mercoledì 28 marzo 2018

Dottor Futuro...

... di Philip K. Dick.

La scheda del libro sul sito della Fanucci Editore

Jim Parsons è un medico e sta andando tranquillamente al lavoro come ogni giorno, quando si trova catapultato 400 anni in avanti nel tempo. Senza sapere cosa, come o perché si trovi lì, Jim cerca di orientarsi in quel nuovo mondo incomprensibile. Quando si trova di fronte una ragazza ferita gravemente in uno scontro con la polizia, egli cerca di salvarla, senza sapere che sta commettendo un grave crimine, per cui sarà condannato, senza processo, all'esilio su Marte. Ma durante il suo trasferimento qualcosa va storto...

Ho un rapporto controverso con la scrittura di  Philip K. Dick. Ne apprezzo le idee e la forza cupa e visionaria, ma riesco a leggerlo con molta difficoltà. Mi sono resa conto che il suo stile è quello, cioè molto lineare, preciso, senza enfasi. A volte un po'piatto.
 
Questo breve romanzo (192 pagine) non fa eccezione. Jim Parsons si ritrova improvvisamente nel futuro, in una società che non conosce e che gli appare aliena, strana, assurda. Eppure non perde la testa, tutt'altro. Si mette ad analizzare la sua situazione ed alla fine sarà lui, il naufrago temporale, a salvare gli altri. Questa caratteristica l'ho apprezzata fino ad un certo punto. Insomma, un minimo di sbandamento nel personaggio me lo sarei aspettato; non capita tutti i giorni di essere rapiti mentre si percorre l'autostrada e di ritrovarsi 400 anni nel futuro. A parziale discolpa di Dick devo però notare che Parsons non è un uomo del nostro tempo, o almeno non del nostro tempo come noi lo conosciamo.
Dick ha scritto questo romanzo nel 1960, immaginando la società del 2012 tecnologicamente più avanzata (le automobili, ad esempio, sono una sorta di macchine volanti), e dai cenni sulla situazione del 2012 mi è parso anche di intuire che gli uomini siano più logici, impregnati di razionalismo e fiducia nelle possibilità della scienza. Forse la mancanza di smarrimento del protagonista deriva qui.

Quello che ho davvero apprezzato del romanzo, invece, è stata la combinazione di due elementi che amo molto ritrovare nella fantascienza, ovvero una società distopica e i viaggi nel tempo.
La società del futuro ha valori completamente capovolti rispetto ai nostri. L'individualismo ha lasciato il posto a un interesse per il bene comune così esasperato che perfino la morte è pacificamente accettata per evitare lo spreco di risorse del pianeta e per fare spazio alle generazioni future. La medicina e la pratiche salvavita in genere sono non solo abolite e proibite, pena l'esilio, ma anche eticamente aberranti.
I bambini non nascono più nel modo tradizionale, ma esclusivamente in vitro, per selezionare solo i corredi genetici migliori. Qui non abbiamo un governo totalitario che ha abolito la medicina; abbiamo una società che ha subito un cambiamento profondo e radicale, fino a considerare la scienza medica eticamente intollerabile ed insostenibile. E se questo non è uno spunto geniale per un romanzo, ditemi voi cosa lo è.
L'etica imperante, inoltre, non ammette opinione contraria, ed in questo senso la società può essere considerata non democratica e totalitaria.

In questo quadro disturbante, Dick inserisce la tematica dei viaggi nel tempo, ed in particolare quella dei paradossi che detti viaggi possono creare. Il tutto cercando di rispondere alla domanda: cosa farebbe una società totalitaria e distopica se possedesse la tecnologia per muoversi nello spazio - tempo?
La risposta è tutto un paradosso, anzi, una serie di paradossi.

Il romanzo è come una matrioska, con i paradossi temporali l'uno dentro l'altro. Cercando di venire a capo di uno di essi, se ne incontra inevitabilmente un altro, in una continua spirale che disorienta e affascina il lettore allo stesso tempo.
Questa struttura "a spirale", per così dire, io l'ho amata molto.

Certo, non mi sento di consigliare a tutti questo romanzo, sebbene, nonostante qualche perplessità evidenziata più su, lo trovi un ottimo romanzo. Credo però che per apprezzarlo bisogna amare la fantascienza classica e i viaggi nel tempo.  Per questo anche il mio giudizio numerico non è univoco.

Voto: 6 se la fantascienza non è il vostro pane quotidiano, 7 e 1/2 se siete dei fanatici della sci- fi.
 

sabato 17 marzo 2018

Affinità...

... di Sarah Waters

La scheda del libro sul sito della casa editrice Ponte delle Grazie

Londra, 1874. Margaret Prior ha da poco perso il padre, uno studioso che aveva creduto molto in lei e nella sua istruzione. La sua salute ne risente mentre fatica a riprendersi dal dolore. Un amico di famiglia le suggerisce di dedicarsi a un'opera caritatevole: visitare le detenute della prigione di Millbank, recando loro conforto e la positiva influenza di una signorina perbene. Nell'oppressiva struttura carceraria, Margaret conosce Selina Dawes, una medium condannata per una seduta spiritica "finita male". La personalità di Selina intriga e affascina Margaret, mentre intorno a loro sembrano accadere cose inquietanti e misteriose.

Margaret è una donna proveniente da una famiglia alto borghese. È quella che si definisce una signorina perbene. Purtroppo per lei, però, ha 29 anni, ed è considerata ormai vecchia per il matrimonio, e quindi guardata con malcelata pietà da parenti e amici. Come se non bastasse, suo padre aveva voluto che studiasse, e che le facesse da assistente. Questo, agli occhi di sua madre, l'ha resa pretenziosa, incapace di accetare il suo ruolo e quindi inutile. Non sarà mai nè madre nè moglie rispettata, e neanche una compagnia adatta per la vecchiaia della genitrice, perchè troppo indocile e sognatrice.
Dal canto suo, nonostante l'intelligenza e la sensibilità, Margaret non riesce a ribellarsi ai limiti imposti dalle convenzioni sociali, e accettarle suo malgrado l'ha resa infelice e taciturna.
Da questa opprimente gabbia sociale Margaret crede di poter evadere - ironia della sorte - con l'aiuto di Selina, detenuta che sostiene di parlare con gli spiriti, e che fa credere a Maragret che la conquista della libertà sia possibile.

Da un lato, ho apprezzato la cura minuziosa dell'ambientazione vittoriana. L'oppressione delle convenzioni sociali nei confronti delle giovani donne è palpabile e rende il libro claustrofobico; l'animo tormentato di Margaret, sospeso tra la ribellione e il conformismo, è descritto in maniera perfetta.
Ho anche apprezzato l'atmosfera gotica e inquietante che pervade il romanzo, esaltata dallo stile dell'autrice che richiama le opere classiche del periodo vittoriano (il romanzo infatti è scritto sotto forma di diario, sia di Margaret che di Selina).
Anche il sistema carcerario è descritto con maestria, e viene resa benissimo l'atmosfera cupa e soffocante delle prigioni, luoghi di tortura dove alla rieducazione si preferiva il rigore ottuso e mortificante: le detenute, qualunque fosse il reato commesso, anche quello più lieve, non potevano parlare; svolgevano lavori umili e spesso privi di senso, nel silenzio della loro cella spoglia, in cui passavano 23 ore al giorno; erano lasciate al freddo, senza abiti adeguati e senza mezzi per riscaldarsi; il vitto era scarso e scadente; avevano diritto a sole quattro visite all' anno; erano ammesse solo letture della Bibbia e simili.

D' altro canto però, Affinità, che è un volume abbastanza corposo (oltre 400 pagine nella versione a stampa), ha un ritmo lento, lento, troppo lento. Per oltre 350 pagine mi sono disperata, perchè non succedeva niente, niente, ma proprio niente.
L' ho già detto che non succedeva niente? Ecco.

La trama è scarsamente punteggiata di eventi. Il legame tra Margaret e Selina sorge molto lentamente (ho già detto che il romanzo è lento?), si sviluppa altrettanto lentamente e spesso sembra smarrirsi fra mille altri banali eventi della vita quotidiana di Margaret.

Ad un certo punto però, quando mancavano circa una quarantina di pagine alla fine, c' è stato un plot twist: è finalmente accaduto qualcosa e io mi sono trovata a girare le pagine febbrilmente per scoprire la verità. Ho letto dunque un bel finale, che, sebbene non si possa definire adrenalinico, ha lasciato il segno e mi ha piacevolmente colpito.
Il quesito inevitabile a questo punto è: è sufficiente un breve ma buon finale a riscattare 350 pagine e più di noia e di lentezza?
Inizialmente mi sono detta che il plot twist era stato così ben costruito che il libro nella sua interezza meritava di essere rivalutato. Ma poi, riflettendo ancora sulla questione, una vocina nella mia testa (sì, ho una vocina nella testa, anzi, più d'una ad essere sinceri, con cui parlo di libri, di solito) ha detto: e ci mancherebbe pure che il finale non fosse stato ben costruito! Dopo centinaia di pagine di nulla, passate ad affastellare uno sull'altro dettagli, minuzie e banalità quotidiane, il minimo che dovevo aspettarmi era che il finale giungesse ben preparato e adeguatamente inserito nel contesto. Quindi la risposta al quesito è no, questo finale è il minimo sindacale e non basta da solo a risollevare le sorti del romanzo.

Capisco la necessità di ricostruire con precisone l' ambiente sociale di Margaret e capisco altresì la necessità di ricostruire quello di Selina, che si muove tra il mondo dello spiritismo e quello della cialtroneria, ma oltre 350 pagine dedicate esclusivamente a costruire atmosfera e ambientazione sono troppe. Anche la vena mistery del romanzo emerge esclusivamente alla fine, senza che al lettore sia data la possibilità di immaginare e di intuire la soluzione del mistero, perchè esso si smarrisce in un mare di descrizioni lunghe, minuziose e per lo più inutili che rendono difficile cogliere il disegno di insieme di quello che si sta leggendo.

Ecco, credo che l' eccessivo perfezionismo nello scrivere questo romanzo dal sapore classico abbia finito per far smarrire all'autrice la visione d'insieme della sua storia, rovinando una romanzo che, con qualche corposo taglio ben assestato, poteva essere veramente splendido.

Voto:5

lunedì 12 marzo 2018

Il tempo della guerra. Saga di Geralt di Rivia...

...di Andrzej Sapkowski.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Nord

Dopo la caduta del regno di Cintra, Geralt di Rivia, strigo e guerriero dal personale codice etico, si è assunto il compito di vegliare sulla giovanissima Ciri, ultima erede al trono di Cintra, e portatrice del Sangue Antico degli Elfi. Dopo gli eventi narrati ne Il sangue degli elfi, Ciri è stata affidata a Yennefer, potente maga, che avrà il compito di addestrare il suo potenziale magico. Geralt scopre che tre sicari  stanno cercando la donna e la ragazza per ucciderle, e parte alla loro ricerca. Intanto Yennefer decide di portare la ragazzina sull'isola di Thanned, dove intende lasciarla in una accademia per giovani maghe, e dove crede che sarà al sicuro. Le trame dello spietato imperatore di Nilfgaard, però, hanno raggiunto e contaminato anche il Consiglio dei maghi, e nessuno è al sicuro sull'isola di Thanned.

La saga di Geralt di Rivia è composta da due raccolte di racconti (La spada del destino e  Il guardiano degli Innocenti) che fungono da introduzione del personaggio e degli avvenimenti, e da 5 romanzi più una ulteriore raccolta di racconti (La stagione delle tempeste) scritta nel 2013, dopo la conclusione della saga, che si colloca cronologicamente tra le prime due antologie.
Il tempo della guerra è il secondo romanzo della serie ed è preceduto, come accennato, da Il sangue degli elfi.
In questo volume troviamo Geralt alle prese con vari dilemmi. Primo fra tutti, cosa sia più giusto fare per proteggere la piccola Ciri da trame più grandi di lei. Le vicende che hanno legato il destino di Geralt a quello di Ciri sono complesse e le ragioni profonde. Geralt ha provato a proteggerla portandola alla fortezza degli strighi, Kaer Mohen, e addestrandola. Ma il potenziale magico della ragazzina si è rivelato tale da richiedere un addestramento specifico, per evitare danni alla giovane e a chi le sta intorno. La ragazzina parte alla volta dell'isola di Thanned con Yennefer, maga e grande amore tormentato di Geralt, il quale le raggiunge precipitosamente quando scopre che sono inseguite da tre sicari. A Thanned ancora una volta Geralt si troverà di fronte a delle scelte. C'è qualcosa nell'aria, la guerra incombe, l'impero di Nilfgaard con le sue mire espansionistiche non ha rinunciato a Ciri e a quello che lei rappresenta.
Il romanzo è abbastanza complesso.
L'ambientazione è quella di un fantasy classico medievaleggiante; armi, armature, avanzamento della tecnologia e nomi di luoghi e persone ci portano istitntivamente a pensare ai secoli bui dell'Europa del Nord e/o dell'Est (del resto l'autore è polacco, ed ha ampiamente attinto i miti della sua terra per costruire i suoi romanzi).
Geralt, uomo taciturno, forte, leale e dall'incrollabile codice etico, non è più il protagonista indiscusso. Crescono accanto a lui i personaggi di Yennefer (sempre più enigmatica) e di Ciri, giovane, spaurita, confusa, trascinata dalla corrente degli eventi ma decisa a non farsi travolgere.
I personaggi secondari sono molteplici, così come i luoghi visitati o soltanto nominati.
Non nascondo che nella prima metà del romanzo ho dovuto spesso fare ricorso a Wikipedia e ai volumi precedenti per capire chi erano i tantissimi  personaggi che comparivano sulla scena, e chi ce l'aveva con chi e perché. Inizialmente questo ha reso la lettura faticosa - complice il fatto che sono passati diversi anni da quando ho letto il volume precedente. Ma passata la prima metà del romanzo, la trama comincia improvvisamente a fluire nella sua incredibile bellezza e tragicità. Gli eventi precipitano, i nostri personaggi si trovano in pericolo e non sappiamo chi sopravvivrà e come. Ci toccherà restare con il fiato sospeso fino all'ultimissima pagina.
Intrighi, sangue e la crudeltà della guerra sono gli elementi portanti del romanzo, come nella più famosa saga Le cronache del Ghiaccio e del fuoco, ma ben prima che questa fosse scritta (il primo libro è uscito in Polonia nel 1992). Risplende per poco come una luce nel buio il grande amore tra Geralt e Yennefer, due personaggi che sembrano destinati a stare da soli, eppure trovano conforto nel loro sentimento reciproco.
Il libro è ben costruito; i dettagli sono curati, l'ambientazione viva e affascinante, i personaggi indimenticabili, veri, complessi e pieni di luci e ombre.
Perciò ritengo che gli appassionati di fantasy classico non possono perdere né questo libro né l'intera saga.
Voto: 7 e 1/2 

sabato 10 marzo 2018

Questa volta leggo #2: Belgravia...

... di Julian Fellowes.


Ben ritrovati per il secondo appuntamento con la rubrica Questa volta leggo.
Si tratta di un appuntamento fisso (o quasi) a cadenza mensile, nato da un'idea di Laura la libridinosa, Dolci di Le mie ossessioni librose, e Chiara La lettrice sulle nuvole, in cui un gruppo di blogger sceglie un tema comune e legge un libro scelto di conseguenza.
Il tema di questo mese è:
 
un libro che non sono riuscita a leggere nel 2017
 
La prima domanda che mi è salita in mente è stata: solo uno?!? Immagino che ogni lettore e ogni lettrice accaniti abbiamo liste chilometriche di libri in attesa. Con grande difficoltà, ne ho scelto uno dalla mia lista, così oggi vi parlerò di un libro che non avrebbe affatto meritato questa lunga attesa, ovvero Belgravia di Julian Fellowes.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Neri Pozza

Giugno 1815. La famiglia della giovane Sophia Trenchard è a Bruxelles al seguito delle truppe inglesi. Il padre è un abile mercante che riesce a procurare all'esercito i viveri di cui ha bisogno, tanto da venire soprannominato il Mago. Sophia, bella, testarda, intraprendente, è innamorata di Lord Edmund Bellasis, ben consapevole che le loro famiglie sono divise da un abisso dal punto di vista sociale.
Ma la battaglia di Waterloo è ormai imminente, e la guerra cambierà tutto...
Londra, 1840. I Trenchard sono tornati in Inghilterra, e ne hanno fatto di strada. Con le enormi ricchezze accumulate, la famiglia si è stabilita nell'elegante quartiere di Belgravia.
Ma le famiglie come quella di Lord Bellasis continuano a guardarli dall'alto in basso. Eppure, le famiglie Trenchard e Bellasis verranno presto unite, loro malgrado, da un segreto sepolto nel passato.

Julian Fellowes mi aveva divertito con Snob, e annoiato abbastanza con Un passato imperfetto; con questo romanzo, invece, mi ha regalato un libro perfetto sotto molti punti di vista.

La famiglia Trenchard deve la sua fortuna alla guerra e all'abilità di James, il capofamiglia, negli affari. Eppure James non è soddisfatto; è ossessionato dall'idea di scalare la società e di farsi accettare come un pari dalle famiglie aristocratiche di Londra. Questa sua smania a volte lo rende patetico, a volte ridicolo.
Sua moglie Anne, più tranquilla, sensata e riflessiva, trova assurda questa aspirazione del marito, ma decide di non ostacolarlo.
Sophia, invece, ha preso il temperamento intraprendente del padre, e per lei le barriere sociali sembrano fatte per essere infrante.
Il combinarsi di tutti questi elementi metterà in moto una serie di eventi che prenderanno il via durante il famoso ballo che la contessa di Richmond diede proprio alla vigilia della battaglia di Waterloo, e che fu bruscamente interrotto dalla notizia che le truppe francesi, capitanate da Napoleone, erano in marcia.
Gli eventi di quella sera continueranno a dispiegare i propri effetti anche a distanza di venticinque anni.

A questo romanzo non manca praticamente niente. Ci sono tragedie, segreti, intrighi e macchinazioni; buoni sentimenti e meschinità; ostacoli da superare e alleanze improbabili.
Durante la lettura si ha la curiosa sensazione di leggere un classico della letteratura inglese, e allo stesso tempo di essere alle prese con un romanzo attualissimo.
 
La trama è perfettamente concepita, e funziona come gli ingranaggi di un orologio. Ogni dettaglio ha un senso, un posto, una sua utilità e alla fine tutto torna. Nella narrazione ogni parola è misurata e niente è lasciato al caso. La raffigurazione di ogni scena è vivida, i dialoghi sono vivaci, il ritmo frizzante e l'ambientazione curatissima e credibile.

I personaggi sono ben tratteggiati, le loro motivazioni chiare e coerenti e costituiscono il motore per le intricate vicende che ruotano intorno a un segreto custodito da troppo tempo. Qua e là affiora l'ironia cui ci ha abituato l'autore, ma Julian Fellowes ha anche saputo sorprendermi con la incredibile delicatezza con cui ha tratteggiato i sentimenti dei personaggi di fronte al dolore e alla sofferenza.
Le famiglie Trenchard e Bellasis si trovano per la maggior parte del tempo l'una contro l'altra, eppure riesce difficile al lettore parteggiare per l'una o per l'altra, tanto sembrano sensate e reali le motivazioni di entrambe.
Una menzione speciale merita un personaggio che potremmo definire secondario, perché compare pochissimo nel romanzo, ma la cui ombra aleggia per tutta la storia. Perdonate la vaghezza della descrizione, ma vorrei evitare di fare spoiler. Questo personaggio finisce per essere, nonostante la sua assenza fisica dalla scena, quello più riuscito dell'intero romanzo, nonché quello più intenso e toccante.  E questo non è altro che un segno della incredibile maestria che Fellowes ha usato nel costruire i personaggi e intrecciare le loro vite.

Insomma, dal punto di vista tecnico, a mio modesto parere, questo romanzo è praticamente perfetto, ma resta un romanzo perfetto anche dal punto di vista narrativo. La storia intrattiene e scorre piacevolmente; gli ingredienti sono ben dosati; l'alternanza dei personaggi sulla scena stuzzica il lettore e non infastidisce, ma al contrario incuriosisce e spinge a leggere ad oltranza.

Insomma, una lettura che mi sento di consigliare davvero a tutti.
Voto: 8

Vi lascio il calendario di marzo della rubrica Questa volta leggo, per scoprire quali letture le nostre blogger hanno lasciato indietro.
 

venerdì 9 marzo 2018

Scarlet. Cronache lunari #2...

... di Marissa Meyer.

 La scheda del libro sul sito della Mondadori

Anno 126, Terza Era.  Scarlet, adolescente francese, è costretta ad abbandonare la sua fattoria dove vive per cercare la nonna, scomparsa senza lasciare traccia. L'unico che sembra disposto ad aiutarla è l'ambiguo Wolf, lottatore in combattimenti clandestini.
Intanto Cinder, cyborg che ha recentemente scoperto di essere la legittima erede al trono lunare, evade dalla prigione in cui è stata rinchiusa  insieme all'affascinante cadetto Carswell Thorne,  per partire alla volta di Parigi, alla ricerca della donna che in passato l'ha nascosta dalla malvagia regina Levana. Il suo destino si intreccia con quello di   Scarlet. Le due ragazze scopriranno di avere un nemico comune, Levana, che intanto, con la minaccia di una guerra disastrosa, cerca di indurre il principe Kai, sovrano del Commonwealth Orientale, a sposarla, per potersi così impadronire della Terra.
 
Se non avete familiarità con l'ambientazione della saga, leggete avanti, altrimenti saltate il capoverso a piè pari.
Il mondo in cui vivono Cinder e Scarlet è un mondo futuro, uscito da una disastrosa guerra nucleare globale. La Cina fa parte di una confederazione di Stati chiamato Commonwealth Orientale. Tra questa e le altre nazioni della Terra c'è pace. Quello che minaccia questa pace faticosamente raggiunta è la colonia lunare, abitata da una razza di umani che nel corso dei secoli sono mutati fino ad avere poteri psichici.
L'umanità è ancora molto provata dalla Quarta Guerra Mondiale e come se non bastasse, una misteriosa pestilenza, la letumosi, per cui sembra non esserci cura, decima la popolazione. Il regno lunare è una dittatura governata da una sovrana in egual misura pazza e malvagia. I cyborg non sono considerati veri esseri umani e sono in pochi a voler avere a che fare con loro.

Prosegue la storia della giovane cyborg Cinder, e prosegue la rielaborazione delle fiabe classiche ad opera dell'autrice. Se Cinder era ispirato a Cenerentola, Scalet è, come facilmente intuibile, ispirato a Cappuccetto Rosso. Ed è proprio nel retelling di questa fiaba che secondo me il libro perde la spontaneità e l'originalità che avevano caratterizzato il primo volume della serie.
Se Cinder mi aveva piacevolmente colpito per l'originalità di certi spunti e di certe idee, lo stesso purtroppo non posso dire di Scarlet.
 
Il libro inizia presentandoci la giovane Scarlet, adolescente francese che vive con la nonna in una fattoria nel sud della Francia. La nonna è scomparsa senza lasciare traccia, e Scarlet sembra essere l'unica seriamente preoccupata di questa sparizione. Né la polizia né i suoi concittadini sembrano darle molto credito a riguardo, fino a che Scarlet non si imbatte in Wolf, lottatore dal misterioso passato, che è l'unico disposto ad aiutarla.
Intanto Cinder continua la sua fuga insieme al capitano Thorne, ed è sempre più confusa ed indecisa su cosa sia meglio fare ora che ha scoperto la verità sul suo passato.
 
Mentre la parte della trama incentrata su Cinder tiene e funziona (sebbene io abbia trovato Thorne incredibilmente stupido, a tratti quasi una macchietta posta accanto alla cyborg per contrastarne la serietà e la vena di profonda tristezza e malinconia), gli eventi riguardanti Scarlet, novella Cappuccetto sulle tracce di una nonna scomparsa, che deve guardarsi da un branco di lupi molto pericolosi, mi hanno annoiata.  Il ritmo della trama a lei dedicata è lento; e il tira e molla con Wolf (attenzione, piccolo spoiler! mi fido- non mi fido- mi fido - non mi fido - ok, ti amo) incoerente e non bene argomentato. Evito di scendere in particolari per non spoilerare troppo.
 
L'eccesiva linearità e lentezza degli sviluppi coinvolgono comunque tutta la trama, non soltanto la parte dedicata a Scarlet, ma la storia di Cinder sembra risentirne meno, probabilmente grazie alla maggior solidità del personaggio, che si porta dietro una bella storia, delle discrete motivazione e anche una evoluzione psicologica interessante. Purtroppo lo stesso non si può dire di Scarlet. Mentre la storia di Cinder ha ancora molto da rivelarci, e ci riserva qualche sorpresa, quella di Scarlet sembra piuttosto prevedibile. Personalmente avevo capito ben presto dove saremmo andati a parare.
 
Altro problema di questo secondo volume, secondo me, è la figura dell'antagonista. La regina Levana, malvagia e potentissima, passa da personaggio capace di mettere i brividi a personaggio prevedibile e privo di spessore. Insomma, io non sono riuscita a capire perché Levana, che dispone di tecnologie avanzatissime e di uno stupefacente potere (quello di affascinare all'istante chiunque la guardi, rendendolo succube della sua volontà) abbia bisogno del principe Kai, o anche solo di una scusa per conquistare la terra. Non ha mai fatto mistero di essere avida e malvagia; non ha relazioni diplomatiche o apparenze da salvare; vuole la Terra. Perché non se la prende e basta?
A che serve il teatrino sposami sennò faccio un casino?
 
Mi spiace essere una voce fuori dal coro; la stragrande maggioranza  delle recensioni lette in rete trovano che Scarlet sia un libro addirittura migliore di Cinder. Secondo me invece questo romanzo segna un passo indietro rispetto al suo predecessore.
 Allo stesso tempo però, credo che sia presto per dichiarare conclusa la mia esperienza con le Cronache Lunari. L'ambientazione mi piace, e anche il personaggio di Cinder. Perciò credo proprio che leggerò anche Cress, il volume #3 della serie, in cui incontreremo una Rapunzel formidabile hacker informatica prigioniera su un asteroide. Sembra intrigante, ma staremo a vedere.
 
Voto: 6 (resta comunque un libro consigliato per chi ha amato Cinder)

lunedì 5 marzo 2018

Nel profondo della foresta...

... di Holly Black.

La scheda del libro sul sito della Mondadori

Lungo un sentiero che si addentrava nella foresta, oltre un ruscello e un tronco cavo brulicante di onischi e termiti, c’era una bara di vetro. Giaceva sulla nuda terra e dentro vi riposava un ragazzo con le corna in testa e delle orecchie affilate come coltelli. Per quel che ne sapeva Hazel Evans, da quello che le avevano detto i suoi genitori, e i genitori dei suoi genitori, il ragazzo era lì da sempre. E per quanto avessero provato, non si era mai più svegliato.
 
Hazel e suo fratello Ben vivono a Fairfold, una cittadina degli Stati Uniti dove il Popolo Fatato convive, non troppo pacificamente, con gli esseri umani. La vita della cittadina ruota intorno alle moltitudini di turisti che vengono a vedere il ragazzo dentro la bara di vetro. Hazel e suo fratello Ben hanno sognato fin da piccoli di poterlo risvegliare, ma ora sono adolescenti e si sono quasi rassegnati al fatto che potrebbe anche non accadere mai.
Finché un giorno, Hazel si sveglia coperta di fango, con le mani tagliuzzate da schegge di vetro; la bara nella foresta è stata infranta e il ragazzo è sparito...
 
Ho sentimenti contrastanti riguardo questo libro.
Sono stata rapita e affascinata dall'incipit, che ha il sapore e il linguaggio di una fiaba un po' inquietante; ho amato l'ambientazione, che ritengo una delle cose più riuscite del romanzo, ma alla fine della lettura non posso dire di essere pienamente soddisfatta.
 
Come detto, il linguaggio del romanzo è quello di una favola nera, un po' magica, un po' inquietante. A tratti però nella narrazione fanno irruzione toni da romance per young adults che mi hanno infastidito non poco, perché, secondo me, spezzavano l'atmosfera incantata che Black era riuscita a creare.
I protagonisti sono due adolescenti che fanno cose straordinarie, come per esempio combattere le creature del popolo fatato quando sconfinano, per così dire, e cercano di fare del male agli esseri umani. Accanto a questo avvincente racconto, però, irrompono le paranoie di Hazel, che ha un'ossessione per i ragazzi, e che passa metà del suo tempo a contare chi ha già baciato e chi no, e chi potrebbe baciare e perché, e quali conseguenze potrebbero avere i suoi flirt e così via. Sì, ok, tutto molto interessante (ma anche no), ma io vorrei sapere del Popolo Fatato. Della bara di cristallo. E del ragazzo con le corna.
Anche Ben non mi ha particolarmente entusiasmato come personaggio, ma ho trovato le sue motivazioni e la sua storia personale decisamente più interessanti di quelle di Hazel.
Se a ciò aggiungiamo che per circa 2/3 del libro il ritmo è molto, molto lento, costellato di flashback sicuramente utili per la comprensione dell'ambientazione e dei personaggi, ma che inevitabilmente rallentano il progredire della trama, potete immaginare perché non mi sia sentita particolarmente esaltata durante la lettura.
 
L'ambientazione, come già accennato, è intrigante e l'ho amata, anche grazie ai dettagli dei flashback che raccontano storie quasi più interessanti della trama stessa (come ad esempio la rielaborazione delle leggende sui changeling, i bambini rapiti dalle fate e sostituiti con appartenenti al Popolo Fatato).
 
Nel finale tutto comincia a succedere con molta velocità, ed il romanzo registra un notevole cambio di ritmo, che però porta, dopo un'eccessiva lentezza, ad un'eccesiva frenesia, secondo me.
Nel complesso il finale à buono, e la trama resta comunque interessante, magari non perfetta ma neanche da buttare via completamente.
 
Voto: 6 e 1/2

domenica 4 marzo 2018

Il giardino delle farfalle...

... di Dot Hutchison.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Newton & Compton

Maya, ragazza con un misterioso passato, viene interrogata dall'FBI. Insieme ad altre ragazze è stata appena liberata dal Giardino, un luogo all'apparenza bellissimo, verde e lussureggiante, dove però un uomo che si fa chiamare il Giardiniere imprigionava ragazze giovanissime per i suoi desideri perversi. Dopo aver tatuato loro ali di farfalla sulla schiena e dato loro un nuovo nome, cominciava per le ragazze una vita breve e costellata di violenze. Ma gli agenti dell'FBI che interrogano Maya pensano  che stia nascondendo qualcosa, e che il suo lungo racconto sia reticente.
 
Il giardino delle farfalle nasce come un lungo racconto che la giovane Maya fa agli agenti dell'FBI che cercano di saperne di più sul luogo chiamato Giardino e sull'uomo che se ne occupava. Il racconto di Maya è freddo, lucido  e privo di autocommiserazione o di orrore per quello che si è trovata a vivere. Rinchiusa per quasi due anni nel Giardino, Maya, in fuga da qualcosa di oscuro nel suo passato, sembra essere la persona adatta per rivelare i segreti della sua inquietante prigione. E così il lettore viene calato, un poco alla volta, nell'incubo claustrofobico creato dall'autrice.
La narrazione si svolge secondo due punti di vista; il primo è quello di un narratore impersonale in terza persona che ci descrive, con i tempi verbali al presente, le varie fasi dell'interrogatorio di Maya, tanto che al lettore sembra di essere dietro il falso specchio attraverso cui psicologi e analisti dell'FBI osservano le reazioni di Maya.
Il racconto vero e proprio delle sevizie, degli orrori e anche della banalità quotidiana del Giardino viene invece affidato alla voce di Maya, che narra in prima persona, snocciolando quasi senza emotività i tremendi ricordi della sua prigionia.
 
L'impianto sembra funzionare per quasi 100 pagine, ma poi miseramente crolla.
Infatti Il giardino delle farfalle è un thriller che funziona solo a metà; che promette molto ma mantiene poco o nulla. Gli elementi del thriller, come detto, crollano dopo la prima metà del libro, quando il lungo racconto di Maya e della sua prigionia in compagnia di una trentina di altre ragazze, comincia a farsi ripetitivo, lento e noioso: non ci sono novità o avvenimenti sufficienti a tenere alto il ritmo del romanzo, e anche quella inquietante cappa claustrofobica che l'autrice era riuscita a creare si spegne lentamente, soffocata dalla banalità sicuramente, ma anche dell'improbabilità di alcuni dettagli.
Tanto per cominciare, non sono riuscita a capire come sia fisicamente fatto il Giardino. Si tratta di un vero e proprio giardino, con macchie di alberi, una caverna, una cascatella, uno stagno, prati, e un lussuoso appartamento per il Giardiniere, oltre natuaralmente a stanze per trenta e più prigioniere, unite da una serie di corridoi con pareti insonorizzate che possono essere alzate e abbassate a piacere. Ecco, tutto ciò si trova sotto una gigantesca cupola di vetro. Accanto a questa (o forse sotto, non ho capito bene, onestamente) c'è un'altra cupola, un'altra gigantesca serra che contiene un giardino in cui il Giardiniere è solito passeggiare con la sua famiglia. Maya riesce a vederlo mentre passeggia con loro (e notate che tranne il figlio maggiore, gli altri membri non conoscono l'esistenza del Giardino).
Ecco, io mi chiedo come sia possibile. Come possa esistere una struttura tanto gigantesca, come possa non attirare l'attenzione perlomeno dei membri della famiglia, come possa essere che le ragazze non cerchino in ogni minuto di farsi vedere e sentire dalle persone all'esterno, come possa il dispiego di mezzi (viveri, luce, acqua, gas) per mantenere trenta ragazze passare inosservato per decenni... Sì, avete letto bene: il "gioco" del Giardiniere va avanti indisturbato da almeno trent'anni.
So benissimo che ci sono stati casi reali di persone segregate, purtroppo, per decenni, ma si trattava comunque di piccoli gruppi di persone e di solito erano rinchiuse in stanze segrete o scantinati. Di certo, non sotto una scintillante serra extra large.
 
Anche le ragazze e le loro reazioni non hanno un minimo di credibilità. Sanno di essere destinate alla morte, perché il Giardiniere le uccide dopo cinque anni di prigionia, ma sono totalmente soggiogate da lui. E questo mi starebbe pure bene se si capisse come esattamente lui riesca a renderle immediatamente succubi ed estremamente docili persino di fronte alla morte, persino nel momento in cui viene a prelevarle per ucciderle. Ma questo resterà un mistero, forse il più misterioso di tutti. 
 
Anche la ricerca della verità, che da al romanzo un'anima "gialla", di mistery, per così dire, viene tradita, ma questa volta nel finale, dove arriva sì la tanto attesa rivelazione, ma arriva anche la grande delusione, poiché la rivelazione è insoddisfacente e improbabile come tutto il resto. La Grande Rivelazione™, infatti, riguarda uno dei personaggi secondari che più secondari non si può, e pertanto l'unica esclamazione che mi ha suscitato è stata "e chisseneimporta?".
 
Peccato.
Voto: 4