giovedì 29 gennaio 2009

Classifica dei libri più venduti

La classifica dei libri più venduti, da La Stampa.it, (rilevazioni effettuate dal cinque all'undici gennaio):

1. La regina dei castelli di carta, S. Larsson
2. Uomini che odiano le donne, S. Larsson
3. Eclipse, S. Meyer
4. New Moon, S. Meyer
5. La solitudine dei numeri primi, P. Giordano
6. La ragazza che giocava con il fuoco, S. Larsson
7. La Jolanda furiosa, L. Littizzetto
8. Breaking Dawn, S. Meyer
9. Twilight, S. Meyer
10.Il pane di ieri, E. Bianchi

martedì 27 gennaio 2009

La giornata della memoria

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.

(Primo Levi, Se questo è un uomo)

Il 27 gennaio di ogni anno è la Giornata della Memoria.
I popoli di solito hanno la memoria corta, perciò ogni tanto fa bene ricordare cosa è stato, cosa è successo appena dietro l'angolo della nostra storia.
Ma una giornata così non serve soltanto a ricordare l'orrore dei campi di sterminio, di 6 milioni di vittime, di milioni di sfollati e perseguitati, costretti a nascondersi, a fuggire, a temere per la loro vita per evitare quella che Hitler chiamava "la soluzione finale".
Serve a ricordarci, citando Primo Levi, "quali insospettate riserve di ferocia e di pazzia giacciano latenti nell'uomo dopo millenni di vita civile".

Serve a ricordarci di cosa noi essere umani siamo capaci. Se è successo una volta, può succedere ancora.
E' successo in Bosnia, negli anni '90, durante la guerra. Appena l'altro ieri.
E' successo in Ruanda; in Afghanistan; in Iraq.... può succedere ancora.
"Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell'aria. La peste si è spenta, ma l'infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo. In questo libro se ne descrivono i segni: il disconoscimento della solidarietà umana, l'indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui, l'abdicazione dell'intelletto o del senso morale davanti al principio d'autorità, e principalmente, alla radice di tutto, una marea di viltà, una viltà abissale, in maschera di virtù guerriera, di amor patrio e di fedeltà a un'idea".
(Primo Levi, dalla prefazione a L. Poliakov, Auschwitz, Ventro, Roma 1968)

Ricordiamoci di questo ogni volta che guardiamo qualcuno con sospetto, semplicemente perchè è diverso da noi. Non perchè ci ha fatto qualcosa, ma perchè nero, extracomunitario, rumeno, gay o altro.
Ricordiamocene ogni volta che siamo tentati di applicare a milioni di individui etichette sbrigative. Rumeni, tutti stupratori. Rom, tutti ladri. Mussulmani, tutti terroristi. Italiani, tutti mafiosi.
Ricordiamocene ogni volta che una legge viola un pezzetto dei diritti di una categoria meno protetta, debole o svantaggiata.
Che siano le classi ponte per separare i nostri figli dai figli degli immigrati, o una cauzione di diecimila euro perchè un extracomunitario possa richiedere una partita IVA, o che sia una compagnia aerea che si rifiuta di assumere donne con figli piccoli o persone con un disabile in famiglia.
Ricordiamoci quanto poco ci vuole.
Cominciò con le leggi razziali....come è andata a finire?
E ricordiamoci anche che "ogni tempo ha il suo fascismo: se ne notano i segni premonitori dovunque la concentrazione di potere nega al cittadino la possibilità e la capacità di esprimere ed attuare la sua volontà. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col timore dell'intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l'informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l'ordine, ed in cui la sicurezza dei pochi privilegiati riposava sul lavoro forzato e sul silenzio forzato dei molti." (Primo Levi, dal Corriere della sera, 8 maggio 1974).

Non abbandoniamo mai la consapevolezza che il prezzo della democrazia è una vigilanza costante. Non lasciamo che le nostre coscienze si addormentino; continuiamo a pensare sempre con la nostra testa, a chiederci i come e i perchè di quello che setiamo, leggiamo, vediamo.
E continuiamo a protestare, nel rispetto delle leggi e dell'altrui libertà, quando sentiamo che è giusto.

Martin Niemöller scriveva:

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.

E' così che certe cose hanno inizio. Non permettiamo che accada mai più.

Tutte le citazioni di questo post sono tratte da Wikiquote

mercoledì 21 gennaio 2009

Le donne del club omicidi...

...di James Patterson.

Si vede che il 2009 non è un buon anno, dal punto di vista "libresco" per me.
Dopo la delusione de Il gioco dell'angelo da cui stento ancora riprendermi, mi sono dedicata alla lettura di questo thriller che mi è stato regalato per Natale e che godeva di ottime recensioni. Altra delusione.
Prima di iniziare con la mia di recensione però, sono necessarie due premesse.

1. Questo libro è il quarto di una serie, con protagoniste 4 donne, impegnate ognuna nel proprio campo a combattere il crimine. Ogni romanzo può essere letto anche da solo, ma li lega un filo di continuità che si intuisce anche nei titoli, in cui è evidente la progressione della serie. Infatti i titoli sono: Primo a morire, Seconda Chance, Terzo Grado....e indovinate un po'...Le donne del club omicidi!
Il titolo inglese di questo libro era 4th of July, Il quattro luglio, ma giustamente l'editore italiano ha pensato bene che il lettore medio, essendo di norma semianalfabeta, illetterato e scarsamente acculturato, non avrebbe potuto riconoscere il quarto libro della serie se non gli avesse scritto a caratteri cubitali sulla copertina LE DONNE DEL CLUB OMICIDI, in un romanzo, oltettutto, dove la protagonista assoluta è Lindsay Boxer, tenete di polizia, e l'apporto alle indagini del cosiddetto club è marginale, se non quasi inesistente.
E allora perchè non chiamarlo Il libro che viene dopo quell'altro libro in cui ci sono quelle 4 amiche che indagano sui serial killer ?
Bastava aggiungere un altro paio di righi e potevamo leggere solo il titolo, invece del romanzo. Una bella comodità, no? Perchè si sa, il lettore medio non è tipo da voler approfondire, da andare oltre la superficie e la copertina di un libro!
(Nel caso non fosse ben chiaro, le frasi di cui sopra sono amaramente sarcastiche)

2. Forse ho letto troppi thriller e gialli, forse ho letto troppo in generale, e quindi aclune cose mi appaiono scontate. Tenete conto, mentre leggete la mia opinione.

La prima cosa che colpisce del romanzo, è la sua relativa brevità. Trecento pagine scritte a caratteri piuttosto grandi mi sono sembrate pochine, per un thriller, ma una buona storia non è certo questione di quantità, quanto piuttosto di qualità.
Peccato qui latiti anche quest'ultima.
A tratti avevo l'impressione di leggere il riassunto del romanzo che Patterson avrebbe voluto scrivere.
I capitoli sono brevissimi (anche mezza pagina), e fin qui non ci sarebbe nulla di male, se non fosse per il fatto che la suddivisione degli stessi sembra rispondere più esigenze pratiche di impaginazione (ovvero aumentare il numero delle pagine lasciando parecchio spazio vuoto tra un capitolo e l'altro) che a reali esigenze narrative.
Ci sono capitoli che si chiudono lasciando a metà un dialogo, che riprende immediatamente nel capitolo successivo, senza pause ad effetto o altri espedienti per creare suspence.
Ogni fatto, ogni vicenda, ogni personaggio non è descritto o approfondito; mi vien da dire che ogni cosa è semplicemente sorvolata. Tutto è descritto frettolosamente e banalmente.

Iniziamo con Lindasay Boxer, tenente della squadra omicidi, alle prese con un serial killer che uccide giovanissimi fulminandoli nella vasca da bagno e scrivendo sul muro della scena del crimine le parole : DISINTERESSE TOTALE.
Continuiamo con Lindasay Boxer che, esattamente 4 pagine dopo, cattura il serial killer e siccome 4 pagine di indagini devono essere sembrate pochine anche all'autore, Patterson che fa? Imbastisce, durante l'inseguimento e la cattura il più classico, esemplare e chiarissimo caso di legittima difesa che io abbia mai letto, con tanto di testimoni, risultanze balistiche e scientifiche a supportare la tesi della legittima difesa...e trasforma l'episodio in una grossa grana per la povera Lindsay, che sarà costretta a difendersi in Tribunale da un'accusa per omicidio volontario che non sta in piedi nemmeno con le stampelle.
E sicuramente questo non contribuisce a creare interesse per la parte del romanzo che posa da legal thriller senza averne lo stile, il linguaggio, il respiro.

Mentre aspetta l'inizio del processo Lindsay si trasferisce sulla costa, a casa della sorella, in cerca di un po' di tranquillità, e naturalmente si imbatte anche qui in una catena di omicidi seriali le cui vittime sono tutte coppie sposate, apparentemente normali e apparentemente senza alcun legame tra loro.
Nonostante sia sospesa, il tenente Boxer indaga, subendo anche pesanti intimidazioni.

Pensavo di averne viste (anzi, lette) di tutti i colori, ma la trovata che chiude il romanzo le batte tutte.
Il grande poliziotto che scopre il serial killer perchè qualcuno lo va a chiamare a casa sua, di notte, per condurlo sul luogo dove sta per compiersi l'ennesimo efferato delitto, e non si capisce poi come questo qualcuno abbia potuto sapere dove si trovava il serial killer in quel momento...beh, mi mancava.
Andrebbe aggiunto alla lista delle 101 cose da non scrivere se avete intenzione di pubblicare un thriller degno di questo nome.
E potrei chiudere qui, perchè questa considerazione la dice lunga sul romanzo in questione.
Ma purtroppo non è finita qui.
Credo che Patterson abbia scelto il colpevole facendo la conta tra i personaggi presenti sulla scena; non vedo altra soluzione.
Non si può scrivere un thriller senza mettere in piedi una solida indagine, senza una pista che punti davvero, alla fine, verso il colpevole.
Non si può cavarsela facendo spuntare il personaggio più improbabile e facendolo confessare i suoi crimini alla prima domanda, credendo di aver dato vita, in questo modo, a un grandissimo colpo di scena.
Un colpo di scena, per essere realmente efficace deve essere sì inaspettato, ma appena rivelato deve essere plausibile e coerente con il resto della storia.
Oltretutto, una volta che il killer ha vuotato il sacco, come si dice in gergo, verrebbe quasi la tentazione di assumerlo nel F.B.I, vista la sua impressionante (e poco palusibile) abilità a ottenere determinate informazioni sulle sue vittime.
Decisamente non ci siamo proprio. Sono io che ho letto troppi thriller? O forse è Patterson che ne ha scritti troppi e ha esaurito la vena narrativa?
Se qualche fan dell'autore volesse darmi la sua opinione, visto che questo è il primo dei suoi libri che leggo, ne sarei felice.

domenica 18 gennaio 2009

I libri costano troppo?

Un interessante post sul tema, su un blog interessante.
Vi lascio il link.
Like a snake in escape: i libri costano troppo? E io me li compro usati!

venerdì 16 gennaio 2009

Il gioco dell'Angelo, ovvero la fine...

...delle mie Grandi Speranze!
(chi ha letto il libro può cogliere il riferimento al libro che il protagonista bambino riceve in regalo, e che diventa per lui un simbolo di riscatto e uno stimolo ad emergere)

David Martin, ragazzo rimasto precocemente orfano, si guadagna da vivere lavorando in un giornale, ma la sua ambizione segreta è diventare uno scrittore affermato come il suo mentore, il giornalista Pedro Vidal.
Un giorno, gli si presenta l'occasione di scrivere una serie di racconti per il suo giornale, e il grande successo di pubblico ottenuto gli fanno capire che quella è la sua via, e che darebbe qualunque cosa per continuare a scrivere e ad aver successo.
Quando il misterioso, ambiguo e inquietante editore Andreas Corelli entra nella sua vita, David comprende che quella frase non è più soltanto un modo dire, e fatti piuttosto tenebrosi cominciano ad accadere...

L'ho finito tre o quattro giorni fa.
Ho tentato di rimandare la stesura di questa recensione. Ho tentato di rimuovere, direbbe il dott. Freud, ma alla fine ho deciso di fare quel che andava fatto, e togliermi il pensiero.
Non giriamoci intorno.
Il gioco dell'angelo è una grandissima delusione, forse acuita dalle grandi aspettative e dall'attesa suscitate dall'uscita del romanzo.
Eppure avevo cercato di leggerlo restando obiettiva.
Avevo cercato di leggerlo ripetendo ogni tre righe, come un mantra, "ricordati che questo non è L'ombra del vento, questo è un altro libro, questo non è L'ombra del vento".
Per farla breve, ho cercato di leggerlo e di apprezzarlo per quello che è: un romanzo diverso dal grandissimo successo che lo ha preceduto.

Peccato che io avessi questa sana intenzione, ma l'autore no.
Ogni tre righe, Zafon infila qualche cosa - una definizione, una parola, un evento secondario - solitamente del tutto inutile ai fini della trama, ma che dice al lettore: "ehi, ti ricordi di me? Sono quello fighissimo, quello che ha scritto L'ombra del Vento!".
Volete qualche esempio?
Iniziamo dall'uso indiscriminato del Cimitero dei Libri Dimenticati.
Sì, lo so che il Cimitero è una riuscitissima, suggestiva creazione letteraria di Zafon.
Proprio per questo l'autore dovrebbe trattarla con più rispetto.
Se proprio era necessario inserirlo nella trama (e a conti fatti no, non lo era), le vie erano due: o gli si dedicava un accenno romantico, per creare quel senso di continuità che i lettori amano, oppure gli si dedicava uno spazio ampio e coerente all'interno dell'intreccio.
L'unica cosa che non si sarebbe dovuta fare era riaprire le porte del Cimitero e fargli fare una specie di....come definirla? Comparsata? Operazione puramente commerciale per poter dire in quarta di copertina "...ritorna il Cimitero dei Libri Dimenticati"?
("Ehi, lettore! Sveglia! Questo è il Cimitero dei Libri dimenticati!! L'ho inventato io, ricordi? Non è meraviglioso?").

Tra gli scaffali di quel luogo, David trova un libro, Lux Aeterna, e decide che quello è il libro che salverà e porterà via con sè.
Il libro reca solo le iniziali del suo autore, D.M., come quelle del nostro protagonista. E' un libro che narra una sorta di apocalisse visionaria, inquietante e morbosa.
Un libro che David legge con orrore crescente, eppure è incapace di staccarsene, pur intuendo che pende, su quelle pagine, una maledizione, un destino oscuro.
Sì, lo so, sa già visto, già letto, già sentito.
Dove? Ma naturalmente tra le pagine di L'ombra del vento.
Ma almeno suona interessante, intigrante, specie quando all'orizzonte appare Andreas Corelli, editore delle Edizioni Lumiere, vestito di nero e con una spilla di un angelo sempre presente sul risvolto della giacca, che segue David fin dagli esordi, che è capace di rendere letteralmente reali le sue fantasie più intime, e con il simpatico vezzo di dare appuntamento al giovane scrittore nei cimiteri.
(Sì, lo so so. Mancava soltanto che al loro primo inconto Corelli gli stringesse la mano e dicesse: "Sono Andreas Corelli, Lucifero per gli amici"!)
Scoperto che a David restano poche settimane di vita a causa di un tumore al cervello, lo guarisce misteriosamente nel volgere di una sola notte.
(E naturalmente David non lo trova un tantinello...come dire....strano!)

E vogliamo parlare dell'uso indiscriminato della famiglia Sempere, la famiglia di librai che abbiamo imparato a conoscere e amare ne L'ombra del vento?
Per tutto, tutto, tutto il romanzo tira in ballo i Sempere, padre e figlio, evitando accuratamente di chiamarne almeno uno con proprio nome di battesimo, sicchè il lettore passa il tempo chiedendosi se si tratta degli stessi librai del romanzo precedente.
Aggiungiamo a ciò la vaghezza temporale dell'ambientazione del romanzo, e possiamo concludere Zafon abbia volutamente steso un velo di incertezza intorno alle figure dei Sempere, figure letterarie senza tempo, e non bisognose di una precisa collocazione storica per risultare affascinanti. Giusto?
Sbagliato!
Alla fine del romanzo, dopo aver accuratamente evitato per oltre 600 pagine qualunque riferimento temporale (tanto che, appunto, pensavo ad una precisa scelta dell'autore), con una letterina strappalacrime - e ometto il mio giudizio su questo espediente letterario che definire abusato sarebbe un complimento - scopriamo che i Sempere, padre e figlio, sono rispettivamente il nonno e il padre del Sempere protagonista de L'ombra del vento.
Che colpo di scena, eh?

Ma se vi piacciono i colpi di scena, ne ho un altro per voi.
David Martin è stato abbandonato dalla madre, è cresciuto col padre che viene assassinato in un vicolo dietro il giornale dove lavora come custode quando lui era bambino.
Il piccolo David, rimasto solo al mondo, ce l'ha fatta grazie al ricco e generoso Pedro Vidal, giornalista, uomo di mondo e playboy, che lo ha sempre aiutato.
A metà romanzo, ecco il colpo di scena a cui accennavo: Pedro Vidal ha sempre aiutato David perchè i sicari, quella famosa notte, cercavono lui e hanno scambiato il padre di David per lui.
Ora, è necessario che qualcuno mi spieghi come sia umanamente possibile che i sicari scambino un poveraccio, alcolizzato, con abiti poveri e malridotti, che va a a piedi al lavoro trascinandosi dietro un bambino, con il ricchissimo e notissimo in città Pedro Vidal, discendente da una famiglia illustre e potente, che va a al lavoro su una delle prime macchine che circolano per Barcellona, che indossa solo abiti di alta sartoria, e che di sicuro non entra nel palazzo del giornale dove lavora dalla porta di servizio che da sul vicolo dove poi il padre di David è stato ucciso.
Almeno gli avessero sparato da lontano! Avremmo potuto concedergli il beneficio del dubbio! Invece no, gli si parano davanti in tre, e gli sparano a bruciapelo.
E naturalmente, non gli viene nessun dubbio, nè tantomeno a noi viene fornita una spiegazione sul perchè questi tre killer abbiano scambiato il padre di David per Vidal.

A parte queste cadute, il libro avrebbe ancora potuto meritarsi una sufficienza se la trama, piuttosto ricca, fosse stata svolta con onesta intellettuale e senza cercare di buttare fumo negli occhi del lettore.
Abbiamo lasciato David col suo libro salvato dal Cimitero, ed alle prese col misterioso Corelli, che vuole che il giovane crei per lui una specie di mitologia mistica, una intera religione con tanto di divinità, miti, paradiso e inferno, salvezza e dannazione.
David scopre che era quanto aveva tentato di fare anche l'autore di Lux Aeterna, scomparso misteriosamente.
Le cose sembrano farsi interessanti a questo punto, magari la trama non è proprio il massimo dell'originalità ma si lascia leggere.
Da qui in poi però, assolutamente non si riesce a capire dove l'autore voglia andare a parare; sembra di leggere un thriller soprannaturale quando Corelli commissiona a David quel libro, e David scopre che non esiste nessuna casa editrice chiamata Edizioni Lumiere, o meglio, esisteva ma aveva cessato l'attività quando la sede era andata distrutta da un incendio.
(Questa cosa di incendi di libri e case editrici, vi dice niente? E le parole lumiere, luce, portatore di luce....vi dicono niente?)
All'improvviso però la trama vira verso il giallo o il thriller, quando David cerca di far luce sulla misteriosa sparizione di Diego Marlasca, autore di Lux Aeterna, anche qui con espedienti letterari alquanto discutibili.
Come ad esempio l'uso indiscriminato (dovrebbe esserci una legge contro l'uso indiscrimato degli espedienti letterari) di un classico del thriller, ovvero l'omicidio-della-persona-che-hai-appena-interrogato-che-muore-inspiegabilmente-dopo-che-tu-te-ne-sei-andato-e-della-cui-morte-sei-l'unico-sospettato.
Questa cosa non la si può infilare tre, quattro volte in un romanzo a meno di non avere una spiegazione finale a prova di bomba.
Inutile che vi precisi che Zafon non ce l'ha.

Ancora un cambio di stile, e ci troviamo immersi un thriller psicologico quando l'autore sembra volerci far credere che David stia impazzendo, perchè nessuno, a parte David stesso, ha mai visto Corelli, che lui accusa degli omicidi, e ci vengono svelati particolari fin qui celati, che danno ad intendere che sia davvero David l'autore degli omicidi.

Il lettore è spiazzato, disorientato.
La trama sembra pienissima, tanto è vero che non si sa da che parte iniziare a riassumerla, ma in realtà è un vicolo cieco che non porta da nessuna parte; è piena di buone intenzioni, di ottime premesse non sviluppate o sviluppate malissimo; è vuota, gonfia soltanto di parole e virtuosismi linguistici che in realtà non ci portano da nessuna parte.
Non si contano le volte in cui ci è stato ricordato che l'aria di Brcellona è soffocante, i suoi vicoli bui, le pensioni misere, la letteratura sublime, le librerie polverose, il destino cinico e baro!

Caro sig. Zafon, abbiamo capito che Barcellona è una città misteriosa, pieni di vicoli bui, grandi palazzi in rovina che nascondono un segreto, ricche famiglie con scheletri nell'armadio e molta, molta nebbia.
Questo lo sappiamo.
Ci dica qualcosa che non sappiamo.
Ad esempio, ci dica come va a finire il romanzo.
Perchè io onestamente non l'ho capito.
ATTENZIONE SPOILER (selezionare col mouse per leggere!)
Si scopre che Diego Marlasca aveva ricevuto da Corelli lo stesso incarico che aveva ricevuto David, in cambio della promessa di riportare in vita il figlio morto; poi però Marlasca aveva compreso con chi aveva a che fare e aveva cercato di far perdere le sue tracce, aveva ucciso il poliziotto che si occupava della sua sparizione e preso la sua identità, continuando a vivere indisturbato a Barcellona per quasi 25 anni. Quando David comincia a cercarlo, invece di eliminare lui e via, uccide ad una ad una le persone che conoscono la sua storia, ma - ovviamente - solo dopo che hanno avuto modo di rivelare quello che sanno a David.
Se si tiene conto del fatto che Marlasca si stava nascondendo da Corelli - o almeno così mi è parso di capire - e che quest'ultimo dimostra per tutto il romanzo di saper come e dove trovare la gente, quando vuole, e di sapere come metterla a tacere, se serve, si intuisce che gli omicidi non hanno nessunissimo senso.
Corelli, dal canto suo, recita la parte del Diavolo per tutto il romanzo, e quando si accorge che David non vuole più scrivere il romanzo maledetto che gli è stato commissionato (cosa doveva farci poi con questo libro e perchè era così importante non lo sapremo mai), va su tutte le furie - Marlasca evidentemente doveva essere raccomandato, perchè Corelli lo ha lasciato vivere indisturbato per 25 anni a Barcellona con una copertura che sarebbe stata ridicola anche sulle pagine di Topolino - pertanto uccide o meglio spinge alla pazzia e al suicidio Cristina, la donna che David ama, la quale aveva sposato Pedro Vidal per gratitudine (sì, a un certo punto diventa meglio di Beautiful); però poi si pente (in fondo è un buon diavolo lui) e raggiunge David che è fuggito dalla Spagna perchè accusato della sfilza di omicidi molto, molto ingarbugliati e presumibilmente commessi in parte da Marlasca e in parte dallo stesso Corelli, e gli consegna una bambina uguale a Cristina, dicendogli pressappoco: "tranquillo, non devi far altro che aspettare che cresca, intanto io farò in modo che tu non invecchi, tanti saluti e stammi bene".

- segue minuto di silenzio, necessario all'autrice di questo blog per riprendersi ogni volta che pensa a questo finale -

Caro sig. Zafon, abbiamo capito che Barcellona è una città misteriosa, pieni di vicoli bui, grandi palazzi in rovina che nascondono un segreto, ricche famiglie con scheletri nell'armadio e molta, molta nebbia.
Questo lo sappiamo.
E ci piace. Ci piace da impazzire. Ma oltre alla bellissima ambientazione gotica, abbiamo bisogno che lei ci dica qualcosa che non sappiamo.
Che ci dia un'emozione autentica, che vada al di là della sua abilità con le parole, che narri una storia, maledetta, disperata, ma sentita.

giovedì 8 gennaio 2009

Il gioco dell'Angelo...

...Carlos Ruiz Zafon.

In realtà sono circa a pagina 250, ma aspettavo da troppo tempo di avere tra le mani questo libro, perciò non resisto e vi dico cosa ne penso fin ora.
(A proposito....grazie Roby per avermelo regalato!!)

Le atmosfere cupe e gotiche di Barcellona sono la parte migliore del romanzo (almeno fin qui).
Ci si trova letteralmente immersi nell'ambiente descritto dall'autore!
La storia è passabile, anche se ho la sensazione che Zafon abbia calcato un po' troppo la mano sui dettagli morbosi, misteriosi, soprannaturali.
Sono abbastanza presa, anche se non stregata.