lunedì 27 maggio 2019

Chiedi alla notte...

... di Antonella Boralevi.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Baldini+Castoldi

Ringrazio la casa editrice per la copia del romanzo.

Venezia, 28 settembre 2018. È la serata di gala della Mostra del Cinema, ed è anche il momento di Vivi Wilson, protagonista del film d'apertura e astro nascente del cinema mondiale. 
Quella stessa notte, Vivi Wilson viene trovata morta sulla spiaggia. Incidente, omicidio o suicidio?
Alfio Caruso, commissario di origini siciliane, indaga, e durante le indagini incontra nuovamente Emma, avvocato che lavora per Netflix, con cui aveva avuto una breve ma intensa storia d'amore una anno prima, quando indagava su un altro caso.
L'indagine non sarà facile, ed Emma ed Alfio si troveranno a collaborare, spinti l'uno verso l'altra da un sentimento mai sopito, e dovranno muoversi con cautela tra star, manger, critici cinematografici, nobili veneziani e uomini d'affari, il tutto in una splendida Venezia di fine estate, piena di luce ma anche di torbidi segreti.

In questo romanzo ritroviamo Alfio ed Emma, inquieti protagonisti de La bambina nel buio. A separarli, le infedeltà di Alfio; ad unirli la profonda affinità di due anime.
Alfio ed Emma vedono il contesto in cui è maturata la morte di Vivi Wilson da due punti differenti, entrambi utili alle indagini. Mentre Alfio si occupa della scena del crimini, di alibi e di rapporti della scientifica, Emma si trova coinvolta nei torbidi segreti della nobilità veneziana, che sembra sapere parecchio sulla morte di Vivi Wilson.
Le apparenze, in questo romanzo, ingannano sempre. E tutti mentono, come dice il regista di Vivi Wilson ad Emma. Perciò la risoluzione del mistero non è nè facile nè consolante, e richiede la collaborazione di entrambi i protagonisti, capaci di vedere ognuno un pezzo della soluzione.

Il romanzo sembra quasi essere diviso in due parti. Nella prima metà, più o meno, siamo trasportati nello scintillante mondo della Mostra del Cinema, tra feste, grandi alberghi, cocktail party, registi alcolizzati, giornalisti e paparazzi. Insomma, tutto quello che siamo soliti associare a quel mondo. L'elemento di disturbo, per così dire, è Emma, avvocato di Netflix, società che produce il film d'apertura.
La giovane inglese, dall'educazione e dalla professionalità impeccabili, si trova spaesata in quel contesto dove all'apprenza tutto è meraviglioso. Forte è il contrasto fra la sua personalità sofferente e confusa e quella dei bellissimi attori sicuri di sè sul red carpet. Il luccichio della fama e di quel mondo patinato fa emergere ancora una volta le sue fragilità e i dolori del passato, che non sono ancora sopiti.
Certo, a ben guardare questa prima parte del romanzo ha dalla sua una grande carica empatica, essendo descritto dal punto di vista della fragile Emma, ma allo stesso tempo risulta dispersivo e poco incisivo. Insomma, seguendo i pensieri e i sentimenti di Emma comprendiamo benissimo la sua sofferenza, i suoi rimpianti e la sua anima, ma per altro verso questo poco incide sulla trama, la fa avanzare lentamente e porta inevitabilmente a chiedersi dove alla fine andremo a parare.

Passata la metà del romanzo, il registro cambia, e la trama diventa più focalizzata sul proprio sviluppo e sulla risoluzione del mistero.
Emma, ospite nella villa di una enigmatica nobildonna veneziana, resta anche questa volta invischiata in una indagine a ritroso su un passato che non vuole saperne di restare tale.
Qui l'autrice dà il meglio di sè. Il ritmo della narrazione aumenta fino a diventare incalzante, e le rivelazioni si susseguono senza tregua. Il mistero sembra infittirsi anzichè chiarirsi, ed assume contorni sempre più inquietanti. Qui ho ritrovato l'angosciante atmosfera noir che tanto mi aveva colpito ne La bambina nel buio, e qui ho ritrovato ciò che mi aveva conquistato nel precedente romanzo: quella cappa di sofferenza che aleggia tra gli antichi palazzi e le scure calli: l'eco di una tragedia accaduta nel passato che arriva a plasmare il presente; e personaggi, anche quelli secondari, con ombre molto lunghe nelle loro anime spezzate.

Un'altra cosa particolarmente accattivante è stato il fatto che l'autrice ha voluto dare due finali al suo romanzo. Mi spiego meglio: Alfio ed Emma giungono ad una soluzione molto ben congegnata e soddisfacente.
In un breve ma splendido capitolo finale, intitolato Cosa videro i gabbiani, Boralevi aggiunge un tassello, che non sapevamo mancasse, ma che ci lascia con l'amaro in bocca.
Il doppio finale vale da solo il prezzo del biglietto (per restare in tema cinematografico).
Credo che questi finali così crudi e poco pietosi siano la cifra dell'autrice, ed una delle cose che apprezzo di più dei suoi romanzi.

Voto: 7

domenica 26 maggio 2019

Le vedove di Malabar Hill...

... di Sujata Massey.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Neri Pozza

Bombay, 1921. Perveen Mistry è la prima donna avvocato dell'India. Non può patrocinare in tribunale, ma lavora nello studio del padre. Quando il ricco musulmano Omar Farid muore, lasciando tre vedove purdahnashin, donne che non parlano con gli uomini e vivono in isolamento, Perveen è l'unica che può seguire l'esecuzione del testamento senza creare problemi. Ma quando l'amministratore del patrimonio viene trovato morto nella residenza delle vedove a Malabar Hill, le cose si complicano per Perveen, che decide di indagare.

Le vedove di Malabar Hill è un romanzo dalle diverse anime. È sicuramente un giallo, ma è anche la storia di una donna, ispirata a due figure realmente esistite (Cornelia Sorabji, prima donna a frequentare legge a Oxford nel 1892, e Mithan Tata Lam, prima donna ammessa al foro di Bombay nel 1923) che lotta per la sua emancipazione. È la storia di una società sospesa tra la tradizione e la modernità, divisa in caste, gruppi etnici e sociali, dove ancora fortissimo era il pregiudizio verso le donne e tra indiani ed inglesi nascevano le prime tensioni.

In questo contesto così ricco e così complesso si muove Perveen. Il suo personaggio mi è piaciuto molto. Nonostante si tratti di una giovane donna che vive fuori dagli schemi, non ho mai avuto la sensazione che lei o il suo atteggiamento fossero anacronistici. Massey è riuscita a costruire un personaggio che è una vera pioniera, inserendola nel contesto sociale nel modo giusto. Perveen ha limiti e ostacoli, vede lontano e affronta consapevolmente la realtà che la circonda.

 Il romanzo è ricco di dettagli e di spiegazioni, ed è utilissimo per capire il contesto sociale e storico in cui è ambientato. Questo, se da un lato può essere considerato un pregio, dall'altro rallenta lo sviluppo dell'indagine, a volte in maniera esasperante. Se a ciò aggiungiamo che nella narrazione sono inseriti gruppi di capitoli ambientati nel 1917, prima che Perveen diventasse procuratore legale, è facilmente intuibile come inizialmente io abbia trovato la storia lenta e frammentaria.
Però devo riconoscere che procedendo nella lettura, la trama mi ha conquistata, specialmente quella di cui meno evidente mi appariva l'utilità, ovvero la storia di Perveen prima della sua laurea. 
La storia di Perveen e della sua lotta per essere riconosciuta come donna e essere umano (non faccio spoiler, ma no, non riguarda la sua possibilità di studiare o lavorare, come sarebbe stato ovvio, ma qualcosa di diverso e questo mi ha colpito positivamente) diventa parte integrante della trama e aiuta a capire meglio i personaggi e il perchè di determinati comportamenti ed azioni. Inoltre si tratta di una sotto-trama che diventa sempre più avvicente con lo scorrere delle pagine.
Insomma, questo è un libro che parte piano, ma a cui bisogna dare una possibilità. 

L'indagine ha molti elementi del giallo classico. Il delitto è infatti avvenuto in un ambiente chiuso, con un numero limitato di sospettati. Sono situazioni che mi sono molto congeniali, ed ho altresì apprezzato che la soluzione del mistero passi attraverso lo studio e la compresione di dettagli legali (sì, lo so, è una deformazione professionale). Ed è qui che Perveen dimostra tutta la sua intelligenza e la sua perspicacia.
Nel finale Massey si concentra sulla risoluzione del mistero legato all'omicidio. Il ritmo si fa più veloce, ma mancano veri e propri colpi di scena; alcune rivelazioni comunque sono interessanti e rendono il finale assolutamente non scontato.

L'impressione che mi resta, finito di leggere il romanzo, è quello di una lettura piacevole, che a volte pare un po' troppo didascalica, ma che comunque non perde di vista la ragione principale d'essere di un romanzo, ovvero quello di raccontare una (bella) storia. A conti fatti, le descrizioni sulla società indiana degli anni venti sono un valore aggiunto, anche se hanno reso la lettura meno scorrevole.

Voto: 7

L'uomo di Lewis...

... di Peter May.


Fin, ex poliziotto di Edinburgo, dopo essere tornato brevemente sulla natia isola di Lewis, nelle Ebridi Esterne, per la risoluzione di un caso, decide di lasciare il lavoro e stabilirsi sull'isola. Qui si imbatte nel ritrovamento del corpo di un ragazzo, sepolto nella torba, che risale, probabilmente, agli anni '50. Quando gli sviluppi dell'indagini coinvolgono la donna che aveva amato in gioventù, Fin decide di indagare, e fa un viaggio a ritroso nel passato di una famiglia e di una comunità. Segreti, menzogne, abusi e atrocità emergono dal passato, e tocca a Finn dare un senso e una conclusione ad una storia che non può più rimanere nascosta. 

L'uomo di Lewis è il secondo libro della trilogia di Lewis scritta da Peter May. I due volumi sono autoconclusivi ed è possibile leggerli indipendentemente. Ma, poichè questo secondo romanzo comincia poche settimane dopo la fine del primo, L'isola dei cacciatori di uccelli, consiglio vivamente di leggerli in ordine, per meglio apprezzare la complessa storia di Fin e dell'isola di Lewis.
L'ambietazione scozzese  è la prima cosa che balza all'occhio del lettore. Essa riempie le pagine e l'unica parola che mi viene in mente per descriverla è possente. Questo romanzo non avrebbe avuto la stessa forza se fosse stato ambientato da un'altra parte.
Le Ebridi Esterne sono formate da piccole isole e piccoli villaggi molto chiusi e isolati, che però posseggono un grande senso della comunità. Peter May ci racconta la storia di un omicidio, che diventa la storia di una famiglia e delle comunità in cui ha vissuto.
Il viaggio indietro nel tempo è affascinante, intrigante e ricco di elementi misteriosi che andranno al loro posto solo con la lettura dell'ultima pagina.
Allo stesso tempo però, questa è la storia di un uomo, e del suo rapporto di amore e di repulsione verso il luogo dove è nato e cresciuto. Fin ne è fuggito appena maggiorenne, credendo di odiarlo; ma quando la sua vita è andata in pezzi, il richiamo dell'isola gli ha restituito equilibrio e stabilità.
Ho amato moltissimo questo lacerantre contrasto di Fin, e soprattutto ho amato la riscoperta dell'amore per il luogo da cui proviene, che non è il paradiso in terra e non è perfetto, ma è parte di lui. Nonostante la durezza dei luoghi e della vita che vi si conduce, c'è un che di consolante nell'idea di accettazione delle proprie orgini. Il contrasto fra l'asprezza dell'ambientazione, la crudezza degli eventi e la riscoperta del protagonista del sentimento per la propria terra rende il protagonista Fin un bel personaggio, scontroso, chiuso e non facile da comprendere, ma sicuramente molto umano.

La trama si svolge su due piano temporali.
Nel presente, Fin indaga sul ritrovamento del cadavere nascosto nella torbiera, in una lotta contro il tempo, prima che dalla terraferma mandino un poliziotto, un estraneo, a indagare ufficialmente. Il cadavere, infatti, sembra legato alla famiglia di Marsaili, la donna che Fin ha amato in gioventù, che in questo momento ha grossi problemi familiari di difficile risoluzione. Fin vuole proteggerla scoprendo la verità prima che qualcuno che viene da lontano ficchi il naso in vicende che non può comprendere.
L'indagine è ben strutturata. Se c'è una cosa che adoro nei gialli è quando le scoperte provengono non da intuizioni campate per aria o da colpi di fortuna dell'investigatore, ma da un vero lavoro di ricerca, in cui ogni passo è conseguenziale a quello precedente. Ed è esattamente così in questo romanzo.
La trama ambientata nel passato è molto interessante, offre molte notizie sulla vita e sulla società scozzese degli anni 40 e 50, diversi spunti di riflessione ed è quella che ha generato, nel mio caso, maggior curiosità. Credo sia la parte migliore della storia, senza nulla togliere al resto. Parte da un orfanotrofio, attraversa i vicoli di una città per arrivare allo splendido paesaggio delle Ebridi, dove il cielo e il mare sono un tutt'uno, e il vento non mette mai di sferzare gli uomini durante il duro lavoro.

Bello e delicato il finale.

Voto: 8

Gli amici silenziosi...

... di Laura Purcell.

La scheda del libro sul sito della casa editrice DeA Planeta

Inghilterra, 1865. La giovane Elsie, rimasta vedova e in attesa di un figlio, si ritira nella casa di campagna del ricco defunto marito insieme ad una cugina di lui, Sarah, sua dama di compagnia. Il primo impatto con i luoghi di cui la famiglia del marito è originaria è piuttosto deprimente. Al villaggio tutti provano grande diffidenza per lei, al punto che nessuno vuole lavorare nella grande casa padronale. Lì Elsie comincia a percepire qualcosa di strano: porte che non si aprono, misteriosi rumori notturni, oggetti che si spostano senza che nessuno li abbia apparentemente toccati. Poi fanno la loro comparsa i cosiddetti "amici silenziosi", sagome di legno che rappresentano persone a grandezza naturale, usate nei secoli precedenti per divertire gli ospiti. Ma quelle sagome scovate in soffitta nascondono una storia inquietante...

Elise Bainbridge è giovane, incinta e vedova. Proveniente da una famiglia benestante, ma non ricchissima, di estrazione commerciale, sposa per amore un maturo nobiluomo. Il loro idillio, però, viene interrotto troppo presto. L'amato marito muore improvvisamente proprio mentre si era recato nella tenuta di campagna, in attesa di essere raggiunto dalla moglie.
L'arrivo di Elsie nella tenuta della famiglia del marito è sconfortante: tutto intorno a lei è squallido e decadente, la servitù scarsa ed impreparata, la compagnia di altri essere umani assente. In questa situazione Elsie comincia ad avvertire che qualcosa non va in quella grande casa, ma distrutta dal dolore e stremata dalla gravidanza, non sa cosa sia vero e cosa non lo sia.

Ed insieme a lei non lo sappiamo neanche noi lettori. Il fascino di questo romanzo comincia da qui.
La storia infatti parte dalla fine, espediente letterario che apprezzo moltissimo. Elsie è in manicomio, stravolta, confusa, sull'orlo della pazzia. Cosa è accaduto? E possiamo fidarci di quello che lei stessa racconta come fosse la verità?

Gli amici silenziosi è un romanzo che si inserisce nel solco della narrativa horror, o meglio, soprannaturale, tracciato, secoli fa, dai grandi romanzi gotici.
La storia parte in sordina, e per qualche pagina ho avuto l'impressione di trovarmi di fronte una trama tutt'altro che notevole. Insomma, una grande casa di campagna, una donna sola, misteriosi scricchiolii e nessuno a cui chiedere aiuto sono tutti elementi visti e letti un milione di volte.
Eppure Gli amici silenziosi lentamente riesce a creare una tensione costante nel lettore, aggiungendo man mano dettagli che elevano il romanzo e gli danno una sua connatazione e una sua originalità. La maggior parte del merito va alla cura con cui l'ambientazione è stata costruita. La grande casa, decadente e soffocante, incombe letteralmente in ogni pagina che leggiamo, toglie il fiato e rende ogni dettaglio, anche il più insignificante, inquietante.
Se inizialmente, come detto, non ero affatto presa e per nulla spaventata, proprio per la certosina cura nella costruzione dell'ambientazione, col procedere della lettura ho iniziato ad avere prima ansia, poi costantemente il cuore in gola. Ci sono scene nel libro (e in particolare ce n'è una, che ovviamente non racconterò, che coinvolge un corridoio di notte) che sono descritte talmente bene e talmente vividamente da fa accapponare la pelle.

Il romanzo, insomma, fa benissimo il suo dovere: crea ansia, tensione e curiosità; avvince il lettore impedendogli di mettere giù il libro; costruisce una trama solida, misteriosa, impreziosita da rivelazioni sul passato della casa e della famiglia Bainbridge. L'autrice riesce abilmente a mescolare le carte in tavolo, facendoci dubitare della sanità mentale di Elsie e di quello che abbiamo appreso attraverso i suoi occhi e la sua voce narrante.
Il finale è splendido, evita spiegazioni forzate ma lascia benissimo intendere al lettore cosa sia accaduto davvero.
Far paura senza mostri, squartamenti e fiumi di sangue non è sempre semplice. È necessario avere eleganza e intelligenza, due qualità che il romanzo sicuramente possiede.

Consiglio questo romanzo a tutti i lettori, con la raccomandazione di fare attenzione alle porte (chiuse e aperte) mentre lo leggete.

Voto: 8

sabato 11 maggio 2019

L'isola dei cacciatori di uccelli...

... di Peter May.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Einaudi

Finn Macleod è ispettore della polizia ad Edinburgo. Ha da poco perso un figlio e il suo matrimonio non regge l'urto di questa tragedia. Quando sull'Isola di Lewis, Ebridi Esterne, viene commesso un omicio molto simile ad uno precedentemente commesso ad Edinburgo, Finn, originario del luogo, viene spedito ad investigare nella piccola comunità. La vittima è un uomo che ben pochi avevano motivo di amare. L'indagine costringerà perciò Finn a fare i conti col proprio passato, le proprie origini e con una comunità molto chiusa e legata, da cui era fuggito giovanissimo, ma che ora gli appare sotto una luce diversa.

Non conoscevo nè l'autore nè il romanzo che mi accingo a recensire. La verità è che l'ho letto solo perchè cercavo un libro ambientato in Scozia (sono stata in Scozia una anno fa, per la seconda volta, e ci ho lasciato il cuore, per la seconda volta). E così, per puro caso, ho scoperto un grande romanzo mistery/noir.

L'isola dei cacciatori di uccelli è un romanzo molte forte, molto duro e di una straordinaria quanto ruvida bellezza. La prima cosa che balza agli occhi è  l'ambientazione. Come detto, il romanzo si svolge in Scozia, quasi tutto sulla piccola Isola di Lewis, un isolotto incessantemente spazzato dai venti, dove la natura è aspra e selvaggia e modella il carattere delle persone a sua immagine. In questo romanzo ho visto la vera Scozia, lontana dai miti e dalle leggende di castelli e epiche battaglie; ho visto la lotta quotidiana di una intera comunità contro gli elementi per sopravvire, e allo stesso tempo il forte amore che la lega alla propria isola, a dispetto di tutto.
Un valore aggiunto sono dettagli preziosi che permettono di scoprire la vita quotidiana degli scozzesi lontano dalla capitale Edinburgo (e dell'altra grande città del paese, Glasgow): l'uso del gaelico, che viene loro più naturale dell'inglese; le tradizioni secolari a cui non rinunciano; le fattorie sperdute; la dignitosa povertà, ma anche l'alcolismo e la depressione.

Finn, il protagonista, è fuggito da tutto questo in un'età in cui il piccolo orizzonte dell'isola gli stava stretto, e torna ora, piegato dal dolore, per scoprire che quell'orizzone non era affatto così ristretto.
Ho amato motissimo sia l'ambientazione e i sentimenti contrastanti che suscita in Finn, e ho amato l'evoluzione di questi sentimenti, che lo porta a riconsiderare molte scelte della sua vita, e ad accettare ciò che non può essere cambiato. Questo parallelismo tra uomo e natura è la colonna portante del romanzo e la parte che ho apprezzato di più, perchè permetta a trama e personaggi di bucare le pagine.
Per certi versi, il romanzo mi ha ricordato quelli di de Giovanni; anche se lo stile è molto diverso, anche qui l'omicidio è quasi un pretesto per indagare l'animo umano e soprattutto gli abissi oscuri che nasconde; il passato non è mai passato finchè non ci si fanno i conti, e l'ambientazione è protagonista al pari dei personaggi.

La trama è solida, e oltre all'indagine su un efferato delitto, ci regala ampi flashback sul passato di Finn, che ci permettono di conoscere la comunità in cui è cresciuto, e tutti gli attori del dramma che si consumerà anni dopo. La stretta interconnessione fra i fatti raccontati nei flashback e quello che accadrà poi non è immediatamente chiara, ma si fa sempre più evidente mentre si prosegue con la lettura. La storia perciò diventa sempre più interessante ad ogni pagina.
Lo scrittore alterna sapientemente elementi del noir con elementi presi a prestito dalle migliori saghe familiari.
Ogni cosa è dipinta vividamente; la forza con cui i personaggi vivono, amano, odiano e soffrono non può lasciare indifferenti; così come non si può restare indifferenti davanti ad una trama che colpisce dritta allo stomaco.

Voto: 8

giovedì 9 maggio 2019

Le parole di Sara...

... di Maurizio de Giovanni.

La scheda del libro sul sito della Rizzoli

Sara Morozzi ha lasciato la Polizia anni prima, per accudire l'amore della sua vita, gravemente ammalato. Per lui ha lasciato marito e figlio, e adesso vive in solitudine, ma non si pente di nulla, dopo aver amato tanto. Ma l'unità speciale della Polizia in cui prestava servizio sembra avere ancora bisogno di lei. Non in via ufficiale, si intende. Teresa Pandolfi, amica ed ex collega, ha bisogno di aiuto per un'indagine sulla scomparsa di uno stagista, un'indagine che qualcuno, ai livelli superiori, non vuole che venga svolta. La persona giusta da contattare è Sara: lei sa muoversi nell'ombra, sa come non essere vista mentre vede tutto, e con l'aiuto di Viola, compagna del figlio deceduto in un incidente, e dell'ispettore Pardo, arriverà alla verità.

Iniziamo col dire che devo ancora trovare un libro di Maurizio de Giovanni che non mi piaccia. Anche I guardiani , il libro di de Giovanni che ha avuto meno succeso rispetto agli altri, è per me affascinante e ben scritto (anzi, io aspetto con ansia il secondo volume della serie, rinviato a data da destinarsi, sigh).
Le parole di Sara non smentisce questo trend.

Il volume è il secondo della serie dedicata a Sara Morozzi, detta Bionda, ex agente di una squadra speciale della Polizia, esperta di interpretazione del linguaggio del corpo, di lettura della labbra e comprensione delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Lei arriva a decodificare suoni e immagini incomprensibili per altri; è praticamente una donna invisibile, perchè ha passato la vita a mimetizzarsi con l'ambiente, per poter cogliere ogni minimo dettaglio utile alle indagini senza farsi notare.
Questo secondo romanzo mi è piaciuto più del primo. Infatti il libro ha dalla sua una trama ben congegnata e compatta, che mescola elementi diversi (dal mistery, al noir alla spy story) e una protagonista originale curata nei minimi dettagli.
Ho apprezzato molto la scelta di includere nell'edizione il racconto breve Sara che aspetta, inizialmente pubblicato nell'antologia poliziesca Sbirre. Il racconto, oltre ad essere molto bello, anche se doloroso, come tutto quello che riguarda la nostra donna invisibile, getta luce sul passato recente di Sara. Un vero e proprio regalo per i lettori appassionati della serie e dell'autore.

Dopo un primo capitolo, recensito qui , in cui larga parte della trama era dedicata alla presentazione dei personaggi, del contesto e del passato di Sara, ho trovato questo nuovo romanzo molto focalizzato sulla storia, con una protagonista perfettamente integrata nel meccanismo della narrazione.
Nonostante sia la protagonista, Sara riesce davvero ad essere invisibile. Parla poco, ma agisce molto, soprattutto in sordina. Riesce ad essere quasi invisibile anche agli occhi del lettore, che, distratto dai problemi di Viola, dalle sue scaramucce con l'ispettore Pardo e dai fantasmi del passato che non cessano di tormentare i protagonisti, quasi non si rende conto del grande lavoro sottorraneo svolto dell'ex poliziotta.
Il personaggio è dunque costruito alla perfezione e ho trovato interessante che riesca a mimetizzarsi così bene con la trama senza però sparire. De Giovanni è davvero riuscito a creare una protagonista che domina la scena senza che il lettore se ne accorga.

L'intreccio è complesso quanto basta ed è narrato in maniera lucida e diretta; le riflessioni, l'empatia e i sentimenti sono affidati ai brevi momenti di flashback, anch'essi perfettamente integrati nello sviluppo della trama. La storia è di quelle spinose; oltre a dover risolvere il mistero legato alla scomparsa di un giovane stagista, l'eterogenea squadra di investigatori dovrà fare i conti con depistaggi, oscure minacce e apparati deviati dello Stato.

Fa capolino nella trama anche l'attualità, con richiami ai temi dello sfruttamente dell'immigrazione ai  gruppuscoli eversi di matrice fascista.

L'ambientazione è sempre quella napoletana cara all'autore, ma è interessante sottolineare che Napoli qui è, al pari di Sara, invisibile eppure presente e riconoscibilissima, anche se non viene mai nominata. È una città dolente, disperata ma non rassegnata, viva, pronta sempre a sconfiggere "il male"con l'ultimo guizzo di autoconsapevolezza.
Come Sara.

Il finale mi è piaiciuto moltissimo. Forte (anche se non scioccante come ci ha abituato l'autore), duro e assolutamente non politically correct.

Voto: 8

lunedì 6 maggio 2019

Circe...

... di Madeline Miller.


Rieccoci anche questo mese all'appuntamento con Questa volta leggo, la rubrica creata dalle blogger dei blog La libridinosa, Le mie ossessioni librose e Lettrice sulle nuvole.
Ogni blogger partecipante si impegna a leggere un libro che soddisfi il tema del mese, che per questo mese di maggio è leggere qualcosa pubblicato nel 2019. La mia scelta è stata Circe, di Madeline Miller.



Circe, figlia del Sole e della ninfa Perseide, è diversa dai suoi genitori e dai suoi fratelli divini. Parla con voce umana, ha un aspetto meno imponente e soprattutto prova empatia e amore per gli esseri umani. Ha il dono della magia, ma questo non le porterà stima o affetto da parte delle altre creature divine. È troppo diversa da loro, e questa diversità la porterà in esilio sull'isola di Ea, dove scoprirà la sua vera natura e inconterà diversi personaggi della mitologia, e finalmente, andrà incontro al suo destino.

Inizialmente ho guardato questo libro con un po' di sospetto. Insomma, la mitologia e l'epica classica l'abbiamo studiata tutti a scuola, e la storia di Circe la conoscono pure i sassi. Temevo, insomma, di annoiarmi leggendo una storia già vista e già sentita. 
Fortunatamente i miei dubbi erano totalmente infondati. Circe è una gran bel romanzo, che si legge tutto d'un fiato nonostante le sue 400 e passa pagine. 

Innanzitutto, parte del merito è dello stile usato dall'autrice, fluido e accattivante come quello di una fiaba. 
In secondo luogo, la storia narrata qui è di più ampio respiro rispetto al frammento che abbiamo imparato a conoscere sui banchi di scuola. Circe riempie tutto il romanzo, con le sue fragilità, le sue passioni e soprattutto con la continua ricerca del suo posto nel mondo e della sua vera natura. 
Questa continua ricerca, dolorosa e senza fine, è quello che mi ha colpito di più del romanzo. Non mi aspettavo un racconto così vero, così empatico e a tratti così straziante in un romanzo di genere fantastico. L'umanità di Circe in contrasto con  la sua natura divina è dipinta in maniera splendida, e racconta del dualismo che, secondo me, è in ogni essere umano. Abbiamo tutti un luogo di provenienza ed una famiglia alle spalle, ma dobbiamo comunque lottare per trovare il nostro ruolo, che sia esso vicino o lontano dall'ambiente da cui proveniamo; che sia quello che la famiglia e la società si aspettano o sia completamente diverso. In questo senso Miller racconta una storia universale, capace di parlare a diversi tipi di lettori.

Ma non è tutto qui. La trama è unica e coinvolgente, e sa dare contenuto alle storie della mitologia classica. Circe incontra e si scontra con moltissimi personaggi noti: Glauco, Scilla, Dedalo, il Minotauro e naturalmente Odisseo. 
Se Circe dunque domina il romanzo con la sua straordinaria volontà di vivere a modo suo, i personaggi minori non sono da meno.
L'incontro con l'eroe acheo, ovvero la parte più famosa del mito di Circe, segna sì un punto di svolta nella vita della maga, ma non occupa, come mi ero aspettata, grandissima parte del romanzo. Più importanti ne sono le implicazioni, e più interessante è il ritratto di Odisseo che emerge da quelle pagine. La figura dell'eroe ne esce ridimensionata, ma rafforzata nella sua umanità e nella sua credibilità. Insomma, anche l'astuto e inarrivabile Ulisse aveva le sue fragilità e (soprattutto) le sue meschinità.
Particolarmente interessanti e degne di nota sono le figure di Telemaco e Penelope, di cui si narra la storia, perlopiù sconosciuta, dopo il ritorno a casa di Odisseo. Saranno loro ad accompagnare Circe verso uno splendido finale, degna conclusione di una storia meravigliosa.

Circe è un romanzo interessante, magico e di sicura presa sul lettore. La mitologia greca, argomento di per sè affascinante, non viene stravolta, ma viene sviscerata per raccontare le storie che stanno dietro storie più famose. I personaggi vengono riempiti di sentimenti, difetti e passioni, e balzano prepotentemente fuori dalle pagine. Spesso, durante la lettura, ho avuto il desiderio di andare a leggere cosa raccontava la mitologia sui personaggi del libro, per poi scoprire che il mito narrava praticamente le stesse cose del romanzo, ma con meno attenzione, meno dettagli e meno empatia. In questo senso Madeline Miller è riuscita davvero a dare nuova vita alla mitologia classica. Oltre a creare un romanzo stupendo.

Voto: 8

E per finire, vi lascio il calendario della rubrica per il mese di maggio. Se volete dare un'occhiata ai libri pubblicati di recente, non perdetevi le recensioni sui blog partecipanti!