mercoledì 28 novembre 2007

Le pillole di saggezza di zia Elner.../1

...da "In piedi sull'arcobaleno"

Zia Elner risponde alle domande di un incaricato della compagnia elettrica:

Zia Elner:- A dire la verità, secondo me l'energia elettrica è il massimo che si possa avere in cambio dei propri soldi. Solo avere un bambino e un'operazione al cuore sono meglio. Le ho dettio che in bagno ho un termosifone elettrico?-
Incaricato:- No ma... -
Z.E.:- Lo scriva. Sa, a volte penso al valore e mi chiedo come se lo immagina la gente. -
I.:- Prego? -
- Che valore da la gente alle cose. Lo sa che un'automobile costa molto di più che andare a partorire in ospedale? Chi mai è stato il primo a dire che un'automobile vale più di un figlio? Il marito della mia vicina, Merle, è andato fino in Texas per farsi mettere una nuova valvola al cuore, altrimenti sarebbe morto, e gli è costato meno di una rulotte. Ora, si è mai sentito di una roulotte che abbia salvato la vita ad un uomo?-
- No però... -
- No, infatti. Verbena, le ho detto, che cosa preferisci avere? Una ruolotte nuova o un marito? E che te ne faresti della roulotte senza marito? Ha dovuto ammettere che avevo ragione. Anche io tra una valvola cardiaca e una roulotte scegliere la valvola cardiaca. E lei? _
- Sicuramente, signora. Avrei ancora qualche domanda...-
- Ma lei è giovane, non ne avrà bisogno ancora per un bel pezzo, di una valvola nuova. Quando ne avrà bisogno, però, pensi a quanto costa una cosa tanto piccola, e a quanto è grande una roulotte. Sarà anche grande, ma non serve a far funzionare il cuore, e questo mi riporta al punto di partenza.-
- Cioè?-
- Che l'elettricità è la cosa più preziosa che abbiamo, e non possiamo nemmeno vederla!-.

lunedì 26 novembre 2007

In piedi sull'arcobaleno...

...di Fannie Flagg.

Attenzione: questo è un romanzo delizioso e io sto cominciando ad adorare la sua autrice. Quindi tutto quello che dirò da qui in poi potrà essere influenzato da questo.

"In piedi sull'arcobaleno" è un romanzo corale che parla con delicatezza della vita, della vita vera, e si snoda in un arco narrativo che compre quasi 50 anni.
Il punto di partenza è l'America (rappresentata dalla cittadina di Elmwood Springs, Missouri) del dopoguerra, ma si tratta di un dopoguerra molto molto diverso da quello di cui siamo abituati a sentir parlare noi Italiani.
E' un periodo della storia recente impregnato, per gli Americani, di ottimismo. Un periodo in cui tutto sembra possibile, tutto sembra realizzabile. Non ci sono le macerie da ricostruire, le ferite di una divisione profonda da sanare, il dolore, la fame, la miseria che noi siamo abituati ad associare alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
No, niente di tutto questo.
Prendendo a prestito le parole della Flagg, quello era un periodo favoloso perchè gli Americani vivevano "nel bel mezzo del paese più grande del mondo"; e inoltre, avevano "salvato l'Europa" e quindi quell'anno tutti volevano loro bene, "persino i Francesi".
(a proposito, questa cosa di quanto sia difficile farsi voler bene dai Francesi vi suona familiare?!?)
Fannie Flagg è nata nel 1944. E' cresciuta nel bel mezzo di questo momento di euforia, e questo è importante per capire le sue storie, il suo ottimismo di fondo, che impregna ogni pagina come un dolce aroma di torta fatta in casa.
Nei suoi libri, tutto è lieve, dolce, discreto. Il mondo sembra un posto migliore quando lo si guarda attraverso gli occhi dei suoi personaggi. E in questo libro ce ne sono molto a cui affezionarsi.
La storia è scritta in una stile piacevole, e le pagine scorrono via quasi senza che il lettore se accorga; la Flagg ci parla di un mondo che non ha perso la speranza e il senso della meraviglia, e lo fa in un modo ironico, leggero e divertente. Questo libro fa sorridere spesso, e ancora più spesso ci invita a riflettere non tanto su quali siano le cose importanti della vita, ma piuttosto sul modo in cui le guardiamo e le valutiamo.
Nonostante l'ottimismo di fondo, però, le storie della Flagg non sono castelli in aria in un mondo incantato che niente ha a che vedere con quello reale; le cose brutte, purtroppo, capitano anche ai suoi personaggi, capitano anche ad Elmwood Springs.
Quello che è differente è la forza interiore, lo spirito con cui vengono affrontate; di fronte alla catastrofe, al dramma c'è sempre e comunque speranza, c'è sempre da qualche parte dentro di noi un briciolo di forza che ci spinge ad andare avanti.
In particolare, questa forza si annida dentro ogni donna.
Le figure di donne che popolano i suoi romanzi, sebbene abbiano quell'aria linda e rispettabile da brave ragazze o brave mogliettine, sono, ognuna a modo suo, donne dolcissime sì, ma anche forti, salde.
Prendiamo ad esempio Dorothy Smith, il filo conduttore che ci accompagna attraverso lo svolgimento degli eventi. E' una casalinga, si occupa della casa e del marito, sta tirando su due figli, e sforna torte in continuazione per distrarre la sua mente da una ferita che non può rimarginarsi.
Per tutti però lei è Neighbour Dorothy, pioniera delle trasmissioni via etere, che trasmette dal salotto di casa sua uno show radiofonico di straordinario successo.
Dorothy è una guida, un faro, una persona che si occupa degli altri e che non ha pace fino a che non riesce a sistemare le cose.
Attorno a lei si muovono tanti altri personaggi indimenticabili.
Ci sono suo marito Doc, sua suocera Nonna Smith, i loro due figli Billy ed Anna Lee, e Jimmy e Betty Raye, i pensionanti che abitano con loro; poi ci sono i personaggi secondari, i vicini di casa, gli abitanti di Elmwood Springs, tra cui la spassosa zia Elner (la mia preferita!), anziana e un po' svampita, ma che sa regalarci pillole di saggezza incredibilmente divertenti e allo stesso tempo sensate.
(Tra l'altro zia Elner è la protagonista dell'ultimo romanzo della Flagg, "Torta al caramello in paradiso", da poco edito anche qui da noi).Nei primi capitoli, la trama ci viene narrata attraverso gli occhi di Bobby, che all'epoca ha dieci anni. Insieme a lui esploriamo Elmwood Springs, ne conosciamo gli abitanti, i luoghi, le piccole manie di città di provincia, attraverso una serie di aneddoti davvero gustosi.
Poi l'attenzione si concentra sulla giovane e timidissima Betty Raye, che arriva ad Elmwood Springs insieme alla sua famiglia, gli Oatman, cantanti di gospel girovaghi di indiscusso talento; Betty Raye non è tagliata per quella vita, soffre dei continui spostamenti, del non poter frequentare una scuola, del non avere una casa.
Dorothy, che ha perso un bambino in tenera età, si affeziona alla ragazzina, e non trova pace fino a che, per combinazione, e con un pizzico di fortuna, non riesce a trovare una soluzione che permette a Betty Raye di restare ad Elwood Springs e al contempo alla sua famiglia di continuare a cantare.
Seguiamo così la crescita di Anna Lee, Bobby e Betty Raye in una Elmwood Springs che cambia con loro; in particolare la timidissima ragazzina si trasforma presto in una donna, che metterà su famiglia e resterà coinvolta, suo malgrado, in fatti più grandi di lei ed in un mistero che verrà svelato soltanto alla fine del libro. Nonostante il suo carattere schivo e timido fino all'eccesso, Betty Raye non sarà travolta dall'onda degli eventi, ma anzi, troverà il modo di cavalcarla e di volgerla nella direzione da lei voluta.
Non vi dirò di più sulla trama del romanzo; questo libro è come una fetta di torta da assaporare lentamente, un cucchiaino alla volta.
Forse vi starete chiedendo perchè mi sono fissata con le metafore "mangerecce".
Chi lo sa? Forse anche io, come gli abitanti di Elmwood Springs, ho preso l'abitudine di girare con una forchetta (metaforica) in tasca...nella speranza che passando davanti alla casa degli Smith, Dorothy mi inviti ad entrare per assaggiare la torta che ha appena sfornato.

giovedì 22 novembre 2007

Le notti di Salem...

...ovvero il primo libro di Stepen King che ho letto.

A conti fatti, dopo l'ultima pagina, mi è venuto da chiedermi perchè abbia aspettato così tanto per leggere qualcosa di questo Autore!
E dire che l'idea di partenza del romanzo non era nemmeno originale: come dice S. King nell'introduzione, questo libro nasce dalla sua voglia di sapere cosa sarebbe accaduto trasportando il Dracula di Bram Stoker nel Maine di oggi.
Insomma, un altro libro di vampiri! Sai che novità!
E invece...e invece...insomma, è proprio vero che non si può giudicare un libro dalla copertina...nè tanto meno dalla prefazione!

Iniziamo con i due protagonisti in viaggio verso sud-ovest. Non hanno un nome. Sono solo "un uomo e un ragazzo".
Già questo particolare, questa assenza di dettagli, mette i brividi. Chi sono "l'uomo e il ragazzo"? Perchè viaggiano senza fermarsi mai in nessun luogo? Cosa fuggono? Cosa li insegue?
( E già a questo punto un sottile senso di inquietudine si è impadronito di me e mi ha accompagnato per tutto il romanzo. Ho cominciato a gettare occhiate furtive alle mie spalle)
L'uomo e il ragazzo sembrano fuggire da qualcosa; ogni volta che possono, si procurano un quotidiano che riporti le notizie del Maine, e vi leggono, con crescente angoscia (nostra e loro) di strane morti e sparizioni.
Quando l'atomosfera tesa e l'inquietudine sembrano ormai diventare intollerabili, il ragazzo crolla, e decide che ha bisogno di raccontare tutto. Ma non a noi lettori. Eh, no. Il ragazzo confessa il suo segreto a un prete...ma King non divide questo segreto con noi.
Piuttosto, ci prende per mano, ci porta in un passato alquanto recente, e ci presenta Ben, scrittore in cerca di tranquillità, e Jerusalem Lot.
Jerusalme Lot (o Salem Lot, come veniva chiamata in passato) è un tranquilla cittadina del Maine cui non manca niente, nemmeno una vecchia casa disabitata e tenebrosa in cima alla collina, casa Marsten.
C'è la solare, tranquilla, allegra, banale vita della provincia da un lato; la tenebra dall'altro. Certo, il contrasto può non essere originalissimo (ma ricordiamoci che King scrisse questo libro negli anni '70), però funziona. Stephen King lo fa funzionare. Leggendo il romanzo, ho avuto paura.
(Mio marito direbbe che io mi faccio terrorizzare anche dalla patatine sullo scaffale del supermercato -...ma chi non lo farebbe, visto il loro contenuto in grassi?!?
Ma parte questo, stavolta non sono io a essere impressionabile...piuttosto...è lui che è Stephen King! )

I primi capitoli scorrono con semplicità, anche con leggerezza. Impariamo a conoscere i personaggi, anche quelli secondari, ci immergiamo nella routine di Jerusalem Lot, e dopo un po' ci capita anche di sentirci a casa. Se S. King ha un pregio, è quello di colpire nel segno con le sue descrizioni, senza prolissi giri di parole. Dopo qualche capitolo, Jerusalem Lot ci è diventata familiare. Questa quotidianità all'apparenza banale non diventa mai nè scontata nè noiosa...perchè noi sappiamo che sta per accadere qualcosa. Qualcosa di orribile.
Se non fossero bastate le prime pagine a farcelo capire, basterebbe l'ombra di casa Marsten, che sinistramente incombe sul paese, a farci intuire qualcosa.
In realtà, il lettore muove da una prospettiva privilegiata. Vede, come a volo d'uccello, tutto quanto accade nella cittadina. Vede ogni piccola terrificante tessera del puzzle andare lentamente al suo posto. Questo espediente non fa altro che aumentare la tensione, il senso di attesa e di orrore imminente, pagina dopo pagina.
Ma torniamo a casa Marsten. Questa dimora è una vecchia e cadente casa disabitata. Qualcosa di orribile è successo lì decenni prima, e da allora nessuno ha avuto più il coraggio di abitarci. Così la casa è caduta in rovina, fino a quando uno straniero, uno che viene da molto lontano, compra la casa e va ad abitarci insieme col suo socio in affari.
Dall'arrivo dello straniero, il libro prende sempre più ritmo, e gli eventi cominciano a susseguirsi sempre più in fretta. Stephen King ci regala attimi di vera paura; attimi in cui siamo anche noi paralizzati dal terrore, dai rumori sinistri, dagli scricchiolii e dall'avvicinarsi ineluttabile del male. Già, il Male è il vero protagonista del romanzo, il Male che è potente, molto potente, e che forse non può essere sconfitto; il Male che è dietro l'angolo, dove meno ce lo aspettiamo, che sa nascondersi, travestirsi, dissimulare la propria esistenza, lusingarci. E gli uomini sono impotenti davanti ad esso.
Ma sebbene debole ed incredulo, il genere umano ha un pregio: sa fare fronte comune dinanzi al pericolo, e non smette di combattere, per quanto la causa possa apparire disperata.
Questa è la visione del mondo che ha l'Autore, e forse per questo nonostante il suo scopo sia quello di descrivere l'orrore senza fine, questo libro ha un che di solido a cui aggrapparsi.Lo stile di King è asciutto, non ama i giri di parole e - aggiungerei - non conosce pietà per il lettore.
Scrive quello che deve, ineluttabilmente.
Ci sono momenti in cui si legge parola dopo parola con timore, con il cuore in gola, ripetendo mentalmente
"tipregoquestono,salvaalmenolui,salvalosalvalosalvalo".
Ma non è così che funziona. Non a Salem Lot, almeno.

mercoledì 14 novembre 2007

In libreria...

...è appena arrivato "4 amiche e un paio di jeans" di Ann Brashares, in versione economica.
Il volume è edito dalla Fabbri, linea Oro, e costa 6 euro.

Se amate i romanzi adolescenziali, scritti con garbo e leggerezza, questo vi conquisterà.

A breve sul blog la recensione del seguito: "4 amiche e un paio di jeans, la seconda estate".

martedì 13 novembre 2007

Da "Arrivederci piccole donne...

... di Marcela Serrano.

"Come ogni signora aristocratica che si rispetti, Suor Maria Trinidad poteva contare in seno alla famiglia su una cugina caduta in disgrazia, la cui esistenza scialba e modesta avrebbe potuto governare e tenere sotto controllo in caso di necessità. Così, quando fece il suo ingresso al convento di Santa Catalina e prese possesso dei vasti appartamenti, fece sistemare, come laica, anche Veronica de las Mercedes insieme alle domestche; e il giorno del parto le mise fra le braccia il neonato come fosse stato partorito dal suo corpo arido, negletto e di dubbia fertilità, un corpo ermetico, senza ricordi e senza tracce di piaceri o concepimenti. Si limitò a comunicarlo alle madri superiori nel tono sicuro di chi sa di essere una persona insigne e stimata, e mise a tacere la loro irritata sopresa raccontando la triste storia della cugina... "

lunedì 12 novembre 2007

Arrivederci piccole donne...

...di Marcela Serrano.

Ok, alzi la mano chi non ha mai letto Piccole Donne della Alcott.
Non credo di vedere molte mani alzate; credo invece che il romanzo su citato sia stato un "must" per tante ragazzine della mia generazione. E' qualcosa che ti resta nel cuore, che costruisce dentro di te un angolino in cui le quattro sorelle March abiteranno per sempre.
Con questa premessa, si poteva resistere ad un libro che si intitola "Arrivederci piccole donne"? Io dico di no.
(Nel caso vi stiate chiedendo perchè cerco sempre di giustificare le mie letture, vorrei fare una precisazione: non ho bisogno di giustificazioni per leggere un libro...in realtà ho bisogno di scuse per comprarne ancora, ancora, e ancora ^_^ )

Il romanzo della Serrano non è, naturalmente, il seguito di Piccole donne, ma piuttosto una rilettura. La Serrano ne prende in prestito i cardini (quattro adolescenti, cugine e non sorelle stavolta, una grande famiglia, una zia ricca, la Storia che prima fa capolino, poi irrompe nella vita delle ragazze) e ne scrive una versione tutta sua, ambientata in Cile, che va dagli anni 70 al 2001.
Le protagoniste sono le cugine Martinez, Nieves, Ada, Luz e Lola, ognuna idealmente riconducibile ad una delle piccole donne della Alcott.
L'età dell'adoloscenza è passata, ed ognuna ha la sua vita. Ma le loro strade tornano ad incrociarsi quando tutte si recano al funerale della vecchia Pancha, balia, governante, cuoca della fazenda dove sono cresciute.
Le loro vite tornano ad intrecciarsi, mentre lentamente il loro passato comincia a dipanarsi davanti agli occhi del lettore.
Solo che il passato, come ci dice l'autrice, è tale quando smette di ferirti: non è il caso delle nostre protagoniste, le quali dovranno fare i conti con i conflitti irrisolti della loro adolescenza, troncata bruscamente dall'ascesa della dittatura militare, che non solo sconvolgerà la loro vita, ma impedirà loro, appunto, di scendere a patti con gli spettri e gli errori del passato, lasciando molte questioni aperte.
All'inizio del romanzo, ci sembra che tutto sia rimasto fermo, congelato a lungo e che la strada verso il Pueblo della loro infanzia, sia in realtà una strada a ritroso nel tempo.
Scopriamo così, lentamente, qualcosa di più del carattere e della vita delle 4 cugine Martinez.
Le parti migliori del romanzo sono quelle in cui viene descritta la vita nel Pueblo della grande famiglia Martinez e dei loro contandini e lavoranti. Sono affreschi vividi e interessanti, che ci fanno immergere profondamente nella storia della famiglia.
Non sole le quattro protagoniste, ma anche i personaggi per così dire secondari, hanno la loro parte da raccontare, un piccola tessera apparentemente isolata, ma che in realtà va aggiunta ad un mosaico più grande.
Arriviamo così a delineare i contorni di una vicenda accaduta nel passato, che avrà sviluppi imprevisti sulle loro vite, un segreto mai rivelato che finirà col condizionare anche gli eventi futuri, fino al finale catartico e liberatorio.
Il racconto delle vicende passate, però, viene costantemente interrotto dall'irrompere del presente, come a sottolineare che il passato delle cugine è ancora irrisolto, e ancora condiziona le loro vite attuali.

"Arrivederci piccole donne" non ha nulla della tranquilla malinconia, della composta serenità del romanzo della Alcott.
Nè tanto meno ha la consolante, apparente leggerezza dei romanzi di Isabel Allende (a cui per certi versi, la Serrano potrebbe essere accostata).
E' un libro duro, aspro, crudo. Libri come questo non solo raccontano una storia, ma costringono il lettore a misurarsi con essa, a riflettere, a farsi domande ed inevitabilmente a riconsiderare la propria, personale vicenda umana. E' questa la ragione per cui ti restano dentro.
Lo stile si modifica impercettibilmente in ogni capitolo, per addattarsi alla personalità di ciascuna delle protagoniste. Questo fa sì che il lettore possa "vivere" la differenza esistente fra le cugine, e vedere allo stesso tempo gli eventi narrati nel libro da punti di vista differenti.
Il filo conduttore resta però l'amarezza, il rimpianto. L'amarezza per quello che è stato e che non si può più cambiare, per quello che sarebbe potuto essere e invece non è accaduto.
L'amarezza e il rimpianto permeano il libro, ma soltanto fino a quando le cugine avranno il coraggio di guardare in faccia il passato...e di liberarsene...insomma, fino all'epilogo che non ha niente di consolante, eppure lascia accesa una timida speranza per il futuro.

venerdì 9 novembre 2007

Enzo Biagi...

...se n'è andato. Mi piaceva il suo modo di fare giornalismo, lo ammiravo e sentivo che quando dava una notizia, potevo credergli. Potevo fidarmi.

Per ricordarlo, posto qui la sua bibliografia, tratta da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Tra i numerosi libri pubblicati da Biagi:
in opere:
Un anno Una vita (1992), un libro che contiene tre interviste con pensieri e riflessioni sulle figure di Antonio Di Pietro, Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta Il titolo si riferisce agli avvenimenti che sconvolsero l'Italia nel 1992 che sono stati talmente intensi come un'intera vita.
La disfatta, (1993), inchiesta su Tangentopoli e sull'Italia delle tangenti
I come Italiani (1972), una sorta di dizionario antropologico sui difetti e i pregi italiani.
Il boss è solo (1986), libro-intervista ai pentiti di mafia
Il sole malato (1987), reportage sull'Aids
L'Italia dei peccatori (1989), tutti i vizi d'Italia
L'albero dai fiori bianchi (1994), raccolta di riflessioni quotidiane, il titolo si riferisce ad un ciliegio che si trova dietro la sua casa.
Il signor Fiat (inchiesta sulla famiglia Agnelli)
La bella vita (intervista all'attore Marcello Mastroianni) del 1996
Sogni perduti (1997) saggio sulle "spalle" di grandi personalità come Montanelli, De Gasperi e Angelo Rizzoli.
Scusate, dimenticavo (1997) ricordi e riflessioni autobiografiche
Racconto di un secolo (1999), interviste sul Novecento ai protagonisti del XX secolo.
Lettera d'amore a una ragazza di una volta (2003), dedicato alla moglie Lucia, da poco scomparsa
Il Fatto (raccolta di interviste) (2003)
La mia America (2004), saggio sul mito dell'America e sulla presidenza Bush
Era ieri (2005)
Autobiografia, in collaborazione con Loris Mazzetti, il libro che ha venduto di più ed è stato tradotto in nove lingue.
Quello che non si doveva dire (2006) saggio sull'editto bulgaro
Enzo Biagi ha scritto anche tre libri in fumetti: Storia d'Italia a fumetti, Storia di Roma a fumetti e La storia dei popoli a fumetti.
Inoltre:
i romanzi: Disonora il padre (1975), Una signora così così (1979<);
una serie di reportage in giro per il mondo pubblicato nella serie "Geografia di Enzo Biagi" (America,1973; Russia,1974; Italia,1975;(disegni di Luciano Francesconi); Germania, 1976; Scandinavia,1977; Francia,1978; Cina,1979; Inghilterra, 1980). Nel 1994 ha ripreso lo stile della "Geografia" pubblicando i "I padroni del mondo" (Stati Uniti, 1994; Cina, 1994; Russia,1995";)
i libri storici "1935 e dintorni" (1982), e "1943 e dintorni" (1983), "Noi c'eravamo 1939-45" (1990) su come la gente comune visse il perido della seconda guerra mondiale.

giovedì 8 novembre 2007

Da "In piedi sull'Arcobaleno"...

...di Fannie Flagg.

"Forse è perchè sono ancora bassi e vicini al terreno, o forse perchè i loro sensi non sono ancora stati ottenebrati dagli anni, ma ai bambini le giornate sembrano più lunghe, gli odori più intensi, i colori più vivi, i rumori più forti, lo spasso più spasso."

mercoledì 7 novembre 2007

Rossella, ovvero...

...il seguito di Via col vento, di Alexandra Ripley.
Come sono arrivata a tanto, vi chiederete voi? Sinceramente me lo sto chiedendo anche io.
Per comprendere la faccenda, è necessario fare un passo indietro. Io amo Via col vento di Margaret Mitchell.
Lo so, è un romanzo politicamente scorretto, e naturalmente odio la condiscenza dell'autrice verso la gente di colore, la banalizzazione della questione schiavitù, quasi fosse una cosa normale, anzi, la miglior soluzione per una intera popolazione sradicata dal proprio continente e costretta a lavorare per i ricchi piantori bianchi. Questa visione è anti storica, contro ogni più elementare diritto umano, dimentica di secoli di sofferenze e soprusi, non la condivido e la trovo imbarazzante e irritante.
Ma per altro verso, ho amato la forza del romanzo, la vita che prepotentemente balza fuori da ogni pagina, "quell'ansia di vivere" di cui è piena ogni pagina.
Ma sto divagando.
Si parlava del seguito di Via col vento. Una parte dell'ansia di vivere di Rossella mi era rimasta dentro, dovevo sapere cosa succedeva dopo la chiusura del romanzo, che ci regala un finale triste sì, ma allo stesso tempo vigoroso e pieno di speranza, di quella speranza di chi sa che finchè avrà la forza di lottare, può ancora ottenere quel che desidera.
E così, mi sono decisa: essendo il romanzo introvabile, l'ho preso in prestito in biblioteca. Le prime righe mi hanno riempito di speranza: Rossella è al funerale di Melania, e cerca disperatamente di non pensare al futuro, mentre l'unica persona che l'ha amata e compresa per quello che era, si allontana per sempre. Ma il cauto ottimismo iniziale ben presto si trasforma in disappunto pagina dopo pagina, riga dopo riga.
Tutto sembra fuori posto, come se Rossella (e noi con lei), tornando a casa, avesse aperto la porta di quella sbagliata.
Rossella torna a Tara come aveva detto, ritrova Will e l'odiosa sorella Susele, ma il suo viaggio è breve. Rossella scopre che potrebbe riscattare la quota di Tara di sua sorella minore Carolene, ora che quest'ultima è in convento, e quindi potrebbe tornare ad essere la vera padrona dell'amata tenuta paterna, ma non farà altro che disseminare, qua e là nel corso della trama (trama?) sforzi, nemmeno tanto convinti, per ricomprare la suddetta quota. Come se questo, che poteva essere il tema portante dell'intera storia (la riconquista di Tara, la sua rinascita, il panico finanziario che sembrava stesse per diffondersi nei primo capitoli, e che poi misteriosamente scompare) fosse una questione secondaria. Beh, certo, meglio dedicare decine di pagine al servizio da the in argento che Rhett riscatta a Boston per sua madre, o al giardino di fiori (fiori?) che Rhett (Rhett?) coltiva nella sua tenuta.
E visto che ho nominato Rhett...ben presto scopriamo che lui è a Charleston, e quindi, ci trasferiamo anche noi lì, e abbiamo modo di apprendere che la buona società di Charleston, che aveva messo al bando il tenebroso Mr. Butler tanto tempo fa, adesso lo considera un pilastro della società stessa, uno che da giovane è stato un po' birichino...
Chiedendomi se stavo leggendo il seguito di Vcv oppure la versione charlestoniana di Ritorno al futuro (con tanto di paradossi temporali e realtà alternative), sono andata avanti tra pagine di una melensaggine unica, dove Rhett ignora Rossella, sua mamma l'adora, sua sorella la odia senza motivo e lei continua a ripetere "si vede che mi ama".
Dov'è la nostra pratica, realistica, cinica Rossella? Quella "capace di guardare in faccia le cose, e chiamarle col loro nome"? Non si sa, e forse anche per cercarla, ci spostiamo a Savannah, dove Rossella si scopre incinta dopo una burrascosa notte d'amore con Rhett, causata dal sollievo di scoprirsi vivi dopo il naufragio della barchetta su cui Rhett l'avevo condotta prima che lei partisse per sempre.
A Savannah, per centinaia di pagine non accade nulla. Assolutamente nulla, a meno di non considerare avvenimenti degni di nota Rossella che impara a ballare il reel e Rossella che strapazza il maggiordomo di nonno Robillard. Infine Rossella, annoiata (e non è la sola!), parte per l'Irlanda insieme ad un lontano cugino irlandese, il quale traffica armi per i ribelli che combattono l'occupazione inglese.
Si sarebbe tentati di credere che Rossella si troverà allora coinvolta negli intrighi politici dell'Europa di fine ottocento, e invece, ancora una volta, per pagine e pagine e pagine non accade nulla. Il vuoto.
E il romanzo si trascina così, senza prendere una precisa direzione (storia d'amore? romanzo d'avventura? romanzo storico?) fino alla sua conclusione, fino alle ultime trenta pagine, in cui l'autrice, come se si fosse improvvisamente svegliata, condensa, come per farci contenti visto che l'abbiamo seguita fin lì, gli avvenimenti - alcuni davvero patetici - che latitavano nei capitoli precedenti (attenzione, se non volete sapere come va a finire il romanzo, non leggete oltre!): Rhett divorzia in uno Stato (la Carolina del Sud) dove il divorzio non esiste; si risposa con una donna perchè l'ha compromessa restando con lei fino a notte inoltrata cercando un orfanello smarritosi (davvero, non me lo sto inventando); sua moglie perde due bambini in rapida successione e poi muore; Rossella spedisce la propria governate inglese ad Atlanta convinta che somigli a Melania e riesce - con un oceano di mezzo, e senza aver saputo nulla di Ashley per circa 4 anni - a combinare un matrimonio per quest'ultimo; una rivolta di contandini minaccia Rossella, e dal nulla appare Rhett (sì, lo stesso Rhett che aveva pagato mezzo milione in oro perchè Rossella si levasse di torno), salva lei e sua figlia e le prende con sè, perchè in fondo aveva sempre amato Rossella. Certo, glielo avesse confessato prima (molto prima!) avrebbe risparmiato (a noi, non a Rossella) molteplici sofferenze.
In conclusione, che dire? Il romanzo, che di epico ha solo la sua prolissità, non decolla mai, non ha una sua anima, non ha nè il coraggio di dirci, subito, ciò che volevamo sentire (che nel bene e nel male Rossella e Rhett si appartengono), nè quello di discostarsi completamente dall'amatissimo romanzo che l'ha preceduto e prendere una strada propria. Perciò rimane sospeso, quasi timoroso, cercando di compiacere il lettore con scenette di vita del Sud post-bellico prima, e dell'Irlanda poi, ma senza che tra esse ci sia un vero filo conduttore che rende un'insieme di accadimenti una trama, risultando lento, noioso, inutile.
Peccato.

Iniziamo!

Sono una lettrice accanita da quando ho imparato a leggere...e quindi da quasi (glom!) 30 anni!!

Leggere per me è come vivere due volte.

C'è però una cosa che mi piace quasi quanto leggere un libro: parlare dei libri che ho letto.

Ogni volta che ne finisco uno, penso che avrei una marea di cose da dire, e sento il bisogno impellente di dirle a qualcuno.
Perciò...benvenuti nel mio blog.