martedì 21 giugno 2016

Scrivere è un mesterie pericoloso...

...di Alice Basso.



La scheda del libro

Vani è una ghost writer. Scrive libri per gli autori della casa editrice in cui lavoro. Ma è anche una consulente della polizia, perché ha un talento unico: entrare nella testa delle persone e capire cosa pensano, come agiranno, quali sono i loro punti deboli.
Adesso sta lavorando ad un libro di cucina, mettendo insieme gli aneddoti e le ricette della anziana cuoca di una notissima famiglia di stilisti. Un lavoro tranquillo? Certo che no! Perché ad un certo punto la dolce vecchietta confessa un omicidio che aveva sconvolto la città cinque anni prima...
 
In un primo momento, durante la lettura dei primi capitoli, avevo avuto una sensazione spiacevole di "già visto, già letto". Ma è stato solo un attimo. Perché Vani è tornata, ed è in gran forma, come sempre. Nel caso non la conosceste, ve la descrivo in due righe: Vani è cinica, disincanta, portata all'autoironia. A seguirla durante le sue avventure non si annoia mai, perché si vede il mondo attraverso i suoi occhi e le sue battute al vetriolo.
 
La grande forza di questo libro, secondo volume delle avventure di Vani Sarca (la recensione del primo potete trovarla qui ), è  appunto la protagonista, come del resto già era evidente in L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome. La sua voce disincantata e ironica ci introduce nel mondo della cucina e dell'alta moda, dove, incredibile ma vero, l'asociale Vani trova una persona che le è simpatica, Irma, cuoca della famiglia Giay Marin, stilisti di fama internazionale da generazioni.
Vani viene a contatto con due modi - moda e cucina - che non potrebbero essere più distanti dalla sua routine fatta di impermeabili neri sdruciti e patatine al formaggio per cena.
Torna in questo volume l'insopportabile ex fidanzato Riccardo, molesto e ipocrita come pochi.
Torna anche il commissario Berganza, mentore e amico di Vani, più anziano di lei, molto diverso, ma che sembra comprenderla come nessuno.
 
La brillantezza dei dialoghi rende la lettura piacevolissima, tanto che ad un certo punto non ci interessa nemmeno arrivare a capo del mistero del romanzo; vogliamo solo stare con Vani. La trama gialla si dipana lentamente, e nel frattempo assistiamo non senza divertimento alla vita quotidiana di Vani, tra un incontro in casa editrice e una consulenza per il commissario Berganza. La lettura però non è mai noiosa, anzi, è quasi sempre effervescente.
 
Ci sono due punti deboli in questo libro o meglio, una inesattezza e una forzatura.
 
L'inesattezza: quando Vani  viene convocata in commissariato per aiutare il commissario Berganza col nipote tredicenne che ha la spiccata tendenza a cacciarsi nei guai (e stavolta si tratta di una bustina d'erba) tutti parlano di denunce, di grossi guai, eccetera. Ma Ivano, il nipote appunto, ha tredici anni. Sotto i quattordici anni non si è imputabili, ovvero non si è, per presunzione di legge, responsabili di qualsiasi reato si sia commesso. Lo sanno bene i delinquenti che usano i ragazzini come corrieri della droga, o per commettere furti o borseggi. Ho trovato strano che nessuno, nemmeno lo stesso Ivano, abbia sollevato l'eccezione. Una nota stonata in un libro altrimenti accurato e curato nei dettagli e nelle citazioni, letterarie o di diversa natura.
 
La forzatura: Vani riesce grazie al suo acume a smascherare il piano del cattivone di turno, il quale aveva già preparato una fuga precipitosa all'estero. Ecco, al di là del fatto che il reato che Vani riesce ad attribuirgli sarebbe tutto da provare (e non sarebbe facile), mi stupirei se in Italia, per quel medesimo reato (peraltro qui soltanto tentato e non ancora consumato), qualcuno prendesse  - tra rito abbreviato e attenuanti generiche - più di due anni sospesi con la condizionale.
Perciò ho trovato forzato che il cattivone sia disposto ad uccidere per evitare l'eventuale attribuzione di un reato non facilmente dimostrabile e molto più leggero del tentato omicidio.
Perciò, a parer mio, la conclusione della parte gialla del romanzo è debole.
Questo mi impedisce di dargli un voto altissimo.
 
Voto: 7
 

lunedì 20 giugno 2016

La breve favolosa vita di Oscar Wao...

... di Junot Diaz.




Oscar è un giovane americano di origine dominicana. Purtroppo per lui, è l'esatto contrario del tipico dominicano. Non è prestante, non ha successo con le ragazze è in sovrappeso e passa il suo tempo in casa a scrivere romanzi di fantascienza, leggere e giocare di ruolo. Ma Oscar è ossessionato dalla ricerca dell'amore. La sua storia si fonde con quella della sua famiglia e della Repubblica Dominicana sotto il feroce dittatore Trujillo, e sarà davvero favolosa, ovvero un'avventura da favola.

Questo romanzo, vincitore nel 2008 del Premio Pulitzer per la narrativa, è un'esplosione di sensazioni, esperienze, colori, storie. Un'esplosione di vita. Superata la prima fase di smarrimento dovuta ai molti termini gergali e/o in spagnolo, la narrazione mi ha rapita. Ad uno stile così, spumeggiante e ironico, si perdona tutto, l'iniziale smarrimento e perfino le chilometriche note a fine a capitolo (alcune gustose quanto la trama stessa del libro).
Ho sentito qua e là gli echi della tipica narrazione magica della letteratura sudamericana, ma c'è nello stile di Diaz una leggerezza nel raccontare anche le cose peggiori della vita che rende questo romanzo unico e originale. Una poesia pop, a metà strada tra tradizione e modernità.

Tutto ruota intorno alla famiglia di Oscar, e al tremendo sospetto di avere sulle spalle un fukù, una maledizione, che ha portato alla rovina tutti i membri della famiglia. Il fukù impedisce loro di raggiungere la felicità, e li trascina verso la distruzione. Oscar, imbevuto di cultura letteraria fantasy e fantascientifica, da Tolkien a Star Trek, lotterà tenacemente per sfuggirgli. Si aggrapperà alla cultura nerd per trovare la risposta ai suoi problemi. Anche se a volte questo suo modo di essere gli creerà più problemi di quanti ne risolva.
 
Sapete cosa aveva appeso, l’imbecille, alla porta della nostra stanza? Un cartello con la scritta Parla, amico, ed entra. In elfico, cazzo! (Per favore, non chiedetemi come facessi a saperlo. Vi prego.) Quando lo vidi, dissi: De León, tu vuoi scherzare. Elfico? A dire il vero, mi rispose tossicchiando, è sindarin.
 
Insomma, in parole povere, Oscar è, per i suoi coetanei, un imbranato. Uno sfigato. Quasi nessuno riesce a vederlo per quello che è davvero. Che lotterà con la sua imbranataggine fino alla fine. Non si farà piegare. Non si farà cambiare, per quanto, in alcuni momenti di depressione, capisca di non essere tagliato per il mondo che lo circonda.
 
Per comprendere Oscar, oltre che un'infarinatura di fantasy e fantascienza,  è necessario comprendere sua madre e sua sorella; per comprendere loro è necessario spiegare le vicissitudini dell'intera famiglia; e per comprendere queste ultime, è necessario conoscere la storia della Repubblica Dominicana durante la trentennale dittatura di Trujillo. Si tratta di un pezzo semi sconosciuto della storia sudamericana, una dittatura durata dagli anni trenta fino agli anni sessanta, un regime estremamente crudele e repressivo instaurato e sostenuto con l'aiuto militare degli Stati Uniti. Nessuno era al sicuro, a quei tempi.
Santo Domingo rimane la coprotagonista di questa storia anche quando i protagonisti in carne e ossa ne sono lontani, e a maggior ragione lo è quando i personaggi tornano a casa. E durante la storia torneranno spesso a casa, perché puoi togliere un dominicano da Santo Domingo, ma non puoi togliere Santo Domingo da un dominicano.
 
Ogni estate, Santo Domingo mette la retromarcia alla macchina della Diaspora, strappandole il maggior numero possibile di figli espulsi; gli aeroporti sono intasati di gente agghindata; nuche e nastri trasportatori scricchiolano sotto il peso di cadenas e paquetes accumulati nell’anno precedente, e i piloti temono per i loro aerei – sovraccarichi all’inverosimile.
 
 
La narrazione procede a ritroso, dall'adolescenza via via indietro fino all'infanzia di Oscar, dalla giovinezza della madre, fino alle circostanze della sua nascita, e ancora fino alla sorte di Abelard, il nonno materno che Oscar e sua sorella Lola non hanno conosciuto grazie alla polizia segreta di Trujillo.
E noi lettori, che già dal titolo intuiamo che qualcosa di tragico accadrà, prima o poi, andiamo a ritroso con il narratore (Yunior, amico di Oscar, forse l'unico amico che abbia mai avuto) e non possiamo staccarci dalle pagine, e andiamo sempre più in profondità nella storia della famiglia di Oscar.
 
Quando finalmente tutto è chiaro, arriverà la conclusione epica, favolosa, indimenticabile.
Sarà a Santo Domingo, dove tutto è iniziato, che Oscar troverà il senso della sua vita.
 
E così, è di questo che tutti parlano! Diablo! Se solo l’avessi saputo. Che meraviglia! Che meraviglia!
 
Se dovessi descrivere questo romanzo in una sola parola, direi sorprendente.
Voto: 8
 
 
 
 

domenica 19 giugno 2016

Al momento della scomparsa la ragazza indossava...

...di Colin Dexter.


La scheda del libro

L'ispettore Morse deve indagare sul caso di una ragazza scomparsa due anni prima. Il collega che se ne occupava, l'ispettore Ainley, è appena morto in un incidente stradale, a Morse eredita le sue indagini. Sembra che però, prima di morire, l'uomo si fosse recato a Londra per ragioni legate al caso. Cosa aveva scoperto? La ragazza scomparsa è viva, come sembra ritenere Ainley, oppure è morta, come crede Morse, contro tutte le evidenze?
 
Questo è il secondo caso che vede protagonista l'ispettore Morse, attivo nella polizia della Thames Valley, nei dintorni di Oxford. Morse sembra, all'apparenza, un personaggio scialbo, quasi anonimo. Non ha nessuna delle grandi qualità che rendono celebre un investigatore letterario. la sua virtù è una incredibile tenacia: quando Morse comincia a lavorare ad un caso, non si da tregua finchè non lo ha risolto. Lo sa bene il sergente Lewis, suo braccio destro. Pacato, paziente, metodico. Un brav'uomo, Lewis, magari non brillantissimo ma portato all'analisi meticolosa dei fatti.
Anche Morse, in fondo, è un brav'uomo. Un solitario, a cui piace alzare il gomito di tanto in tanto ma senza esagerare, a cui piacerebbe indulgere nei piaceri del sesso se trovasse una controparte disponibile, e che per questo si butta senza requie nel lavoro.
 
Il giallo è un perfetto esempio di giallo all'inglese moderno. Ci sono fatti, e ci sono le deduzioni dell'investigatore. Solo che l'investigatore non si erge una spanna sopra il lettore e sopra qualunque intelletto medio. Morse è uno di noi, con i suoi limiti e i suoi occasionali colpi di genio.
In particolare, questa indagine su una scomparsa avvenuta due anni prima si rivelerà particolarmente ostica per l'ispettore. Tanto per cominciare, non si sa nemmeno cosa cercare. Una ragazza, oppure il suo cadavere? E le conclusioni e i rapporti del defunto ispettore Ainley sono complete, oppure c'è qualcosa che non aveva fatto in tempo a mettere per iscritto?
Così Morse si dibatte in una serie di ipotesi, alcune certo fantasiose, ma che prendono spunto dai fatti, dagli indizi e dalle verità, dalle reticenze e dalle omissioni dei testimoni. Morse procede a tentoni, scarta un'ipotesi dopo l'altra ogni volta che emergono nuovi fatti. Alla fine verrà a capo del caso che è sicuramente più intrigante e più stupefacente di quanto aveva supposto all'inizio. 
Le ipotesi più fantasiose non sono poi tanto campate per aria, e aiuteranno Morse a scoprire la verità.
 
Un giallo all'inglese, dunque, basato sui fatti e sulle deduzioni, su un meticoloso lavoro di ricerca e sull'incrocio dei risultati. Un lavoro che il lettore può agevolmente seguire, e mettere alla prova nella sua testa. Ecco quello che mi piace di più nei romanzi di Colin Dexter. Ci si può mettere alla prova avendo anche speranza di spuntarla, perché l'investigatore non possiede un intuito sopra la media, conoscenze scientifiche fuori dal comune o una memoria prodigiosa per i dettagli. Un libro che coinvolge piacevolmente un appassionato di gialli, che ritrova le atmosfere della campagna inglese insieme ai moderni metodi investigativi (relativamente moderni; questo romanzo è stato scritto nel 1976, aggiungendo così un piacevole tocco vintage all'ambientazione).
Un libro che però mi sento di consigliare agli estimatori del genere; altre categorie di lettori potrebbero restare spiazzati dalla lentezza dell'indagine e del suo procedere, e dalla mancanza di brillantezza del protagonista.
Io, dal canto mio, l'ho adorato, e ho tutta l'intenzione di recuperare l'intera serie.
 
Voto: 7

venerdì 17 giugno 2016

L'altro capo del filo...

...di Andrea Camilleri.

La scheda del libro

Mentre a Vigata si susseguono senza sosta gli sbarchi dei migranti, con tutto il loro corollario di dolore e tragedie, una sarta viene uccisa nella sua bottega a colpi di forbici. Un delitto passionale, a prima vista, e i sospetti non mancano. Quando sarà costretto ad eliminare dal novero dei possibili colpevoli i sospettatati uno ad uno, Montalbano dovrà scavare più in profondità nel passato della vittima per portare alla luce il movente, e, di conseguenza, l'identità dell'assassino.
 
L'altro capo del filo è la nuova indagine che vede coinvolto il commissario Montalbano. Già a partire dal titolo si intuisce l'abilità con cui Camilleri costruisce le sue storie.
L'altro capo del filo è un titolo simbolico, perché ci parla di quel filo ideale che lega le due sponde del Mediterraneo, così vicine eppure così lontane, l'una quasi irraggiungibile per chi è nato sulla sponda "sbagliata"; ci parla del filo ingarbugliato che lega passato e presente della bella Elena, sarta quarantenne che nessuno, apparentemente, aveva motivo di odiare. E ci parla infine, di quelle telefonate che tanto la sconvolgevano, e che riceveva di tanto in tanto. Chi c'era, appunto, all'altro capo del filo?
 
Elena, la vittima, è una donna come spesso ne incontriamo nei romanzi di Camilleri. Bella, generosa e affabile, anche se molto riservata.
Il suo passato sembra una segreto impenetrabile che lei non ha rivelato nemmeno agli amici più intimi. Non essendo originaria di Vigata, ma essendosi trasferita relativamente di recente, nessuno sa molto di quel passato. L'ombra del marito morto suicida al nord sembra oscurare la sua vita tranquilla.
L'indagine sulla sua morte si trascina; non per mancanza di piste, quanto per l'incredibile difficoltà in cui versa il commissariato di Vigata tutto, che, notte dopo notte, sovraintende agli sbarchi dei migranti e tenta come può di sopperire alla carenze di fondi e di mezzi.
 
Le vicende relative agli sbarchi occupano buona parte del libro, e qui sta il punto di forza o il punto debole del romanzo, a seconda di quello che stiamo cercando in questo libro.
Camilleri ci narra l'indagine quasi controvoglia, quello che gli premeva era, a parer mio, raccontarci la storia di piccoli atti di eroismo quotidiani durante l'emergenza sbarchi. Piccoli atti eroici che sono compiuti da una parte e dall'altra. Raccontarci di umanità, di miserie, di cattiverie, di sacrificio. Aveva bisogno di dirci: guardate, e non distogliete lo sguardo.
Tutti gli agenti del commissariato sono impegnati notte dopo notte con gli sbarchi, senza requie e senza turni di riposo; di giorno naturalmente devono occuparsi della normale routine, e sono allo stremo delle forze.
I migranti che sbarcano sono in condizione peggiori; hanno visto la morte in faccia e spesso hanno subito violenze a cui difficilmente la giustizia italiana potrà riparare.
 
Se vogliamo, anche l'indagine si può analizzare sotto quest'ottica. Più che un mistero, Camilleri voleva scrivere, secondo me, dell'animo umano e di ciò che è capace di fare se messo alle strette  (nel bene e nel male).
Elena cade sotto i colpi di un odio freddo, e, a conti fatti, anche immotivato.
Ecco, tutte le vicende, sebbene abbiamo una spiegazione logica, sono prive di senso, quello più profondo, più vero.
Che il Mediterraneo sia una tomba a cielo aperto non ha alcun senso. Che Elena sia morta per placare un odio che non aveva fatto nulla per suscitare non ha senso.
C'è un certo pessimismo "cosmico" latente in questa romanzo. Non c'è consolazione, non c'è ristoro dal dolore.
 
Voto: 7
 

martedì 14 giugno 2016

Il libro di legno...

...di Gian Mauro Costa.



La scheda del libro

Enzo Baiamonte, cinquantenne radiotecnico palermitano, arrotonda le sue entrate svolgendo piccoli incarichi investigativi per un avvocato della città.
Un giorno una donna bella e misteriosa, figlia di un ex professore di Enzo appena deceduto, gli chiede di ritrovare cinque volumi della sterminata biblioteca del padre, volumi che erano stati prestati e al cui posto il padre aveva collocato di finti libri in legno.
Da questa indagine all'apparenza così semplice, Enzo arriverà a risolvere un omicidio e un caso criminale molto molto più complicato.
 
Oggi sembrano essere molto popolari i romanzi, prevalentemente gialli, in cui i protagonisti non più giovanissimi vivono avventure che non hanno avuto in gioventù. Penso a Squadra speciale minestrina in brodo, di Roberto Centazzo, o anche a La banda degli insoliti ottantenni di Catharina Ingelman-Sundberg. Sicuramente Enzo Baiamonte, creato da Gian Mauro Costa, è un precursore di questa tendenza. Un precursore originale e profondo.
Enzo Baiamonte nasce, letterariamente, proprio con questo romanzo, che getta le basi per la comprensione del personaggio, dell'ambiente in cui si muove e per le future investigazioni.
Non anziano anagraficamente, quanto nell'animo e nello stile di vita, Enzo è un tipo tranquillo, ordinato, abitudinario. La sua attività, quella di riparatore di radio e televisioni, sembra uscita dal passato e non avere più nulla a che spartire col presente.
In questa sorta di limbo in bilico fra un'eterna giovinezza (Enzo è scapolo e conduce una vita priva di responsabilità) e la vecchiaia incombente irrompe Cristina, figlia del professor Mirabella, appena deceduto.
Cristina è una quarantenne enigmatica e sensuale, che scuote l'animo e i sensi di Enzo Baiamonte in maniera improvvisa e imprevista. Per lui ella è semplicemente la Creatura, bella, eterea, languida. Quasi un'apparizione.
L'incarico - all'apparenza banale che gli offre - sembra l'ultimo treno da prendere al volo in una vita che si è adagiata troppo presto su un binario morto.
Ma siccome nulla è mai semplice come appare, Enzo scoprirà che intorno ad uno dei libri da recuperare ci sono troppe reticenze, troppe bugie e alla fine anche un omicidio.
E' a questo punto che il nostro sonnolento personaggio si risveglia, mette in campo uno spirito di osservazione ed un acume che non credevamo avesse. Si ribella a chi lo vorrebbe burattino e comprimario in questa vicenda complessa e alla fine riesce a venirne a capo, e ritrova il suo spirito combattivo, la sua voglia di vivere e nuovi stimoli.
 
L'indagine parte lenta, ma non annoia per l'originalità del punto di partenza: i libri di legno del titolo. Lo svolgersi della trama sembra puntare in un senso quando, improvvisamente, vira da tutta altra parte. L'indagine si trasforma sotto i nostri occhi, ed insieme ad essa si trasforma anche il protagonista. La sua evoluzione è lenta ma costante, e soprattutto credibile e coerente.
Anche la trama è sempre coerente e soprattutto solida. L'unico difetto che gli si può attribuire è una certa lentezza nello sviluppo, lentezza che è, a parer mio, voluto e cercata perché parta stessa della narrazione e dell'ambientazione.

Romanzo giallo rilassante ma allo stesso tempo stimolante.
Voto: 7

lunedì 13 giugno 2016

Camilleri legge Montalbano...

...di Andrea Camilleri.


La scheda del libro sul sito Vigata.org


Questo audio libro, letto dal maestro Camilleri in persona, contiene sette racconti, tra i più belli e significativi tra quelli che vedono protagonista il famoso commissario siciliano:

La sigla
L'uomo che andava appresso ai funerali
La prova generale
Gli arancini di Montalbano
Il compagno di viaggio
Guardie e ladri
Being here...
 
Non è un mistero che io adori Camilleri e adori, sopra ogni cosa, la sua creazione letteraria, il commissario Montalbano.
La sua voce roca, inconfondibile, pacata durante la lettura, ha reso questa esperienza unica. Era il mio primo audiolibro. Non sapevo se sarei riuscita a concentrarmi sulla voce di qualcuno che leggeva mentre facevo altre cose.
Bene, dopo aver provato, posso dire che, con la voce giusta, un audiolibro è un'esperienza provare.
E un audiolibro letto da Camilleri è un'esperienza imperdibile.
La cosa che mi affascina da sempre, nei romanzi di Camilleri, è l'uso del siciliano. Inizialmente ostico, diventa, una volta che ci si è appassionati, una seconda lingua che rimane sottopelle al lettore (non so se succede anche ad altri, ma a me a volte viene quasi spontaneo usare parole siciliane imparate dai suoi libri, parole come smorcare, camurria,e anche cabasisi, la più famosa in assoluto, credo).
Qui il siciliano prende vita, e già questo da solo vale il prezzo del libro.
Nel complesso i racconti offrono una panoramica sulle diverse sfaccettature della personalità del commissario Montalbano, il quale deve sicuramente la sua popolarità alla sua imperfetta umanità, al suo senso di giustizia e alla sua empatia col prossimo. Questi racconti gli rendono giustizia, e delineano bene le caratteristiche tipiche del personaggio.
 
La sigla: Un uomo, senza fissa dimora, muore sulla spiaggia tracciando con le sue ultime forze alcune lettere sulla sabbia. La conoscenza letteraria del commissario risolverà non uno, ma ben due casi di omicidio, uno dei quali molto vecchio, ormai.
Racconto bellissimo, dove umanità, tragedia, oscuri segreti e amore per i libri si intrecciano.
 
L'uomo che andava appresso ai funerali: un uomo che aveva la curiosa abitudine di seguire ogni corteo funebre di Vigata viene ritrovato assassinato. Oscuro il movente, ma alla fine il commissario risolverà il mistero.
Racconto memorabile per la figura della vittima, originale personaggio che da spessore anche all'ambientazione vigatese.
 
La prova generale: Montalbano si imbatte in una strana veglia funebre e in una coppia di anziani attori.
Il racconto più triste e delicato. Racconti come questo spiegano da soli come mai il personaggio di Montalbano sia così amato.
 
Gli arancini di Montalbano: Montalbano cerca di risolvere il mistero intorno ad una rapina e contemporaneamente di non perdere l'appuntamento a cena con gli arancini di Adelina.
Simpatico e divertente. Il lato epicureo del commissario in tutto il suo ironico splendore.
 
Il compagno di viaggio: Su un treno diretto a Roma, Montalbano si imbatte in un mistero.
Il racconto che mi è piaciuto meno, che riguarda un femminicidio, e il cui ragionamento sottostante rivela che il racconto è abbastanza datato (proviene da una raccolta originariamente pubblicata nel 1998). Non ho potuto apprezzarlo.
 
Guardie e ladri: ospite nella casa di campagna del suo amico il giornalista Zito, Montalbano risolve un caso criminoso senza averne minimamente l'intenzione.
Racconto carino, non il migliore della raccolta.
 
Being here: un uomo torna a Vigata dopo decenni passati all'estero, e scopre di essere, suo malgrado, protagonista di una vicenda pirandellliana. 
Ancora il tema della solitudine, reinterpretato alla luce di suggestione pirandelliane. Rivela la bravura di Camilleri nell'affrescare le tragedie umane in poche pagine.  E, se mai ce ne fosse bisogno, ci svela che Camilleri non è un semplice scrittore di gialli, ma l'erede della tradizione letteraria siciliana.
 
Voto dei racconti nel complesso: 8
Voto dei racconti letti dal maestro: 9 :)
 
 

Regalo di nozze...

...di Andrea Vitali.

La scheda del libro


Alla vigilia del proprio matrimonio, Ercole Correnti vede parcheggiata davanti casa sua una vecchia seicento bianca, identica a quella che, negli anni '60, una ventina d'anni prima, suo padre aveva comprato e con cui la sua famiglia aveva fatto la prima gita al mare.
La macchina gli riporta alla mente i ricordi di quegli anni, sua madre, suo padre e lo zio Pinuccio, irresistibile bugiardo, gagà e donnaiolo.
 
Dopo aver finito di leggere La modista, libro del 2008, mi ero chiesta se Vitali avesse ancora qualcosa da dire.
Poi mi è capitato tra le mani questo romanzo e... sono rimasta sorpresa. Piacevolmente sorpresa.
Tutto ruota intorno a una seicento bianca, che funge da catalizzatore di ogni evento.
La storia si focalizza solamente intorno a quattro personaggi, Ercole, sua madre Assunta, sua padre Amedeo e lo zio Pinuccio, e due linee temporali, quella presente e quella degli anni sessanta rievocata attraverso i ricordi di Ercole.
La presenza di un numero limitato di personaggi è già di per sé una novità, e sicuramente aiuta la trama a restare sui binari e a coinvolgere il lettore emotivamente. 
I ricordi di Ercole bambino ci fanno conoscere lo zio Pinuccio, la pecora nera della famiglia, gaudente spendaccione, elegante e fanfarone, che, agli occhi del bambino è una specie di eroe, un avventuriero la cui figura assume contorni quasi epici. Un uomo che vive la vita con leggerezza, in perfetta antitesi con la solidità morale e la rigidità dei genitori del piccolo.
La seicento bianca vista casualmente riporta alla mente di Ercole una indimenticabile (per svariate ragioni, non tutte positive) gita al mare, fortemente voluta dallo zio, e partendo da qui Vitali ci racconta la storia di questa famiglia borghese, la loro routine, i loro riti, le loro abitudini.
Lo zio Pinuccio rappresenta la variabile impazzita in questa vita così ordinata e a volte un po' monotona.
 
Mi ha colpito la delicatezza con cui sono tratteggiati i personaggi, con ironia ma anche con dolcezza; se sorridiamo, sorridiamo con loro, non di loro.
La trama sembra una godibile sequenza di eventi, parzialmente slegati tra loro, finché il finale non ci svela che dietro tutto ciò che accadde, da quella gita in poi, era più di un insieme casuale di fatti.
Solo alla fine comprendiamo la particolare abilità con cui lo scrittore ha delineato la sua storia.
Storia che è diversa da ogni altra di Vitali che io abbia mai letto.
Mi ha colpito l'uso della seicento nella narrazione. Sogno proibito degli italiani durante il boom economico degli anni sessanta, è qui il perno della storia, il simbolo di tutto i sogni di una nazione che si rialzava dalla guerra e sperava in un domani migliore.
Ma la vita, si sa, non è mai una passeggiata...né una gita verso il mare.
 
Un Vitali diverso, quasi intimo, malinconico, che racconta con pudore una storia semplice, breve, ma toccante.
Il miglior Vitali, fino ad ora.
Voto: 7 e 1/2
 
 

giovedì 2 giugno 2016

Dentro soffia il vento...

...di Francesca Diotallevi.



La scheda del libro

Nel piccolo borgo di Saint Rhemy, tra le montagne della Valle d'Aosta, al tempo della prima guerra mondiale, vive Fiamma, giovane donna che conosce le erbe e cura i malanni. Gli abitanti del borgo la odiano, credendola una strega, ma ricorrono costantemente al suo aiuto; il suo unico amico, Raphael, è partito per la guerra due anni prima, e non è mai tornato, e Fiamma si tormenta per la perdita, perché c'erano molte cose non dette tra lei, Raphael e la famiglia di lui...
 
Tre personaggi narrano questa storia in prima persona: il nuovo parroco don Agape, Yann Rosset, fratello di Raphael e la stessa Fiamma. I loro racconti sono complementari, ognuno riprende la narrazione nel punto dove chi lo precede l'ha lasciata. Nessun avvenimento viene narrato due volte da punti di vista diversi. Mi è piaciuta questa accortezza; ne viene fuori un affresco della vita di paese e delle vicende sfaccettato, senza essere confuso.
 
La prima cosa che mi ha colpito e toccato in questo libro, è stata la delicatezza della scrittura dell'autrice. Il suo stile è semplice ed evocativo; paragonabile ad un sussurro davanti ad un fuoco accesso nel camino. Ogni parola è dosata, scelta, misurata con cura. Si avverte l'attenzione messa nella costruzione di ogni frase, che dice esattamente quello che il lettore vuol sentire, niente di più, niente di meno.
Se proprio devo trovare un difetto allo stile della Diotallevi, è che i tre narratori, molto diversi tra loro per età, cultura e formazione, quasi parlano con la stessa voce, con un linguaggio poetico e profondo che non sempre si addice loro. Ma il difetto, su cui ho riflettuto solo a posteriori, non toglie nulla alla bellezza del romanzo. Del resto, potrebbe anche trattarsi di una scelta consapevole dell'autrice.
 
La storia di Fiamma, dolce, poetica e ben narrata, non ha grandi colpi di scena (seppure riserva le sue sorprese) né improvvisi capovolgimenti di fronte; eppure riesce a tenere avvinto il lettore pagina dopo pagina. La trama, all'apparenza semplice e lineare, si rivela comunque più complessa di quello che appare a prima vista. Complessa perché complessi e profondi sono i personaggi a cui l'autrice ha dato vita.
Il tormento di Fiamma sembra essere quello di un'innamorata che ha perso l'oggetto dei suoi desideri; e l'odio di Yann per lei sembra non essere dissimile da quello che provano gli altri abitanti di Saint Rhemy. Ma non è così. C'è altro da scoprire, nella profondità degli animi dei personaggi.
Nel fluire della storia si inserisce un gruppo di gitani di passaggio; bellissima la leggenda secondo cui gli zingari, un tempo, avevano le ali, che apre il romanzo. E commuovente il loro ruolo nel romanzo, una apparizione breve, ma significativa. I gitani fungono da specchio delle anime dei protagonisti.
Come per lo stile dell'autrice, anche nella narrazione nessun dettaglio è lasciato al caso.
 
Ho letto nella scheda della casa editrice:
 
Ritornando su un tema caro alla letteratura di ogni tempo – l’amore che dissolve il rapporto tra una comunità e il suo capro espiatorio – Francesca Diotallevi costruisce un romanzo che sorprende per la maturità della scrittura e la solidità della trama, un’opera che annuncia un nuovo talento della narrativa italiana.
 
E' noto che le case editrici, talvolta, esagerino con i complimenti e le lodi ai propri autori; ma stavolta non posso che essere d'accordo. Francesca Diotallevi dimostra, con questo romanzo, di avere talento.
Voto: 7 e 1/2