venerdì 28 aprile 2017

L'amore addosso...

...di Sara Rattaro.

La scheda del libro sul sito Sperling & Kupfer

Giulia arriva in ospedale insieme ad un uomo che ha appena avuto un'emorragia cerebrale; a tutti racconta di averlo soccorso per caso, mentre camminava sulla spiaggia. In realtà lui è il suo amante.
Mentre cerca di ottenere sue notizie senza destare sospetti, Giulia scopre che suo marito è ricoverato in seguito ad un incidente stradale nel medesimo ospedale, e scopre altresì che anche lui non era solo in quel momento... 
 
Questo libro narra la storia di Giulia, che un bizzarro quanto crudele scherzo del destino mette di fronte ai fatti nudi e crudi della sua vita. O meglio, delle sue vite: perché Giulia da un lato ha, apparentemente, un matrimonio perfetto, con un uomo perfetto, una famiglia amorevole e una carriera interessante; dall'altro ha un'amante che è l'unica cosa che la fa sentire davvero viva e che lei ama più di se stessa. I due uomini della sua vita si ritrovano entrambi in ospedale. Questo fatto porterà Giulia a raccontarci attraverso flashback, la sua vita, che è segnata da un evento doloroso del passato, del cui ricordo Giulia non riesce a liberarsi; e dalla presenza di una madre, all'apparenza amorevole e altruista, ma in realtà oppressiva e maniaca del controllo.

Primo libro che leggo di questa autrice, e devo confessare che non si tratta proprio del mio genere. Come ho avuto modo di dire spesso, preferisco le storie più movimentate, e meno intimiste.
Però devo dire che c'è stato qualcosa in questo romanzo che mi ha comunque catturata e ha evitato che mi annoiassi. Andiamo a vedere cosa.
 
Innanzitutto, lo stile della Rattaro. Semplice, fluido, pulito senza essere sciatto e banale. Le frasi scorrono piacevolmente e anche quando si parla di temi delicati, la costruzione delle frase non è involuta, come ho potuto invece riscontrare molto spesso in libri dello stesse genere letterario, che, al contrario di questo, avevano la pretesa di spacciare Verità Assolute™ ad ogni rigo (che poi magari sarà anche stato vero che si trattava di punti fermi nell'universo, ma questi punti fermi non li capiva nessuno tanto era contorta l'espressione del pensiero).
 
Poi la storia. La trama c'è, esiste, e non è solo una scusa per permettere all'autrice di dispensare perle di saggezza assortite. Qui invece l'autrice vuole raccontarci una storia, una storia molto intima e personale. E per di più si tratta di una bella storia, anche se dolorosa, in cui l'autrice ha saputo dosare i momenti intimisti con quelli più funzionali alla trama (ci sono un paio di "colpi di scena" che mi sono piaciuti molto).
La narrazione è fluida e suona naturale. Il rischio di apparire artificiosi quando si sceglie questo tipo di romanzo esiste sempre; ma non è questo il caso.
Mi sono piaciuti i flashback che saltavano da un periodo all'altro della vita di Giulia, seguendo appunto il filo dei suoi pensieri, in maniera molto spontanea.
 
E infine i personaggi: misurati, costruiti bene, filtrati attraverso lo sguardo di Giulia senza mai essere bidimensionali.
I personaggi sono il fulcro di questa storia. Sara Rattaro è riuscita nella difficile impresa di raccontarci la loro vita emotiva ripercorrendo le loro vicende personali senza autocompiacimento o autocommiserazione.
Il libro, raccontato in prima persona da Giulia, è una sorta di lucida analisi della protagonista, che non risparmia chi le sta intorno.
In primo luogo sua madre, figura che domina le vite di chiunque gli capiti a tiro, inflessibile, fredda, troppo presa dalla costruzione della sua vita perfetta per accorgersi delle macerie emotive che ha lasciato dietro di sé. Poi abbiamo un padre assente, che nonostante rimanga sullo sfondo riesce ad essere vero tanto quanto gli altri personaggi, con i suoi silenzi e le sue omissioni; Irene, sorella di Giulia, perfettamente in sincrono con sua madre, mai complice e sostegno della sorella che soffre (per dirne una, mentre il marito di Giulia è in ospedale in seguito ad un incidente stradale, Irene rivela senza tatto che c'era una ragazza insieme a lui in macchina, e poi passa tranquillamente a lagnarsi del fatto che la sorella non abbia ancora visto il suo vestito da sposa).
C'è Emanuele, marito perfetto e uomo amorevole, ma sinceramente incompreso e trascurato da Giulia; e poi chiude il quadro Federico, l'amante, che appare l'uomo perfetto ma in realtà non lo è affatto.

L'unico appunto che mi sento di fare, è per il finale. Se l'intero romanzo è costruito con cura e con pazienza nel collocare al proprio posto ogni pensiero, ogni azione e ogni conseguenza, il finale giunge troppo in fretta e troppo facilmente. La "riparazione" all'evento traumatico che segna Giulia da sempre salta fuori con una semplicità disarmante, e una serie di coincidenze un po' troppo tirate per i capelli.

Insomma, un bel libro, veramente ben scritto, che si è fatto apprezzare anche da chi, come me, non ama questo genere di storie.

Voto: 7 e 1/2
 

giovedì 27 aprile 2017

Blood...

... di Anne Rice.
 
 
In questo romanzo, seguito diretto de Il vampiro di Blackwood, il vampiro Lestat fa la conoscenza della famiglia Mayfair, potente clan di streghe di New Orleans, già protagonista dell'omonima saga della stessa autrice.
Lestat dona a Mona Mayfair, in punto di morte dopo un lungo coma a causato da un parto con caratteristiche sovrannaturali, il Sangue Tenebroso. Successivamente Lestat decide di aiutarla a scoprire cosa ne è stato della sua progenie, scomparsa dopo la nascita ad opera di una creatura non umana, appartenente alla antichissima stirpe dei Taltos.
 
Questo libro è, o meglio dovrebbe essere, una lettura indispensabile per ogni fan di Anne Rice.
In questo romanzo convergono la storia del vampiro Lestat e quella delle streghe Mayfair, ovvero delle due saghe più amate e conosciute di Anne Rice.
Dal canto mio, io ho amato alla follia L'ora delle streghe, e apprezzato molto anche la saga del vampiro Lestat, la quale, pur con i suoi alti e bassi (per quanto riguarda i bassi, qualcuno ha detto Memnoch il diavolo, per caso?) resta una pietra miliare nella letteratura horror e gotica mondiale. Eppure, soprattutto se siete fan di Anne Rice, vi do un consiglio: fate un favore a voi stessi e non leggete questo libro. Piuttosto riprendete in mano Intervista col Vampiro, o il già citato L'ora delle streghe e fatevi cullare dalla straordinaria abilità narrativa della Rice. Di quella abilità, qui non ne troverete traccia.
 
Ecco, visto che ho citato Memnoch il diavolo... questo romanzo si apre con Lestat,  voce narrante della storia, che rimprovera ai suoi lettori di non aver saputo capire e apprezzare proprio Memnoch il diavolo. Confesso che la cosa mi ha lasciato alquanto perplessa. Non so se si tratta di un geniale espediente narrativo, in cui si ha la fusione definitiva dello scrittore con il suo personaggio narratore, oppure un triste e mal camuffato tentativo dell'autrice di sfogare la sua frustrazione per lo scarso apprezzamento ricevuto dal romanzo precedente. Sul serio, non so cosa dire. L'unica cosa di cui sono sicura è che mentre leggevo quelle righe, mentre leggevo le parole di Lestat, mi sono chiesta se per caso l'autrice stesse cercando di riprodurre il pensiero di qualcuno che avesse appena finito di assumere acidi. Lo so che Lestat è sempre stato un personaggio un tantinello sopra le righe, ma nell'incipit di questo romanzo è totalmente esagerato, fuori sincrono perfino con se stesso.
Sempre tenendo presente la particolarità caratteriale del personaggio Lestat, il cui ego ha avuto ampio spazio nei romanzi, non si può comunque costruire una storia esclusivamente sulle sue intemperanze, sul suo narcisismo, e sulla sua particolare visuale del mondo (che lui considera una sorta di Giardino Selvaggio, in cui tutto è da scoprire, assaporare, provare). Cioè, questo non si può fare, a parere mio, perché è stato già fatto nei romanzi precedenti, in cui però questi tratti erano funzionali alla trama, e utili al lettore nella scoperta di questo vampiro così diverso dalla figura nera e tenebrosa delle leggende sui succhiatori di sangue.
 
Ora invece abbiamo un Lestat che si parla addosso per pagine e pagine, che sprizza autocompiacimento ad ogni rigo soddisfatto dei suoi splendidi capelli biondi, della sua pelle di marmo, dell'amore che prova per i suoi "figli tenebrosi"; abbiamo minute descrizioni di ogni singolo capo d'abbigliamento che egli indossa; digressioni sul fatto che vorrebbe diventare un santo; e sapete invece cosa non abbiamo? Una trama che giustifichi e sorregga tutto questo.
Infatti, a circa un centinaio di pagine dalla fine, la trama non ha ancora ingranato. I nostri personaggi girano ancora a vuoto, e non sappiamo ancora quale storia Anne Rice voglia narrarci. Ci sono una serie di avventurette da vampiri  - ad esempio, trovare una vittima malvagia a cui succhiare il sangue, e poi chiedersi se sia sufficiente per autoassolversi - avventurette, dicevo, che avevano un senso in Intervista col Vampiro, cioè agli esordi di questa saga e 40 anni fa. Ora non hanno alcun senso se non quello di riempire le pagine. Quando alcuni spunti diventano potenzialmente interessanti, vengono liquidati in poche pagine o in maniera poco soddisfacente (mi riferisco alla sottotrama di Lestat perseguitato dal fantasma di Julian Mayfair, altro potente stregone della famiglia).
 
A circa novanta pagine dalla fine, sembra che l'autrice decida di imprimere una svolta alla trama, e finalmente partiamo alla ricerca della stirpe dei Taltos.
Nel corso della serie sulle streghe Mayfair, Anne Rice ci aveva regalato intriganti brandelli di conoscenza su questo popolo antichissimo, misterioso, un  popolo di immortali con capacità sovraumane. Ma, come diceva Darwin, non è la specie migliore o la più intelligente che sopravvive, ma quella con più capacità di adattamento. E questo, nel corso dei secoli, si rivela la vera debolezza dei Taltos: ridotti ad un numero esiguo di esemplari, risultano perdenti nel confronto con gli esseri umani.
Lo spirito di uno di loro, nel tentativo di far risorgere la sua specie, aveva per secoli tormentato la famiglia Mayfair e allo stesso tempo garantito loro potere e fortuna; uno spirito attaccato per secoli ad un suo piano, che, forse, adesso ha avuto successo. Ecco, questi erano i Taltos quando li abbiamo conosciuti;  e quando finalmente siamo sul punto di saperne di più, Anne Rice scrive una novantina di paginette striminzite, in cui tutto quello che poteva essere interessante è già successo e viene riferito ai personaggi in sintesi da chi era presente; i Taltos sono tornati nel mondo  e a noi lettori viene riferito per sentito dire. E come se non bastasse, la stirpe dei Taltos viene ridotta ad un gruppo di individui balbettanti, narcisisti e incapaci di prendere alcuna iniziativa. Badate che i Taltos nascono con la memoria genetica di tutti quelli che li hanno preceduti; pertanto i Taltos moderno dovrebbero sapere a cosa sono andati incontro i loro avi, e perché. Ma qui sembra che non abbiano tratto nessun insegnamento dalla loro storia.
La potenza sovraumana dei Taltos, terrificante perché senza freni e senza morale, che Anne Rice ha impiegato anni a costruire e cesellare nei precedenti romanzi, ridotta così.
Vi giuro che mi veniva da piangere.

Liquidata la questione che doveva essere la spina dorsale della trama, l'autrice torna ad occuparsi di quella che evidentemente è la ragione per cui ha scritto questo libro: parlare di Lestat e dei suoi abiti.
Nelle ultimissime pagine viene poi imbastita una storia d'amore tra Lestat e uno dei personaggi umani (vabbè, non vi dico quale) che  avrebbe potuto avere un senso se solo l'autrice si fosse curata di circostanziare come, quando e perché i due si sentono attratti l'uno dall'altra.
 
Grazie mille Anne Rice per avermi fatto sognare, ma per me questo romanzo è un grosso NO.
(No, non darò un voto a questo romanzo. Non ce la faccio a mettere un voto così basso a Anne Rice. Tanto penso che il mio pensiero su questo libro si sia capito benissimo anche senza voto)

giovedì 13 aprile 2017

Coraline...

... di Neil Gaiman.

Coraline è una bambina che si è appena trasferita in una nuova casa. Nello stesso stabile abitano personaggi strampalati, eppure misteriosi, come un anziano pensionato che dice di avere un circo interamente composto di topi, che nessuno ha mai nessuno ha mai visto, ma i cui roditori recapitano messaggi inquietanti alla bambina. Oppure come le due vecchie attrici che abitano al primo piano, che sono sempre gentili e che le regalano un sassolino che ha il potere di proteggerla. Ma proteggerla da cosa? Coraline non si pone la domanda, fino a che non scopre nel suo salotto una porta chiusa a chiave, che dovrebbe essere stata murata. Ma una volta che Coraline riesce ad aprirla, la porta introduce la bambina ad una buia e misteriosa copia speculare della sua casa...

Coraline ha undici anni ed è una bambina intelligente ed intraprendente. Quando si trasferisce in una nuova casa, non si accontenta di starsene con le mani in mano e comincia ad esplorare l'edificio e il grande giardino circostante, anche perché sente che qualcosa di strano abita, pulsa e vive in quel posto. Coraline oltretutto è abituata a non prendere troppo sul serio quello che gli adulti le dicono, perché sembra che gli adulti non abbiano troppo interesse in quello che lei pensa, dice o fa; perciò, anche quando la madre le mostra che la porta misteriosa del salotto, che tanto la incuriosisce, è una porta murata che un tempo metteva in comunicazione due appartamenti dello stabile, non si accontenta. Appena ne ha l'occasione, apre nuovamente quella porta per scoprire, al di là di essa, un incredibile quanto pauroso mondo parallelo.
 
Coraline è una favola nera per bambini, ma che piacerà anche agli adulti. Inquietante, più che terrificante, con personaggi minacciosi e situazioni claustrofobiche. Eppure, nonostante gli aggettivi che ho usato per definirla, resta una storia per bambini e ragazzi. E quello che più mi ha colpito è come Neil Gaiman sia riuscito a reinterpretare l'immaginario delle paure infantili (l'abbandono, il buio, i fantasmi, i mostri) con originalità e allo stesso tempo con naturalezza. Coraline non è pieno di cose che i grandi credono facciano paura ai bambini; è piena di cose terrificanti che sembrano uscite davvero dall'immaginazione di un bambino. Dalle sue paure più nascoste, ma più tangibili.

Allo stesso tempo però, ai miei occhi di adulta, balzano alcuni elementi egualmente inquietanti anche se non fantastici o soprannaturali; la presenza distratta dei genitori di Coraline, per esempio, che sicuramente le vogliono bene ma non hanno mai tempo per lei; oppure il modo sibillino che gli altri adulti hanno di comunicare con la bambina, senza mai spiegarsi compiutamente, lasciando sempre le cose dette a metà, come se la bambina non potesse capirle. Paradigmatica in questo senso è il tentativo di Coraline di rivolgersi alla polizia per segnalare la scomparsa dei genitori; tentativo ingenuo, senza dubbio, ma che viene liquidato con sufficienza dal poliziotto, che non fa nessuno sforzo per capire se effettivamente la bambina è in difficoltà, al di là delle cose incredibili che racconta. Ecco, non è che gli adulti ci facciano una grande figura in questo romanzo, almeno inizialmente, e questa cosa, sinceramente, mi ha fatto riflettere.

Gli elementi citati caratterizzano il mondo in cui vive Coraline, rendendolo incomprensibile per una bambina. Il mondo reale in cui si muove Coraline, insomma, è altrettanto enigmatico e spiazzante di quello fantastico.
Il romanzo ci dice che i bambini devono imparare a cavarsela in mondo fatto di regole e situazioni che non capiscono, ma trovano sempre il modo di adattarsi. E ci dice che sono più furbi e più forti di quanto noi crediamo.

Queste sono le ragioni per cui affermo che questo breve romanzo può parlare sia agli adulti che ai bambini più grandicelli e ai ragazzi.

Consigliato.
Voto: 8

mercoledì 12 aprile 2017

SegnaliAMO!

Buon pomeriggio e buon mercoledì. Benvenuti al secondo appuntamento con questa rubrica in cui segnalo i libri che troveremo prossimamente in libreria, e di cui sono (quasi) sicura mi innamorerò!

Questa settimana volevo segnalarvi l'arrivo di un nuovo capitolo delle divertenti avventure di Agatha Raisin, il personaggio creato dalla penna di M. C. Beaton.

Il 13 aprile uscirà in libreria Agatha Raisin - Amore, bugie e liquori.
Dal sito della casa editrice Astoria Edizioni:

James è tornato, si è ritrasferito a Carsely e chiede ad Agatha di fare una vacanza insieme, con destinazione a sorpresa! Convinta di andare in un posto caldo e affascinante del Mediterraneo per una seconda luna di miele, Agatha accetta con grande entusiasmo: la sua delusione nel ritrovarsi a Snoth-on-Sea, luogo di dolci ricordi d'infanzia di James e attualmente orribile cittadina vittima di un tempo inclemente, sarà altrettanto grande. Anche l'albergo scelto non è più quello di una volta: cupo, squallido, un pessimo servizio e frequentazioni ancora peggiori, tra cui Geraldine Jankers, donna appariscente e volgare con la quale Agatha ha un più che vivace scambio di battute. Quando viene trovata morta, soffocata da una sciarpa di Agatha, la nostra eroina si trova nei guai... E, quel che è peggio, James, pensando come sempre solo a se stesso, la pianta in asso!
 
Agatha Raisin è una signora di mezza età da sempre in lite con il suo aspetto fisico, le sue rotondità, la sua età e il resto del mondo. Trasferitasi da Londra nella regione dei Cotswold, Agatha diventa una detective dilettante, e si muove nel mondo del crimine con la determinazione di un bulldog e la grazia di un elefante in una cristalleria. Eppure è un personaggio che con i suoi difetti, anche grazie all'ironia leggera della Beaton, resta nel cuore dei lettori.
 
Se volete dare un'occhiata alle recensioni dei libri della serie di Agatha, cliccate qui.
 
Alla prossima!  

martedì 11 aprile 2017

Le belle Cece...

... di Andrea Vitali.
 
 
Bellano, sul lago di Como, 1936. Il segretario della locale sezione del partito, Fulvio Semola, organizza un concerto di campane per festeggiare la raggiunta conquista dell'Impero. Mentre il popolo ascolta le parole del Duce diffuse dalla radio, si mettono in moto una serie di eventi surreali: un furto di biancheria intima; un'aggressione apparentemente collegata; un'indagine per una rissa con improbabili testimoni; un reduce della guerra d'Africa e il suo attendente di colore; alcune rispettabili signore bellanesi. Toccherà al maresciallo dei Carabinieri Maccadò sbrogliare la singolare matassa.
 
Se le vicende partono da lontano, da un ambizioso progetto del Semola, teso a consolidare la sua posizione all'interno del partito locale, il fulcro della storia ruota attorno ad un misterioso quanto imbarazzante furto di biancheria intima. Tutte le persone coinvolte vogliono mantenere il più stretto riserbo sul fatto; il Semola, investito delle indagine dal potente e acido ispettore di produzione del locale cotonificio (tale Malversati) deve sbrigarsela alla svelta, pena ritorsioni; il Malversati deve salvare la sua reputazione; sua moglie Verzetta Cece (una delle due Cece del titolo) deve invece nascondere qualche peccatuccio. Il maresciallo, dal canto suo, deve mettere in campo tutta la sua astuzia per districarsi fra le bugie e le reticenze di tutte le persone coinvolte, tra cui spicca, sua malgrado, Stellio Cerevelli, eroe decorato della guerra d'Africa.
Mi sono abituata a vedere come Vitali di solito strapazzi i suoi personaggi, mettendo a nudo senza pietà le loro debolezze e soprattutto le loro meschinità. Mi ha colpito invece la caratterizzazione del Cerevelli, che pur avendo una condotta ritenuta scandalosa per l'epoca, è uno dei pochi, insieme al suo attendente di colore, che conserva la sua dignità.
 
Le belle Cece è il più teatrale dei romanzi di Andrea Vitali. Congegnato come una commedia degli equivoci, con i personaggi che fanno continuamente capolino su quel grande palcoscenico all'aria aperta che è Bellano, sembra diviso in atti. A far da capocomico o forse da regista, è il maresciallo Maccadò.
Alcuni personaggi mi hanno ricordato le maschere tipiche della commedia dell'arte - in particolare, il Malversati ricorda Balanzone, tronfio e presuntuoso; Volantino (il tuttofare del paese) Arlecchino; la servitù in generale ha caratteristiche comuni ai servitori che popolano la commedia dell'arte (e quindi di volta in volta la furbizia, o l'ignoranza, o lo scarso acume).
Sotto la leggerezza delle vicende traspaiono due temi importanti: l'omofobia e il razzismo. Vitali non ci fa una morale su questi due temi; si limita a descrivere come nel 1936, in piena epoca fascista, fosse considerato non solo normale ma anche meritorio essere razzisti e omofobi. Quello che però mi ha divertito è stato che, a ben guardare, l'autore un  messaggio ce lo manda: gli unici due personaggi che nel romanzo non fanno la figura dei "fessi" (ovvero Maccadò  e Stellio Cerevelli) sono anche gli unici due che non mostrano traccia né di razzismo né di omofobia.
 
Un romanzo divertente, arguto, che si legge velocemente e con interesse crescente. Consigliato sia agli amanti di Vitali, che a chi si avvicina per la prima volta a questo autore.
 
Voto: 7 e 1/2
 

lunedì 10 aprile 2017

Il segreto di Riverview College...

... di Susanne Goga.

 
Matilda Gray è una giovane insegnante in un collegio femminile a Londra, il Riverview College.
Dopo le vacanze estive apprende che una delle sue migliori allieve, Laura Ancroft, ha abbandonato gli studi ed è partita all'improvviso con il suo tutore per un lungo viaggio in Europa. Matilda sente che qualcosa non va; la ragazza è partita all'improvviso, senza salutare nessuno, neanche la sua più cara amica, e per mesi non da notizie di sé, fino a quando Matilda riceve una cartolina che cela una disperata richiesta di aiuto.
 
Il segreto di Riverview College è un romanzo ambientato a Londra nel 1900.
L'ambientazione londinese, accurata e ben descritta, sfugge ai pericoli del già, visto, già sentito, grazie alla particolarità di essere focalizzata sulla Londra sotterranea, o meglio, sulle diverse stratificazioni tipiche di una città antica come Londra.

Degni di nota poi sono anche alcune dei temi trattati: l'educazione femminile; l'emancipazione delle donne; la guerra in Sud Africa vista anche dall'occhio dei civili africani coinvolti; l'omosessualità (è l'epoca della morte di Oscar Wilde). 
 
La protagonista è una donna forte e anticonformista che si scontra con la chiusura mentale della sua epoca.
Certo, l'era vittoriana sta per giungere al termine, e si notano i primi fermenti di un cambiamento che ci sarà davvero solo dopo la Prima Guerra Mondiale, ma le pressioni sociali sono ancora forti, e il ruolo delle donne nel mondo è ancora fortemente limitato. Ciò nonostante, Matilda resta delusa e colpita dall'abbandono degli studi di un'allieva promettente, ma sembra essere l'unica a preoccuparsene. La direttrice della scuola ritiene anzi che questo interesse nei confronti di una singola allieva non sia decoroso per un'insegnante, e che l'interruzione degli studi, e i pettegolezzi che parlano di un imminente matrimonio siano del tutto normali.
 
Inizialmente Matilda non ha la forza di opporsi apertamente  alle convenzioni e alle regole vigenti; questo non la rende però un personaggio meno interessante o stimolante. A volte capita di leggere romanzi a sfondo storico in cui l'eroina fa un po' quello che le pare, infrangendo le regole imposte dalla società, travalicando limiti imposti dalla consuetudine, senza che questo abbia davvero delle conseguenze negative sulla sua vita, o perlomeno dei riflessi sulla storia. Matilda invece è consapevole dei limiti che la sua condizione di donna le impone. Non li approva, ma, almeno inizialmente, cerca di muoversi all'interno di essi. Man mano che il romanzo progredisce Matilda diventa sempre più audace e insofferente, e questa evoluzione del personaggio incide positivamente sul romanzo, secondo me.
Matilda, infatti, grazie a un messaggio nascosto fattole pervenire da Laura, si troverà impegnata in una ricerca che mira a collegare i fatti avvenuti nel 1665, all'epoca della peste nera a Londra, con quello che sta accadendo alla ragazza.
L'indagine è intrigante e interessante, e non si rivelerà semplice, per le ragioni spiegate prima.
 
Tutto sommato Il Segreto di Riverview College è un lavoro onesto, e un romanzo di buona qualità. Ma a parer mio gli manca qualcosa per diventare la lettura che ti toglie il sonno.
Il ritmo è abbastanza blando, e anche se ho apprezzato il fatto che l'autrice non abbia cercato il colpo di scena a tutti i costi, il mistero, per quanto interessante, è abbastanza intuibile molte pagine prima dell'epilogo. Magari qualche espediente per aggiungere un po' di pepe alla narrazione non avrebbe fatto male. Alcuni temi potevano essere approfonditi, come ad esempio la figura del vecchio antiquario misterioso che inizialmente aiuta Matilda; quando la donna si rivolge ad un affascinante professore universitario per ulteriori approfondimenti, l'uomo tronca bruscamente ogni rapporto con Matilda perché non vuole avere niente a che fare con quel professore. Ecco, questa parte della trama rimane un po' incompiuta: mi chiedo che senso abbia avuto spendere pagine per descrivere il vecchio antiquario, caratterizzarlo come un tipo a metà strada fra Ebenezer Scrooge e Carlo Corrado Coriandoli (il libraio de La Storia Infinita), quando poi improvvisamente l'uomo esce di scena perché non sopporta il professore. Perché? Cosa c'è dietro? Non lo sapremo mai.

Infine, nota negativa per quanto riguarda il titolo italiano (che novità!): il segreto attorno a cui ruota il romanzo non riguarda affatto il College in cui Matilda insegna; il titolo originale tedesco suona come Das Haus in der Nebelgasse  (La casa nella strada fra la nebbia, più o meno). 

Voto: 6 e 1/2
 
 

L'isola delle farfalle...

...di Corina Bomann.
La scheda del libro sul sito della Giunti

Diana è un'avvocata tedesca ma di origini inglesi. Una mattina viene chiamata al capezzale della cara zia Emmely, che sta morendo. Diana la raggiunge ma la zia muore un paio di giorni dopo, lasciandole in eredità, oltre alla grande casa di famiglia, l'incarico di svelare un segreto. Il mistero riguarda la sorte di Grace, sua antenata, di cui, ad un certo punto nella storia della famiglia, si sono perse le tracce. Seguendo gli indizi lasciati dalla zia, Diana svelerà una storia romantica e avventurosa nascosta nelle pieghe del tempo.
 
15 Febbraio 1888
Carissima Grace,
non so se nel frattempo mi hai perdonato. Suppongo di no. Eppure non posso fare a meno di scriverti.
Ti immagino seduta alla finestra della tua camera mentre guardi il parco là fuori, avvolto nella nebbia, rammaricandoti per come è andata a finire. Ne hai tutte le ragioni, e io posso solo dirmi profondamente addolorata.

Le cose qui sono cambiate da quando sei partita. Mi manchi così tanto! E credo valga lo stesso per papà, anche se non lo ammetterebbe mai. Si eclissa per ore nel suo studio, e non c’è per nessuno. La mamma teme che finisca con l’isolarsi dal mondo. (La solita esagerata!) Nel frattempo è tutta presa dai frenetici preparativi per la festa che sta organizzando con l’intento di scuotere papà dal suo torpore. In realtà le preme unicamente capire quanto siano gravi le ripercussioni dello scandalo.
Chissà, magari ora starai ridendo amaramente, ammesso che tu abbia deciso di leggere questa lettera invece di gettarla direttamente nel fuoco. 
Mi auguro dal profondo del cuore che tu voglia almeno concedermi una possibilità, perché ho una notizia che potrebbe infonderti nuova speranza.
Poco dopo la tua partenza, lui è apparso di fronte alla mia finestra per dirmi che presto sarebbe venuto da te. Non avendo più fissa dimora, mi ha dato in pegno qualcosa da custodire in tua assenza. Come nelle fiabe, ti salverà dalla prigionia nel tuo vecchio castello e insieme vivrete felici e contenti.
Carissima sorella, ti prometto che ci sarò sempre per te e per i tuoi cari, succeda quel che succeda. Se doveste trovarvi in difficoltà, la mia porta resterà sempre aperta: sono in debito con tutti voi.
     Con immenso affetto,

Victoria
 
La storia si svolge su due piani temporali, quello del XIX secolo e quello presente, e parte bene, benissimo, con questa intrigante lettera datata 1888, che qualcosa dice, e molto non dice.
Purtroppo la promessa di una storia misteriosa, romantica e tragica non viene mantenuta. 
Gli ingredienti per una bella storia ci sarebbero tutti, ma vengono malamente sciupati con un compitino svogliato e superficiale dell'autrice.
Sì, l'impressione che ho avuto leggendo il romanzo è che l'autrice non  aveva voglia di impegnarsi. Aveva degli elementi degni di interesse nel piatto ma non è voluta andare oltre un uso di facciata degli stessi.
Gli elementi che promettevano bene erano il segreto di famiglia, un personaggio, Grace, che ha potenzialità e una storia avvincente; una antica foglia di palma su cui i Tamil era soliti scrivere profezie e divinazioni, e che si trova in Inghilterra quando nessuna di quelle foglie dovrebbe - in teoria - lasciare mai le "biblioteche" in cui è costudita.

Partiamo dal perno della storia: il segreto della famiglia.
Onestamente, non ho ben chiaro se zia Emmely conoscesse o meno il segreto che riguardava Grace. In ogni caso, la trovata di organizzare una caccia al tesoro incaricando il maggiordomo Mr. Green di consegnare a Diana gli elementi un po' alla volta, facendoglieli trovare come per caso, mi è sembrata alquanto ingenua. Delle due l'una: o zia Emmely sapeva del segreto, e allora tanto valeva raccontarlo alla nipote in punto di morte, o lasciarlo scritto nel testamento; oppure non lo sapeva ma aveva degli indizi, per cui tanto valeva consegnarli alla nipote chiedendole di esaudire il suo desiderio di portare alla luce il destino della loro antenata.
Ho trovato poi decisamente curiosa la scelta dell'autrice di svelare al lettore la soluzione dei misteri durante la narrazione nel piano temporale passato, ovvero prima che Diana li scopra nel presente.
In pratica il lettore è sempre un passo avanti a Diana, e l'utilità delle sue investigazioni ai fini dell'evoluzione della trama rasenta lo zero. Questo toglie ogni interesse alle vicende del piano temporale presente.
A meno che non si voglia ravvisare un barlume di interesse nella storia d'amore che, molto prevedibilmente, sboccia come per magia tra Diana e uno studioso che l'aiuta nelle ricerche.

Grace, antenata di Diana, sarebbe un buon personaggio, forte, anticonformista, intelligente, anche se l'autrice tende a farla ragionare e parlare in maniera un po' troppo moderna (quale ragazza dell'età vittoriana parlerebbe di sesso e gravidanze in maniera aperta?). Impariamo a conoscerla attraverso lunghe, estenuanti descrizioni della sua vita di tutti i giorni nella piantagione di tè in cui ha dovuto trasferirsi con la famiglia; e quando la storia si fa interessante, quando la sua ribellione diventa tangibile, il tutto viene liquidato rapidamente. Poche pagine e via.
Un brivido l'ho comunque provato quando l'ultima parte della sua storia viene svelata attraverso i diari di un uomo finito in manicomio... altro elemento interessante ma non sfruttato a pieno, anzi liquidato in poche pagine, quando oramai tutto era abbastanza chiaro.

Ho accennato ad una foglia di palma. Esistono delle biblioteche in India in cui sono conservate appunto delle foglie su cui, secondo la leggenda, è scritto il destino di ogni uomo o donna; ogni foglia è unica e ogni essere umano ha la sua. La scoperta dell'esistenza di questa tradizione mi ha intrigato molto; ed avrei trovato interessante anche  la ricerca della traduzione della foglia in possesso di Diana e della sua esatta collocazione nella storia di Grace; ma come tutto il resto anche questa parte della storia finisce per rivelarsi niente di più che un elemento decorativo di facciata. In pratica la foglia di palma, a conti fatti, non ha alcuna utilità, tanto più che il segreto segretissimo attorno a cui ruota il romanzo è facilmente intuibili e nulla di nuovo aggiunge nel panorama letterario di questo genere di romanzi.
Kate Morton è molto, molto distante.

Voto: 5 (e non meno perché almeno il libro è scorrevole e la lettura abbastanza veloce).

mercoledì 5 aprile 2017

SegnaliAMO!

Buongiorno!
Con questo post inauguro la prima rubrica per il mio blog.
In questo spazio segnalerò l'uscita di novità editoriali che hanno un (potenziale!) alto indice di gradimento.
 
Oggi iniziamo con un'uscita ormai prossima, e che attendo con estrema ansia.
 
Il tredici aprile uscirà per Rizzoli il nuovo romanzo di Maurizio De Giovanni, intitolato I Guardiani. Secondo quanto dichiarato dall'autore qua e là sui social network, si tratta del primo volume di una trilogia in cui il giallo incontrerà il mistero e l'esoterismo (forse anche la fantascienza?).
Niente commissario Ricciardi o Bastardi, per questa volta, ma la curiosità di leggere qualcosa di nuovo di questo autore è molta, da parte mia.
 
L'autore, sulla sua pagina Facebook, presenta così il nuovo progetto:
 
Ho sempre letto tantissimo. Da bambino prendevo un libro, mi buttavo su una qualche superficie orizzontale (anche il pavimento andava bene) e mi mettevo a leggere e a sognare.
Mi piacevano tutte le storie: sentimenti, luoghi esotici, passioni, passato, presente e futuro. Più di tutto mi affascinavano quei libri di mio padre con la copertina gialla, e quelli con la copertina bianca. Erano scritti a colonne, odoravano di carta grossa e semplice, si vendevano in edicola come il ...
giornale; e c'era un disegno davanti, in un cerchio, come se le storie volessero uscire da un oblò per venirmi incontro.
Se da un lato mi innamorai di quella squadra di poliziotti di un posto chiamato Isola, che lavoravano all'87° Distretto, dall'altro ero pazzo di quella scienza irregolare e non accreditata che si chiama fantarcheologia: astronavi che attraversavano i cieli della preistoria, spiegazioni astrali di pitture rupestri, civiltà morenti che incrociavano nella disperazione della sopravvivenza pianeti nascenti e selvaggi.
Fantasticavo sulla mia città, antichissima e sconosciuta, piena di cunicoli ancora ignoti e di chiese edificate su templi edificati su altri templi, su decine, centinaia di iscrizioni ancora senza significato, e catacombe piene di ossa e teschi. Mi chiedevo come mai in quei libri di papà, di quella serie chiamata Urania, non ci fosse una storia ambientata qui. La città mi pareva perfetta, per una storia come questa.
Mi hanno detto: hai due cicli di successo, la TV, il teatro. Mi hanno detto: sei un noirista, i romanzi vanno alla grande, il pubblico ti conosce e ti vuole bene: non vale la pena di rischiare. Mi hanno detto: non hai il tempo, e il mercato non è così ricettivo.
Ma io sono ancora sdraiato sul pavimento a leggere e a sognare, con un pezzo di pane e olio in mano e i compiti già fatti. E sogno di altre razze e altri mondi nella mia assurda, profonda e ignota città.
Benvenuti, Guardiani. Io non mi sono mai divertito tanto a scrivere una storia come stavolta.
Spero vi divertiate anche voi.

domenica 2 aprile 2017

I Bastardi di Pizzofalcone...

...di Maurizio De Giovanni.
 
 
L'ispettore Giuseppe Lojacono, nonostante abbia risolto brillantemente il caso di un serial killer, il Coccodrillo, che uccideva adolescenti nella città di Napoli, non riesce a scrollarsi di dosso l'antipatia che i suoi colleghi provano per lui a causa dell'accusa di un pentito, non provata, di essere colluso con la mafia. Al suo superiore non pare vero di potersi sbarazzare di lui trasferendolo al commissariato di Pizzofalcone. Lì, Lojacono scoprirà che si tratta di un commissariato sull'orlo della chiusura: quattro poliziotti sono stati arrestati per essersi appropriati di un carico di droga sequestrata. Per sostituirli, ogni commissariato della città ha mandato gli agenti di cui voleva liberarsi senza troppo clamore. Oltre a Lojacono, ci sono Francesco Romano,  con problemi di gestione della rabbia; Alessandra di Nardo, che ha esploso accidentalmente un colpo di pistola all'interno del suo ex ufficio; Marco Aragona incapace, rozzo e super raccomandato. A completare il quadro, Ottavia Calabrese e Giorgio Pisanelli, gli unici superstiti del vecchio commissariato, gli unici a risultare puliti, ma guardati comunque con sospetto dai colleghi. Dirige questa eterogena squadra di "emarginati" il commissario Luigi Palma. Il primo caso che si presenterà alla squadra sarà l'omicidio di una signora di mezza età appartenente alla Napoli bene. 
 
Raccontare questo romanzo non è facile, perché ci sarebbe molto, troppo, da dire. Non si può condensare in poche parole, riassumere in una striminzita sinossi, perché è pieno di troppe cose.
Innanzitutto,  è pieno di personaggi.
Al contrario di quello che potremmo definire prequel, Il metodo del Coccodrillo, in cui un tristissimo Lojacono, appena giunto dalla Sicilia, si occupa sostanzialmente da solo del serial killer che terrorizza la città, qui il nostro ispettore, detto il Cinese per i suoi occhi dal taglio orientale, è ben inserito in una squadra. Fondamentalmente i suoi colleghi sono paria come lui. Ognuno ha il suo scheletro nell'armadio. Quali siano, i loro scheletri e i loro tormenti, lo scopriremo un po' alla volta, attraverso i loro stessi occhi.
I Bastardi di Pizzofalcone è davvero un romanzo corale, perché la gestione dei punti di vista è perfetta e impeccabile in ogni passaggio; la voce dei personaggi è sempre coerente a se stessa e realistica. E anche umana, empatica e sentita.
 
La storia è piena di tormenti, come accennavo, ma soprattutto di rimpianti. Ognuno dei personaggi, anche quelli meno presenti sulla scena, ad un certo punto ha varcato una soglia, superato un limite, e quasi mai di propria spontanea volontà. E tutti i giorni deve fare i conti con questo, guardarsi alle spalle e convivere con la consapevolezza che quello che c'è dietro non tornerà mai più.
Non sono personaggi problematici, non in senso stretto, perché i Bastardi il loro problema ce l'hanno appena dietro le spalle, e ora devono conviverci.
 
E' anche pieno di Napoli, questo romanzo, come i precedenti dello stesso autore, del resto. Ma Maurizio De Giovanni la conosce troppo bene, questa città, per regalarcene una visione semplicistica o di facciata.
Il romanzo si apre, ancora una volta, in una giornata di pioggia.
 
E [Lojacono] pensava che in quello stesso momento, alla fine di marzo, a casa sua i mandorli erano fioriti e il sole già consentiva di starsene in spiaggia a riflettere guardando il mare; lí, invece, pareva ancora pieno inverno, col vento che si alternava alla pioggia e le donne che inseguivano ombrelli rotti sui marciapiedi, mentre il traffico immobile barriva di frustrazione attraverso squilli frequenti di clacson irritati.

Un punto di vista davvero inusuale per un posto che è stato definito il paese del sole.
E questa tecnica, di guardare le cose da un punto di vista che ribalta quelle che crediamo conoscenze acquisite, De Giovanni lo applica pure all'intreccio giallo, che ruota intorno all'omicidio di una donna che nessuno aveva interesse o motivo a volere morta. Eppure c'è un elemento che sembra puntare in una direzione ben precisa che invece, a ben guardare, puntava da subito in un'altra direzione. E c'è un particolare incontro, o meglio un litigio, tra due persone coinvolte, che va guardato come riflesso in uno specchio per capire dove sta la verità.
Una verità che i Bastardi scopriranno, assicurando alla giustizia il suo colpevole, e a noi lettori una squadra di poliziotti unica nel panorama italiano.
 
Voto: 8