mercoledì 27 novembre 2019

Le spose sepolte...

... di Marilù Oliva.

Dove sono finite quelle donne misteriosamente sparite da anni, mogli e madri di cui i mariti sostengono di non sapere nulla? Uno dopo l’altro, i loro resti vengono ritrovati grazie a un killer implacabile che costringe chi le ha fatte scomparire a confessare dove si trovano le loro ossa e poi uccide i colpevoli, sempre assolti dai tribunali per mancanza di prove. Il rituale è feroce e spietato: l’assassino vuole così rendere giustizia alle spose sepolte. I pochi indizi lasciati sulla scena del crimine conducono a un piccolo paese, Monterocca, soprannominato la Città delle Donne, un territorio nell’Appennino bolognese circoscritto da mura ed elementi naturali, governato da una giunta completamente al femminile. Il team investigativo, in cui spicca la giovane ispettrice Micol Medici, si trova catapultato in una realtà di provincia quasi isolata dal mondo, con una natura montana che fa da contorno e molti misteri avvolti nella nebbia. Un inquietante enigma conduce gli inquirenti al Centro Studi Rita, un’azienda farmaceutica che sta sintetizzando un anestetico speciale: lo stesso utilizzato dal serial killer come siero della verità per far confessare i colpevoli. Ma quanti altri segreti si nascondono dentro i confini del piccolo paese? Solo Micol ha l’innata capacità di scoprirli, anche se questo potrebbe costarle la vita…(Sinossi dal sito della casa editrice HarperCollins).

Dopo aver letto Musica sull'abisso, della stessa autrice, mi era rimasta la curiosità di scoprire qualcosa sul passato di Micol Medici, e perciò ho recuperato Le spose sepolte.

Marilù Oliva ci racconta la storia di un serial killer; il genere è ultimamente inflazionato, ma la bravura dell'autrice sta nell'aver introdotto nella narrazione un elemento originale ed intrigante. Il serial killer sulle cui tracce si metterà Micol Medici con la sua squadra è uno spietato assassino, sì, ma sceglie le sue vittime tra coloro che sono fortemente sospettati di aver ucciso e fatto sparire le proprie mogli, ma sono riusciti a farla franca per mancanza di prove. Il misterioso killer riesce anche a far confessare alle sue vittime dove si trovano i poveri resti di coloro che hanno ucciso, permettendo di dare una pietosa sepoltura a persone scomparse magari da anni.

Mi è piaciuta questa dicotomia presente nella figura dell'assassino, che è sì spietato, ma mosso da una sorta di volontà di ristabilire, a modo suo, la giustizia. Certo un killer così tratteggiato fa riflettere. Ma quello che ho apprezzato di più è stato che, nonostante il serial killer sia una sorta di vendicatore per le vittime di un crimine odioso e purtroppo diffuso, mai ho avuto l'impressione che l'autrice lo giustificasse, o parteggiasse per lui. Insomma, due torti non fanno una ragione e uccidere a sangue freddo un assassino non fa di te un eroe; in un periodo storico in cui armarsi e farsi giustizia da soli sembra essere la panacea universale, ho apprezzato questo equilibrio narrativo.

Altro elemento che ho apprezzato, è stata l'ambientazione nel paesino di Monterocca. La città di sole donne, come ha avuto a chiarire l'autrice durante una presentazione cui ho avuto la fortuna di assistere, è un'utopia (nel presente) e allo stesso tempo un sfida (per il futuro).
Nell'economia del romanzo rappresenta invece, secondo me, un altro aspetto della dicotomia che ho rilevato prima riguardo al serial killer.
Monterocca è un posto idilliaco, eppure nasconde segreti.
Queste ambiguità fatte di luci e ombre, dubbi e certezze, mi sono piaciute molto, e credo sia grazie ad esse se ho trovato la lettura così stimolante.
Insomma, ho trovato l'ambientazione veramente ben costruita e dettagliata, ed è stata una delle cose che ho apprezzato di più nel romanzo.

Interessanti i personaggi, ben delineati anche quelli secondari.

Anche la trama è buona, con un finale all'altezza delle premesse.

Voto: 7

martedì 26 novembre 2019

Gli scomparsi di Chiardiluna. L'attraversaspecchi #2...

.... di Christelle Dabos.

Sulla gelida arca del Polo, dove Ofelia è stata sbattuta dalle Decane perché sposi suo malgrado il nobile Thorn, il caldo è soffocante. Ma è soltanto una delle illusioni provocate dalla casta dominante dell’arca, i Miraggi, in grado di produrre giungle sospese in aria, mari sconfinati all’interno di palazzi e vestiti di farfalle svolazzanti. A Città-cielo, capitale del Polo, Ofelia viene presentata al sire Faruk, il gigantesco spirito di famiglia bianco come la neve e completamente privo di memoria, che spera nelle doti di lettrice di Ofelia per svelare i misteri contenuti nel Libro, un documento enigmatico che nei secoli ha causato la pazzia o la morte degli incauti che si sono cimentati a decifrarlo. Per Ofelia è l’inizio di una serie di avventure e disavventure in cui, con il solo aiuto di una guardia del corpo invisibile, dovrà difendersi dagli attacchi a tradimento dei decaduti e dalle trappole mortali dei Miraggi. È la prima a stupirsi quando si rende conto che sta rischiando la pelle e investendo tutte le sue energie nell’indagine solo per amore di Thorn, l’uomo che credeva di odiare più di chiunque al mondo. Sennonché Thorn è scomparso...(Sinossi dal sito della casa editrice Edizioni E/O)

Dopo il primo volume, Fidanzati dell'Inverno, ritorna la saga fantasy con protagonista la giovane Ofelia, attraversaspecchi e lettrice di oggetti di professione, incastrata in un ambiente che non è il suo e minuscolo ingranaggio di intrighi politici di portata planetaria.
Ofelia vive in una Terra che, dopo un misterioso disastro, si è diviso in frammenti galleggianti detti arche; per soddisfare il bisogno di una alleanza fra arche, è stata promessa in sposa all'enigmatico e introverso Thorn, e catapultata in una società fatta di cortigiani, che vivono di intrghi, tradimenti, bugie e colpi bassi, necessari a mantenere il favore del distratto ma potentissimo Faruk, una sorta di capotribù degli abitanti dell'arca del Polo.

Gli scomparsi di Chairdiluna si rivela, fin dalle prime pagine, all'altezza del romanzo che lo precede.
L'ambientazione, che ritengo essere il punto di forza di questa saga, viene approfondita e arricchita di particolari che riguardano non solo il presente di questo mondo strano e fragile, ma anche il passato. Devo sottolineare che le informazioni riguardo il periodo precedente al disastro che ha frantumato il mondo sono intriganti, e dosate con sapiente moderazione. I flashback creano un'atmosfera di aspettativa e curiosità, e invogliano il lettore a proseguire.
Non che ce ne fosse bisogno, per quel che mi riguarda. La trama è più articolata ed interessante del precedente volume; si nota però una certa tendenza dell'autrice a diluire rivelazioni e informazioni nella prima parte del romanzo, cosa che avevo notato anche durante la lettura del primo volume della serie. Questo tende a far sì che circa metà del libro abbia un ritmo lento; a volte la mancanza di comunicazione tra i personaggi raggiunge livelli eccessivi. Questo può risultare frustrante per il lettore, perchè è evidente che tale espediente ha il solo scopo di non arrivare troppo rapidamente a svelare gli elementi fondamentali che compongono la storia.   
La seconda metà invece risulta essere più dinamica e perciò anche più scorrevole.

La trama resta originale e introduce nuovi personaggi e nuove ambientazioni. Una menzione particolare merita Farouk, guida dei clan che popolano Polo, che con la sua memoria ondivaga e i suoi poteri mentali fuori controllo rende inquietante l'atmosfera e getta numerose ombre sul futuro di Ofelia e Thorne.

Gli scomparsi di Chiardiluna non fa che conferma la buona impressione che già avevo avuto leggendo Fidanzati dell'Inverno. Questa serie è originale, interessante, sa intrattenere il lettore e portarlo dentro mondi nuovi che sono tutti da scoprire.
Il senso di meraviglia e di attesa che Christelle Dabos riesce a trasmettere mentre narra la sua storia è la parte migliore del romanzo.

Voto: 7e 1/2

Penelope Poirot fa la cosa giusta...

... di Becky Sharp.

Con il sangue che le scorre nelle vene, Penelope Poirot sprizza talenti: la vocazione per risolvere misteri, la propensione a vivere artisticamente, il palato fine e la penna feroce di una critica gastronomica perfetta.
La passione, si sa, quando arde divora, e Penelope Poirot è provata nello spirito quanto ammorbidita nel corpo; stile Botticelli, dice lei, stile krapfen, pensa e non dice Velma Hamilton, la sua nuova, perplessa segretaria.
È il momento di cambiare, di partire: c’è una clinica salutistica, nelle colline del Chianti, che promette di depurare corpo e mente.
Ha un bel sapore gotico, avvolta così dai rampicanti, stemperato dalla luce dorata che occhieggia dalle persiane.
A cena il cibo è mesto, ma il bellissimo giardiniere sa come fartelo dimenticare. La donna alta e misteriosa scatena rivalità, odio e simpatia; la famosa scrittrice il desiderio insopprimibile di rubarle il marito.
Penelope non rinuncia al tacco dodici e alla volpe bianca neppure quando trascina Velma ad abbandonare ogni principio in osteria, e basta una pasticca alla violetta per coprire un altro vizio clandestino.
Poi, nelle sedute libido-dinamiche, scavano tutti insieme buche immaginarie per disseppellire i segreti. Operazione non priva di rischi: certi segreti, allo scoperto, esplodono.
C’è odore di gelo nell’aria di novembre, e il delitto, quando accade, è sulla neve bianca.
Neve che cade imperterrita sull’assassino, sulle prossime prede, sulla nuova trappola.
Con il sangue che le scorre nelle vene, Penelope Poirot non ci casca.
In certi casi, solo lei sa qual è la cosa giusta. (Sinossi dal sito della casa editrice Marcos y Marcos)

Ci sono pochi personaggi , nella mia lunga carriera di lettrice, che fatico a lasciar andare. Una, forse lo sanno anche i sassi, è Rossella O'Hara, ragion per cui ho letto tutti i sequel possibili e immaginabili di Via col vento ( e mene sono epntita in tutti i modi possibili e immaginabili).
Un altro personaggio è Hercule Poirot, delle cui abilità deduttive non riesco a far a meno. Dopo aver letto Tre stanze per un delitto, che non sarà all'altezza della Christie, ma non è male, ho deciso di lanciarmi in questa nuova avventura, e fare la conoscenza della pronipote di Hercule Poirot.

Penelope Poirot è un personaggio decisamente sopra le righe; ha una altissima - ma scarsamente meritata, secondo me - opinione di se stessa; invadente, intrigante e convinta di sapere sempre tutto, si dedica con passione al mestiere di critica culinaria. Quando decide di partire per l'Italia per una cura disintossicante, prende con sè una segreteria, Velma Hamilton, discreta e poco appariscente giovane donna inglese.

Il romanzo non mi è piaciuto granchè. Non saprei dire se si tratti di aspettative deluse, o se più semplicemente Penelope Poirot sia riuscita a toccare tutte le corde che mi causano fastidio in un libro.
Tanto per iniziare, la protagonista non mi ha ispirato nè simpatia nè ilarità.
L'ho trovata insulsa, odiosa nelle sue manie di grandezza, e anche parecchio illusa riguardo se stessa e il mondo che la circonda. Ho preferito di gran lunga Velma, la segreteria poco appariscente, che avrebbe avuto del potenziale, secondo me, se non fosse rimasta eccessivamente incastrata, anche grazie a dei flashback piuttosto incolori, nello stereotipo della zitella inglese timida e bruttina.
Oltretutto ho odiato il modo in cui è stata tiranneggiata da Penelope per tutta la durata del romanzo.

La trama non mi ha affascinato molto; la causa principale è da ricercarsi nel fatto che per intravedere una vittima, un delitto ed uno straccio di indagine ho dovuto attendere quasi metà del libro (150 pagine su 336). Decisamente troppo, per i miei gusti.
Mentre attendevo la svolta gialla, per così dire, mi sono annoiata parecchio. L'ambientazione (una clinica salutistica, le colline toscane a novembre) era potenzialmente intrigante ma a conti fatti si è rivelata piatta, a tratti deprimente. 
I personaggi secondari sono piatti e banali; fatta eccezione per due o tre di loro, ho faticato a distinguere gli uni dagli altri;  la maggior parte appariva palesemente messa in scena a far numero, ed era evidente che non sarebbero mai potuti rientrare nel novero dei sospettati dell'omicidio.
L'indagine non costituisce una sfida per il lettore, ed il finale, sebbene ci regali un guizzo di umanità che illumina la protagonista, è inconsistente e totalmente inappagante. 

Salvo lo stile, piacevole e scorrevole, dell'autrice.

Voto: 5

La Fattoria delle Magre Consolazioni...

... di Stella Gibbons.

Flora Poste è stata educata in modo eccellente a fare tutto tranne che a guadagnarsi da vivere.
Rimasta orfana a vent’anni e dotata di una rendita esigua, va a vivere presso dei lontani parenti alla Fattoria delle Magre Consolazioni nel Sussex. Il suo arrivo alla fattoria coincide con l’inizio di uno dei romanzi più divertenti mai scritti. I parenti sono a dir poco eccentrici e la fattoria è sgangherata e in rovina: i piatti vengono lavati con rametti di biancospino e le mucche hanno nomi come Rozza, Senzascopo, Inetta e Superflua. La vecchia matriarca settantanovenne, zia Ada, che non è più stata giusta nella testa da quando ha “visto qualcosa di orribile nella legnaia” circa settant’anni prima, tiene in scacco l’intera famiglia.
Come Alice di Lewis Carroll, Flora non si fa intimidire da chi dice cose senza senso e si rifiuta di essere trascinata in un mondo di matti. Non si può, pensa Flora, rovinare la vita propria e altrui invocando disgrazie infantili, non si può sottostare alla follia per quanto interessante, bisogna ribellarsi… e nel giro di pochi mesi le cose alle Magre Consolazioni cambiano in modo radicale. (Sinossi dal sito della Astoria Edizioni)

Prima o poi doveva succedere: per la prima volta un romanzo della mia casa editrice preferita, la Astoria, mi ha lasciato perplessa, molto perplessa.

La Fattoria delle Magre Consolazioni racconta la storia di Flora, ragazza sveglia e intelligente, che rimane orfana e senza un adeguato patrimonio a sostenerla. Unica soluzione, quella di cercare ospitalità presso lontani e sconosciuti parenti. Questi parenti si riveleranno a dir poco bizzari, e Flora tenterà di mettere ordine nelle loro vite.

Nelle prime pagine, con pungente ironia, l'autrice ci presenta la protagonista intenta a discutere con un'amica su quale sia il modo migliore per evitare di dover lavorare per vivere. E questo sarcasmo irrriverente, tipico degli autori inglesi, mi aveva fatto ben sperare per il prosieguo della storia. Peccato però che tutte le mie aspettative siano andate completamente deluse pagina dopo pagina.

La storia narrata nel romanzo è composta di piccoli eventi familiari che Flora tenta di indirizzare come desidera al fine di ottenere il suo scopo, ovvero quello di rendere confortevole il suo soggiorno alla fattoria. Ogni evento, però, è surreale e assurdo, i personaggi sono anch'essi surreali e per lo più risultano incomprensibili. Fanno cose prive di senso e di logica, impugnano oggetti che non esistono, hanno piante dai nomi bizzarri e sconosciuti (e il lettore non capirà mai cosa sono esattamente), reagiscono in maniera irrazionale a tutto ciò che capita.Tutto questo dovrebbe essere divertente, anzi, a sentire la casa editrice questo dovrebbe essere uno dei romanzi più divertenti mai scritti, ma onestamente io non sono riuscita a trovare un filo conduttore nelle vicende, ad afferrare le gag che dovrebbero essere divertentissime, a ridere di personaggi sconclusionati e assurdi.
C'è un lavorante che lava i piatti con un rametto di biancospino (sto ancora cercando di raffigurarmi la scena, e non ci riesco); una pianta dagli strani effetti chiamata succhiodendro (che cosa sia, non lo sapremo mai); ad un certo punto addirittura la protagonista usa, in un contesto temporale non meglio specificato ma che richiama in tutto e per tutto l'Inghilterra degli anni '30, un video telefono, che spunta così, dal nulla a metà romanzo e non comparirà mai più. Fino a quel momento ogni comunicazione era avvenuta via lettera, come nella miglior tradizione inglese. Ecco, questi sono solo alcuni esempi di cose che io ho trovato incomprensibili, cervellotiche e per nulla divertenti.

Forse parte del problema sta, come spesso mi capita, anche nel modo in cui il libro viene proposto al lettore: non credo abbia molto senso presentare un romanzo così particolare come uno dei più divertenti mai scritti, se non si precisa che tipo di divertimento il lettore andrà a trovare.

Per me questo romanzo è stato troppo: troppo surreale, troppo sconclusionato, troppo illogico, troppo incomprensibile, troppo nonsense per me. E troppo poco divertente.
Ben presto, infatti, è subentrata la noia. La cosa più piacevole del romanzo è stata la sensazione di sollievo quando l'ho finito.

Non escludo, comunque, visto che sono 80 che questo romanzo viene pubblicato e, a quanto pare, affascina lettori di ogni epoca, che il problema sia mio, che sia io quella che non è riuscita ad afferrare il senso del romanzo, restandone perciò delusa.

Voto: n. c.

domenica 27 ottobre 2019

Morte nelle Highlands...

... di Lucy Foley.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Giunti

Come ogni anno Emma, Mark e i loro amici trascorrono l’ultimo dell’anno insieme. Per Emma, l’ultima arrivata, l’unica a non aver frequentato Oxford con gli altri, è l’occasione per fare bella figura e integrarsi nel gruppo. Ma qualcosa va storto nell’esclusivo cottage che si affaccia sulle gelide acque di Loch Corrin. Sui boschi già imbiancati si abbatte la peggiore tempesta di neve degli ultimi tempi e poi, improvvisamente, uno degli ospiti scompare. Le condizioni meteo sono così proibitive che i soccorsi non possono arrivare e nessuno può andare via. Quando l’ospite viene ritrovato – morto – tutti sono dei potenziali sospettati. Ci sono Heather, la manager del resort, Doug, l’ex marine ora guardiacaccia, una inquietante coppia di islandesi e poi gli amici: Miranda e Julien, tanto belli quanto snob, Samira e Giles con la loro bambina di 6 mesi, Nick e il suo fidanzato americano, e infine Katie, l’unica single del gruppo. Chi è l’assassino? Ma, soprattutto, chi è la vittima? Nella migliore tradizione del giallo alla Agatha Christie, Lucy Foley sfida il lettore a scovare la verità in una fitta rete di intrighi e bugie. Una lettura compulsiva e ricca di colpi di scena.

Nove amici decidono di festeggiare il l' arrivo del nuovo anno in un lussuoso resort sulle Highlands. E, dal mio punto di vista, questa ambientazione già vale da sola il costo del romanzo. 
L'ambientazione è davvero ben fatta ed estremamente adatta al tipo di storia che Foley si appresta a raccontarci. La neve cade e rende un posto particolarmente isolato irrangiungibile e inquietante. Non aiuta a sollevare il nostro senso di angoscia il fatto che i protagonisti siano nove amici di lunga data, affiatati (almeno all'apparenza) tra di loro. Anzi, la vicenda prende, proprio per questo, tinte ancora più fosche.
Gli amici si conoscono da una vita, hanno ricordi e un passato in comune, eppure, anno dopo anno, si rendono conto che questo tipo di raduno comincia a star loro stretto. Sono cresciuti, sono cambiati, non sono così disposti a perdonarsi l'uno altro errori e piccole cattiverie; alcune cose sepolte nel passato, poi, cominciano a tornare a galla, e bisognerà farci i conti. 
Il passato che ritorna è uno degli elementi che preferisco nei thriller. Trovo che crei un senso di profondo mistero intorno alle vicende e ai personaggi.
 
Aumenta il senso di mistero e di paura anche il fatto che l'autrice abbia scelto di narrarci la storia alternando capitoli che raccontano il prima della scomparsa a capitoli che raccontano il dopo. Il tutto senza farci sapere chi sia la persona scomparsa, e cosa esattamente le sia accaduto.
Anche i punti di vista dei vari personaggi vengono alternati e questo ci aiuta ad avere una visione d'insieme ampia e varia, e ci permette di scoprire qualcosa di più sui vari componenti del gruppo. Ognuno di loro ha segreti e peccati da confessare, che il lettore scopre con crescente sgomento e che aiutano a dare spessore ad ognuno dei nove amici, che pertanto risultano ben delineati e credibili.
I personaggi esterni alla cerchia di amici, Heather e Doug in particolare, invece, mi hanno lasciato perplessa. Credo che l'amalgama dei due e del loro passato con le storie dei nove protagonisti non sia perfettamente riuscita. Questo ha, in alcuni punti, spezzato il ritmo della narrazione (specie laddove si faceva riferimento al passato dei due). 
Inoltre ho notato che il romanzo, per quanto ben strutturato, in alcuni tratti diventa prolisso. Un po' di sintesi non avrebbe guastato.

A metà strada fra un giallo di Agatha Christie, con i personaggi intrappolati in uno spazio ristretto, e un thriller di taglio moderno, Morte nelle Highlands è, nel complesso, un romanzo ben fatto, che regala momenti di suspense e una bella e claustrofobica atmosfera di mistero.

Voto: 7 e 1/2
 

Il pianto dell' alba. Ultima ombra per il commissario Ricciardi...

... di Maurizio de Giovanni.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Einaudi.

Tutto il dolore del mondo, è questo che la vita ha riservato a Ricciardi. Almeno fino a un anno fa. Poi, a dispetto del buonsenso e delle paure, un pezzo di felicità lo ha preso al volo pure lui. Solo che il destino non prevede sconti per chi è condannato dalla nascita a dare compassione ricevendo in cambio sofferenza, e non è dunque su un omicidio qualsiasi che il commissario si trova a indagare nel torrido luglio del 1934. Il morto è l’uomo che per poco non gli ha tolto la speranza di un futuro; il principale sospettato, una donna che lo ha desiderato, e lo desidera ancora, con passione inesauribile. Cosí, prima di scoprire in modo definitivo se davanti a sé, ad attenderlo, c’è una notte perenne o se ogni giorno arriverà l’alba con le sue promesse, deve ancora una volta, piú che mai, affrontare il male. E tentare di ricomporre, per quanto è possibile, ciò che altri hanno spezzato.

Il pianto dell' alba, come sicuramente saprete tutti, è l'ultimo romanzo della serie dedicata all'amatissimo commissario dagli occhi verdi, creato dalla penna, sempre partuicolarmente ispirata quando si tratta di lui, di Maurizio de Giovanni.
Il personaggio di Ricciardi è uno di quelli che non vivono solo nelle pagine dei libri, che sono scritti e immaginati talmente bene che diventano reali, amici che magari non vedi spesso ma sai che sono lì, e sai cosa pensano, come ragionano, cosa stanno per dire.
De Giovanni ci ha regalato questo, negli ultimi anni, e non posso che essergliene grata e rispettare la sua decisione di dare una conclusione alle storie del suo personaggio.
Se vogliamo, ragionando lucidamente, questa è sempre la scelta migliore: ogni storia ha una fine, e evitare di scriverla solo per far contenti i fan non sarebbe stato giusto. Ciò non toglie che sentirò, terribilmente, la mancanza di Luigi Alfredo Ricciardi.

Tutto questo fiume di parole per dire semplicemente che ho dovuto attendere un po' prima di avere il coraggio di prendere in mano il romanzo, perchè sapevo sarebbe stato l'ultimo, ed averlo sul comodino ancora da iniziare serviva a rimandare il momento del distacco.
Ad un certo punto però, tra spoiler schivati per un pelo, nostalgia del personaggio e curiosità di sapere cosa gli accadeva nell' ultimo volume, ho deciso che era giunto il momento.


E come direbbe il buon re Theoden, e così ha inizio. Con questo spirito ho iniziato a leggere l'ultima avventura del commissario Ricciardi.
A chi non lo conoscesse e desiderasse saperne di più,  consiglio di partire da qui.

Il romanzo è all' altezza degli altri, se non addirittura superiore, e costituisce una degna conclusione per le vicende che hanno visto protagonista il commissario.
Il caso di omicidio che questa volta Ricciardi deve risolvere coinvolge due persone che sono state, suo malgrado, una presenza costante nella sua vita: la bellissima Livia, vedova Vezzi, innamorata (o meglio, ossessionata) dal protagonista fino al punto di tentare di distruggerlo qualche volume fa, e Manfred, l'uomo che avrebbe voluto sposare Enrica e portarla via con sè.
Non dirò altro della trama, perchè per il lettore affezionato sarà un piacere scoprire cosa sta accadendo nella vita di Ricciardi, e la bellezza struggente del romanzo sta nel sentire l'ombra (citata anche dal sottotitolo) salire, addensarsi e poi dispiegarsi.
Dirò soltanto che il caso di omicidio è intrigante, non solo perchè ben ideato, ma anche perchè strutturato per coinvolgere  tutti i personaggi che circondano il protagonista. Il fatto poi che si tratti di qualcosa che riguarda il commissario Ricciardi anche a livello personale rende la storia ancora più coinvolgente e struggente. 

Lo stile di de Giovanni è quello lirico a cui siamo abituati, ma questo non è di intralcio alla scorrevolezza della lettura. Le immagini create dallo scrittore hanno un forte impatto che definire quasi visivo, e aiutano a visualizzare la parola scritta come raramente capita. 
Nel finale de Giovanni dà il meglio di sè, costruendo un epilogo che non dimenticheremo facilmente. Da lettrice, sono rimasta positivamente impressionata, mentre da fangirl... beh, avrei qualcosa da ridire.

Con questo romanzo de Giovanni non fa sconti ai suoi personaggi, e non ne fa ai suoi lettori. Il dolore, compagno costante del commissario Ricciardi, non scompare per magia solo perchè dobbiamo salutare il personaggio che abbiamo amato.
Da  questo punto di vista de Giovanni è coerente e costruisce una trama perfettamente integrata nella serie, lucida, coinvolgente ed esaustiva.
Ci darà le risposte che attendevamo da tempo, ma forse non saranno le risposte che volevamo sentire. 

Voto: 9

sabato 26 ottobre 2019

Il coraggio della signora maestra, ovvero Storia partigiana di ordinario eroismo...

... di Renzo Bistolfi.

La scheda del libro sul sito della casa editrice TEA

Genova, 1944. Nelle fasi convulse dell'occupazione tedesca, la giovane Vittoria Barabino, sfollata in collina con la figlia, mentre il marito è rimasto in città a lavorare in fabbrica, non esita a unirsi alla Resistenza e a prodigarsi come staffetta. Con coraggio e determinazione riuscirà a sventare una feroce rappresaglia nazista, ma nulla potrà quando suo marito insieme ai compagni di lavoro verrà caricato su un treno diretto in Germania…
Sestri Ponente, 1961. La maestra Barabino parla malvolentieri del suo passato, ma non sono pochi quelli che ricordano il suo eroismo. E quando casualmente, in una ricorrenza in parrocchia, persino il vescovo vi fa cenno, molti si incuriosiscono, ammirati. Qualcuno, invece, si spaventa. Qualcuno che ha qualcosa da nascondere che risale proprio agli ultimi mesi di guerra… Aiutata dalle ineffabili signorine Devoto, la signora maestra dovrà affrontare, una volta per tutte, i fantasmi del passato, memorabile protagonista di un romanzo che racconta con amabile levità una vicenda drammatica in cui si rispecchiano tante storie di ordinario eroismo dimenticate dalla Storia.

Questo è un romanzo che mi è capitato tra le mani quasi per caso, e, come spesso accade, si è rivelato essere una piccola perla intelligente e divertente. Avevo già letto, anni fa, il romanzo di esordio di Renzo Bistolfi, I garbati maneggi della signorine Devoto e, sebbene lo avessi trovato piacevole, mi era sembrato un romanzo un tantinello ingessato, a cui mancava quel pizzico di leggerezza per spiaccare il volo.
Ecco, ne Il coraggio della signora maestra questi difetti sono completamente scomparsi.
Il romanzo è piacevole, condito da un'ironia leggera ed intelligente che rende le pagine scorrevoli e la lettura gradevole.

La storia si svolge su due piani temporali. Nel 1944 incontriamo la protagonista, Vittoria Barabino, giovanissima, coinvolta in operazioni della Resistenza partigiana. Nel 1961 Vittoria, ormai matura, deve nuovamente fare i conti con le vicende della guerra. Mentre, però, nel 1944 la giovane si trova da sola ad affrontare i pericoli della lotta partigiana, nel 1961 trova al suo fianco un improbabile trio di investigatrici, le tre anziane sorelle Devoto, colonna portante della società di Sestri Ponente, e acute conoscitrici dell'animo umano.
Le signorine Devoto, Santa, Mariannin e Siria, sebbene questa volta non siano le protagoniste del romanzo, sono semplicemente deliziose. Compite, educate e con un rigido codice morale che non le rende nè ottuse nè bigotte, ma semplicemente le guida sempre verso la strada giusta.
Le signorine Devoto rappresentano quel mondo in cui le buone maniere erano fondamentali nel relazionarsi col prossimo; un mondo in cui i problemi non si risolvevano a colpi di polemiche e violenza verbale, ma con la forza del buon senso.
Ecco, accanto a questa delicata rappresentazione degli anni '60, abbiamo quella degli ultimi anni della guerra, periodo in cui il buon senso e le buone maniere servivano decisamente a poco.
Quello era un mondo impazzito che crollava sotto il peso degli orrori dei regimi totalitari.
Il romanzo ha il pregio di raccontare con leggerezza e semplicità episodi tragici della nostra storia. Bistolfi parte da fatti realmente accaduti e li piega con maestria alle esigenze narrative. La sua penna sembra particolarmente ispirata mentre dipana la storia di ordinario eroismo di una ragazza qualunque. Non c'è enfasi, nella narrazione, nè toni trionfalistici; solo l'ineluttabilità delle scelte di chi vive secondo un codice morale che non si piega alla paura, alla dittatura e ai pericoli.

Nonostante il garbo con cui la storia viene narrata, Bistolfi riesce ad instillarci un senso di urgenza e di ansia durante la lettura; sebbene sapessi che in qualche modo la maestra Barabino era sopravvissuta alla guerra, la storia ambientata nel '44 è avvincente e avvolgente.
Per quel che riguarda invece le vicende che si svolgono nel 1961, la sensazione dominante è stata la curiosità, alimentata dai ragionamenti logici delle signorine Devoto, che mettono a segno qualche colpo deduttivo degno di Miss Marple. 
In alcune occasioni Santa, la più acuta delle tre, me l'ha ricordata, e ciò mi ha piacevolemente colpito.

Le narrazioni sui due piani temporali sono perfettamente alternate e ben dosate. Passando dall'una all'altra non ho mai avuto un senso di straniamento o di confusione, tutt'altro. L'autore è riuscito a rendere gli eventi che si svolgono in due momenti diversi parte di un'unica storia omogenea.

In conclusione, si tratta di un libro che è stato una gradevole sorpresa. Consigliato.
Voto: 8

Aurora nel buio...

... di Barbara Baraldi.

  La scheda delk libro sul sito della casa editrice Giunti.

 ''Aurora nel buio'' è il thriller di Barbara Baraldi che racconta di Aurora, una poliziotta che indaga e agisce fuori dalle regole per salvare la piccola Aprile ed evitare nuovi omicidi. Aurora Scalviati era la migliore, fino al giorno di quel conflitto a fuoco, quando un proiettile ha raggiunto la sua testa. Da allora, la più brava profiler della polizia italiana soffre di un disturbo bipolare che cerca di dominare attraverso i farmaci e le sedute clandestine di una terapia da molti considerata barbara: l'elettroshock. Quando per motivi disciplinari Aurora viene trasferita in una tranquilla cittadina dell'Emilia, si trova di fronte a uno scenario diverso da come lo immaginava. Proprio la notte del suo arrivo, una donna viene uccisa. Il marito è scomparso e l'assassino ha rapito la loro bambina, Aprile, di nove anni. Su una parete della casa, una scritta tracciata col sangue della vittima: ''Tu non farai alcun male''. Aurora è certa che si tratti dell'opera di un killer che ha già ucciso in passato e che quella scritta sia un indizio che può condurre alla bimba, una specie di ultimatum... Ma nessuno la ascolta. Presto Aurora capirà di dover agire al di fuori delle regole, perché solo fidandosi del proprio intuito potrà dissipare la coltre di nebbia che avvolge ogni cosa. Solo affrontando i demoni della propria mente potrà salvare la piccola Aprile ed evitare nuove morti...

Aurora Scalviati è una poliziotta trasferita in un piccolo comune della provincia emiliana in seguito ad una sparatoria in cui un suo collega è morto. Aurora è rimasta gravemente ferita, e tutt'ora risente dei postumi delle operazioni e delle ferite. Durante il suo primo giorno presso la sua nuova destinazione, si imbatte in un efferato omicidio che sembra essere parte di un rituale. Il suo nuovo superiore diffida da lei, e tenta di tenerla lontana dalle indagini, anche se Aurora è una profiler, e come tale specializzata nella ricerca dei serial killer. Nonostante le diffficoltà, Aurora non è il tipo di persona che può lasciare irrisolto un caso tanto delicato.

Aurora nel buio è un thriller che nel complesso si fa apprezzare anche se non apporta significativi elementi di novità al genere.
Azzeccata l'ambientazione della provincia italiana, che, anche se oramai non è più un dato originale, a me pare perfetta per questo tipo di romanzi.
La trama è sicuramente solida e ben costruita; è credibile, omogenea e rifugge dal sensazionalismo e dalla ricerca del colpo di scena a tutti i costi che infesta letteralmente il genere. Visto l'argomento trattato (efferati omicidi rituali, bambini scomparsi) sarebbe stato facile concentrarsi maggiormente sulla ricerca del particolare raccapricciante e morboso invece che sulla costruzione dettagliata della vicenda. Perciò un plauso va all'autrice, che non cerca scorciatoie per tenere avvinto il lettore alle pagine.

D'altro canto, però, ho trovato lo sviluppo della trama troppo lento; a volte sembra passare quasi in secondo piano rispetto alle vicende personali di Aurora. Indubbiamente il vissuto della protagonista è forte e merita di essere ben delineato, ma non a discapito della trama. Ho avuto l'impressione che girasse tutto intorno ad Aurora, ai suoi problemi di salute e agli incubi che si porta dietro, invece che intorno alle vittime. Come se in fondo alla scrittrice interessasse raccontare di Aurora, e solo in seconda battuta del serial killer che terrorizza la provincia emiliana. 
A ciò va aggiunto che, nonostante tutto questo spazio dedicato all'approfondimento psicologico della protagonista, non sono mai riuscita ad entrare in sintonia con lei. Non ho provato empatia per Aurora neanche per un minuto. Mi sono chiesta perchè a lungo, e non sono sicura di avere un risposta definitiva. In parte sono stata disturbata, come è accennato sopra, dall'invadenza della figura di Aurora, che ha rubato la scena alla trama, secopndo me; in secondo luogo, il carattere di Aurora mi ha infastidito. Troppo concentrata su se stessa, troppo prevenuta nei confronti di tutto e tutti, come se si aspettasse sempre e comunque che la sua enorme capacità di profiler non venissero comprese. Un atteggiamento da eroina martire che deriva dal fatto che, secondo me, Baraldi abbia calcato un po' troppo la mano sui traumi subiti in passato da Aurora. Un evento traumatico a carico del protagonista di un romanzo è sufficiente, quattro (che non posso nominare per non fare spoiler, ma sono due durante l'adolescenza/giovinezza di Aurora e altri due nel passato più recente), sì, quattro sono decisamente troppi.

Infine, un'ultima annotazione: non ho ben compreso a cosa esattamente servissero nell'economia del romanzo, gli excursus nel Medioevo (anno domini 1348). In un certo qual modo spiegano l'origine ed il senso di alcuni elementi usati negli omicidi, ma allo stesso tempo hanno un legame con i fatti del presente talmente labile che anche eliminandoli non sarebbe cambiato nulla.

Il finale è buono, non particolarmente scioccante ma sicuramente non scontato.
 
Voto: 6 e 1/2

venerdì 27 settembre 2019

Jalna...

... di Manzo de La Roche.

 Jalna è il primo romanzo di una saga familiare amatissima che, a partire dagli anni Venti, conquistò generazioni di lettori, con undici milioni di copie vendute e centinaia di edizioni in tutto il mondo. All’epoca della sua prima uscita, la saga di Jalna, ambientata in Canada, era seconda solo a Via col vento fra i bestseller. Grazie a quest’opera, l’autrice, paragonabile a Thomas Hardy, ottenne fama internazionale e fu la prima donna a vincere il prestigioso Atlantic Monthly Prize.
I Whiteoak, numerosa famiglia di origini inglesi, risiedono a Jalna, grande tenuta nell’Ontario che deve il suo nome alla città indiana dove i due capostipiti, il capitano Philip Whiteoak e la moglie Adeline, si sono conosciuti. Molto tempo è trascorso da quel fatidico primo incontro. Oggi – siamo negli anni Venti – l’indomita Adeline, ormai nonna e vedova, tiene le fila di tutta la famiglia mentre aspetta con ansia di festeggiare il suo centesimo compleanno insieme a figli e nipoti: a partire dal piccolo Wakefield, scaltro come pochi, infallibile nell’escogitare trucchi per non studiare e sgraffignare fette di torta, fino al maggiore, Renny, il capofamiglia, grande seduttore che nasconde un animo sensibile. La vita a Jalna scorre tranquilla, fino a quando due nuore appena acquisite arrivano a scombussolarne gli equilibri: la giovanissima Pheasant, figlia illegittima del vicino, il cui ingresso in famiglia è accolto come un oltraggio, e la deliziosa Alayne, americana in carriera che, al contrario, con la sua grazia ammalierà tutti, specialmente gli uomini di casa…
Con una prosa leggera ed elegante e un delizioso sguardo ironico, Mazo de la Roche ci racconta la storia di tre generazioni accompagnandoci in un allegro gioco di intrecci incorniciato dalla bellezza e i colori del paesaggio canadese e dalla quiete della natura incontaminata. (sinossi tratta dal sito della casa editrice Fazi)

Jalna è il primo libro di una serie di 16 ed è stato scritto nel 1927. È interessante notare come questo romanzo, sebbene scritto per primo, nella cronologia interna della storia occupa il posto numero sette.
Ovviamente questo non è un problema; ognuno dei romanzi che compongono la saga può essere letto come storia a se stante.
Questo comunque sembra essere il libro centrale della serie, un grande affresco di una famiglia che vive in tempi duri, in un luogo dove gli inverni sono lunghi e difficili e la lotta per la sopravvivenza di persone e animali lascia poco tempo per tutto il resto. Eppure, proprio in un contesto così rude, l'autrice riesce a raccontarci di sentimenti delicati e profondi, mal di vivere, solitudine e abbandono in maniera tenera e credibile. Le vite dei personaggi si intrecciano in maniera che nessuno di loro si aspettava quando le spose di due dei fratelli Whiteoak entrano a far parte della famiglia, turbando equilibri che sembravano immutabili.

Nella grande tenuta che da il titolo al romanzo, vivono infatti riunite ben tre generazioni della famiglia Whiteoak. I personaggi che animano il romanzo sono perciò molti, ma questo non crea alcuna confusione. Infatti la particolarità di questo romanzo sta nel fatto che ogni capitolo è narrato in terza persona ma dal punto di vista di un diverso membro della famiglia, e ad ogni capitolo il protagonista del precedente sembra quasi passare il testimone al personaggio centrale del capitolo successivo.
In questo modo la narrazione diventa ampia, ariosa ed esauriente, perchè il nuovo punto di vista inizia a raccontarci le vicende esattamente da dove le avevamo lasciate nel capitolo precedente, soltanto adottando una nuova prospettiva. Questo modo di narrare mi è piaciuto molto, perchè contribuisce a creare un vero romanzo corale.

Tra i protagonisti, spicca comunque Jalna, la grande casa che sembra essere il nido, il rifugio e il vero collante che tiene unita la famiglia. Avergli conferito un posto tra i personaggi ha aggiunto un fascino speciale all'intera storia.

Sebbene il romanzo non sia esattamente di quelli movimentati, che a dire il vero io preferisco, le vicende della famiglia Whiteoak sanno catturare il lettore, in un crescendo che arriva fino al lirico e bellissimo finale. È strano come il mio giudizio sia diventato più positivo via via che leggevo. Questo romanzo ha bisogno di tempo per conquistare il cuore del lettore.

Lo stile dell'autrice non ha risentito affatto del trascorrere del tempo. A quasi 100 anni di distanza, esso è fresco e attuale, velato di disincanto e di un pizzico di ironia.

Voto: 7

Dodici rose a Settembre...

... di Maurizio de Giovanni.

«Mi chiamo Flor, ho undici anni, e sono qui perché penso che mio padre ammazzerà mia madre».
Gelsomina Settembre detta Mina, assistente sociale di un consultorio sottofinanziato nei Quartieri Spagnoli di Napoli, è costretta a occuparsi di casi senza giustizia.
La affiancano alcuni tipi caratteristici con cui forma un improvvisato, e un po’ buffo, gruppo di intervento in ambienti dominati da regole diverse dall’ordine ufficiale. Domenico Gammardella «chiamami Mimmo», bello come Robert Redford, con un fascino del tutto involontario e una buona volontà spesso frustrata; «Rudy» Trapanese, il portiere dello stabile che si sente irresistibile e quando parla sembra rivolgersi con lo sguardo solo alle belle forme di Mina; e, più di lato, il magistrato De Carolis, antipatico presuntuoso ma quello che alla fine prova a conciliare le leggi con la giustizia.
Vengono trascinati in due corse contro il tempo più o meno parallele. Ma di una sola di esse sono consapevoli. Mentre Mina, a cui non mancano i problemi personali, si dedica a una rischiosa avventura per salvare due vite, un vendicatore, che segue uno schema incomprensibile, stringe intorno a lei una spirale di sangue. La causa è qualcosa di sepolto nel passato remoto.
Il magistrato De Carolis deve capire tutto prima che arrivi l’ultima delle dodici rose rosse che, un giorno dopo l’altro, uno sconosciuto invia.
Mina Settembre e gli altri sono figure che Maurizio de Giovanni ha già messo alla prova in un paio di racconti. In Dodici rose a Settembre compaiono per la prima volta in un romanzo. Sono maschere farsesche sullo sfondo chiassoso di una città amara e stanca di tragedie. Un mondo di fatica del vivere che de Giovanni riesce a far immaginare, oltre all’intreccio delle storie, già solo con il linguaggio parlato dai vari personaggi di ogni strato sociale: ironico, idiomatico, paradossale, immaginoso. (sinossi tratta dal sito della casa editrice Sellerio)

Maurizio de Giovanni torna in libreria con un nuovo personaggio, che aveva fatto la sua comparsa in un paio di racconti editi dalla Sellerio. La protagonista di questo nuovo giallo è Mina Settembre, assistente sociale per vocazione, e pin up suo malgrado. La sua fisicità dirompente le causa più di qualche problema sul lavoro e nella vita privata, resa quest'ultima ancora più complicata da una madre che definire arpia sarebbe un complimento.

Il romanzo è molto diverso da quello a cui de Giovanni ci ha abituati; siamo sempre nell'ambito del giallo ma l'atmosfera è decisamente più allegra e più serena. Ad allegerire il clima pensa, suo malgrado, Mina, che a 40 anni vive ancora nella sua vecchia cameretta con i poster alle pareti, con la madre invalida e insopportabile. 
L'autore ha scelto, specialmente nei primi capitoli, di calcare molto la mano sul lato comico dei Due Grandi Problemi nella vita della protagonista: un seno un po' troppo ingombrante, che le rende difficili i rapporti con l'altro sesso, e una madre acida e rompiscatole fino all'eccesso.
Devo dire che inizialmente il rimarcare la fisicità di Mina mi ha infastidito; trovavo che la cosa fosse un po' troppo insistita per risultare divertente. Ma si è trattato, almeno per me, di un problema passeggero, perchè dopo le prime pagine, da un lato, le descrizioni del decollete di Mina diminuiscono in numero e frequenza, e dall'altro ero entrata perfettamente in sintonia con l'ambientazione della storia.

Mina fa un lavoro difficile, in un tessuto sociale complicato, se non apertamente ostile; la scelta di Maurizio de Giovanni di affrontare questi argomenti con ironia e leggerezza è azzeccata. Ho apprezzato il fatto che "trattare con leggerezza" non significhi, in questo romanzo, banalizzare o dileggiare; infatti, quando entra in scena la piccola Flor, il registro narrativo sa essere diverso, e nella spasmodica ricerca di una soluzione al suo terribile problema anche la figura del portinaio Rudy acquista serietà e profondità che ne fa un comprimario di tutto rispetto, e non una semplice spalla comica, o peggio, una macchietta.

Intanto, mentre Mina si occupa di Flor, la parte più propriamente gialla e noir del romanzo si sviluppa all'insaputa della stessa protagonista. Qualcuno trama nascosto nelle ombre del passato, senza che Mina sappia di essere in pericolo. Questo approccio diverso alla trama investigativa mi è piaciuto molto. L'ho trovato originale ed interessante.

Ecco perchè amo de Giovanni qualunque cosa decida di scrivere: perchè sa scrivere, fa scelte stilistiche e narrative consapevoli, ed padrone delle storie che racconta. 

Voto: 7 e 1/2

giovedì 26 settembre 2019

Musica sull' abisso...

... di Marilù Oliva.

Dopo il successo delle Spose sepolte, primo caso dell'ispettore Micol Medici, Marilù Oliva ci presenta thriller inquietante e attuale, una storia di sopraffazione e ferocia, che racconta quanto ciò che siamo oggi è il frutto di quello che abbiamo - o non abbiamo - ricevuto. L'ultima volta che Gwendolina Nanni, giovane imprenditrice bolognese, è stata vista viva era mattina molto presto e come al solito stava correndo lungo gli argini del Bacchiglione prima di andare in ufficio. Il suo corpo è stato ritrovato molti giorni dopo in un'ansa del fiume, ormai irriconoscibile. Il suo caso viene chiuso come suicidio dalla polizia di Padova. I suoi familiari non ci stanno e si rivolgono alla Sezione Omicidi di Bologna, dove è stata da poco trasferita l'ispettore Micol Medici. Le ricerche vertono attorno agli ex-studenti di un liceo storico di Bologna, il Cicerone, dove si diploma la migliore gioventù della città. Ma c'è una classe del passato che ha avuto un destino infausto: uno dopo l'altro, anno dopo anno, stanno morendo gli adulti che quindici anni prima sono stati compagni di classe. Tutti in circostanze sospette e tutti lo stesso giorno, il 21 febbraio. Cosa lega questi delitti? E com'è possibile che una canzone, scritta in latino e cantata da alcuni di loro, abbia preveduto con anni di anticipo in che modo sarebbero morti alcuni di loro? Micol, con la sua abilità speciale, cerca di scoprire la verità, muovendosi sullo sfondo di una città dove ogni torre e ogni portico sembrano nascondere qualcosa. (sinossi tratta dal sito della Harper e Collins)

Musica sull' abisso è un thriller costruito con molta cura e molta intelligenza dalla sua autrice.
Il merito principale di questo romanzo è di aver mescolato sapientemente la classica ricerca di quello che sembra essere un omicida seriale con elementi originali e anche molto inquietanti. 
Non c' è dubbio infatti che la storia di una classe i cui alunni muoiono uno dopo l'altro in circostanze misteriose o mai ben chiarite sia intrigante ma non orginalissima. Qui però entra in gioco la bravura della narratrice, che diluisce nell'arco di oltre vent'anni le morti sospette, lascinado costantemente il dubbio agli inquirenti ( e ovviamente anche al lettore): si tratta di una maledizione, una fatalità o di una o più mani omicide? E l'assassino va ricercato dentro o fuori le mura del liceo che ospitava la classe "maledetta"? 
Inoltre, il fatto che tutto sembra ruotare intorno a una canzone scritta in latino, i cui versi sono profetici, aggiunge un tocco conturbante alla trama. L'utilizzo del latino, della mitologia e del simbolismo classico, infatti, rende la storia ancora più inquietante. La scelta di questi elementi non appesantisce la trama, ma anzi contribuisce a rendere l'atmosfera del romanzo costantemente minacciosa, come se ci fosse qualcosa di arcano, di sconosciuto e pericoloso in agguato dietro ogni pagina.

La protagonista, Micol Medici, ispettore di Polizia, è chiamata ad investigare su queste morti sospette, il cui legame è stato intuito troppo tardi dagli investigatori che si sono occupati dei vari casi nel corso degli anni. Nelle sue indagini perciò entra anche un senso di urgenza e un non troppo velato senso di colpa per alcune morti che forse potevano essere evitate, e questo contribuisce a rendere l'investigazione un fatto personale. Micol Medici non guarda più al caso con occhio distaccato, e riesce a coinvolgere il lettore. E se ciò non fosse sufficiente, va aggiunto che Micol Medici è un ottimo personaggio: donna forte con le sue debolezze, i conflitti irrisolti (specie nei confronti della madre) e anche qualche fragilità superata e archiviata (cosa rara da trovare nei protagonisti di thriller e noir).

La trama, come detto, è intrigante e affascinante, cupa quanto basta. Il suo sviluppo è curato e gli indizi vengono dosati nel modo giusto, tenendo alta l'attenzione del lettore.
Il romanzo è nel complesso molto ben costruito, con un buon ritmo, nessun calo di tensione ed ha una struttura solida ed uno sviluppo intelligente e mai banale.
Il finale riesce a sorprendere e a rispondere a tutte le domande che ci eravamo posti durante la lettura senza forzature. La soluzione si rivela all'altezza delle premesse, con elementi toccanti e di spessore.

Voto: 8

Fate a New York...

... di Martin Millar.

Heather e Morag sono due fatine scozzesi, costrette a fuggire dalla madrepatria per una serie di sfortunate circostanze, inizate quando le due fatine hanno deciso di voler mettere su la prima punk rock band del mondo fatato. A New York le due, in continua lite e competizione tra loro, riusciranno a combinare diversi guai, intromettendosi nella vita di due umani, la dolce Kerry e l'odioso Dinnie, e arrivando quasi sull'orlo di una "guerra civile" tra le varie etnie fatate. 

Questo romanzo ha un simpaticissima prefazione di Neil Gaiman, e un incipit che cattura il lettore.

"Dinnie, nemico sovrappeso dell’umanità, nonché uno dei più abominevoli suonatori di violino di tutta New York, stava valorosamente esercitandosi al suo strumento, quando due deliziose fatine apparvero sul davanzale del suo appartamento al quarto piano, ruzzolarono dentro e vomitarono sulla moquette."

Bene, avendo elencato le uniche due cose degne di nota del romanzo, potrei anche chiudere qui la recensione, ma mi rendo conto che magari sarebbe più corretto spendere due parole sul perchè questa storia non mi ha entusiasmato più di tanto.
Dopo un incipit fulminante, in cui con leggerenza e senza preamboli inutili, il lettore si ritrova al centro dell'ambientazione, la trama gira a vuoto per il resto delle pagine. 
In poche parole, in questo romanzo succede poco o nulla, e io mi sono annoiata parecchio.

Heather e Morag sono due fatine decisamente originali, con idee moderne e forse un po' troppo avanti per la loro società, ma ciò non le spaventa. La loro caparbietà, unita ad una spiccata propensione a combinare guai e generare equivoci di ogni sorta, le porta a fuggire a New York, dove decideranno che Kerry, una ragazza malata che cerca di completare il suo alfabeto floreale, e Dinnie, antipatico suonatore di violino, hanno assolutamente bisogno del loro aiuto. Da qui nascono una serie di gag, equivoci e intrecci da commedia degli errori, cosa che risulta divertente e interessante per le prima cinquanta pagine, poi non più.

Ho trovato il romanzo ripetitivo e poco incisivo. Heather e Morag girano in tondo per New York senza far altro che combinare guai, rubacchiare e litigare. L'autore introduce senza tante cerimonie nuovi personaggi anche nel bel mezzo di un capitolo, e salta con disinvoltura dalle vicende degli uni a quelle degli altri senza un minimo di stacco o di preavviso. L'effetto che si crea, secondo me, è di grande confusione e poca coesione della storia. Inizialmente questo stile narrativo ha creato in me curiosità e voglia di andare avanti; in seguito però la cosa si è rivelata più frustrante che stimolante. La sensazione di non progredire, ma di rileggere all'infinito la medesima scena è diventata preponderante.
 
Insomma, per qualche capitolo è stato divertente leggere di queste due fate pasticcione e anticonformiste, ma dopo un po', senza una vera svolta nella trama, senza alcun tipo di evoluzione dei personaggi, senza alcun approfondimento sulla società fatata che appare sull'orlo di una guerra civile, l'originalità e l'ironia non sono stati sufficienti per tenere desta la mia attenzione e per intrattenermi come si deve.

L'impressione che resta è quella di una idea buona, ma sviluppata in maniera superficiale, e non adeguatamente sostenuta da un'intreccio all'altezza delle premesse.

Voto: 5

domenica 25 agosto 2019

Ritorno a Riverton Manor...

... di Kate Morton.

Nella scena del suo film, la giovane regista Ursula Ryan immagina uno dei momenti più drammatici della storia letteraria inglese, uno scandalo da sempre circondato da un'aura di mistero, perdizione e genio maledetto. Era l'estate del 1924 e i sopravvissuti alla carneficina della Grande Guerra si ritrovavano a divorare la vita come se non ci fosse un futuro, come se dovessero rimanere per sempre giovani. Tra feste alla Grande Gatsby, fiumi di alcol, amori che duravano lo spazio di una notte, quei ragazzi creavano il mito dei ruggenti anni Venti. Tra loro, era Lord Robert Hunter, astro nascente della poesia, ammirato e celebrato da tutti. Eppure, proprio quell'estate, proprio a una delle feste più belle, quella di Riverton Manor, Robert si allontanò da solo. E stringendo una pistola con mano tremante, si tolse la vita. Per Ursula, settantacinque anni dopo, quel poeta è diventato leggenda. Almeno fino a quando scopre che è rimasta una testimone degli eventi. È Grace, custode quasi centenaria di un terribile segreto. Un segreto che ora non può più tenere per sé. Ritorno a Riverton Manor è l'esordio sensazionale di Kate Morton, un romanzo nel quale mistero e amore si mescolano avvolgendo il lettore nello stile appassionante e inconfondibile di un'autrice che ha conquistato milioni di lettori in tutto il mondo. (Sinossi tratta dal sito della casa editrice Sperling & Kupfer)

Ritorno a Riverton Manor è il primo romanzo che Kate Morton ha scritto ed è la storia di due sorelle, Hannah ed Emmeline Hartford, nell'Inghilterra degli anni venti. La struttura del romanzo è quella che diventerà la matrice strilistica della Morton, ovvero l'ambientazioni su due diversi piani temporali: il presente da un lato ed il passato dall'altro, con il suo mistero da svelare.

Voce narrante della loro storia è Grace, che, ormai quasi centenaria, acconsente a rievocare i giorni in cui lavorava a Riverton Manor, la casa di famiglia degli Hartford, e a ripercorrere gli eventi che portarono Roberto Hunter, poeta di fama, al suicidio. La morte di Robert nasconde un segreto, e ci vorranno oltre 500 pagine per arrivare anche solo ad immaginare quale possa essere.
Di solito, questa cosa nei libri di Kate Morton funziona; stavolta, io mi sono annoiata a morte per buona parte del romanzo. 

Probabilmente una delle ragioni è che la voce narrante, Grace, mi è apparsa troppo distaccata dal contesto e a tratti anche inverosimile. La parte più interessante della sua vita sembra essere stata quella vissuta subito dopo le vicende narrate nel romanzo, e questo non mi ha aiutato a immergermi nella vicenda. Infatti, da quel che sappiamo, Grace passa da cameriera semi analfabeta a laureata e archeologa dopo aver lasciato Riverton, la qual cosa mi è sembrata non solo leggermente inverosimile (Grace lascia Riverton giovanissima, e siamo negli anni trenta), ma anche stonata con il resto della narrazione. Mi ha dato fastidio, ecco, come se avesse distratto la mia attenzione dalle vicende principali.

Altro motivo per cui mi sono annoiata è che la storia comincia veramente troppo, troppo tempo prima rispetto al punto focale del romanzo. A parer mio ci sono troppi capitoli che, tagliati, non avrebbero tolto nulla alla comprensione della storia e al suo dipanarsi. Le sotto-trame che ci tengono impegnati finchè i nodi non vengono al pettine non possiedono la forza necessaria, secondo me, a tener vivo l'interesse del lettore.

Indubbiamente il romanzo ha dalla sua una splendida ambientazione. L'aristocrazia inglese degli anni venti, il fermento della società, una grande villa di campagna, la contrapposizione fra classi agiate e domestici sono tutti elementi che adoro in un romanzo. Anche il contesto storico, come ho già detto, è uno dei più vivaci del secolo scorso. I personaggi poi, sono tutti potenzialmente interessanti.
Ma nonostante tutto ciò, la trama risulta troppo diluita tra le pagine, troppo poco serrata per essere all'altezza dei successivi romanzi della medesima autrice.

Voto: 5

Il respiro delle anime...

... di Gigi Paoli.

E' una torrida mattinata di luglio, le scuole sono ormai chiuse e sulle strade semideserte di Firenze e dintorni è calato un silenzio irreale, ma Carlo Alberto Marchi, tenace cronista e instancabile padre-single, continua inesorabilmente a svegliarsi alle sette e dieci. Non resta che mettersi in viaggio verso ''Gotham City'', l'avveniristico Palazzo di Giustizia nella periferia della città - nonché uno dei dieci edifici più brutti del mondo secondo svariate classifiche - e andare a caccia di notizie sull'allarmante ondata di morti per overdose che negli ultimi mesi ha colpito la città. Un'inchiesta con cui il direttore del ''Nuovo Giornale'' sta marcando stretti il reporter e il suo collega, ''l'Artista'', che con la loro tendenza all'insubordinazione non godono certo delle sue simpatie... Ma a scombinare l'agenda di Marchi arriva una notizia che gli fa subito drizzare le antenne: nella notte, a pochi passi da Gotham, un ciclista è stato ucciso da un'auto pirata scomparsa nel nulla. Un banale incidente? Solo all'apparenza. Perché se si aggiunge che la vittima era il dirigente americano di una nota azienda farmaceutica, e che solo pochi giorni prima era rimasto coinvolto in una retata in un ambiguo locale del centro, il caso si fa piuttosto interessante. Molte e intricate sono le piste che si aprono davanti alle forze dell'ordine e a chiunque abbia voglia di vederci chiaro: una lugubre villa dalle finestre murate, un misterioso iPhone placcato d'oro, un barbone che forse dice la verità, un pericoloso boss della malavita... Marchi si troverà alle prese con l'inchiesta più complessa, torbida e inquietante della sua carriera. (sinossi dal sito della casa editrice Giunti)
 
Mi sono avvicinata a questo secondo capitolo delle indagini del giornalista Carlo Alberto Marchi con molta diffidenza. Il rumore della pioggia mi era piaciuto, ma la mia opinione aveva risentito del fastidio che personalmente avevo provato per il protagonista e i suoi tentativi (malriusciti, secondo me) di ironizzare sulla sua situazione di padre single attraverso ovvietà, frasi fatte e stereotipi che sfioravano pericolosamente il sessismo.

Per fortuna devo dire che in questo secondo romanzo, Marchi è decisamente migliorato, dal mio punto di vista. Il personaggio è meno sopra le righe, meno impegnato a fare battute a tutti i costi, più concentrato sul suo lavoro e su chi ha davanti. Ritroviamo ancora la figlia pre-adolescente Donata, ma questo volta l'autore ha saputo dosarne la presenza in maniera più attenta, riuscendo a tenere il focus sul protagonista e sulla sua indagine giornalistica. Insomma, il rapporto padre figlia, che comunque concorre a caratterizzare il personaggio, è presente, ma non ruba la scena alla trama. Secondo me, visto come era stato gestito nel primo capitolo della serie, questo è un bene.

Mentre Marchi narra in prima persona le vicende  di cui è protagonista, altri capitoli del romanzo sono raccontati in terza persona e descrivono le attività della Procura e della Polizia giudiziaria. Mi è piaciuto questo modo di organizzare la stroria, e questa dicotomia tra la fredda procedura e il calore, per così dire, dell'investigazione giornalistica.
A ciò dobbiamo aggiungere che la trama è particolarmente strutturata e ben architettata. Si parte da quello che sembra un triste ma purtroppo banale incidente automobolistico, per arrivare ad un mistero che si ingigantisce pagina dopo pagina, e che è stato davvero piacevole da leggere. Mi è piaciuto come nell'ingigantirsi del mistero vengano ben inseriti alcuni elementi piacevolmente inquietanti come una villa in rovina, con gli ingressi e le finestre murati, ed un cimitero monumentale in mezzo alla città.
Interessante è stata anche l'introduzione di un nuovo investigatore di polizia giudiziaria, un uomo a cui un errore in una precedente indagine è costato la carriera, le cui doti investigative, insieme ad una pacata ma ferma voglia di riscatto, saranno preziose.

In conclusione, un giallo davvero mirabile, ben scritto, ben orchestrato, scorrevole, che sa dosare con abilità i due volti che lo scrittore ha dato a questa indagine: l'approccio più umano, psicologico e curioso del giornalista Carlo Alberto Marchi, e quello più rigoroso degli organi preposti alle indagini ufficiali. Consigliatissimo.

Voto: 8=

sabato 24 agosto 2019

Il mondo silenzioso di Nicholas Quinn...

... di Colin Dexter.

Non è stato facile per Nicholas Quinn riuscire a ottenere la nomina accademica di membro del Comitato Esami Esteri di Oxford. Il giovane professore era afflitto da una sordità progressiva e questo, a parere di alcuni, avrebbe ostacolato una piena funzionalità. Ma alla fine, tra gelosie e risentimenti, l’aveva spuntata sui candidati concorrenti e aveva intrapreso il compito armato del sussiego e della flemma comune a tutti nell’ambiente del santuario universitario. Un giorno Nicholas viene ritrovato cadavere nel suo appartamento da scapolo. Accanto una bottiglia dello sherry preferito. La causa della morte appare semplice: avvelenamento da cianuro. Ma l’indagine dell’ispettore Morse della Thames Valley Police e del suo aiuto Lewis è tutt’altro che semplice. L’ambiente accademico è oscuro, arcano, reticente; è chiuso in un guscio claustrofobico in cui le domande investigative sembrano prevedibili ma tutto è così vischioso che è impossibile muoversi. Si mescolano motivi di carriera, passioni sessuali, intrighi economici, coinvolgimenti di finanziatori esteri, personaggi dalla vita privata impenetrabile. E poi, del tutto all’improvviso, un secondo inspiegabile omicidio. Un ginepraio per l’ispettore Morse, sempre brusco e bisbetico con il paziente sergente; e sempre affezionato agli intermezzi nei pub dove esporre allo scettico collaboratore la trama dei suoi percorsi mentali. (Sinossi dal sito della casa editrice Sellerio)

In questo terzo capitolo della serie dedicata all'ispettore Morse, Colin Dexter ci porta come di consueto ad Oxford, ma questa volta nell'ambiente accademico, e precisamente all'interno degli ingranaggi burocratici del Comitato Esami Esteri, ovvero all'interno di quell'ente che supervisiona gli esami per ottenere una certificazione di conoscenza della lingua inglese. Un tema decisamente attuale, nonostante il romanzo sia stato scritto nel 1977, e inconsueto per un romanzo giallo. 

L'ispettore Morse, burbero e scontroso come sempre, amante degli alcolici e restio a condividere le sue scoperte con il suo collaboratore sergente Lewis, entra in scena relativamente tardi.
La prima parte del romanzo infatti segue le vicende di Nicholas Quinn, la sua elezione a membro del Comitato e i suoi primi passi all'interno dell'ente.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, arriva il suo avvelenamento, e parte la caccia al chi e soprattutto al perchè.
Già, perchè la particolarità di questo romanzo è che l'indagine ruota intorno alla convulsa ricerca di un movente per un delitto che appare senza senso alcuno. Il signor Quinn era un uomo pacifico, abitudinario, senza nemici e senza scheletri nell'armadio.

Perfetta la caratterizzazione della vittima, proprio grazie alla lunga introduzione che ho già citato; perfetta risulta inoltre la caratterizzazione degli altri personaggi, quasi tutti accademici , di cui a poco a poco veniamo a conoscere rancori, invidie, ripicche, alleanze momentanee e piccole vendette.
L'unico neo che ho rilevato è proprio la personalità dell'ispettore Morse, nonostante l'accurata caratterizzazione. L'ispettore è burbero, a tratti misogino, spesso scrtese e dispotico, ed io non riesco a trovare un appiglio che mi aiuti ad entrare in sintonia con lui, nonostante le indubbie capacità investigative. 

Mi ha colpito maggiormente l'ambientazione. Il mondo accademico, all'apparenza statico, polveroso, quasi soporifero si rivela, attraverso la trama creata da Colin Dexter, vitale e anche terribilmente complicato. Le ambiguità e le bugie che caratterizzano i rapporti all'interno del comitato fanno sì che le indagini abbiano continui capovolgimenti di fronte e colpi di scena. Quando gli indizi sembrano puntare in una direzione, ecco che spunta qualcosa a scombinare nuovamente le carte sul tavolo.
L'indagine è di tipo deduttivo, e ho apprezzato moltissimo che la soluzione finale venga svelata grazie ad un sottilissimo dettaglio, presentato fin dall'inizio agli occhi del lettore, ma a cui, probabilmente, si presta poca importanza.

In conclusione, questo romanzo è un classico giallo all'inglese, un'indagine deduttiva in cui viene usata il più classico dei modi per uccidere, il veleno, e consigliata a tutti gli amanti del genere. Qualche perplessità suscita la personalità del protagonista, a tratti, a parer mio, un po' troppo sopra le righe.

Voto: 7

Morte di una sgualdrina. I casi di Hamish Macbeth #2...

... di M. C. Beaton.

Una sgualdrina con un cuore di pietra: ecco chi è Maggie Baird. Né gentile né generosa, ma certamente molto, molto ricca. Così, quando la sua auto prende fuoco con lei dentro, ci sono almeno cinque candidati per il ruolo di assassino. Tutti e cinque sono ospiti nella sua lussuosa residenza nelle Highlands: la timida nipote Alison e quattro uomini, una volta suoi amanti, ora chiamati a una sorta di competizione che avrà come premio il matrimonio con Maggie. Tutti e cinque sono in difficoltà finanziarie e tutti hanno avuto la possibilità di manomettere la macchina.
Hamish Macbeth avrà bisogno di dosi massicce del suo straordinario buonsenso e della sua capacità di comprensione dell’animo umano per risolvere il caso. (Sinossi dal sito della casa editrice Astoria)

In questa sua seconda avventura, il poliziotto scozzese Hamish Macbeth si ritrova trasferito in città, e deve lasciare la sua amata Lochdubh, paesino delle Highlands. Hamish si strugge di nostalgia, ma non è il solo: anche gli abitanti di Lochdubh sentono la sua mancanza, e faranno di tutto per far sì che Hamish venga riassegnato al luogo cui appartiene. Quando finalmente ci riescono, accade l'evento che dà il titolo al romanzo: Maggie Baird muore in un incidente a dir poco sospetto. Dato il passato della vittima, e una schiera di pretendenti interessati al suo patrimonio, l'indagine non sarà semplice.

Questo nuovo caso di Hamish Macbeth segna, a parer mio, un deciso passo avanti rispetto al romanzo precedente. Il romanzo appare infatti più solido, con una trama meglio strutturata,  personaggi più focalizzati e una narrazione meno dispersiva.
L'ambientazione è la medesima - bellissima - del romanzo precedente. Le Highlands si rivelano nella loro quotidiana, tranquilla bellezza.
La trama è articolata e vivace. Prende spunto dal trasferimento di Hamish per mettere in scena tutti gli attori della tragedia che avverrà di lì a poco.
L'inizo è pertanto interessante, perchè le vicende prendono il via  da fatti che apparentemente non hanno niente a che vedere con il delitto che verrà commesso di lì a poco.

Sicuramente il fulcro del romanzo è Hamish, investigatore all'apparenza pigro e indolente, ma in realtà scaltro e acuto. Quello che mi colpisce di lui è la sua indole tranquilla, di uomo che, nonostante tutto, sa di essere esattamente nel posto in cui dovrebbe essere, e di stare svolgendo il lavoro per cui è nato. Mi piace questa sua pacatezza, questa mancanza di "ansia da prestazione" che si respira nei gialli di questa serie.
Mancanza di ansia non vuol però dire che non ci sia interesse ad andare avanti nella lettura; il giallo si ispira ai canoni classici del genere, innestando nel filone elementi di novità, rappresentati proprio dalla fusione dell'investigazione con la perfetta ricostruzione della tranquilla vita di un paesino delle Highlands scozzesi.
Per quanto traumatico, il delitto fa parte delle vicende della vita moderna, purtroppo, ed è da questo punto di vista che Hamish indaga e cerca di sbrogliare la matassa.
Il numero di sospettati è sufficientemente ampio da garantire la complessità del mistero; ed allo stesso tempo è sufficientemente ristretto da consentire al lettore la sua personale indagine. Quest'ultimo elemento, per me, è fondamentale in un giallo: devo avere la possibilità di formulare le mie ipotesi e trarre le mie conclusioni.

Ben riuscito anche il finale, che chiude la vicenda ma lascia al lettore la voglia di continuare con la serie.
Voto: 7

È tempo di ricominciare...

di Carmen Korne.

È il 1949. La guerra è finita. I nazisti sono stati sconfitti. Come molte altre città, Amburgo è ridotta a un cumulo di macerie e in parecchi si ritrovano senza un tetto sulla testa. Fra questi, Henny, che ha finalmente accettato di sposare Theo e continua a cercare la cara Käthe, che risulta ancora dispersa nonostante l’amica sia sicura di avere incrociato il suo sguardo, la sera di San Silvestro, su quel tram… Nel frattempo, mentre Lina e la sua compagna Louise aprono una libreria in città, Ida si sente delusa dal modesto ménage coniugale con il cinese Tian, pur avendo mandato all’aria il suo precedente matrimonio per stare con lui, e ricorda con nostalgia la sua giovinezza di rampolla di una famiglia altolocata. Sono in molti ad aver perso qualcuno di caro, e sono in molti ad attendere il ritorno di qualcuno, giorno dopo giorno, alla finestra. Ma per i sopravvissuti tornare a casa non è facile, si ha paura di cosa si potrebbe trovare, o non trovare più.
Gli anni passano, i figli delle protagoniste crescono e anche loro hanno delle storie da raccontare. Sullo sfondo, la ripresa dell’economia tedesca e le rivoluzioni sociali che hanno scandito gli anni Cinquanta e Sessanta: lo sbarco sulla Luna, la costruzione del Muro di Berlino, il riarmo e la paura del nucleare, l’arrivo della pillola anticoncezionale, l’irruzione della televisione nella vita quotidiana delle famiglie, l’inizio dei movimenti studenteschi e la musica dei Beatles.
Dopo Figlie di una nuova era, il secondo, attesissimo capitolo di questa fortunata e appassionante trilogia che racconta la vita di quattro amiche nella Germania del Novecento. (Sinossi dal sito della casa editrice Fazi Editore)

Figlie di una nuova era mi era piaciuto tantissimo. Proprio per questo le aspettative per il  nuovo capitolo della storia di Henny, Käthe, Ida e Lina erano piuttosto alte e mi duole affermare che sono andate deluse. Vi spiego perchè.

La guerra è finita da poco, le macerie, fisiche e psicologiche, del nazismo e della conflitto mondiale, sono ancora lì, a ricordarci ad ogni pagina l'orroore degli eventi che si sono ancora conclusi.
I capitoli ambientati nell'immediato dopoguerra sono, a parer mio, i migliori del romanzo, quelli in cui ho ritrovato lo spirito del volume precedente. Quattro donne normali che lottano per non soccombere alla Storia, che cercano di sopravvivere senza dimenticare i legami umani che uniscono al resto del mondo: questa è l'anima del romanzo.
È stato emozionante scoprire come, quando una guerra finisce, non finisce mai dall'oggi al domani, con la firma su un armistizio o su un trattato di pace. Le conseguenze sulla vita delle persone possono trascinarsi per anni. È stato interessante vivere, attraverso le pagine del libro e le semplici ma vivide descrizioni dell'autrice, una sofferta ricostruzione.
Purtroppo, con l'avanzare della narrazione e col procedere degli anni, queste emozioni si sono sciolte tra le pagine come neve al sole.
Le storie narrate, nonostante l'introduzione di nuovi personggi - figli, amici e compagni dei protagonisti - diventano ripetitive e un filino noiose.
Chissà, forse proprio l'aver ampliato il numero dei protagonisti ha causato la perdita di coesione nella trama, che pare voler raccontare mille cose, nessuna delle quali veramente incisive.
O forse, il motivo principale di questa mia opinione è che in questo romanzo non c'è pathos e non c'è quasi mai tensione narrativa.  Sciolto, fin troppo presto, a parer mio, il nodo sulla scomparsa di Käthe, resta ben poco a tenerci incollati alla pagine.
Certo, l'autrice ci snocciola con una certa abilità fatti ed eventi del dopoguerra, che rivivono attraverso le pagine del libro e suscitano anche una certa emozione, ma la compiaciuta riscoperta della storia del cosiddetto secolo breve non è stata abbastanza, dal mio punto di vista, per creare una storia intrigante.
Secondo me, in questo romanzo manca un polo antagonista delle quattro protagoniste, che sia un evento di grande portata come l'ascesa del nazismo, oppure semplicemente il "cattivo"di turno.

Prendiamo ad esempio la storia di Klaus, figlio di Henny e del suo primo marito. 
Klaus è un omosessuale in una società che considera la sua natura un crimine. Mi sarei aspettata che il ragazzo fosse in pericolo, che la sua storia fosse fonte di ansia per il lettore, ma mi sono ben presto resa conto che Klaus, protetto dall'ampia tribù della sua famiglia allargata, non correrrà mai alcun rischio. Certo, mi fa piacere per lui, però che noia.
Stesso discorso potrei fare a proposito di un personaggio (che non nominerò per evitare spoiler) che ha una malattia invalidante e potenzialmente mortale: anche qui, farmaci miracolosi che capitono senza troppa fatica nella trama, e la malattia diventa un dettaglio da menzionare di quando in quando, ma senza effetti dirompenti sulla narrazione.

Ho detto spesso, in altre recensioni, che il conflitto e il dramma sono, secondo me, la vera essenza di una storia ben riuscita. Qui mancano entrambi, e perciò non mi sento di dare la sufficenza al romanzo.
Voto: 5