente legato alle vicende personali di Agatha perché possa essere apprezzato come romanzo a se stante.

Vi lascio con un'immagine di un cottage nei Cotswolds, gli altri grandi protagonisti di questa serie. Io adoro questa ambientazione.
Immagine tratta dal sito Visitengland.com

Voto: 7


Agatha Raisin e le fate di Fryfam...

...di M.C. Beaton.


La scheda del libro sul sito della Astoria Edizioni

Agatha irrequieta e infelice come sempre, al suo ritorno da Wyckhadden scopre che James è partito di nuovo, e una volta tanto, decide di non seguirlo, ma di andare a soggiornare nel Norfolk, perché un'indovina le ha detto che lì troverà l'amore. Scettica, ma troppo affranta per restare a Carsely, affitta un cottage a Fryfam. Ma qui non trova l'allegro e accogliente ambiente campagnolo dei Cotswolds, ma un gruppetto di signore infelici quanto lei e un pochetto acide. Per darsi un tono, racconto di essersi ritirata nella quiete del Norfolk per scrivere un romanzo, e per portare avanti la finzione scrive il primo capitolo di una giallo intitolato Omicidio al maniero, dove un proprietario terriero viene ucciso con un vecchio rasoio. E quando l'omicidio da lei descritto si verifica, Agatha si trova, come al solito, nei guai.
 
Ancora senza James e ancora in fuga, in questo decimo romanzo Agatha comincia a capire il valore di quello che ha lasciato nei Cotswolds. Laggiù si è fatta degli amici, e ci sono persone che tengono a lei. Eppure Agatha si autoimpone un lungo esilio nel Norfolk, ma già al suo arrivo capisce di aver fatto un errore. Perfino il paesaggio della contea le da noia (troppo piatto, dice lei, rimpiangendo le colline dei dintorni di Carsely).
A proposito, questo è il tipico paesaggio del Norfolk:
 
La foto è presa dal sito Shaping Norfolk's future
Il villaggio di Fryfam si rivela essere molto chiuso, e ha tradizioni e usi completamente sconosciute ad Agatha. Addirittura gli abitanti sussurrano a mezza voce che esseri antichi abitino le campagne, e quando Agatha vede delle luci ondeggiare nel suo giardino, non sa se credere a quello che ha visto, o preoccuparsi perché sta perdendo il senno.
Una serie di piccoli furti infastidisce la popolazione, fino al furto, proprio al maniero del villaggio, di un quadro di grande valore; al furto segue l'omicidio del signore del maniero, un ricco imprenditorie fissato con la nobiltà terriera e le sue anacronistiche abitudini.
Dunque abbiamo il furto di un quadro, un premio assicurativo a sei zeri, e l'omicidio di un uomo molto ricco. Tra i vari sospettati c'è che aveva interesse a commettere il furto, ma non l'omicidio e che viceversa avrebbe guadagnato dall'omicidio, ma non dal furto; c'è un testamento scomparso, una moglie infelice e un'amante con un marito particolarmente geloso e violento. La trama perciò si presenta particolarmente ingarbugliata. ma la soluzione si rivela all'altezza dell'intrigo, e non delude.
La sensazione è che quando non ci sia James tra i piedi, le indagini di Agatha ne guadagnino in interesse e vitalità.
 
Voto: 7