domenica 29 aprile 2018

Veleno d'inchiostro...

... di Cornelia Funke.

La scheda del libro sul sito della Mondadori

È passato un anno da quando Meggie, oggi tredicenne, e suo padre Mo si sono scontrati con la banda del bandito Capricorno; banda che lo stesso Mo aveva evocato involontariamente da un libro, Cuore d'inchiostro, scritto dall'anziano autore Fenoglio. Mo e Meggie, infatti, hanno il potere di dare vita ai personaggi dei libri leggendo a voce alta. Dita di Polvere, il mangiafuoco evocato anch'egli per errore dal medesimo libro, riesce finalmente a trovare un modo per tornare a casa, tra le pagine della sua storia. Ma uno scagnozzo di Capricorno, Basta, è sulle sue tracce, deciso ad ucciderlo. Quando Basta riesce a rientrare in Cuore d'inchiostro, a Meggie e Farid, giovane vagabondo saltato fuori dalle pagine de Le Mille e una notte, non resta che catapultarsi nel romanzo per avvertire Dita di Polvere e fermare Basta.
 
Veleno d'inchiostro è il secondo volume della trilogia Mondo d'inchiostro.
Nel primo romanzo, Cuore d'inchiostro, recensito qui, Meggie e Mo avevano lottato contro Capricorno, il malvagio incendiario uscito dalle pagine del romanzo.
Da quelle vicende è passato un anno, un anno sereno e tranquillo; ma non un anno altrettanto tranquillo per Dita di Polvere, strappato dal potere di Mo alla sua storia, a cui vuole disperatamente tornare. Quando finalmente ci riesce,  sulle sue tracce si mette però Basta, deciso a vendicarsi del mangiafuoco. Dalla necessità di avvertirlo dell'imminente pericolo prendono l'avvio gli eventi di questo romanzo che ci trascinerà insieme a Meggie e Farid nel Mondo d' Inchiostro creato dallo scrittore Fenoglio.
 
Lo schema di questo secondo romanzo ricorda, seppure in maniera speculare, quello del primo volume. Mo e Meggie vivono una vita più o meno tranquilla; arrivano i cattivi; in qualche modo il libro scritto da Fenoglio viene coinvolto; prigionia dei nostri eroi; lotta contro i cattivi.
Quello che evita il senso di "già visto, già sentito" sono i nuovi elementi che l'autrice sapientemente introduce, primo fra tutti la meravigliosa nuova ambientazione.
Il Mondo d'inchiostro è infatti il protagonista assoluto di questo romanzo. Lo avevamo conosciuto attraverso la struggente malinconia di Dita di Polvere durante il primo volume di questa trilogia, adesso lo vediamo attraverso i suoi occhi, e per me è stato amore a prima vista. Il Mondo d'inchiostro è capace di risvegliare il senso del magico e del meraviglioso anche in una lettrice come me che, da appassionata di fantasy, ne ha viste e lette tante, e rimane sorpresa raramente.
Elfi di fuoco, fate, folletti di cristallo popolano un modo fatto di Selve senza Vie, tenebrosi castelli e città opulente. 
Ma tra la bellezza incomparabile di luoghi magici si nascondono la cattiveria e il male, in un contrasto che è allo stesso tempo epico e tremendamente normale. Leggende e miti prendono vita ad ogni pagina, e la storia dei personaggi secondari che popolano queste terre è così ricca e complessa che avvolge il lettore e lo incanta.
Mi viene da dire che Cornelia Funke ha lo stesso potere di Mo e Meggie: le parole che lei scrive prendono vita.

Grande spazio viene dato a Dita di Polvere, la cui personalità complessa viene illustrata al meglio. La sottile ambiguità che lo accompagna dal primo volume trova miglior spiegazione e rende il personaggio malinconico ed umano. I suoi dubbi e i suoi rimpianti diventano i nostri.
Splendido ed originale anche il modo in cui l'autrice ha saputo fondere con il contesto personaggi estranei al Mondo di inchiostro, quali sono Meggie e Farid, amalgamandoli perfettamente. I due ragazzi non sono solo viaggiatori che si perdono in un mondo incantato, come accade in tanti altri libri scritti prima di questo. Loro ne diventano parte integrante in un modo che non posso rivelare per non fare spoiler, ma che è magico e avvincente. E l'ho apprezzata molto.

Il romanzo mi è dunque piaciuto tantissimo, anche per la varietà di personaggi e storie che si intrecciano tra loro. Se proprio dovessi muovere una critica a questo splendido libro, direi che lo svilupparsi della trama è un tantinello lento. Non che Funke sia prolissa; è che il suo stile è calmo e placido. Questo conferisce un'aura fiabesca alla narrazione e permette di assaporarla a fondo, ma allo stesso tempo, nei momenti cruciali, questo modo di raccontare può diventare frustrante per il lettore desideroso di andare avanti con la trama, che ha i suoi colpi di scena e rivolgimenti della sorte a tenere con il fiato sospeso.
Ma in ogni caso questa critica non intacca la bellezza di una storia che consiglio a tutti.

Voto: 7 e 1/2 

lunedì 23 aprile 2018

L'inconfondibile tristezza della torta al limone...

... di Aimee Bender.

La scheda del libro sul sito della Minimum Fax

 Il romanzo ha vinto l'Alex Award per la narrativa per adulti che abbia una speciale attrattiva anche per i giovani lettori. 

Alla vigilia del suo nono compleanno, Rose scopre di riuscire a percepire nel  sapore del cibo i sentimenti di chi lo ha preparato. La tristezza e il senso di vuoto che coglie nella torta al limone preparata da sua madre la colpiscono nel profondo e cambiano la sua vita. Cercando di barcamenarsi fra i pasti che le mettono addosso paura, rabbia e frustrazione e l'assenza emotiva dei suoi familiari, Rose cresce cercando disperatamente un senso a quello che le sta intorno.
Poco prima di compiere nove anni, Rose si ritrova all'improvviso con uno scomodo talento: il cibo per lei ha il sapore dei sentimenti di chi lo ha preparato. Alla comprensibile confusione che se segue questo cambiamento, si aggiunge il peso delle emozioni altrui, che raramente sono positive. Se Rose riesce a sopportare la quieta tristezza della donna che prepara il cibo alla mensa scolastica, l'infelicità e il senso di vuoto che sua madre prova sono insopportabili per una bambina così piccola.
Molti bambini, a quanto pareva, ci mettevano anni e anni a rendersi conto che i loro genitori erano persone piene di difetti e scombinate, e a me proprio non andava di arrivare a saperlo in modo così intenso, e così precocemente.
La sua giovane età è poi un grande ostacolo nella ricerca di un aiuto; Rose non sa come spiegarsi e come spiegare quanto sta accadendo; e la sua famiglia, composta da una madre infelice e perciò concentrata su se stessa; un padre distratto e distante; ed un fratello maggiore, Joseph, totalmente indifferente agli altri, non è di certo di aiuto. Rose inventa mille piccoli espedienti per sopravvivere al suo "talento", e cresce così, cupa, eccentrica e disperatamente sola.

La premessa che da l'avvio alla storia, ovvero la scoperta dell'abilità di Rose, è intrigante e magica; purtroppo, però, con il progredire della storia questa premessa non porta da nessuna parte. In realtà, se togliessimo a Rose il suo dono, il romanzo resterebbe più o meno lo stesso, e questo non depone a suo favore. Nell'economia del romanzo il talento della protagonista non serve a nulla e non porta a nulla. Serve solo a far crescere Rose isolata e distante; cosa che sarebbe benissimo potuta accadere se avesse appreso i segreti della sua famiglia in un modo diverso.
Gli altri personaggi sono, a parer mio, piuttosto distanti anche dal lettore, e quasi incomprensibili.
Perché la madre di Rose è infelice e perché suo padre è distante, considerato che entrambi ribadiscono  più volte di amarsi? Cosa ha complicato il loro matrimonio? Perché Joseph si comporta in maniera così indifferente e asociale? Mi è venuto il dubbio che il ragazzo potesse essere autistico, ma è una mia congettura, perché nel romanzo nulla è specificato al riguardo, né tantomeno gli altri personaggi sembrano accorgersene. Mi sono meravigliata del fatto che, ad esempio, nessuno trovi preoccupante l'atteggiamento di un adolescente che pur di non incrociare lo sguardo dei suoi familiari consuma un intero pasto ad occhi chiusi.

Seguiamo Rose, narratrice in prima persona, in un flusso di coscienza lungo anni, fino ai ventidue circa. Tutto è narrato attraverso la sua voce, anche i dialoghi, che sono semplicemente incorporati al testo, senza virgolette o altro. La cosa non mi ha dato fastidio, anzi; mi sembrato un modo per rendere il romanzo molto scorrevole, quasi un lungo monologo orale di Rose. Lo stile è accattivante, e il romanzo si legge velocemente, ma si arriva al finale praticamente impreparati. Infatti, senza che alle spalle ci sia nessun tipo di evoluzione chiara (ancora una volta, posso fare solo congetture) Rose compie degli sforzi per accettare il suo dono, dopo aver passato la sua intera breve vita a concepire trucchetti per evitare di sentire il sapore del cibo.
Ma la cosa che mi ha sconcertato di più, e non in senso buono, sono state le rivelazioni finali. Quella relativa a Joseph l'ho trovata assurda e fuori contesto; quella relativa al padre di Rose è stata irritante. Resterò nel vago per evitare spoiler, ma vi dirò che scopriamo che l'uomo aveva gli strumenti per capire Rose, ma praticamente si è sempre fatto i fatti suoi, lasciando che la figlia vivesse un'infanzia e un'adolescenza tristi e solitarie.

Insomma, un romanzo che non ho faticato a finire ma che fatico a comprendere. Ignoro cosa volesse dirci l'autrice, se gli elementi "fantastici" della storia siano metafore del fardello che ognuno di noi si porta dentro oppure altro; fatico ancora adesso ad inquadrare i personaggi, così poco vivi, e più simili a degli attori su un palcoscenico che interpretano la loro parte perché sì, senza che le loro azioni vengano dal loro vissuto precedente e portino a qualcosa nel loro futuro.

Voto: 5

domenica 15 aprile 2018

Quattro casi per Hercule Poirot...

... di Agatha Christie.

L'appartamento era moderno. Anche l'arredamento della camera era moderno. Le poltrone avevano una sagoma quadrata; le seggiole, angolare. Uno scrittoio moderno era disposto direttamente davanti alla finestra e vi era seduto un ometto anziano. La sua testa era praticamente l'unica cosa in quella stanza che non fosse quadrata. Ma a forma d'uovo.

Signore e signori, ecco a voi Hercule Poirot. Niente, credo, potrebbe descriverlo meglio di così. L'investigatore belga nato dalla penna di Agatha Christie è preciso, rigoroso e logico in tutto quello che fa. La sua intelligenza e il suo metodo non hanno rivali, ma, allo stesso tempo, le sue manie vengono dipinte con leggera ironia dalla sua creatrice.
In questa antologia troviamo Poirot di fronte a quattro casi che hanno il respiro di romanzi brevi, e a cui non manca nulla per essere quei perfetti rompicapo a cui la Christie ci ha abituato. Potremmo definire questi racconti come esemplari riguardo la figura di Poirot e il metodo di costruzione dell'enigma giallo di Agatha Christie.
E a tale proposito, devo confessare una cosa. Ho sempre snobbato, in passato, i racconti gialli, perché ho sempre pensato che non avessero un'ampiezza sufficiente per costituire una sfida, per costruire un enigma valido con cui il lettore possa misurarsi. Di recente ho scoperto che mi sbagliavo, e perciò sto lentamente recuperando le raccolte della Signora del Crimine per eccellenza.
Questa antologia è la prova di quanto fosse errato il mio ragionamento.
 
Delitto nei Mews
 
Poirot, a passeggio con l'ispettore Japp durante una notte di festa e fuochi artificiali nota come sarebbe facilissimo sparare a qualcuno in una nottata come quella, con gli scoppi a coprire il rumore degli spari.
La mattina dopo, Japp chiede il suo aiuto: una giovane donna è stata trovata morta con un colpo di pistola alla tempia. Suicidio o omicidio?

"Un mio vecchio amico", spiegò Japp. "Non è matto come sembra, badate bene."
 
Il mio racconto preferito in questa raccolta. Il lettore resta sino all'ultima pagina con il dubbio: l'apparenza inganna oppure no?
Troviamo un Poirot in gran forma. Se dovessi spiegare a qualcuno che non lo conosce questo personaggio, lo farei citando stralci di questo racconto. Un giallo classico, il mio genere preferito, in cui l'autrice riesce a condensare egregiamente tutti i dettagli necessari perché la soluzione sia evidente, eppure sorprendente.

Il furto incredibile

In questo racconto troviamo un'atmosfera da spy story. Qualcuno ruba i piani segretissimi per un nuovo bombardiere dalla residenza di campagna di  Lord Charles Mayfield, ingegnere e uomo politico. I fatti sembrano dire che nessuno può aver commesso quel furto... e allora? Allora l'unica soluzione è rivolgersi a Poirot.
Naturalmente Poirot non sbaglia, ma - e qui sta la particolarità di questo racconto - non potrà ottenere il riconoscimento del suo trionfo e delle sue capacità.

Lo specchio del morto

Più che un racconto, un romanzo breve. La struttura è quella classica: casa di campagna, invito a Poirot, morte del padrone di casa. Un suicidio, all'apparenza, ma non per Poirot, che è convinto si tratti di un delitto, nonostante il parere contrario della polizia.

"Va bene! Visto che ci siete voi, qui in scena, probabilmente sarà un delitto!"

Indagini, interrogatori, osservazioni sul campo permetteranno all'investigatore di svelare l'identità del colpevole. L'andamento del racconto è avvolto tutto intorno agli interrogatori; ogni dettaglio è prezioso, e quando Poirot farà un elenco di quello che non torna, il lettore non potrà fare a meno di pensare, insieme ad uno stupito maggiore Riddle, capo della polizia di contea, "non vorrete dirmi che questa tiritera ha un senso?". Inutile precisare che il senso c'è, eccome.

Triangolo a Rodi

Ambientazione mediterranea per un racconto breve, circa una trentina di pagine, ventidue delle quali usate sapientemente e con intelligenza per presentare il teatro e i personaggi del dramma che andrà in scena, e che si risolverà nel giro di sette-otto pagine. Eppure, la Christie riesce a creare uno stato di tensione e di tragedia imminente che ci fa stare col fiato sospeso in attesa dell'evento che tutti ci aspettiamo ma che, ovviamente, recherà con sé una sorpresa. Poirot userà la logica e il suo infallibile spirito di osservazione, mentre la Christie barerà appena un pochino per permettersi di lasciarci, ancora una volta, a bocca aperta.

In conclusione, si tratta di una raccolta veramente preziosa per gli amanti di Hercule Poirot e della Christie in generale. La varietà delle ambientazioni, l'originalità delle soluzioni, la precisa caratterizzazione dei personaggi rendono questa antologia un'ottima lettura per tutti gli appassionati del giallo. Ogni racconto, per quanto breve, riesce a contenere un'intera indagine con tutti gli elementi essenziali; nessun salto logico, nessuna sintesi forzata, nessun buco malamente riassunto nel finale. Ogni racconto è completo e perfettamente godibile per il lettore/investigatore.
I racconti sono per struttura e svolgimento logico semplicemente perfetti. I personaggi appaiono sempre coerenti anche se nei racconti più brevi sono pennellati rapidamente, ma sempre con efficacia; nel racconto più lungo (Lo specchio del morto) sono introdotti uno ad uno e descritti minuziosamente. Poirot, che non avrebbe bisogno di introduzioni di sorta, viene descritto come sempre grazie ai suoi tic, alle sue manie, alla sua incomprensibile attenzione per dettagli di scarso valore (all'apparenza). Tutto ciò ne fa un personaggio eccentrico nei metodi, ma non certo nella sostanza.
Di tanto in tanto la Christie si concede qualche frecciatina ironica al suo personaggio, al quale, stando a quello che si dice, non era particolarmente affezionata, ma lo fa con un'ironia velata e senza acredine.

Voto: 8

sabato 14 aprile 2018

La posta del cuore della señorita Leo...

... di Angeles Doñate.


Eccoci arrivati al terzo appuntamento con Questa volta leggo, la rubrica creata dalle blogger Chiara (La lettrice sulle nuvole), Dolci (Le mie ossessioni librose) e Laura (La Libridinosa).
Il tema di questo mese è: leggi un libro uscito nel 2018. Con tutti i libri arretrati che vorrei leggere e che sgomitano nella mia TBR da anni, una scusa per leggere qualcosa di pubblicato da poco ci voleva. La scelta è caduta su La posta del cuore della señorita Leo, romanzo che mi aveva incuriosito sia per la splendida copertina, sia per la recensione letta sul blog della Libridinosa.
 
 
Alla vigilia delle prime elezioni libere dopo la dittatura franchista, una donna di nome Aurora risponde in diretta radiofonica alle lettere che gli ascoltatori le mandano. Tutta Barcellona si ferma per ascoltare le parole della señorita Leo, una figura immaginaria, ma interpretata da Aurora appunto, che riesce ad avere sempre una parola di speranza per tutti. La sua storia si intreccia con quella di Sole, tormentata dal marito violento; di Germàn, commesso viaggiatore alla ricerca della felicità; e di Elisa, adolescente triste e solitaria.
 
La posta del cuore della señorita Leo è un romanzo corale, delizioso, scritto con leggerezza e delicatezza.
I personaggi sembrano non avere nulla in comune se non il fatto che amano ascoltare un programma radiofonico, condotto da una fantomatica signorina Leo, sulla cui identità vige il massimo riserbo. Intorno a questo perno dal sapore romantico e gradevolmente retrò, la vita di Aurora, Germàn, Elisa e Sole scorre, apparentemente tranquilla e apparentemente immutabile. Tutti loro cercano conforto nella saggezza di una voce radiofonica, ma ignorano la verità, ovvero il fatto che la señorita Leo non esiste, è solo una personaggio inventato, interpretato di volta in volta da donne diverse. Quando il caso porta Aurora a diventare la voce del programma, le cose cambiano, lentamente, impercettibilmente, sia per lei che per i suoi ascoltatori.
 
Gli ascoltatori affascinati dalla signorina Leo hanno storie e problemi diversi, ma tutti vorrebbero in fondo solo una cosa: il coraggio di raggiungere i loro traguardi ed il coraggio di essere liberi. Aurora, parimenti, ha una storia familiare travagliata alle spalle; combatte con la solitudine e anche lei, come gli altri, cerca la libertà di essere se stessa, anche (e soprattutto) in radio. Questo la spinge a capire, come mai aveva fatto chi l'aveva preceduta, gli aneliti di chi le scrive, e a cercare di fare di più per loro.
 
Il periodo in cui il romanzo è ambientato è quello immediatamente successivo alla morte del dittatore Franco. Le prime elezioni libere sono imminenti e a Barcellona, dove la nostra storia si svolge, si respira un'aria di fiducia, di ottimismo, di speranza nel futuro.
Questa atmosfera è resa benissimo dall'autrice, che ha saputo innestare le storie tristi e malinconiche dei personaggi in questo contesto effervescente. Un contrasto azzeccatissimo, a parer mio, che resta la parte migliore del romanzo.
 
Le vicende relative ai personaggi, per quanto trattate con estrema sensibilità e profondità, hanno secondo me un difetto: sono poco incisive e dinamiche. Ci si aspetta sempre che, voltando pagina, si arrivi ad una svolta, che l'autrice tiri le somme di quanto ci ha raccontato fino a quel momento. Questo non avviene, neanche nel finale di cui dirò in seguito, e a fine lettura si ha l'impressione di aver letto delle pagine bellissime sì, ma fini a se stesse; appunti di quattro storie diverse che avrebbero meritato un ulteriore sforzo per diventare un romanzo organico e compiuto. L'intreccio tra le quattro storie resta soltanto accennato e labile e sarebbe stato di certo più interessante se l'autrice avesse sviluppato una connessione più forte man mano che il romanzo procedeva.
Neanche il finale, cui accennavo prima, assolve a questo compito, perché semplicemente non c'è. La storia si interrompe all'improvviso; le pagine terminano e a me non è restato che chiudere il libro nonostante la mancanza di una vera conclusione.
Mi viene da pensare, per spiegarmi meglio, ai romanzi di Vitali, i quali, seppur di genere diverso, presentano molteplici storie all'inizio, che, nelle sue opere migliori, l'autore riesce brillantemente a intrecciare fino a ricondurle ad un'unica trama ed un'unica conclusione. Cosa che qui non accade, e che mi ha lasciato con un senso di insoddisfazione alla fine della lettura.
 
Per tutte queste ragioni, il romanzo, pur presentando un tema dolcemente accattivante ed una scrittura coinvolgente, limpida e fluente, non mi ha convinta del tutto.
Voto: 6 e 1/2
 
 
Vi lascio il calendario della rubrica, che tornerà il prossimo mese con un nuovo tema.
 
 

martedì 10 aprile 2018

L'acchiappasogni...

di Stephen King.

La scheda del libro sul sito della Sperling & Kupfer

Quattro amici di infanzia, Beaver, Henry, Pete e Jonesy, sono nel Maine settentrionale per una battuta di caccia. Durante una tempesta di neve, succede l'impensabile: l'area viene messa in quarantena a causa di una misteriosa infezione di origine aliena. Ma i quattro amici non sono persone come tutte le altre. Tanto tempo prima, quando erano solo ragazzini, avevano salvato un ragazzo di nome Duddits, affetto dalla sindrome di Down, da un gruppo di bulli, e l'amicizia con lui li aveva cambiati per sempre, e non soltanto in senso metaforico.
Perciò i quattro, con l'aiuto di Duddits, sono proprio le persone che hanno qualche speranza di arrestare la minacciosa avanzata aliena.
 
Io non sono un'esperta né una delle fan più accanite del Re, ma ne apprezzo le idee, le trame e quel gusto per l'horror che sembra svilupparsi sempre tra le pieghe della banalità quotidiana. Io non sono un'esperta, dunque, ma è facile intuire che in questo romanzo ritornano molte delle tematiche care a Stephen King, quali l'amicizia, il bullismo, la diversità, il Maine (e come ti sbagli? Tra lui e Jessica Fletcher avranno fatto crollare la voglia di trasferirsi nel Maine a livelli prossimi allo zero!!).
 
I protagonisti sono un gruppetto di amici di vecchia data, ormai adulti, che hanno preso strade diverse nella vita, ma cercano di non perdersi di vista. Li accomuna, oltre all'amicizia, qualcosa di speciale, di particolare, di diverso. Infatti i quattro amici hanno percezioni extrasensoriali, diverse tra loro, ma tutte vaghe, imprecise, che a volte li hanno aiutati nella vita, a volte no.
King inizia il romanzo dandoci un assaggio di queste capacità, senza però spiegarci cosa sono, da dove vengono, perché. Se è vero che l'effetto è un pochino straniante, è anche vero che con questo espediente l'autore ci catapulta immediatamente al centro del romanzo, senza troppi preamboli. A me questo essere lanciati senza rete è piaciuto molto.
Altra cosa che mi è piaciuta molto, sono stati i personaggi. King si prende tutto il tempo necessario per farceli conoscere e farceli capire (e amare), ma lo fa mostrandoceli in azione, non spendendo fiumi di parole astratte. Insomma, King è un paladino dello show, don't tell [1] e io lo amo per questo.
Tra un flashback e l'altro, mentre il quadro sulle quattro personalità si completa, e lentamente scopriamo chi è Duddits, assente dalla scena ma sempre presente nei pensieri dei protagonisti, iniziamo a capire anche che il soggiorno nella baita in mezzo ai boschi che i quattro si concedono ogni anno non sarà né tranquillo né sicuro.
L'incontro con uno stralunato cacciatore che si è perso darà il via all'orrore; Beaver e Jonesy si ritroveranno intrappolati nella baita mentre terribili creature proliferano intorno a loro, mentre Henry e Pete si troveranno bloccati sulla via del ritorno dall'emporio locale.
 
La minaccia aliena è descritta in maniera particolareggiata ed esaustiva. Niente è lasciato al caso, ed appare subito chiaro che la struttura degli alieni che minacciano la Terra è complessa. Per il lettore non sarà facile capire con cosa ha a che fare; anzi, la vera natura del pericolo si comprenderà appieno solo alla fine.
 
Se devo essere onesta però, devo anche muovere qualche critica a questo romanzo. Certo, criticare uno come King sembra quasi un sacrilegio, ma io una cosa la devo assolutamente dire. Va bene lo show don't tell, vanno bene i flashback per chiarire il quadro generale, vanno benissimo le descrizione particolareggiate che accrescono il senso di paura e di orrore, però a tutto c'è un limite!
Il romanzo è lungo, lungo, lunghissimo, e leggerlo è stato a tratti faticoso. Io leggo un centinaio di pagine al giorno, quando sono libera, ma qui, nonostante abbia approfittato delle vacanze pasquali, non riuscivo ad andare oltre le 30-40 pagine giornaliere, specie dopo la seconda metà del libro.  
Per carità, il libro mi è piaciuto, ho apprezzato la rielaborazione di una trama tutto sommato non originalissima che però nelle mani di King è diventata magica, ma un tantinello di sintesi non avrebbe guastato, a parer mio. Nella seconda metà del libro già citata c'è un inseguimento che dura qualcosa come 250 pagine. Duecentocinquanta pagine! Sono arrivata alla conclusione sfinita. Manco fossi io quella che arrancava nella neve.
So benissimo che questo è lo stile di King e che sicuramente non cambierà, ma mi sembra giusto evidenziarlo.

Insomma, un bel libro, interessante, con temi classici dell'horror e della fantascienza, rielaborati da Stephen King in modo un po' prolisso.

Voto: 7= (non do il sette pieno perché non credo che il libro sia adatto a tutti, a causa delle critiche che ho mosso sopra)
 
 
 

mercoledì 4 aprile 2018

Un uso qualunque di te...

... di Sara Rattaro.


Viola, madre distratta e moglie fedigrafa, riceve una telefonata: sua figlia adolescente è all'ospedale, ricoverata d'urgenza. Viola lascia il letto del suo ultimo amante, e corre al capezzale della figlia, trovandola in fin di vita. Mentre aspetta che i medici le dicano qualcosa, Viola riflette sul suo passato, sulla sua vita, sul rapporto con la sua famiglia, sulle bugie che ha raccontato e che adesso stanno per essere scoperte.

Come avevo avuto occasione di dire nella recensione di L'amore addosso, della stessa autrice, le storie intimiste e introspettive non sono proprio il mio genere, eppure Sara Rattaro era riuscita a conquistarmi con la sua scrittura fluida e i suoi personaggi ben costruiti.
Quindi ho cominciato Un uso qualunque di te convinta che l'avrei apprezzato, e invece sono rimasta parzialmente delusa.
Sicuramente un punto importante da evidenziare è il fatto che questo è il secondo romanzo dell'autrice, uscito nel 2012, ed è evidente che di acqua ne è passata sotto i ponti per la scrittrice genovese. Indubbiamente questo è un romanzo più acerbo e meno solido, con i personaggi a tratti incomprensibili e riflessioni meno brillanti e più banali.
Protagonista è Viola, donna inquieta e distante da tutti quelli che le vogliono bene. Vive col marito Carlo, che la adora, e con la figlia adolescente, Luce, di cui si occupa poco o nulla. Questo non le impedisce di invidiare lo stretto legame tra padre e figlia e di sentontirsi esclusa da un rapporto che in realtà non ha mai cercato. Viola sembra trarre piacere dal mettere in difficoltà gli altri, ricorrendo a mezzucci infantili (come quando si veste di bianco al matrimonio della cognata e inganna tutti entrando prima della sposa, facendo partire la marcia nuziale e rubando la scena alla sposa). Viola non è una di quei protagonisti che suscitano la simpatia del lettore. Affatto.

Certo, anche Carlo, uomo perfetto, marito perfetto, padre perfetto, non è proprio facile da digerire.
Nella sua smania di essere il genitore dell'anno, lo vediamo dettare una tesina di storia alla figlia diciassettenne, oppure ribadire più e più volte con se stesso che per ora la figlia è sua, che un amore giovanile potrebbe portargliela via, che non vuole perderla eccetera.
Non so a voi, ma a me non sembra che questo sia indice di un rapporto genitoriale sano. Onestamente non ho capito se le intenzioni dell' autrice fossero quelle di discriverci una famiglia disfunzionale, o se volesse dipingerci Carlo come l'uomo dei sogni che Viola non sa apprezzare. Questa incertezza è, a parer mio, uno dei difetti del romanzo. Insomma, di cosa stiamo parlando esattamente? Io non saprei rispondere.

In questa dinamica di coppia così particolare, quasi per dispetto, o per noia, Viola si concede numerosi tradimenti, e proprio mentre si trova nel letto del suo ultimo amante, scopre che la figlia è stata portata d' urgenza in ospedale.
Nella lunga notte che seguirà, Viola avrà modo di riesaminare la sua vita e i suoi rapporti con gli altri e giungere, nelle intenzioni dell' autrice, ad una redenzione.
Dico "nelle intenzioni dell'autrice" perchè il finale in cui Viola compie un gesto d' amore disinteressato (probabilmente il primo di tutta la sua vita) giunge, a parer mio, troppo velocemente. L'evoluzione della protagonista è stata, a miei occhi di lettrice, troppo repentina. Viola ha vissuto tutta la sua vita concentrata su se stessa, usando tutti quelli che le stanno intorno come puntelli per risolvere i suoi problemi e per superare gli ostacoli che la vita le ha posto di fronte. E ha ricambiato l' amore che ha ricevuto con sprezzante indifferenza e menzogne. Detto in parole povere: Viola è una str***a senza speranza. Mi risulta difficile credere che una che è così per scelta, non per traumi subiti, per probelmi mai risolti, che gode nel tradire e ingannare gli altri, improvvisamente possa pentirsi nel giro di poche ore e concepire un modo di redimersi.
Pertanto il finale manca, secondo me, di credibilità e il gesto che dovrebbe avere una forza dirompente sembra soltanto eccessivo e stonato.

Quello che rende comunque questo libro sufficiente, è lo stile di Rattaro, che è fluido e leggero, che lascia che le pagine scivolino veloci nonostante le perplessità. Certo, l'autrice incappa in qualche banalità di troppo (Mi sono sempre chiesta se le nostre vecchie ferite debbano insegnarci qualcosa, qualcosa che abbiamo superato, una lezione su quello che dobbiamo evitare in futuro. Oppure: a volte ci si accorge delle cose che fanno male solo quando è troppo tardi.) ma nel complesso lo stile e la struttura del romanzo, che vola da un flashback all'altro, tengono in piedi un romanzo che ha diverse pecche.

Voto: 6