giovedì 31 maggio 2018

Le correnti dello spazio...

... di Isaac Asimov.
Un analista dello spazio scopre che una grave catastrofe minaccia il pianeta Florina, pianeta chiave nella galassia perchè unico posto dove si produce il kyrt, sostanza di origine vegetale dalle straordinarie e versatili proprietà. Quando sta per rivelare ai Signori di Sark, conquistatori di Florina, i suoi timori, l'uomo viene rapito da misteriosi figuri, e sottoposto ad un sondaggio psichico che gli cancella la memoria.
Un anno dopo, un uomo senza ricordi, umile operaio su Florina, comincia a ricordare qualcosa del suo passato e di una catastrofe che incombe sul pianeta.

Le correnti dello spazio mescola sapientemente fantascienza ed intrighi internazionali (o meglio, interplanetari), come spesso accade nella produzione di Asimov dedicata all'Impero e alla Fondazione. Qui l'Impero Galattico dominato dal pianeta Trantor sta ancora muovendo i suoi primi, incerti passi; i viaggi interstellari e la colonizzazione delle galassie fanno da sfondo ad un gioco antico quanto l'uomo: quello per la conquista del potere. Isaac Asimov ha una grande abilità sia nel costruire un universo enormente più vasto di quello che oggi possiamo anche solo immaginare, sia  nell'imbastire una trama degna delle migliori spy story. Se a ciò uniamo la scorrevolezza della lettura, dovuta allo stile lineare e quasi " trasparente" di Asimov, si comprende bene perchè questa è una storia che tutti possono apprezzare, e non soltanto gli appassionati di fantascienza.

Protagonista, suo malgrado, è Rick, un umile operaio di Florina, pianeta dalle ricchissime risorse naturali ma ridotto di fatto in schiavitù dai potenti signori di Sark. Considerato poco più di un idiota, Rick invece ha "soltanto" perso la memoria, e improvvisamente comincia recuperarla in maniera frammentaria. Difficile per lui orientarsi fra i vuoti della sua mente e la sensazione di pericolo imminente. Sì, perchè il primo ricordo che riaffiora nella sua testa è proprio quello della necessità di avvertire l'intero pianeta che qualcosa sta per spazzarlo via. Mentre noi cerchiamo di scoprire insieme a Rick e alla leale amica Valona di che natura sia la catastrofe incombente, in gioco entrano anche spie, doppiogiochisti e ribelli al soldo dei pianeti coinvolti: Florina, Sark e Trantor, con le sue mire espansionistiche.

I personaggi non sono particolarmente approfonditi; essi sono più che altro funzionali alla storia, e le loro motivazioni sono molto lineari, ma non banali o scontate.

Un altro tratto distintivo del libro, e che mi fa amare la fantascienza di Isaac Asimov, è quel gusto un po' retrò mescolato alle visioni futuristiche della tecnologia e della società. Per fare un esempio, nel romanzo (che, vi ricordo, è stato pubblicato per la prima volta nel 1952) troviamo una biblioteca intereamente digitalizzata i cui testi sono consultabili attraverso schermi; ma per la scelta e la ricerca dei volumi, i protagonisti si servono di manopole da far scattare avanti e indietro. Ditemi voi se esiste qualcosa di più fantascientifico di una biblioteca digitale (nel 1952) e qualcosa di più anni 50 di grosse manopole e uno  schermo in bianco e nero.
Ecco, questo connubio non cessa mai di intrigarmi.

Altro pregio del romanzo è la plausibilità scientifica alla base della particolarità del pianeta Florina e del grave pericolo che esso corre. Ho apprezzato la spiegazione scientifica che viene fornita alla fine del romanzo, perfettamente comprensibile anche per me che non sono certo un'esperta di fisica teorica o astronomia.

Insomma, un classico della fantascienza che qualunque appassionato dovrebbe leggere; ma anche un romanzo che, per le ragioni esposte sopra, può farsi amare da chiunque.

Voto: 7 e 1/2

venerdì 25 maggio 2018

Teresa Papavero e la maledizione di Strangolagalli...

... di Chiara Moscardelli.
 
Bentrovati, lettori! Oggi voglio parlarvi di un libro che mi è arrivato grazie alla disponibilità della casa editrice Giunti. Un libro spassoso, che ho letto con grande piacere: Teresa Papavero e la maledizione di Strangolagalli.
 
 
Ti vesti con abiti rosa svolazzanti, pigiami improbabili, cerchietti e collanine di dubbio gusto [...]Poi, quando cominci a parlare, le acque si confondono e chi ti ascolta pensa: allora non è proprio scema.[...] Usi una terminologia da profiler e sembri uscita dall'Unità di analisi comportamentale per crimini violenti, cosa alquanto improbabile. Allora ecco la mia controdomanda: chi è Teresa Papavero?
 
Teresa Papavero ha quarant'anni e per una serie di vicissitudini torna nel paesino di  provincia dove è cresciuta, Strangolagalli. Qui conosce un ragazzo, ma la sera del loro primo appuntamento, mentre lei è in bagno, lui si butta dal terrazzo morendo sul colpo. Per tutti un suicidio, per Teresa, studi da profiler ed una carriera mai iniziata alle spalle, c'è qualcosa che non torna. Per lei il ragazzo, Paolo, è stato spinto giù. Ma da chi, visto che erano soli in casa? Riuscirà Teresa a convincere il maresciallo Lamonica, della locale stazione dei Carabinieri, nonché il bel poliziotto Leonardo Serra, giunto appositamente da Roma, che ha ragione lei?
 
A complicare la faccenda, invece, e fin da subito, era stato l'atteggiamento della donna. [Il maresciallo Lamonica] non riusciva a capire se fosse completamente scema o semplicemente pazza. 

Teresa Papavero e la maledizione di Strangolagalli è un libro divertente. Mi ha fatto sorridere, e qualche volta anche ridere, dalla prima all'ultima riga. La ragione principale è che la sua protagonista è semplicemente spassosa. Quarant'anni passati, maldestra, un padre ingombrante, luminare nel campo della psicologia criminale, una madre scomparsa anni prima, indecisa di cosa fare della sua vita e in perenne conflitto con se stessa, Teresa riesce a essere verissima pur con la sua eccentricità. Teresa strizza nei suoi abitini dai colori appariscenti e dalle fantasie improbabili sia un caustico sarcasmo che una enorme insicurezza. Si dice sempre che sono i grandi contrasti a fare un buon personaggio; e il contrasto di Teresa sta proprio qui.
Tolti gli eccessi, sfrondata la sua personalità delle stranezze, viene facile identificarsi con Teresa, provare empatia e anche tenerezza. Insomma, fare il tifo per lei.

Era stanca di sentirsi sempre i loro occhi puntati addosso, era stanca di dover dimostrare di valere qualcosa. Gli unici obblighi che avrebbe dovuto avere riguardavano se stessa, e non altri.

Le vicende che vedono coinvolta Teresa hanno un ritmo frizzante. Il romanzo è ricco di dialoghi, e i dialoghi sono fulminanti e brillanti.
Il libro si fa leggere volentieri, oltre che per  questo brio e per le indubbie qualità della sua protagonista, anche perché centra perfettamente il suo obiettivo. Obiettivo che non è narrare una intricata indagine; quella è solo una scusa per raccontarci di una donna fuori dal comune, dalle grandi capacità che troppo spesso sottovaluta, fino al punto di considerare la sua vita un completo fallimento. A ricordarle che non è così ci saranno non solo due uomini interessati a lei (il poliziotto Serra e il conduttore televisivo Zanni) ma soprattutto il successo nel risolvere non uno, ma ben due misteri che turbano la vita di Strangolagalli.
E a proposito di questo paese realmente esistente, esso fa perfettamente da sfondo alle vicende di Teresa; ovviamente il bello e ed il brutto della vita di paese vengono sapientemente esagerati per creare un'atmosfera leggera. La cittadina è infatti animato da una serie di personaggi secondari buffi e decisamente fuori di testa.

Nel romanzo ci sono tutti gli elementi che lasciano intendere che il libro potrebbe diventare una serie (una storia d'amore in sospeso, il passato di Teresa che ritorna nonché un mistero sepolto proprio negli anni dell'infanzia della protagonista), e io spero vivamente che sia così.
Scrivere libri leggeri e divertenti ma che non siano banali e superficiali non è facile. Come diceva Totò, è più difficile far ridere che far piangere; a far piangere si fa presto, la vera sfida è divertire il pubblico, e credo proprio che Chiara Moscardelli la sfida l'abbia vinta.

Voto: 7

mercoledì 23 maggio 2018

Questa volta leggo #4: Il mistero di Villa Saturn...

di M. R. C. Kasasian.

Ben ritrovati al quarto appuntamento della rubrica Questa volta leggo, ideata dalle blogger Laura (la Libridinosa) Chiara (La lettrice sulle nuvole) e Dolci (Le mie ossessioni librose).
Un gruppo di blogger sceglie un tema, e tutte leggono un libro che ricade all'interno dell'argomento scelto. Questo mese parliamo di libri che fanno parte di una serie.
Non so voi, ma io le serie le amo molto; sono una garanzia, per il lettore; l'unica cosa che non amo delle serie è che a volte le Case Editrici decidono, a loro insindacabile giudizio, di ritardare o addirittura sospendere la pubblicazione dei volumi della serie. Ma siccome a noi lettori piace vivere pericolosamente, è un rischio che vale la pena correre.
E io l'ho corso per Il mistero di Villa Saturn, terza avventura per l'improbabile coppia di detective formata dalla giovane March Middleton e da Sidney Grice, il suo tutore. Trovate le recensioni dei primi due volumi qui e qui.
 
 
«Tutte le supposizioni sono pericolose» affermo Mr. G., «a meno che non le si riconosca come tali, nel qual caso possono essere pioli utili per arrampicarsi alla ricerca di quella creatura elusiva che il volgo conosce con il nome di verità[..]».
 
Londra, 1883. Sidney Grice, il detective più famoso di Londra, si reca nello Yorkshire per risolvere un caso riguardante addirittura l'omicidio dell'abate di un monastero. March, la sua pupilla, rimane a Londra e, poco dopo la partenza di mr. Grice, riceve la lettera di uno zio che non sapeva di avere. L'uomo le chiede di incontrarla perché è l'unica parente che gli rimane. Incuriosita, March si reca presso l'imponente e misteriosa dimora dell'uomo, Villa Saturn, dove trascorre la notte.
Il mattino dopo, la ragazza scopre con orrore che nella villa è avvenuto un omicidio e gli indizi sembrano puntare su March stessa.
Cosa è successo davvero a Villa Saturn? E perché March comincia dubitare di se stessa?
 
I detective di Gower Street è una brillante serie gialla ambientata nella Londra vittoriana. Sidney Grice, detective, uomo di straordinario ingegno e cultura, ma anche snob e misogino, è perfettamente consapevole delle sue qualità, e non perde occasione per rimarcarlo. March, poco più che ventenne, è orfana, e si trova sotto la tutela di Grice. Ha un intelletto vivace ed una forte empatia per il prossimo che spesso offusca le sue capacità di giudizio. Sempre in disaccordo su tutto, dalla temperatura giusta del tè al senso della vita, i due investigatori ci offrono punti di vista differenti sulla medesima indagine.
In questa terza avventura, però, March inizialmente si trova ad indagare da sola sul mistero che circonda la morte del facoltoso zio appena ritrovato; quando le cose si complicano, Sidney Grice ritorna precipitosamente in città per darle una mano.

La storia ruota intorno a Villa Saturn, dove avviene un omicidio molto inquietante. La casa sembra però nascondere più di un mistero, e gli indizi che essa custodisce si rivelano contraddittori. March sembra smarrirsi tra le ombre di Villa Saturn. Onestamente, per qualche capitolo, mi sono smarrita anche io nelle pieghe della narrazione, che mi è sembrata vaga e poco chiara. Col procedere della lettura, comunque, la trama si è fatta più fluida, senza perdere la sua ricchezza, e da lì la lettura è stata assai intrigante.

I dialoghi brillanti e il linguaggio elegante sono l'asse portante del romanzo, e rendono la lettura piacevole e scorrevolissima; siamo di fronte ad un libro di oltre 500 pagine che si legge in pochissimi giorni. Se dovessi indicare una sola ragione per cui vale la pena di leggere questo libro, punterei tutto sui dialoghi.

[March] «Non mi aspettavo che succedesse niente del genere».
Sidney Grice si premette la giuntura del pollice sinistro sulla fossetta del mento. «Perché no?»
«Nessuno entra in una casa con l'idea che il proprietario sarà assassinato».
«Io lo faccio».
«Nessuna persona normale».
«Se volete essere una persona normale trovate impiego in una cappelleria».

Ma i punti di forza di questo romanzo non sono esclusivamente nei dialoghi.
La trama è molto articolata e complessa, ma conserva la sua coerenza. Complessità narrativa ben costruita, dunque, e non storia contorta e involuta come mi era capitato di leggere nel secondo volume della serie.

Ho amato questo romanzo perché ha saputo darmi una storia con degli spunti originali; un mistero ingarbugliato che non si può capire con una sola occhiata; uno stile scorrevole e vivace, e due protagonisti brillanti in un'ambientazione, quella della Londra vittoriana, solida e ben descritta.

Voto: 7

Vi lascio il calendario della rubrica Questa volta leggo, per curiosare tra le serie amate dalle altre blogger!
 

venerdì 18 maggio 2018

I segreti della domestica ribelle...

... di Fiona Mitchell.


Oggi vorrei parlare di un libro che mi è piaciuto molto, e che mi è arrivato grazie alla disponibilità della casa editrice Mondadori, che ringrazio. Se avete amato The Help, questo titolo fa per voi.

La scheda del libro sul sito della Mondadori

Tala e Dolly sono due sorelle filippine; per garantire un futuro migliore ai loro figli rimasti in patria, entrambe sono andate a lavorare a Singapore come domestiche per i ricchi stranieri che risiedono lì. Le condizioni di lavoro sono dure, e i diritti quasi inesistenti. Come se ciò non bastasse, un'anonima ma popolare blogger che si fa chiamare Vanda si mette di impegno per rendere la vita difficile alle domestiche straniere, pubblicando nomi e foto delle donne ad ogni piccola mancanza, invocando espulsioni e licenziamenti, suggerendo regole disumane ai datori di lavoro e diffondendo ostilità e sfiducia nei confronti delle lavoratrici. Ma quando è troppo è troppo: dopo l'ennesimo velenoso post, Tala decide che è arrivato il momento di rendere pan per focaccia, o meglio post per post, e apre un suo blog. Da lì in poi, le cose prenderanno una piega che Tala non aveva previsto.
 
Fiona Mitchell ha vissuto per un certo periodo di tempo a Singapore, e ha potuto raccogliere di prima mano le confidenze delle domestiche straniere a Singapore, e le ha trasformate in questo romanzo gradevole e pacato. 
Va reso merito all'autrice di aver puntato il dito contro una situazione che non può che essere definita come una moderna schiavitù, tollerata dalla legislazione di Singapore e sfruttata dai ceti più abbienti; ma a Fiona Mitchell va anche reso il grande merito di aver saputo trasformare gli episodi di piccoli e grandi soprusi e abusi in un romanzo corale, organico e scorrevole.
Ecco, questo è un classico esempio di romanzo che riesce a intrattenere e a far riflettere contemporaneamente.
 
Nonostante il tema sia molto, molto serio, l'autrice non indugia nel pietismo, ma preferisce una narrazione lineare e coerente, con uno stile asciutto ma non freddo, attraverso i punti di vista di Dolly, Tala e anche di Jules, donna inglese alle prese con un grosso problema personale, e che forse proprio per questo riesce a rifiutare di inserirsi nel consolidato ingranaggio con cui la società locale schiaccia le domestiche straniere.
A Singapore le domestiche straniere , in special modo filippine, sono precarie in balia delle agenzia di collocamento e dei datori di lavoro. Questi ultimi possono impedire loro di avere un giorno libero, possono farle dormire in ripostigli senza finestre nel caldo tropicale, possono sequestrare loro parte dei guadagni e i documenti. Le domestiche non sono in alcun modo tutelate dalla legge, non hanno diritto a ferie, giorni di malattia o altri permessi; è vietato per legge avere un fidanzato e se rimangono incinte vengono espulse. Insomma, queste donne che si occupano di case e bambini sono trattate come esseri umani di serie B. Ma non per questo si arrendono; non tutte almeno. Dolly e Tala hanno un sogno, un obiettivo, e non smetteranno di darsi da fare per vederlo realizzato.
 
Mi ha colpito il parallelo che ad un certo punto alcune delle expat fanno tra la società in cui vivono e quella descritta nel libro The help, oggetto della discussione mensile del club del libro locale. Con l'eccezione di una o due voci fuori dal coro, la maggior parte delle donne che discute di quel libro non riesce a cogliere le evidenti similitudini fra le condizioni delle domestiche afro americane negli anni '50 in America, e la situazione delle domestiche straniere a Singapore. Credo che il senso, ed il valore positivo del romanzo della Mitchell sia proprio nel farci aprire gli occhi su quanto diamo per scontate, normali e anche giuste cose in realtà non lo so affatto, e lo facciamo semplicemente per comodità, o perché oramai  ci siamo abituati ad esse.
 
Insomma, questo è un libro che consiglio vivamente a tutti; ha una grande facilità di lettura ed una grande capacità di coinvolgere il lettore. Certo, a questo proposito devo sottolineare come le prime cento pagine circa mi avessero lasciata un po'perplessa, perché mi sembrava che la storia stesse girando a vuoto, che non stesse ingranando, insomma. Questo è un libro che vive di aneddoti vissuti o raccontati, e temevo che saremmo arrivati alla fine così, con una serie di storie di per sé interessanti ma senza sufficiente coesione per creare una buona trama.  Poi però finalmente accade qualcosa nel romanzo che provoca una reazione a catena, la quale a sua volta  riesce a conferire alla storia quella organicità di cui sentivo il bisogno, e di cui parlavo sopra. Da lì in poi, ho adorato il romanzo e le sue protagoniste.
 
Una notazione merita, infine, il ruolo del blog di Tala. Oltre ad essere un incitamento ad esprimere se stesse attraverso la parola scritta, il blog rappresenta nel romanzo la voglia di riscatto e la voglia di non arrendersi mai. Questo è, secondo me, il vero messaggio del romanzo e il vero merito di Fiona Mitchell, ovvero quello di aver scritto un libro su un argomento molto serio e doloroso, senza velleità consolatorie, ma lanciando comunque un messaggio positivo di speranza.
 
Voto: 7

martedì 15 maggio 2018

La bambina nel buio...

... di Antonella Boralevi.
La scheda del libro sul sito della Baldini+Castoldi

Oggi voglio parlarvi di un libro che mi è arrivato grazie alla gentilezza della casa editrice Baldini e Castoldi, che ringrazio sentitamente.
 
1985. In una villa immersa nella campagna veneta, Manuela e Paolo danno una grandiosa festa per il loro ventesimo anniversario di matrimonio. La festa è splendida, gli invitati altolocati, la cornice lascia senza fiato. Tutto sembra perfetto, fino a che, alla fine della festa, la figlia della coppia, l'undicenne Moreschina, scompare. La cercano tutti sotto un violento nubifragio, ma della piccola nessuna traccia.
2017. Emma Thorpe è ospite del conte Briani nel suo palazzo veneziano. È arrivata a Venezia nella speranza di riprendersi da un trauma.
In una città misteriosa, a tratti gelida e soffocante, Emma conosce per caso il commissario Alfio Caruso, e, sempre per caso, si troveranno ad indagare su un mistero di trentadue anni prima.
 
Antonella Boralevi ha costruito per il suo romanzo un'atmosfera cupa e angosciante , da tragedia imminente ed inevitabile, che mi ha reso difficile mettere giù il suo libro. Accattivante il contrasto, nella parte del romanzo ambientata nel 1985, tra l'incombere della tragedia e lo splendore un po' glamour e un po' fatuo della festa grandiosa che Manuela, padrona di casa e madre della piccola Moreschina, ha dato, con lo scopo principale di mostrare all'alta società la sua ricchezza, la magnificenza della sua casa, la perfezione della sua famiglia. 
Altrettanto ben riuscita è l'atmosfera soffocante della parte ambientata nel presente, in una Venezia poco turistica e molto fredda, indifferente, grigia. 
 
La storia è intrigante e ruota intorno alla sparizione di Moreschina, bambina confusa alle soglie dell'adolescenza, ma dolcissima, intelligente e profonda. Il padre stravede per lei; la madre ha qualche atteggiamento ambiguo, ha evidentemente qualcosa da nascondere, ma entrambi sono devastati da una scomparsa che non ha senso e non ha un perché.
Le ricerche e le indagini vanno avanti a lungo, nessuno sembra rassegnarsi ad ammettere che Moreschina sembra svanita in una nuvola di fumo.
Trentadue anni dopo, le indagini vengono riaperte per un caso fortuito; qualcosa che non dovrebbe essere dov'è collega tra loro alcuni episodi, all'apparenza estranei ai fatti di trentadue anni prima, fino a squarciare il velo nero che copriva la verità sulla sorte di Moreschina. 
Ben delineati mi sono apparsi i personaggi, anche quelli secondari, tutti credibili con le loro ambiguità, peccatucci e piccoli e grandi segreti.
 
Non so se il romanzo possa essere definito un thriller; certo, a tratti ne ha il respiro, ma a ben guardare la verità è stata sotto gli occhi di tutti, anche del lettore, fin dalle prime pagine. Forse, come alcuni personaggi del romanzo, il lettore viene preso dall'urgenza di leggere e capire, e ignora quello che hanno sotto il naso.
Forse per questo sarebbe più appropriato definirlo noir, anche perché di nero, in questo romanzo, ce n'è molto. Soprattutto, c'è da notare come l'oscurità si annidi dove pensiamo non possa mai attecchire.
 
La prosa dell'autrice, al netto di qualche eccessiva ricercatezza linguistica, è poco incline al sentimentalismo ed è lucida, lineare e fredda, con periodi brevi e aggettivazione precisa. Questo è maggiormente vero  nel finale, dove la verità e le sue conseguenze ci vengono raccontate in maniera spietata, quasi brutale, senza fronzoli, colpendo il lettore in pieno petto con un pugno che non ci si aspettava fosse così forte.
 
Questo è un romanzo che ha molto da dire, costruito con indubbia bravura per stringere il lettore in una morsa di curiosità ed angoscia, che culmina in un finale senza misericordia, un finale "brutto, sporco e cattivo" (per dirla cinematograficamente).
 
Voto: 7 e 1/2
 

lunedì 14 maggio 2018

Niente è come te...

... di Sara Rattaro.

La scheda del libro sul sito della Garzanti

Angelika, moglie di Francesco, è scappata in Danimarca con la loro bambina di quattro anni, Margherita, e per dieci anni ha impedito all'uomo di vederla e di avere contatti con lei. Quando la donna muore a causa di un incidente stradale, Francesco corre a riprendersi la figlia ormai adolescente, una figlia che non conosce e che, traumatizzata, lo guarda con sospetto.
Con l'aiuto della compagna Enrica tenterà di ricominciare daccapo e colmare dieci anni di assenza.
 
Sara Rattaro merita un dieci per la scelta del tema: i rapimenti internazionali di minori da parte di uno dei due genitori. Un argomento duro, difficile, doloroso, di cui si parla poco. Merita un dieci per lo stile calmo, fluido e  senza eccessi con cui è riuscita a parlarne.  E merita un dieci, infine per l'aggiunta, alla fine di alcuni capitoli,  della fredda cronaca, in poche e scarne frasi, di casi reali di sottrazione di bambini ad un genitore da parte dell'altro. Questo espediente mi ha dato i brividi, e credo che quelle frasi così crude nella loro semplicità saranno l' unica cosa che mi resterà dentro a lungo di questo romanzo.
Non sono memorabili, invece, le riflessioni in corsivo che aprono o chiudono alcuni capitoli: poco incisive, slegate dal contesto e a volte decisamente banali (Nessuno fa solo cose giuste o sbagliate. Siamo luce e ombra insieme, frase mai sentita! Oppure: Da fuori le cose sembrano molto più semplici. Ancora: Il tempo passa, trascorre e vola via. Dicono che guarisca tutte le ferite e non guardi in faccia nessuno. Quando sei in preda all’ansia lo vorresti accelerare e quando devi fare una scelta ti piacerebbe poterlo congelare.)

Il romanzo è abbastanza breve, circa 200 pagine, ma ha troppa carne sul fuoco: la sottrazione di minori, e poi l' autolesionismo, il bullismo, la bulimia, le difficoltà dell'adolescenza. Davvero troppo perchè ogni argomento possa essere approfondito nel modo che merita. 
Insomma, so che, quando inizio a leggere un romanzo di Sara Rattaro, il mio cuore deve essere preparato ai colpi duri, ma stavolta non sapevo da che parte volarmi prima. Troppi input, per dirla in linguaggio informatico, ma troppo superficiali. E questo ha fatto sì che neanche il tema principale venisse sviscerato a dovere.
Perchè Angelika ha portato via sua figlia all' improvviso, impedendo al padre di vederla? I due erano in crisi? Francesco ha fatto qualcosa per scatenare non solo la separazione, ma anche l'accanimento dell'ex moglie nell'evitare ogni contatto con la piccola? Angelika è forse una donna instabile, come sembrerebbe quando per un nonnulla rinfaccia a Margherita: per forza tuo padre non ti ha voluta? (cosa assolutamente non vera, e che lei sa non essere vera).
Più che una storia dolorosa, mi è sembrato che all'autrice interessasse raccontare il dolore in sè. Scelta legittima, ma che a me ha dato l'orticaria. Troppo autocompiacimento nel crogiolarsi nel dolore, troppa ansia di mostrare una sofferenza bloccata e inerte. Non è chiarissimo cosa Francesco faccia per riprendersi la figlia; vengono citati giudici e assistenti sociali ma io la sua rabbia e la sua lotta, quella che lui dice di aver combattuto per dieci anni,  non le ho percepite. Non le ho vissute. Al limite le ho intraviste, e sinceramente non mi è bastato per farmi provare empatia nei confronti di Francesco.
L'unica cosa che mi è giunta di Francesco è stato il senso di colpa, perché in qualche modo l'uomo si sente in colpa per quanto è successo. Onestamente mi piacciono i personaggi dall'animo buono e sensibile, ma Francesco esagera! Sofferenza e senso di colpa a volontà, ma mai, e dico mai, una parola cattiva contro la donna che di punto in bianco ha distrutto la sua famiglia portandosi via sua figlia. Nel finale arriva anche a giustificarla. Credo che questo non sia un atteggiamento realistico.
Il medesimo difetto lo condivide anche Enrica, la sua compagna, anche se in misura minore, perché nel finale riesce, almeno in parte, a fare qualcosa di umanamente egoistico.
Siamo luce e ombra insieme, dice ad un certo punto Francesco, ma le ombre io qui non le ho viste; i contrasti non li ho visti. Ho visto solo una madre dalle motivazioni incomprensibili e un padre che concorre per la propria beatificazione mentre è ancora in vita.

Mi chiedo, infine, se sia un caso che il primo romanzo di Sara Rattaro che io abbia letto, L'amore addosso, mi abbia colpito molto; il secondo, Un uso qualunque di te,  mi abbia lasciato indifferente; e il terzo (questo) mi abbia deluso. Ricorre nei tre romanzi lo stesso schema (qualcuno muore, qualcuno finisce all'ospedale, qualcuno è costretto a ripensare la sua vita, non necessariamente in questo ordine), e mi chiedo se questa ripetizione non abbia influito negativamente sul mio giudizio.

Voto: 5 (di stima per Sara Rattaro, che mi sembra una brava scrittrice che ha paura di abbandonare la sua comfort zone) 

martedì 8 maggio 2018

Sara al tramonto...

...di Maurizio de Giovanni.

La scheda del libro sul sito della Rizzoli
 
La donna invisibile sedeva sulla penultima panchina, la seconda a uscire dal pomeriggio e a entrare nella sera. [...]. In senso stretto la donna non poteva essere definita invisibile. Se qualcuno si fosse concentrato e avesse scrutato con insistenza proprio dalla sua parte, forse l'avrebbe notata. Ma la concentrazione in quella città era tanto rara da poter affermare che sì, la donna invisibile era davvero invisibile. Minuta, i capelli grigi che le sfioravano le spalle pettinati in maniera anonima, il vestito scuro, le scarpe basse, una giacca leggera, una borsa morbida in grembo, sedeva sul bordo della panchina coprendo le ultime lettere di una scritta di vernice che comunque sarebbe stata incomprensibile. La testa era protesa in avanti, verso il vuoto. Non guardare nessuno, e nessuno ti guarderà. In realtà la donna invisibile stava osservando qualcuno, senza particolare interesse: così, per mantenersi in esercizio. A una trentina di metri, al limite del suo campo visivo, su una delle panchine ancora immerse nel sole, c'erano die giovani che discorrevano. La distanza, le urla dei bambini, gli scooter che sfrecciavano accelerando, i tanti rumori della strada impedivano che anche l'eco di una sola parola del dialogo arrivasse alla donna invisibile. Nonostante questo, lei coglieva il contenuto della conversazione come se fosse seduta in mezzo a loro.
Era il suo potere.
 
Sara è una poliziotta in pensione. Ha lavorato tutta la vita all'ombra dei Servizi Segreti, ascoltando e interpretando intercettazioni ambientali e telefoniche. Anni prima, aveva lasciato il marito e un figlio ancora piccolo per andare incontro al grande amore della sua vita: il suo capo, Massimiliano, scomparso di recente.
Sara viene avvicinata da Viola, che aspetta un bambino da suo figlio, morto in un incidente. Anche grazie ai colloqui serali con lei, la donna accetta la richiesta di una ex collega e torna a  lavorare ancora una volta nell'ombra, per occuparsi di un caso di omicidio conclusosi con la condanna della figlia della vittima, rea confessa. Eppure c'è ancora qualcosa che non torna; qualcuno è in pericolo, perché la verità non è ancora venuta a galla, e Sara è l'unica a cercarla.

Sara al tramonto mi è piaciuto molto. Mi è piaciuta innanzitutto la protagonista, perché è un personaggio non convenzionale, che, ad un'occhiata superficiale, potrebbe sembrare lo stereotipo dell'investigatore solo e tormentato. A dire il vero, Sara è sola e tormentata, ma non è uno stereotipo. Sara non ha rimpianti o sensi di colpa. Non è così che vive la sua vita.
Vent'anni prima, ha fatto una scelta estrema: ha abbandonato il marito ed un figlio piccolo e non si è mai voltata indietro. E nonostante questo cammino l'abbia condotta ad un ritiro anticipato dal lavoro e ad una profonda solitudine, Sara non rimpiange e non rinnega niente.

C'è una profonda malinconia che pervade questo romanzo, bellissimo, triste e struggente, malinconia che si diffonde proprio da Sara fin dalle prime righe. Sara sa cosa ha perso quando il suo grande amore è morto, ma sa anche cosa ha avuto dalla vita. E pensa, più o meno coscientemente, che oramai la sua vita sia finita.
Quando meno se lo aspetta, però, arrivano Teresa, ex collega e amica, e soprattutto Viola ad aprire una breccia nella sua corazza.

Sara al tramonto era diversa. Sara al tramonto aveva nel cuore una porta aperta in cima a una scala a chiocciola, e quella porta era la sua debolezza.

A fare da contrappunto a Sara, troviamo Davide Pardo, poliziotto vecchio stampo, seppur più giovane di Sara, tutto fiuto e lavoro di gambe. Lui sì che ha dubbi, rimpianti e sensi di colpa. È lui che ha svolto le indagini sul caso riaperto ufficiosamente, ed è su di lui che pesa la paura di aver forse arrestato un'innocente. Pardo è solo, come Sara, con l'unica compagnia di una gigantesco cane che aveva comprato per la compagna che lo ha lasciato.
Sara e Pardo sono una improbabile coppia di investigatori, diversissimi per metodo e carattere, ma uniti da una profonda solitudine e da un grande senso di giustizia.

La trama gialla è interessante perché l'indagine va alla ricerca non dei soliti indizi che possiamo trovare in qualunque noir (DNA, orme, macchie di sangue, eccetera). Sara, per investigare, ha bisogno di vedere e parlare con le persone. Solo così può utilizzare la sua straordinaria abilità nell'interpretare il linguaggio del corpo. Per questo l'indagine si svolge in maniera decisamente non convenzionale, ripercorrendo le tappe dell'inchiesta originale ma "leggendole" alla luce delle capacità di Sara. Non posso non sottolineare quanto questo sia stato avvincente per un'avida lettrice di gialli e noir come me, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo e di originale. E anche questa volta de Giovanni non mi ha deluso da questo punto di vista.
Sebbene non sia difficile intuire il colpevole, mi ha colpito favorevolmente la rivelazione del movente, perché riesce a dipingere, ancora una volta, l'essere umano in tutte le sue debolezze e meschine aspirazioni.

In fin dei conti, a Maurizio de Giovanni non interessa raccontarci un fatto di sangue e la relativa indagine; o almeno, non solo. A lui interessa parlarci dell'animo umano, della sua poesia, incarnata da Massimiliano e dal suo amore puro che va oltre la morte e la malattia,  e delle sue bassezze, rappresentate dal colpevole e dalle sue ragioni.
È per questo che Maurizio de Giovanni ha dato a Sara, il potere di guardare dentro le persone. Perché potessimo farlo anche noi, attraverso i suoi personaggi.
E come costruisce i personaggi lui,  nessuno mai.

Voto: 7 e 1/2

giovedì 3 maggio 2018

Tredici...

... di Jay Asher.

La scheda del libro sul sito della Mondadori

Clay Jensen, di ritorno da scuola, trova ad attenderlo un pacco dal contenuto inquietante: sette audio cassette in cui Hannah, diciassettenne suicidatasi qualche settimana prima, spiega le tredici ragioni per cui ha compiuto quel gesto, chiamando in causa tredici persone che ritiene responsabili. Clay è tra loro, ed in una lunga notte ascolterà dalla voce di Hannah la storia di quei piccoli e grandi avvenimenti che hanno scatenato un effetto valanga, portando Hannah al suicidio.
 
Jay Asher affronta in questo romanzo breve ma intenso un tema molto delicato, quello del suicidio di un'adolescente. Lo fa mettendo a nudo le piccole malignità e le grandi cattiverie che hanno segnato la vita di Hannah. Episodi all'apparenza innocui o banali che sommati tra loro sembrano trascinare la ragazza verso traumi più grandi, fino alla decisione di farla finita. Un libro angosciante e spietato da questo punto di vista. Proprio per questo il romanzo si legge d'un fiato, una pagina dopo l'altra, senza riuscire a metterlo giù. Nonostante questo indubbio merito, il romanzo non mi è piaciuto granché. Certo, affronta un tema duro, e bisogna dargliene merito.
Dove il romanzo di Jay Asher centra perfettamente il punto, infatti, proprio è nel far riflettere su come le piccole cose, apparentemente insignificanti, possano fare male, molto male, a chi ci sta intorno. Su come si possa demolire una persona un pezzettino alla volta. Su come in realtà non sappiamo niente delle vite degli altri, e su come è facile essere cattivi, trasformarsi in bulli, o peggio, dietro il paravento del era solo uno scherzo. E su come uno scherzo possa sfuggire di mano e portare a conseguenze gravi (non mi riferisco solo al gesto estremo di Hannah).
 
Dove però il romanzo fallisce, a parer mio, è nel creare una storia solida. Gli spunti di riflessione sono stati interessanti, ma non mi sono bastati. Insomma, il tema è delicato e la struttura della narrazione postuma di Hannah attraverso le audio cassette è intrigante, ma  per tutto il romanzo ho aspettato che capitasse qualcosa che gettasse finalmente luce sulle motivazioni della protagonista. Aspettavo qualcosa che rendesse la storia organica e convincente. Quando qualcosa potenzialmente dirompente accade, appare evidente che Hannah aveva comunque già deciso per l'autodistruzione; aveva già mollato la lotta da un pezzo. Anzi, a voler essere precisi, io ho avuto l'impressione che Hannah non abbia mai lottato e che per tutta la vita sia andata alla ricerca di un pretesto per farla finita.
Ma perché? Perché Hannah non combatte, non reagisce e si lascia trascinare a fondo da una sequela di piccole cattiverie?
Alcune volte ho avuto l'impressione che Hannah andasse a infilarsi in situazioni potenzialmente dolorose solo per confermare l'assunto che il mondo è cattivo, che la sua vita fa schifo e che sarebbe meglio farla finita.
Altre volte, invece, le situazioni inserite nelle cassette mi sono sembrate sinceramente molto banali e trascurabili. Penso alla persona che si è approfittata di Hannah per avere un passaggio e poi non è stata abbastanza amichevole con lei in seguito. Eddai! Tutti abbiamo avuto amici e amiche così, ma siamo sopravvissuti senza portare nemmeno eccessivo rancore.
Non appena ho scritto che tutti noi abbiamo avuto esperienze simili, mi sono anche resa conto che è pur vero che non tutti reagiamo allo stesso modo. E questo è legittimo; Hannah ha preso molto a male alcuni eventi, ma la mia domanda è sempre la stessa: perché? Non credo che tutti i pezzi del puzzle si incastrino al loro posto nella costruzione della personalità della protagonista. A sentire la sua voce in prima persona, Hannah sembra molto intelligente ed equilibrata. Lucida nell'analizzare gli eventi. Ma il suo suicidio e le ragioni che l'hanno spinta a tanto parlano di una persona fragile. Mi sembra che ci sia una contraddizione non risolta e non spiegata a sufficienza.

Va benissimo che un libro abbia come scopo il lanciare un allarme, un messaggio, uno spunto di riflessione; ma questo fine ultimo non deve far dimenticare che si sta raccontando una storia. Ecco, a me è sembrato che il romanzo fosse un mero pretesto, e che le motivazioni dei personaggi, tutti, Hannah, Clay e anche quelli secondari, non siano state abbastanza approfondite perché in fondo giudicate meno importanti del Grande Tema™.
 
Insomma, ho detto che il romanzo fallisce nell'essere storia; mi aspettavo un crescendo di episodi e di tensione, e invece dopo una buona partenza il romanzo si affloscia, adagiandosi su di un finale piuttosto fiacco.
 
Voto: 5 e 1/2