mercoledì 15 febbraio 2012

Lasciami entrare + Blood Story...

....ovvero due al prezzo di uno: il libro più il film!!

Partiamo dal romanzo. Lasciami entrare è un horror scritto nel 2004 da John A. Lindqvist, autore di nazionalità svedese.
Cosa succede se un umano adolescente si innamora di un vampiro dal corpo di un'adolescente? Grazie a questo romanzo, la risposta oramai non è più soltanto leggiti Twilight!
E grazie al cielo, direi!

La trama:
Oskar è un ragazzino svedese di 13 anni, che abita con la madre in un sobborgo di Stoccolma. Chiuso ed introverso, ma anche intelligente e sensibile, a scuola è vittima di feroci atti di bullismo. Una sera conosce Eli, una ragazzina magra e pallida che si è trasferita nell'appartamento accanto al suo. Nonostante l'inziale, reciproca diffidenza, i due finiscono per fare amicizia. Questo rapporto porterà Oskar a scoprire un incredibile segreto che riguarda Eli e Hakan, l'uomo con cui vive, e che lei afferma essere suo padre.

Incipit:

Blackeberg.
Fa pensare a quei dolci rotondi di pasta di cocco, magari fa venire in mente la droga. Una vita decente.Si pensa alla metropolitana, ai sobborghi. Poi probabilmente non viene in mente altro.

In quest'ultima frase è racchiusa quasi tutta l'ambientazione del romanzo. Il niente. Il nulla. Il vuoto che circonda i protagonisti.
Nel perennemente ghiacciato sobborgo in cui si muovono Eli e Oskar, nessuno degli adulti presta attenzione a loro. Intorno a loro c'è il vuoto, e nel romanzo tutto ciò è maledettamente normale.

Gli adulti sono dei falliti, alcolizzati, perdenti distratti dalla loro svogliata lotta alla sopravvivenza.
La madre di Oskar praticamente parla con il figlio solo per chiedergli se è tutto ok, e accetta sempre con superficialità la bugia che è tutto a posto, anche di fronte all'evidenza.
Il padre di Oskar è un'alcolizzato che non può fare a meno di ubriacarsi anche nell'unico week-end che passa col figlio.
Anche chi sembra interessarsi ad Oskar, come il suo professore di ginnastica, che riesce a tenere a freno i bulli che lo tormentano, in realtà si ferma all'apparenza delle cose, non prende iniziative e lascia Oskar chiuso nel suo mutismo.
Hakan, che si prende cura di Eli "per amore", in realtà nutre per lei pulsioni malsane; prima di venir reclutato da lei era un pedofilo.

I ragazzi invece sono confusi e crudeli. Lo stesso Oskar, intelligente e tormentato, ha come eroi i serial killer di cui ritaglia le gesta raccontate negli articoli di giornale. E' un ladruncolo, e sogna di riuscire ad accoltellare i suoi tormentatori. Si innamora di Eli, o forse sarebbe più corretto affermare che ne resta affascinato, e il suo lato mostruoso lo turba, ma in fondo non lo spaventa più di tanto.


questa foto descrive bene l'ambientazione del romanzo

E poi, in questa inquietante e opprimente "normalità" arriva l'elemento soprannaturale: il vampiro.
Sì, si tratta di un vampiro adolescente. Sì, c'è un umano anch'egli adolescente e complessato. E sì, si innamorano.
Ma - prima che lo chiediate - no, i vampiri non luccicano al sole e no, non si nutrono di sangue animale per essere politically correct.
Non esiste il buonismo stucchevole di molti urban fantasy di recente produzione; l'amore è qualcosa di molesto, di disturbante, ma anche ineluttabile.
Come esempio, leggete il passo qui sotto. Eli parla con Hakan, l'uomo che le procura il sangue delle vittime che lui stesso uccide, perchè Eli è troppo debole per farlo da sola. Hakan ha appena compiuto l'ennesimo omicidio.

- Hakan, hai...? -
- Ti amo.-
- Sì.-
- E tu mi ami? Almeno un po'?-
- Lo faresti un'altra volta, se ti dico che ti amo?-
- No.-
-Ti dovrei amare comunque. E' questo che vuoi dire.-
- Tu mi ami solo perchè io ti aiuto a restare in vita.-
- Sì. Non è questo l'amore?-

Nessuno sbrodolamento mieloso. Sola la cruda e cinica realtà dei sentimenti di Eli, che ha dodici anni da troppo tempo.
Eli è un mostro in un mondo popolato di mostri.

La ragazza si spostò e gli si mise accanto. Il vapore del suo alito si sparse sul volto di Oskar e le luci della città si spensero all'ombra di Oskar. Le pupille erano due buchi rotondi nel suo volto.
E' triste. Tanto, tanto triste.
- No. Non ricevo mai regali. Non ne ho mai ricevuti.-
Oskar annuì appena. Il mondo intorno a lui non esisteva più. C'erano soltanto quei due buchi neri a distanza di un respiro. Il vapore delle loro bocche si mischiava, saliva in alto e si scioglieva.
-Vuoi farmi un regalo? -
-Sì.-
La voce della ragazza era un bisbiglio. Soltanto un'espirazione che si formava sulla sua  bocca. Il suo volto era vicino. Oskar fissava affascinato la sua pelle vellutata.
Per questo non notò il cambiamento degli occhi, le pupille si erano rimpicciolite, l'espressione era cambiata. E non vide il labbro superiore alzarsi scoprendo i due piccoli canini bianchi. Vedeva soltanto la sua guancia, e quando i canini della ragazza si avvicinarono alla sua gola, Oskar alzò una mano e le accarezzò la guancia.

Ora, a parer mio questo sì che si può chiamare un incontro fra un umano e un vampiro - niente a che vedere con certe partite di baseball sotto il temporale! Lei lo incanta, lui è accecato e la accarezza anche quando lei sta per morderlo: io l'ho tovato sublime.

Lasciami entrare resta però un horror atipico. Il ritmo è molto lento. La linea narrativa del terrore si alterna alla narrazione della quotidianità grigia e triste di Oskar. L'autore si è dato un gran da fare per creare intorno ai suoi personaggi una opprimente cappa di angoscia - che è la caratteristica più spiccata del romanzo e quella che funziona meglio.
Ciò nonostante, alcune scene horror - descritte con stile "trasparente",  frasi brevi e in termini vividi, crudi, realistici -  sono memorabili.
Ad esempio, Hakan viene scoperto mentre cerca di uccidere una vittima, e si versa dell'acido addosso per non farsi identificare - e vi assicuro che la scena è tremenda! -  per non condurre la polizia da Eli.
In seguito Eli gli succhia il sangue, e lui si uccide gettandosi dalla finestra. Ma qualcosa va storto, e Hakan si trasforma in uno zombie sfigurato che mangia carne umana e beve sangue, e che ha un unico chiodo fisso, trovare Eli e farla sua. In tutti i sensi.
Le scene che lo riguardano sono raccapriccianti. Hakan resta fortuitamente chiuso in una cantina buia con un ragazzo, che si accorge con orrore che quella cosa che ha davanti non può morire...

Staffan [un poliziotto, N.d.Lisse] afferrò il manganello e lo usò per spingere la porta.

E vide.
Se non fosse stato per un braccio staccato a metà, la massa dietro la quale Tommy era inginocchiato poteva difficilmente essere riconosciuta come il corpo di un essere umano. Una parte del torace, lo stomaco, il volto erano soltanto un mucchio di carne, intestini, ossa frantumate.
Tommy teneva fra le mani quella che sembrava una pietra quadrata che, a un certo punto della canzone, abbassava per colpire i resti maciullati che non offrivano più alcuna resistenza, cosicché la pietra passava attraverso il corpo e finiva per colpire il pavimento con un rumore sordo, e poi Tommy la rialzava e un altro elefante saliva sul filo della ragnatela.
Staffan non era del tutto sicuro che fosse Tommy. La figura che alzava e abbassava la pietra era talmente coperta di sangue e brandelli di carne che era difficile... Staffan provò un acuto senso di malessere. Deglutì diverse volte per respingere i conati di vomito, abbassò gli occhi per non vedere[...]
La testa gli girava, e senza curarsi delle impronte digitali mise una mano sullo stipite della porta per non cadere all'indietro. Il ritornello della canzone continuava:Altrettanto belli i capitoli in cui viene descritta la trasformazione di una vittima sopravvissuta all'attacco di Eli - la sua sete di sangue la spinge a bere il proprio prima di capire cosa sia diventata.

Duecentosettantasei elefanti
Si dondolavano, sopra il filo di una ragnatela...
Staffan si disse che doveva essere in pessime condizioni, perché aveva delle allucinazioni. Gli sembrava che... no... era sicuro che i resti umani sul pavimento si muovessero fra un colpo e l'altro.
Come se stessero cercando di alzarsi.

Il suo tormento, il suo orrore, la sua paura sono sentimenti molto banali, se vogliamo, ma incredibilmente realistici. E fanno paura proprio per questo.

Unico neo, il finale. Non che sia brutto, ma sembra un po' tirato via, affrettato. La soluzione cala dall'alto (letteralmente! E chi ha letto il libro o visto il film sa di cosa parlo), e sebbene abbia apprezzato la svolta narrativa, trovo che sia stata troppo improvvisa.

Voto: 7,5
Pro: Angoscia e paura
       Stile pulito, frasi brevi, descrizioni vivide
       Ambientazione e atmosfere ben riuscite

Contro: ritmo lento
            finale affrettato

E veniamo al film.
Il film accentua le caratteristiche di horror atipico già presnti nel romanzo.
E' ambientato in un New Mexico che sembra la penisola scandinava, e onestamente non capisco il perchè di questo stravolgimento di luoghi da un lato, accompagnato dall'altro dal tentativo di riprodurre le medesime atmosfere e la medesima ambientazione.
Ad ogni modo, le immagini ben rendono il senso di desolazione alla base della storia; anche i personaggi sono riusciti (per esempio l'assenza della madre di Oskar - qui chiamato Owen - dalla sua vita viene resa nel film non inquadrandola mai in primo piano, ma sempre di sfuggita, da lontano. Nel film la madre di Oskar/Owen praticamente non si vede! Bella trovata!)
Purtroppo, tutto quello che di disturbante e morboso c'era nel libro viene accuratamente cancellato - Hakan, per esempio, da pedofilo diviene un amico che Eli - qui chiamata Abby - aveva conosciuto quando era un adolescente anche lui. I toni sono smorzati, i rapporti edulcorati. Un vero peccato, secondo me, aver tagliato via anche alcuni dettagli horror presenti nel libro (come la trasformazione di Hakan in uno zombie).
Nonostante ciò il film a parer mio funziona, riuscendo anche a rendere il finale meno improvvisato di quanto mi era sembrato nel romanzo.

Voto: 7
Pro: Profondo e delicato
       storia interessante
       personaggi ben resi
      
Contro: forse un po' troppo delicato
            scarseggiano gli elementi horror

giovedì 9 febbraio 2012

Pausa caffè

Aderisco all'iniziativa proposta sul blog di Danda e pubblico la foto della mia pausa caffè :)


Rassicuro tutti i miei numerosi (?!) lettori: appena finita la pausa caffè vado a  lavorare alla recensione di Lasciami entrare.

martedì 7 febbraio 2012

Versatile blog award


Mr. Giobblin, blogger del Minuetto Express, blog di cui ho già parlato e che mi piace da morire, mi ha coinvolto in questa simpatica catena di SAnt'Antonio per blogger. Ora, dovrei rivelare al mondo 7 cose di me che nessuno sa...cosa alquanto complicata perchè, come sostiene quell'uomo saggio che è mio marito, non mi so tenere un cecio in bocca.

Vabbè, proviamoci!

1. Sono una giocatrice di ruolo. Sono patita per il gioco di ruolo! Ho cominciato negli anni '90; giocando ho conosciuto mio marito, e sul finire degli anni 90 sono stata, insieme a lui e a dei carissimi amici, campionessa nazionale a squadre del gioco di ruolo Il richiamo di Cthulhu e di Cyberpunk 2020 (due anni di fila). Ok, ok, è vero, me ne sto approfittando per tirarmela un po'!

2. Sono tifosa del Napoli. Magari questa cosa chi mi sta vicino la sa già, ma credo di non averne mai parlato in rete. Sono fiera di poter affermare che non sono una tifosa dell'ultima ora; tifo da sempre, ed ero una bambina quando papà mi portava a vedere le partite - erano i tempi di Maradona! Ero allo stadio nell'anno (l'89, mi pare?) in cui perdemmo in casa con Milan e dicemmo addio allo scudetto, e ne vado fiera, come di una cicatrice di guerra ;)

3. Sto sempre a parlare di libri, ma non credo di aver mai detto che adoro Marion Zimmer Bradley e la saga di Darkover. MZB per me è stata una maestra di vita. Uno dei suoi libri mi ha indicato la via, tantissimi anni fa.

4. Ho un rapporto di amore odio con i miei capelli. Passo ore a torturarli con il phon e con la piastra, ma alla fine vincono sempre loro.

5. Detesto I Promessi Sposi. Odio quel romanzo dal profondo, è tutto quello che un romanzo non dovrebbe essere, lento, noioso, supponente - e Lucia mi stava pure antipatica!

6. Potrei vivere mangiando solo pizza e nutella.

7. Penso che ci sia qualcosa di speciale che mi aspetta dietro l'angolo. ;)

E adesso chi nomino?
Nomino innanzitutto le mie amiche abruzzesi e molisane:

e poi Luigi di Letteratura e Cinema (non mi risulta che lo abbia già ricevuto, questo premio).

Per finire, vi lascio informandovi che sto preparando una recensione doppia (libro+film); Lasciami entrare + Blood Story.
A presto!

lunedì 30 gennaio 2012

Ringraziamento + news


Vorrei ringraziare Luigi di Letteratura&Cinema per avermi attribuito questo riconoscimento. Inutile negarlo, fa sempre piacere :)

Per spiegare in poche parole di che si tratta, prendo in prestito le info dal blog Letteratura e Cinema.

Letteralmente, Liebster Blog, parola proveniente dal tedesco, significa blog preferito.
Ogni blogger che lo riceve deve consegnarlo ad altri cinque blog preferiti, con meno di duecento follower,
Il ricevente del premio dovrà ringraziare il blog che l'ha premiato e linkarlo.
Dovrà copiare e incollare l'immagine del Liebster Blog.
Scegliere cinque blog meritevoli con meno di duecento iscritti.
Avvisare i blogger con un commento sul loro blog.
E io ora a chi attribuisco questo premio?
Ho pensato di darlo ai blog che leggo tutti i giorni, e che non vedo l'ora di aprire quando mi siedo al pc.


E scommetto che adesso volete sapere anche la novità, eh?

Bene, lo sapevo che prima o poi aver cominciato a studiare lo spagnolo mi sarebbe tornato utile, perciò, attingendo le notizie direttamente dal sito ufficiale di Carlos Ruiz Zafon, vi annuncio che a novembre è uscito in Spagna il terzo volume della tetralogia de Il Cimitero dei Libri Dimenticati. Il terzo volume si intitola Il Prigioniero del Cielo, e, sempre secondo quanto appreso dal sito ufficiale dell'autore, verrà pubblicato prossimamente in versione italiana. La versione inglese, invece, uscirà nel Regno Unito il 21 giugno (come potete leggere sul Sito ufficiale in inglese).

Il Prigioniero del Cielo si svolge ovviamente a Barcellona, ed è ambientato nel 1957, dodici anni dopo le vicende narrate ne L'ombra del Vento.
Daniel Sempere ed il suo amico Fermin, protagonisti de L'Ombra, ritornano in gioco per affrontare la sfida più grande della loro vita.
Proprio quando tutto sembra andare per il meglio, un personaggio inquietante visita la libreria dei Sampere e minaccia di rivelare un terribile segreto che è rimasto sepolto per due decenni nell'oscura memoria della città.
Conoscendo la verità, Daniel comprende che il suo destino conduce inesorabilmente ad affrontare la più grande delle ombre: quella che gli sta crescendo dentro.
Traboccante di mistero ed emozione, Il Pregionero del Cielo è un romanzo magistrale, in cui i fili de L'ombra del Vento e Il Gioco dell'Angelo convergono attraverso la magia della letteratura, e ci conducono verso il mistero che si nasconde nel cuore del Cimitero dei Libri Dimenticati.
(trama tratta dal sito dell'autore - la traduzione è mia, e perciò non è perfetta, ma credo renda l'idea!)

Ma la vera domanda da porsi è: riuscorà questo romanzo a farmi dimenticare la grandissima delusione che è stato Il Gioco dell'Angelo?
Lo scopriremo solo vivendo!

venerdì 13 gennaio 2012

Il mercante di libri maledetti...

...di Marcello Simoni.

Trama:

Italia, 1218.
Ignazio da Toledo, mercante di reliquie, riceve dal conte Scalò, notabile veneziano, il compito di mediare l'acquisto di un antico e tomo, l'Uter Ventorum, offertogli in vendita da un monaco, Vivienne de Narbonne, che Ignazio conosce bene e che credeva morto 13 anni prima. Sulle tracce del libro c'è anche un misterioso tribunale segreto, la Saint Veheme, che anni prima aveva costretto Ignazio a fuggire dall'Italia per riparare in Oriente. Con il fido Willalme ed il giovane segretario Uberto, Ignazio parte alla ricerca del libro.

Incipit:

Chi fosse realmente Ignazio da Toledo, nessuno avrebbe saputo dirlo con certezza. A volte fu giudicato saggio e colto, a volte infido e negromante. Per molti era solo un pellegrino, girovago da una terra all’altra in cerca di reliquie da vendere ai devoti e ai potenti. Benché evitasse di rivelare le proprie origini, i suoi lineamenti moreschi, ingentiliti dalla carnagione chiara, parlavano fin troppo dei cristiani vissuti in Spagna a contatto con gli arabi. Il capo completamente rasato e la barba plumbea gli conferivano un’aria dottorale, ma erano gli occhi a catturare l’attenzione: smeraldi verdi e penetranti incastonati fra rughe geometriche. La sua tunica grigia, coperta da un mantello con cappuccio, emanava la fragranza delle stoffe orientali intrise di aromi per il tanto viaggiare. Alto e magro, camminava appoggiandosi a un bordone. Questo era Ignazio da Toledo e così lo vide per la prima volta il giovane Uberto, quando la sera piovosa del 10 maggio 1218 il portone del monastero di Santa Maria del Mare si aprì. Entrò un’alta figura incappucciata seguita da un uomo biondo che si trascinava dietro un grosso baule.

Se vi va, potete leggerne online un estratto .

Credo che questo libro, nonostante una trama all'apparenza intrigante e nonostante la grande pubblicità che ha alle spalle (ad esempio oggi - 08.01.2012 - Simoni è stato intervistato su RaiUno, durante la rubrica del TG1 Billy - ed oggi 10 gennaio, apprendo che il romanzo ha vinto il premio Salgari per la narrativa avventurosa!), sia un prodotto acerbo, non ancora compiuto, a tratti un po' ingenuo. Tutto lo studio e la documentazione che l'autore dice di aver messo nella stesura di questo romanzo non bastano a coprirne i difetti - difetti che sinceramente mi stupisce trovare in un'opera che è passata attraverso due diverse pubblicazioni (la quarta di copertina ci informa che il libro è stato pubblicato prima in Spagna, nel 2010).
 
Già dallo stesso incipit si possono intuire le prime avvisaglie del fatto che qualcosa non va.
Lo scrittore inizia narrando con un punto di vista esterno di Ignazio da Toledo e della sua fama misteriosa, per poi passare senza un perchè, ex abrupto, al punto di vista del giovane Uberto.
Infatti, quando Uberto apre la porta, il lettore si aspetta che entri Ignazio, invece vediamo entrare  un’alta figura incappucciata. E' ovvio che si tratta di Ignazio, ma per un istante la mente del lettore smette di fluire insieme alla trama e si chiede " ma mo' questo chi è? Ah, sì è Ignazio dal punto di vista di Uberto!"; il ritmo si spezza, l'incanto si rompe e il lettore prova fastidio (o almeno, io ho provato fastidio!).
E proseguendo in quello stesso capitolo, in poco più di due pagine il punto di vista (o POV - point of view) salta senza ritegno da Uberto, ad Ignazio, all'abate del monastero.
La cosa è così frequente e ripetuta nel corso del romanzo che non so cosa pensare: l'autore ha semplicemente ignorato la regola tecnica del punto di vista, anche se non saprei dire se per scelta consapevole o meno.

Le descrizioni dei personaggi sono sempre qualcosa di avulso dal contesto e staccato dall'azione e dalla scena. L'autore si ferma (e ci ferma mentre leggiamo) e descrive, in perfetto stile "lista della spesa" ogni singolo personaggio che arriva in scena, fosse anche l'ultimo degli stallieri che compare per due righe e poi ritorna nell'oblio. Siccome non pretendo che mi crediate sulla parola, vi faccio qualche esempio:

[da pag. 63: Ignazio sta lottando con un losco figuro che lo stava spiando. L'uomo è armato di pugnale, Ignazio è dosarmato e in pericolo. Arriva provvidenzialmente Willalme e attacca il losco figuro. Mentre i due si battono...] Il mercante avvertì la rabbia di quel figuro (eggià, non l'avevo capito che era arrabbiato, ha soltanto tentato di ucciderti con un pugnale..N.d.Lisse), ma anche la sua indecisione. E per quanto non riuscisse a a distinguerne i lineamenti, lo studiò con attenzione. Era alto e robusto, sicuramente avvezzo a indossare l'armatura. Il suo portamento non era quello di uno sgherro qualunque, ricordava piuttosto i cavalieri dell'esercito crociato. Quegli armigeri avevano un modo tutto loro di camminare, con le gambe divaricate e il busto proteso in avanti . Inoltre l'uomo in nero doveva essere abituato a maneggiare armi pesanti, spade o mazzapicchi, perchè appariva palesemente a disagio con un semplice pugnale. Il tempo di fermò per un istante, poi l'uomo in nero si voltò di scatto e si precipitò di corsa versao l'uscita.

Questo brevissimo estratto è paradigmatico del modo di raccontare di Simoni. Potrei sorvolare sul fatto che un tizio le sta dando di santa ragione al tuo amico, e tu, Ignazio, ti metti a sproloquiare nella tua testa di come cammina il losco figuro, invece di intervenire; sorvoliamo sul fatto che in un istante Ignazio fa una radiografia allo sconosciuto (poco è mancato che ci dicesse pure cosa aveva mangiato a pranzo), sorvoliamo sull'infodump sugli armigeri, e sorvoliamo sul fatto che precipitarsi di corsa non è corretto in italiano (io non ho mai visto nessuno precipitarsi a passo di lumaca, infatti il significato di precipitarsi è andare con impeto e di corsa verso qualcuno o qualcosa); la cosa peggiore secondo me è che Simoni spezza la narrazione con una descrizione di dubbia utilità pratica (tanto noi lettori già lo sappiamo - o lo scopriremo a brevissimo - che il losco figuro non è uno sgherro qualunque), che uccide l'azione e il ritmo della scena.

Le descrizioni stesse poi, sono di un'ingenuità disarmante, a partire dagli occhi verdi paragonati agli smeraldi nell'incipit. Esiste una metafora più abusata di questa? Per di più la metafora è ripetuta in continuazione, le iridi smeraldine di Ignazio sono un po' dappertutto nel romanzo.
Le persone poi non sono in un certo modo, no, le persone hanno un'aria, così come le cose hanno un aspetto, e tutto è piuttosto alto, o basso, o spesso... Le descrizioni sono sempre vaghe, generiche, indecise.
Pare che l'autore non sia sicuro di niente, che non si voglia prendere la responsabilità di fare un'affermazione definitiva.

[pag. 156] [...]aveva l'aspetto di un piccolo gazebo tunisino[...]

[pag. 169]Il giovane prese un'ampolla piuttosto spessa[...]

[pag. 170]  In un angolo della stanza commpariva un forno dall'apetto singolare [...]

[pag. 204] [...] sebbene l'aspetto sciupato lo facesse sembrare più vecchio.

[pag. 170] Ignazio e Uberto si portarono al centro del laboratorio, dove si trovava un tavolo da lavoro. Era senz'altro il mobile di maggior pregio presente nella stanza. Aveva l'aspetto di uno scrittoio di legno piuttosto alto, con ante riccamente intarsiate [...]

Insomma, è un tavolo o uno scrittoio? Non siamo ad Howgarts dove una cosa può avere l'aspetto di una teiera ed essere la professoressa Mc Grannit!
Ma poi, i tavoli hanno le ante? Ed in ogni caso, come fa questo tavolo con l'aspetto di scrittoio posto in mezzo alla stanza a nascondere il cadavere di un tizio morto mentre stava scrivendo al medesimo tavolo, tanto che Ignazio e Uberto perquisiscono il laboratorio ma non trovano il cadavere se non alla fine della loro ispezione?
Questa sorta di insicurezza ritorna anche sotto altre forme. Simoni infatti ha il vizio di ribadire in continuazione l'ovvio, forse per essere sicuro che il lettore abbia capito bene quello che sta accedendo.

Esempi:

[...pag 62:Ignazio è a colloquio col conte Scalò; Willalme, rimasto di guardia, vede un losco figuro vestito di nero seguire i due nel luogo dove si sono appartati] Willalme penetrò nella cripta convinto che l'uomo in nero fosse entrato là dentro per spiare Ignazio.

Davvero?!? E io che pensavo volesse ordinare una pizza!

[pag. 171: Ignazio scopre un cadavere] Un taglio praticato sotto il mento, da orecchio a orecchio, indicava la causa della morte. Gli avevano reciso gola e carotide e il sangue era fuoriuscito copioso, lordando gli abiti e il pavimento.

E io che pensavo fosse morto di infarto!
Davvero, dopo che l'autore mi ha descritto il taglio da orecchio a orecchio, è proprio necessario ribadire che il cadavere ha la gola tagliata? E di esempi simili se ne potrebbero fare molti altri.

La trama stessa risente della medesima insicurezza narrativa.
Strutturata come una classica caccia al tesoro, con i protagonisti che risolvono indovinello dopo indovinello, non ha veri e propri buchi logici, ma, ancora una volta, pecca di ingenuità - o forse di presunzione, facendoci credere d'essere più misteriosa di quello che è.

Innanzitutto, ciò che è ovvio per i più, non è ovvio per l'autore e i suoi personaggi, dato che questi ultimi sono soliti scoprire cose ovvie con il tono e l'entusiasmo di chi ha appena scoperto l'America con due secoli di anticipo.

La ricerca dei protagonisti parte dalla tomba di Vivienne de Narbonne, dove i nostri scoprono inciso sulla sua croce un indovinello in versi che dovrebbe guidarli nella caccia all'Uter Vetorum; diligentemente lo trascrivono e poi, nonostante già sappiamo di essere seguiti, lo lasciano lì senza fare il minimo tentativo di distruggerlo/renderlo illegibile/camuffarlo. Dopo essere caduti in numero imprecisato (ho perso il conto) di imboscate da parte della Saint Veheme, Ignazio giunge alla incredibile conclusione che i loro antagonisti dovevano aver trovato l'enigma lasciato da Vivienne de Narbonne a San Michele della Chiusa.
E come avranno mai fatto? Questi loschi figuri del Tribunale segreto ne sanno davvero una più del diavolo!!

I lettori non possono provare lo stesso stupito entusiasmo di Ignazio quando egli leggendo un indovinello secondo cui l'indizio che cercano è segnato con il fuoco, sulla cute, esclama soddisfatto e orgoglioso che devono cercare un tatuaggio!
Di fronte agli inviati del terribile tribunale segreto (pag. 201), uno dei quali se va in giro con una maschera rossa (tanto per passare inosservato) Ignazio  ebbe un attimo di titubanza, poi ne fu certo: quello era Dominus, la Maschera Rossa.
Ignazio ha pure un attimo di dubbio! Cioè, ci ha anche dovuto pensare su per capire che un tizio con la maschera rossa è la Maschera Rossa.
Ora capisco perchè l'autore ci ricorda sempre che Ignazio ha un sorriso volpino: perchè tutte le mattine mangia pane e volpe. Certe brillanti intuizioni non si spiegano altrimenti.

Parlando di furbizia, però, una menzione speciale la meritano anche i cattivi del romanzo: costantemente vestiti di nero e incappucciati, anche con 40 gradi all'ombra (non è un'esagerazione mia, succede davvero nel romanzo), anche nel bel mezzo del mercato una ridente cittadina spagnola, tentano di uccidere nel prologo Vivienne de Narbonne, ma invece di sgozzarlo nel sonno, gli lasciano un educato biglietto sulla porta della sua cella al monastero, fermato da un pugnale a forma di croce, per metterlo sull'avviso e dargli agio di scappare; in più organizzano riunioni segrete in una locanda affollata e per riconoscersi tra loro conficcano ciascuno il loro pugnale a forma di croce sul tavolo, tanto per essere discreti.

Dopo la presunta morte di Vivienne di Narbonne (il cadavere non è stato mai ritrovato) attendono 13 anni prima di mettersi alla ricerca dell'Uter Ventorum - e la cosa bella è che tutto (la cenna del monaco, i nascondigli, gli indizi etc.) sono rimasti fermi a 13 anni prima senza che una nulla sia stata spostato o sia andato perso nel corso degli anni.

Inseguono Ignazio per mari e per monti e cercano più volte di ucciderlo, quando alla fine scopriamo che comunque il loro gioco era lasciare che egli trovasse l'Uter (che è stato diviso in quattro parti e nascosto) per poi impadronirsene. E allora?

Capisco che con tutto questo sproloquio può sembrare che io abbia deciso di massacrare il romanzo, ma in realtà non è così. Sono convinta che tutti questi difetti si sarebbero prontamente potuti eliminare; bastava, che so, mostrarci che Ignazio e i suoi compagni prendono precauzioni per non farsi seguire o rintracciare (invece di meravigliarsi ogni volta che la Saint Veheme li trova); oppure evitare di far catturare a Willalme un cattivone e di lasciarlo andare spensieratamente senza interrogarlo; oppure evitare di lasciar passare 13 anni tra la morte di Vivienne e l'inizio della ricerca. Dettagli che avrebbero migliorato il romanzo senza assolutamente stravolgerlo.

Il finale merita un discorso a parte perchè, nonostante le potenzialità, è inverosimile. Come sempre, SPOILER! Selezionate con il mouse se volete leggere!!

Scopriamo che in realtà Vivienne de Narbonne, dopo aver simulato la sua morte, si è dedicato anima e corpo a infiltrarsi tra le fila della Saint Veheme; nelle ultime pagine del romanzo riesce a uccidere Dominus e prendere il suo posto a capo del tribunale segreto. Ormai reso folle dalla brama di potere, ha bisogno di Ignazio per svelare l'ultimo enigma dell'Uter Ventorum, ovvero quale sia l'incantesimo giusto, confuso fra sette, per evocare l'entità angelica (per una volta tanto nessuna evocazione demoniaca!) che garantirà potere supremo al suo evocatore.
Ora, Vivienne e Ignazio sono amici; Ignazio lo considera un uomo degno di fiducia. Perchè Vivienne, una volta infiltratosi nella Saint Veheme non recupera l'Uter che egli stesso ha nascosto, proteggendolo con enigmi vari, e poi chiede ad Ignazio di aiutarlo? Non poteva usare le maniere forti solo dopo un eventuale rifiuto di Ignazio?
La spiegazione è che Vivienne ha organizzato una delirante caccia al tesoro per disfarsi di Dominus. Secondo me, come spiegazione non regge. I cari vecchi sistemi di una volta no? Veleno, coltellate alla schiena in un vicolo buio...
Oltretutto scopriamo che Vivienne, 15 anni prima, aveva offerto il libro in vendita alla Saint Veheme, la quale si è rivoltata contro di lui e l'ignaro Ignazio (che a quel tempo lo accompagnava), braccandoli e costriggendoli a nascondersi. Il Tribunale non poteva semplicemente comprare il libro? Sì, è vero che al suo interno c'erano diverse correnti ciascuna col proprio pensiero riguardo l'uso da fare del libro, ma perchè scatenare una caccia all'uomo? Non si poteva semplicemente cercare di acquistarlo ad un prezzo maggiore, sottraendolo così alle fazioni avverse?
FINE SPOILER

Di positivo c'è che il romanzo costa solo 9,90 euro (online si trova anche a meno) e che l'ambientazione storica non presenta errori di sorta, a parte qualche piccolo anacronismo esclusivamente linguistico (come per esempio l'affermazione che un certo monastero ha un servizio d vigilanza).

Certo è che Il mercante di libri maledetti non è Il nome della Rosa, e nemmeno I pilastri della terra, come strilla la sovracopertina.

Il Mercante di libri maledetti, di Marcello Simoni

Pro: ambientazione storica corretta
       
        prezzo conveniente

Contro: ingenuità stilistiche

             ingenuità nella trama

             ritmo spezzato da descrizioni a volte inutili

             personaggi non ben caratterizzati, anche per colpa di un punto
             di vista mai fermo a lungo
             
            finale inverosimile e forzato

Voto: 5

domenica 8 gennaio 2012

I delitti di uno scrittore imperfetto...

...di Mikkel Birkegaard.

Forse qualcuno ricorderà che tempo fa lessi e recensii il libro di esordio di questo scrittore, I libri di Luca, un romanzo che partiva da un'idea intrigante e poi andava via via perdendosi.
Poichè avevo amato quello spunto iniziale, ho deciso di dare a Mikkel Birkegaard una seconda possibilità, e ho letto I delitti di uno scrittore imperfetto.

La trama:

Frank Fons è uno scrittore danese famoso, anche se i suoi thriller sono controversi: c'è chi li ama, e chi ne detesta l'ultra realistica violenza. A causa di questo suo modo di concepire la scrittura, Frank ha perso sua moglie e le sue figlie, che si sono allontanate da lui.
Poco prima di partire per la fiera del libro di Copenaghen per presentare il suo ultimo libro, Frank scopre che una donna è stata uccisa seguendo lo schema di un omicidio presente nel suo ultimo libro, ancora inedito.
Frank comincia ad indagare, mentre gli omicidi ispirati ai suoi lavori non accennano a fermarsi.

Incipit:

Fino a poco tempo fa avevo ucciso solamente sulla carta.
In compenso ero bravo. Così bravo da poterci campare e così navigato da poterlo considerare il mio lavoro. In un paese piccolo come la Danimarca è quasi un privilegio poter fare lo scrittore a tempo pieno, anche se secondo qualcuno non sono un vero scrittore, né i miei libri sono libri veri.
In tutta la mia carriera ho dovuto accettare di essere criticato, talvolta persino messo in ridicolo, e di tanto in tanto nel profondo del cuore ho dato ragione ai giornalisti. Può essere difficile ammetterlo, però in certe situazioni ho riconosciuto nei miei libri quella distanza e quel vuoto rilevati dal dente avvelenato dei critici.
Ma nella storia che seguirà in queste pagine c'è in gioco tutto un altro genere di cose.

Ok, un assassino in libertà che copia gli omicidi creati dalla fantasia di uno scrittore non è una gran novità, ma questo, purtroppo è solo il male minore.
I delitti di uno scrittore imperfetto, è, a parer mio, un thriller mal riuscito, una storia in cui l'autore non sapeva esattamente dove andare a parare.
Infatti ci viene promesso un thriller, e una caccia al serial killer, ma la trama viene continuamente interrotta da lunghi flashback sulla vita passata di Frank Fons, sull'università, i suoi amici, su come è diventato scrittore, come ha conosciuto la moglie, la loro vita felice, i figli, i problemi, la separazione, l'alcolismo. Tutto molto interessante, se non fosse che il 90% di questi flashback non hanno assolutamente niente a che vedere con la trama. Alcuni personaggi del passato di Frank non hanno nessunissima valida ragione - dal punto di vista dell'intreccio - per essere presenti in questa storia. Eppure ci sono, per la gioia di grandi e piccini (ma anche no).
I flashback ottengono soltanto lo scopo di spezzare il ritmo e allungare il brodo. Quel che vogliono mostrarci sul carattere e l'esistenza di Frank Fons avrebbero potuto farlo agevolemente con un terzo dello spazio occupato, pagina più, pagina meno.

Ora, qualcuno potrebbe obiettare che forse sono io che non ho capito niente della trama e il vero scopo di Birkegaard era narrarare la crisi esistenziale dello scrittore, prendendo come semplice pretesto la scia di omicidi che lo costringono a riflettere sulla sua vita, su se stesso e sul suo rapporto con la violenza (che è il suo pane quotidiano, alla fin fine).
L'obiezione potrebbe essere fondata se non fosse per un piccolissimo particolare: se si vuol scrivere di uno scrittore alcolizzato, solo e in crisi e parlare della sua miserabile vita, pieno di rimorsi e di rimpianti, non si inizia un romanzo dicendo: fino a poco tempo fa avevo ucciso solo sulla carta. Se invece lo si fa, è ovvio che poi il lettore si aspetta un thriller. Si aspetta ritmo. Suspence. E se non li trova, rimane deluso.

In ogni caso, anche a voler cosiderare I delitti una storia dalle due facce, la parte thriller resta traballante ed inconsistente, con una trama piatta e senza brillanti trovate narrative.
Una menzione speciale merita il capitolo in cui finalmente scopriamo perchè Frank Fons è separato dalla moglie e un'ordinanza del Tribunale gli impedisce di vedere le figlie. Fino alla rivelazione del segreto, si intuisce che esso ha qualcosa a che vedere col fatto che nei suoi libri lui descriva i dettagli raccapricianti degli omicidi con un realismo inquietante; perciò mi sarei aspettata qualcosa di forte, che Frank si fosse macchiato di qualche grave colpa, e invece...

Invece la moglie - che lo sopporta quando beve e si impasticca, che arriva sul punto di lasciarlo quando in un attimo di distrazione la figlia affidata a lui si tira addosso un cassetto pieno di coltelli (ma non si ferisce gravemente), ma alla fine lo perdona -  lo lascia in un attimo quando legge il suo ultimo libro (badate bene, non il primo, ma l'ultimo di una lunga serie di romanzi splatter), che è particolarmente violento, perchè ha paura che faccia del male alle sue figlie.
Ta-Da! Ecco l'oscuro segreto della vita dello scrittore geniale e maledetto! La moglie lo lascia perchè si accorge che lui scrive romanzi splatter! Complimenti per l'acume e la tempestività!!
Poco importa che mai Frank abbia dato l'impressione di essere un sadico, o un cattivo padre, o un negligente (tranne l'incidente del cassetto). La moglie innamorata legge il suo ultimo romanzo e lo lascia senza una parola perchè ha paura che faccia del male alle sue figlie. Vabbè.

L'autore non si da nemmeno pena di svelarci nessuno dei misteri inseriti nella trama, come ad esempio dove il killer abbia preso una copia di un libro inedito, o come facesse a sapere tanti particolari sulla vita dello scrittore e come mai fosse sempre un passo avanti a lui.
Addirittura (SPOILER - selezionare col mouse per leggere! -) nel finale non ci viene spiegato chi è l'assassino. Non si capisce se Frank sia pazzo, e sia sempre stato lui a commettere gli omicidi, o se effettivamente esista un lettore fanatico che da vita alla scena di violenza da lui descritte nei suoi libri.
Io propenderei per la seconda ipotesi, ma in questo caso l'incipit accattivante (fino a poco tempo fa, avevo ucciso solo sulla carta) diventa una presa per i fondelli, perchè non si amalgama con le conclusioni. Nel caso invece fosse la prima ipotesi quella giusta, è difficile dire se tutti i conti tornano.FINE SPOILER

Non è tanto il finale aperto a darmi fastidio, quanto la sensazione di incompiutezza, di indecisione che attraversa tutta la trama.

L'unica cosa che salvo di questo romanzo è lo stile, che è agile, leggero, scorrevole e aiuta senz'altro ad arrivare in fondo ad un romanzo che non offre grandi emozioni.

Per concludere, rieccovi la novità del 2012, la tabellina riassuntiva!

Pro: uno stile agile, a tratti accattivante, che rende in ogni caso agevole la lettura.

Contro: ritmo spezzettato da troppi flashback inutili;
             trama banale, piatta, diluita;
             finale abbastanza indecifrabile.

Voto finale: 4

lunedì 2 gennaio 2012

Pan...

...di Francesco Dimitri.

Siccome è cominciato un nuovo anno, e siccome vorrei smentire alcune malelingue che dicono che oramai leggo libri solo per criticare (ciao, Roby! ^__^ ), vorrei proporvi la recensione di un libro che mi è piaciuto.
Come avrete argutamente intuito dal titolo del post, si tratta di Pan, dell'autore italiano Francesco Dimitri. Oltretutto Pan merita una menzione speciale perchè è stato il primo e-book che io abbia comprato in vita, complice anche l'accattivante prezzo di 1,16 euro. Perchè il prezzo sia così invitante, potete leggerlo sul blog dell'autore, qui (NB: adesso Pan è disponibile anche su Amazon.it).

L'incipit:

Nella notte di Roma i bambini dormono e sognano. Sognano di cose che esistono, di cose che non sono e mai saranno, e di altre, la cui natura è più ambigua. Sognano di guerre, di attori, di amore, di mostri orribili e dei modi in cui è possibile ucciderli. Simile a un fantasma adesso voglio portarti attraverso porte e pareti facendoti entrare di soppiatto in una casa di periferia, nella zona di Tor Bella Monaca: accucciato in una coperta piena di buchi il piccolo Timoteo, che ha più capelli che ciccia, visita un mondo fatto di foreste e villaggi. La sua famiglia è stata sterminata da qualcosa, lo stesso qualcosa che ora lo insegue, passo dopo passo, senza fretta, tanto sa che presto lo raggiungerà. Timoteo nel mondo del sogno corre e in quello della carne si agita, perchè anche lui sa una cosa, sa che esiste un posto sicuro in cui un eroe lo proteggerà. Ci arriverà in tempo? Impossibile dirlo: il suo gatto ci ha visti e siamo costretti a fuggire. Troviamo un’altra casa, una in cui le coperte sono pulite e i capelli ben pettinati, e sbirciamo Giulia, che piange ogni sera prima di addormentarsi perché una grossa macchia rugosa le copre metà della faccia. Gli altri bambini la chiamano «La Bella» proprio perché bella non è, nè mai lo sarà. Ora è avvolta nelle coperte, con la guancia destra, quella divorata dalla Macchia, nascosta dal guanciale. Perfino nei sogni la Macchia la accompagna. Giulia sogna di volare in un cielo blu notte, completamente sola, senza nessuno che la prenda in giro. Le stelle sopra di lei sono talmente tante che non le sembrano reali – di stelle così a Roma non se ne vedono mai. E la luna è soltanto uno spicchio sottilissimo, il sorriso sghembo di uno Stregatto. Sotto c’è un immenso mare, scuro come il cielo, e all’improvviso Giulia prova l’impulso di tuffarsi. Lo fa, perché in questo sogno lei non è una brava bambina, è selvaggia e felice. L’impatto le mozza il fiato, ma dopo l’acqua è tiepida, rassicurante. Le si avvicinano alcune sirene, colorate di scarlatto e blu, le mani palmate, branchie che pulsano sul collo. Sono bellissime. La circondano e l’accarezzano, e al loro tocco il pigiamino di Giulia si apre e galleggia lontano. Poi una le sfiora la guancia con un bacio. Giulia si scosta, perché non vuole che quella creatura stupenda si rovini le labbra sulla Macchia. Ma lei è più veloce. Giulia avverte una fitta gelida, e quando la sirena si allontana, si porta una mano al viso. Magia! La pelle è liscia e soffice – possibile che la Macchia sia scomparsa? Giulia vorrebbe parlare, ma all’improvviso le sirene sono spaventate. Nuotano via all’impazzata, abbandonandola.
Giulia resta immobile.
Anche lei ha paura. Qualcosa si sta avvicinando alle sue spalle, e lei si trova sospesa nell’acqua, nuda, dispersa e sola. Qualcosa è dietro di lei. Vicino. Se Giulia si girasse, lo vedrebbe. Giulia lo farà?

La trama:

A Roma,la realtà sta per cambiare, o meglio, per farsi conoscere in ogni suo aspetto, perchè forze antiche stanno per tornare e per riprendere il conflitto che li divide da sempre. Il Peter Pan di Barrie non è una semplice storia per bambini; Pan è vero, è vivo, e sta per tornare nel mondo. I Bambini Perduti già annunciano il suo ritorno, e l'Isola-che-non-c'è si fa sempre più vicina alla nostra realtà. Se Pan sta per tornare, però, anche Capitan Uncino, rimasto imprigionato nella Carne mortale, tornerà per sfidarlo, ed il conflitto tra i due coinvolgerà anche gli esseri umani, ed in particolare Gianni, Wendy e Michele Cavaterra, tre fratelli che hanno una famiglia molto particolare...anche se ancora non lo sanno.

La geniale intuizione che sta alla base del romanzo è l'idea di fondere la storia di Peter Pan (quello di Barrie) con la mitologia italica pre-romana. Il Peter Pan che tutti i bambini conoscono si identifica con Pan (o meglio, con Fauno), divinità dell'amore fisico, dell'euforia, dell'eccesso, legato alla natura, alle foreste e agli aspetti più primordiali della vita.
Pan, signore delle creature mitologiche (quali ninfe, ondine, satiri e simili) è stato esiliato lontano dalla Carne (che coincide pressapoco con la realtà sensibile) ma adesso è pronto a tornare e riavvicinare tutti gli aspetti di cui si compone la realtà.
Già, perchè nel mondo creato da Dimitri la realtà non ha una sola faccia (quella che noi percepiamo): essa è divisa in tre aspetti, la Carne (il mondo di tutti i giorni, la materia), l'Incanto (la parte magica, spirituale) e il Sogno (la parte fantastica, onirica). Non si tratta di tre dimensioni parallele, ma proprio di tre aspetti, tre modi di essere della realtà, che coesistono, come tre facce di un dado. La maggior parte delle persone vive esclusivamente nella Carne, ignorando gli altri due aspetti a tal punto che quasi nessuno crede che esistano; per questo le creature provenienti dagli altri aspetti possono muoversi tra di noi senza essere notate, perchè l'essere umano medio vede solo quel che crede di dover vedere. Se non apre la sua mente all'Incanto, un uomo medio non vedrà, ad esempio, le zampe caprine di un satiro, ma, tutt'al più, vedrà un uomo con una disabilità alle gambe - vedrà cioè quel che, nell'unico aspetto della realtà che conosce (la Carne), è perfettamente logico e palusibile.
Peter Pan può muoversi (dopo essere "tornato" alla Carne) a proprio piacimento tra i tre aspetti, così come può fare Capitan Unicino (che è anch'egli una divinità). I bambini, invece, usano in maniera quasi inconscia i propri sogni per spostarsi tra i tre aspetti. Per gli esseri umani è difficile imparare a raggiungere i vari aspetti. Insomma, la maggior parte di noi è inchiodata alla Carne, più per un problema di chiusura mentale che per altro.
Le creature mitologiche esistono e sono sempre esistite, e quando l'uomo ha cominciato a modificare l'ambiente, a sviluppare la scienza e la tecnologia e ad avere una fede sempre più cieca in esse, si sono ritirate nell'Incanto, ed è rarissimo che vengano nella Carne e che si facciano vedere dagli uomini.

I tre aspetti sono la cosa che mi è piaciuta di più dell'intero romanzo, nonostante un tentativo un po' goffo di spiegarci tecnicamente cosa siano (ci sono cose che in un romanzo fantasy io non voglio sapere nei minimi dettagli; mi basta che le situzioni siano abbiano logica e coerenza interne, ed io sono a posto!).
All'inizio, il romanzo è ambientato esclusivamente nella Carne;  quando il colore degli occhi della fidanzata di Giovanni muta all'improvviso, e quando Wendy, che fa la prestigiatrice per sbarcare il lunario, tira fuori dal cilindro un conglio che sa di non averci messo, scopriamo che l'Incanto si sta riavvicinando alla Carne, e che le cose stanno cambiando. Sprazzi di Incanto si intravedono nella Carne, ed i Bambini Perduti e gli emissari di Uncino percorrono sempre più spesso il Sogno. L'avanzare graduale degli altri due aspetti nella trama rende il romanzo dinamico ed intrigante; Dimitri ci avvolge in una atmosfera affascinante fatta di fiaba, di magia, di sogno, ma anche di realtà, di pericolo e di paura.
Non manca qualche scena un po' cruda (come ad esempio un omicidio iniziale) ma avvolta nel medesimo alone incantato - un po' come le vecchie fiabe della tradizione popolare, dove il sangue si spreca e le teste mozzate abbondano.
I primi capitoli sono una scoperta infinita di particolari, di luoghi e di magie. Si divorano in un attimo.
Poi però cominciano ad emergere i primi difetti.

Innanzitutto, la presenza dell'autore.
Come potete intuire dall'incipit, il narratore è molto presente nella trama stessa. Sembra prenderci per mano per raccontarci una storia, e questo, per i primi 4-5 capitoli va anche bene, contribuisce a creare quell'atmosfera fiabesca di cui dicevo sopra, ma dopo un po' stanca. Diventa irritante. Nonostante l'interesse che la trama suscita, per tutto il tempo si ha la sensazione non di essere immersi in una storia, ma di stare  sentire qualcuno che ce la racconta. Meglio sarebbe stato - a mio modo di vedere - se l'autore avesse alternato capitoli "di raccordo" tra la varie fasi del romanzo (capitoli in cui poteva emergere il narratore senza creare problemi) e capitoli in cui la storia viene narrata dal punto di vista dei personaggi. Indubbiamente questo avrebbe consentito anche di creare maggiore empatia nei loro confronti, di creare qualcosa di più di una semplice, superficiale simpatia. In realtà noi non sentiamo cosa provano, o cosa pensano i personaggi, non lo vediamo; ci viene sempre raccontato da qualcun altro, qualcuno esterno, il narratore appunto.
Oltretutto Dimitri non si accontenta di fare capolino nella narrazione; spesso e volentieri tra le righe filtrano i suoi giudizi morali, che arrivano anche ad influenzare pensieri ed azioni dei personaggi.
A salvare i personaggi, comunque, c'è il fatto che non sono stereotipi, nè tanto meno è facile distuinguerli tra buoni e cattivi. Come nella vita reale, anche i protagonisti del romanzo non sono bianchi o neri, ma sono sfumture di grigio più o meno accentuate. E anche se credi di aver capito chi è buono e chi è cattivo, alla fine dovrai ricrederti!

Infatti la trama e il suo sviluppo sono tutt'altro che semplici. Questo porta a tratti, specie verso il finale, a provare un po' di smarrimento: non sempre è chiarissimo perchè alcune cose stiano accadendo propriò lì, prorpio in quel momento e proprio in quel modo; un esempio su tutti è il ritorno di Pan: perchè ora, perchè a Roma? L'autore tenta di darci una spiegazione ma francamente penso che sull'argomento sarebbe stato meglio glissare con eleganza e lasciare le cose avvolte nel mistero.
Il finale risente della complessità dei legami che si sono creati tra gli aspetti, tra i personaggi e tra le due divinità in guerra, e della conseguente difficoltà di sciogliere tutti i nodi in maniera soddisfacente. Ad esempio, un'altra delle intuizioni geniali di Dimitri (il ruolo del romanzo di Barrie in tutta questa vicenda) viene scaricata con un espediente sciocco e semplicistico per dar modo al conflitto finale di iniziare. Questa è una cosa che proprio non mi è andata giù, e che mi ha rovinato il gusto di leggere la fine del romanzo.
Se volete saperne di più, evidenziate con il mouse la parte in bianco!
SPOILER!
Mentre Pan è il dio della gioia ma anche dell'eccesso violento e senza limiti, Capitan Uncino, meglio noto come Greyface, è la divinità di tutto ciò che rimane (l'ordine immobile, piatto, senza spunti e creatività; la routine più banale e opprimente, senza mai un guizzo di follia ad illuminarla). James Matthew Barrie era un mago ed aveva capito che, qualunque delle due divinità avesse vinto, sarebbero stati guai per il genere umano, perciò intrecciò una storia entro i cui confini rinchiuse le due divinità, una gabbia magica creata grazie al potere delle storie, ma così facendo chiuse in quella gabbia anche Trilli, la fata che lui amava, perchè vigilasse sulle due divinità. Questa gabbia avrebbe tenuto fino a che qualcuno non avesse raccontato dell'espediente usato da Barrie. Un personaggio di una certa rivelanza, perfettamente consapevole delle conseguenze, decide di punto in bianco, di propria spontanea volontà, di rivelare il trucco di Barrie, infrangendo le sbarre della prigione; ma il bello è che non lo fa perchè vuole liberare una o entrambe le divinità, lo fa così, tanto per vedere l'effetto che fa, e nel momento peggiore, col risultato che la rivelazione sembra più un famigerato "spiegone finale"(vedi nota 1) che un sorprendente colpo di scena.
FINE SPOILER

Si diceva del finale. Oltre alla non felice scelta di cui ho detto sopra, il finale ha il sapore del compromesso, come se l'autore non avesse avuto il coraggio di andare fino in fondo, viste le premesse della storia.

SPOILER! Selezionare col mouse se volete leggere oltre!
Alla fine, dopo che la gabbia creata da Barrie viene infranta, Pan e Uncino si scontrano in una lotta sanguinosa, che fa molte vittime, e alla fine Pan esce vincitore, anche se ferito e malridotto. I fratelli Cavaterra, che hanno combattuto al suo finaco, gli fanno una ramanzina - che tra l'altro non ci viene descritta, ma raccontata in seguito per bocca di un altro personaggio - , ramanzina del tipo "va bene l'eccesso, va bene essere sfrenati, però non esagerare, ok?", e lui acconsente ad essere meno estremista, come se l'autore - che nel romanzo ha sempre parteggiato per Pan e per quello che lui rappresenta - volesse mitigare le conseguenze della sua vittoria, e cioè  l'inizio di un'era di caos gioioso, ma pur sempre caos con tutti i suoi difetti.
FINE SPOILER

Vedo che mi sono sbrodolata un po' troppo nel parlare di Pan, che è tutt'altro che un libro privo di difetti, ma che rimane comunque un libro notevole, che lascia il segno.
Mi è piaciuto principalmente per l'originalità degli spunti iniziali, e per aver recuperato, in modo del tutto proprio, l'idea di fondo del romanzo di J.M. Barrie, idea che un secolo di cartoni animati sdolcinati avevano smarrito. Nel romanzo di Barrie Peter Pan è tutt'altro che buono, dolce e altruista; egli è sregolato, amorale, egoista ed egocentrico, non nutre sentimenti profondi per nessuno ed è veloce a stancarsi di persone e cose. C'è una vena dark ed inquietante che Dimitri ha recuperato ed ampliato nel suo romanzo.

Per concludere, una tabellina riassuntiva:

Pro:                                           Contro:
idee originali                             narratore troppo presente                     
ambientazione accattivante        a tratti confusione nello sviluppo della trama
personaggi non stereotipati       finale un po' incerto

Voto finale: 7

nota 1: dicesi spiegone finale l'espediente mediante cui un autore, arrivato alla fine del proprio romanzo, rendendosi conto che al lettore mancano informazione di vitale importanza per la piena comprensione della trama, le spiattella di punto in bianco, tutte in una volta, al lettore, solitamente per bocca di un personaggio. Avete presente Poirot che spiega ai sospettati riuniti in una stanza chi è il colpevole e perchè? Beh, quello è uno spiegone, tollerabile solo nei romanzi gialli di stampo classico.