mercoledì 31 agosto 2016

Agatha Raisin e il matrimonio assassino...

...di M.C. Beaton.


 

La scheda del libro sul sito della Astoria Edizioni.

E così finalmente Agatha ce l'ha fatta. Dopo l'ultimo caso risolto insieme, finalmente James Lacey, il suo bel vicino, ha deciso di chiederle di sposarlo. Agatha, crogiolandosi nella sua felicità, dimentica un piccolo, piccolissimo particolare. Il suo primo marito, Jimmy Raisin, non è morto come lei ha raccontato a James, ma è sparito chissà dove, e decide di ricomparire giusto in tempo per mandare a monte le nozze... e per farsi ammazzare. Agatha, sospettata numero uno, decide di indagare.
 
Eccoci arrivati al quinto romanzo della serie di Agatha Raisin.
Agatha è sempre uguale a se stessa, e forse è per questo che la amiamo. In fondo è rimasta la bambina spaventata e affamata dei bassifondi di Birmingham, e quando vede la possibilità di realizzare il suo sogno (sposarsi, essere felice, e allontanare la solitudine e la vecchiaia incombenti) decide di fare quello che fa di solito: prendere una scorciatoia. In parole povere, barare. Il fatto che nelle precedenti occasioni barare non si sia rivelata una buona idea non ferma la nostra eroina.
Questa volta, a mandare a monte i suoi piani, interviene Roy Silver, ex dipendente e amico (amico?) di Agatha, che per invidia e gelosia rintraccia Jimmy Raisin e lo spedisce a Carsely.
Il matrimonio ovviamente va a monte, James furioso abbandona Agatha, e Jimmy finisce ammazzato dopo che lei l'aveva minacciato di morte.
 
E' interessante notare come in ogni romanzo l'autrice ponga particolare cura nell'ampliare scenari e comprimari della storia, per evitare che la trama risulti piatta o monotona. Non ho ancora incontrato quel senso di già letto che in una serie che conta numerosi volumi (venticinque in lingua originale, di cui solo la metà tradotti in italiano, per ora) è un pericolo sempre dietro l'angolo.
Lo spunto interessante questa volta è fornito da un caso che riguarda in prima persona il passato di Agatha, personaggio a cui il lettore, a questo punto, ha finito per affezionarsi. Un passato raccontato, accennato, ma che non avevamo mai avuto modo di conoscere direttamente.
 
Una menzione speciale merita l'evoluzione del rapporto fra Agatha e James.
Nei primi volumi l'analfabeta sentimentale, per così dire, sembrava essere lei, con la sua mancanza di tatto, la sua invadenza, e la sua caccia scoperta e senza vergogna al bel vicino.
E anche se Agatha è ancora ben lontana dal prendere una laurea in questa materia, davanti ai nostri occhi i rapporti di forza mutano; Agatha comincia lentamente a comprendere le esigenze di James, mentre lui, in realtà, rimane fermo sulle sue posizioni. Certo, lei gli piace, è una donna forte e intelligente; ne è attratto, ma non abbastanza da cercare un compromesso con le sue (numerose) imperfezioni.
In una parola James Lacey è una persona rigida. Così come Agatha è veloce all'ira, ma altrettanto veloce nel perdono, lui è privo di elasticità e tenerezza. La sua reazione, di fronte alla menzogna della futura moglie, è semplicemente la fuga, l'abbandono, prima di tutto emotivo e poi fisico.
 
Quindi niente ...e vissero felici e contenti per la nostra eroina, che si butta a capofitto in questa indagine un po' per disperazione, un po' per necessità. Col suo modo di indagare brancolando nel buio per larga parte del romanzo, ben consapevole però che portare a galla gli scheletri nell'armadio delle persone coinvolte alla lunga funziona, Agatha risolverà il mistero, ma non sbroglierà la matassa della sua vita sentimentale, che si ingarbuglierà ancora di più.
 
Voto: 7
 
 

Agatha Raisin e i camminatori di Dembley...

...di M.C. Beaton.



La scheda del libro sul sito della Astoria Edizioni

Agatha torna da Londra dopo un periodo di sei mesi trascorsi a lavorare in una azienda di pubbliche relazioni. L'aveva promesso a Roy Silver, suo ex dipendente, in cambio dell'aiuto per barare all'esposizione di piante denominata Giardini Aperti di Carsely (eh sì, Agatha perde il pelo ma non il vizio!). Finchè si era trovata a Londra, anelava a tornare a Carsley, ma appena tornata lo smarrimento e la solitudine sembrano impadronirsi di nuovo di lei. Il bel vicino James non sembra così felice di rivederla, e Agatha vorrebbe escogitare qualcosa per avvicinarlo a lei.
Quando nel vicino paese di Dembley un omicidio sconvolge un gruppo di nome I camminatori di Dembley, Agatha viene coinvolta nelle indagine ed è ben lieta di farsi aiutare da James. 
 
E così siamo giunti al quarto romanzo della serie di Agatha Raisin. Della protagonista abbiamo già detto molto nelle precedenti recensioni: ex P.R., 53 anni, dispotica, brusca e autoritaria, Agatha non è cattiva. E' semplicemente una persona affamata d'affetto. Dotata della delicatezza di un rinoceronte e della fame d'amore di un bambino, il suo metodo investigativo è sicuramente poco ortodosso, ma efficace. In realtà i suoi metodi, qualunque sia lo scopo, sono sempre poco ortodossi ma efficaci.
Agatha non è esattamente la reginetta del ballo; capisce poco di sentimenti (specialmente dei suoi), e agisce di impulso e senza indorare la pillola. ma incredibilmente questa formula funziona, ed affascina il lettore.

Convenientemente l'autrice decide di allargare un po' gli orizzonti della nostra eroina, e allo stesso tempo introduce nuovi personaggi, uno dei quali, sir Charles, diventerà una presenza ricorrente.
Sir Charles è un baronetto con una vasta tenuta a Dembley, alla ricerca di una compagna di vita. Coinvolto nella vicenda e sospettato dell'omicidio, avrà modo di conoscere e apprezzare il multiforme ingegno di Agatha.
 
Ampio spazio viene dedicato anche ai personaggi secondari del romanzo e ai numerosi comprimari. La scelta introdurre nuove ambientazione e nuovi tematiche rispetto ai meccanismi ormai collaudati della vita di Carsely non può che essere apprezzabile; dopo tre romanzi, un quarto cadavere ancora nel piccolo villaggio di Carsely sarebbe suonato strano e forzato, senza contare il rischio concreto che la narrazione apparisse piatta e ripetitiva.
Ecco, quasi a prevenire i nostri dubbi, M.C. Beaton tira fuori altre carte dal suo mazzo e le butta sul tavolo.
Abbiamo un'associazione chiusa, di cui Agatha non fa parte (almeno fino a poco tempo fa) e delle cui persone in realtà non sa nulla. Coinvolta nelle indagini da una compaesana preoccupata per la nipote, membro dei camminatori di Dembley, Agatha si troverà ad indagare, accompagnata come sempre da un riluttante James.
 
Questo romanzo, nel suo svolgimento, somiglia ad un gioco di prestigio. L'autrice ci mette davanti agli occhi il colpevole e il movente, in modo che siano bene in vista, ma con un furbo gesto della mano distrae la nostra attenzione fino all'epilogo.
Non a caso anche Agatha, ancora una volta, aveva preso una cantonata gigantesca. Ma alla fin fin Agatha cade sempre in piedi, e riuscirà a sbrogliare in extremis la matassa.
 
Voto: 7
 

La briscola in cinque...

...di Marco Malvaldi.


La scheda del libro sul sito della Sellerio Editore

Calma, calma, calma. Ora devi calmarti, sennò fai la figura del pazzo. Mi sento come il protagonista di quel libro di Sciascia, Una storia semplice, quando il suo superi ore gli dice dov'è l'interruttore della luce nella stanza e lui capisce tutto, chi è l'assassino e come ha fatto. E come lui, non so a chi cacchio dirlo. Alla madre di Alina, sì, strano che adesso nella mia testa «quella ragazza» sia diventata Alina. Un nome letto sui giornali e una faccia cerea che sporgeva da un cassone del sudicio sono diventati una persona. Una persona reale, certo. Una che aveva vissuto, bevuto, amato, e che si era fidata troppo della persona sbagliata. Non mi sento a mio agio, ora. Finché era un gioco, un esercizio, andava bene. Ma ora... senti, non è colpa tua. Questa cosa ti è capitata tra gli zebedei senza che tu te la cercassi, e ora che hai capito cosa è successo devi solo provarlo. Non è che tu la trovi una buona spiegazione, è semplicemente la spiegazione giusta. Punto. Anche se è brutta. Non puoi farci nulla. Forse è meglio se incomincio andando da Fusco. Prima, però, la doccia e mi cambio. L'unica volta in vita mia in cui scopro un assassino, cacchio, mica posso farlo tutto incrostato di salmastro e con la maglietta di Daffy Duck.

Massimo Viviani gestisce un bar nella piccola località turistica di Pineta, in Toscana. Nonostante gli sforzi per elevare il tono del suo bar, l'atmosfera è irrimediabilmente "guastata", a suo parere, dal continuo stazionamento di un gruppetto di vecchietti, capitanati dal nonno di Massimo, Ampelio. I quattro anziani non hanno di meglio da fare che starsene al bar tutto il giorno, giocare a carte e a biliardo, occupare il tavolo migliore (con somma disperazione di massimo) e chiacchierare.
Un giorno, il cadavere di una ragazza viene ritrovato in un cassonetto, e questo sì che darà da parlare ai quattro vecchietti, che riusciranno a infilarsi a forza nell'ingranaggio delle indagini, trascinando Massimo con loro - suo malgrado.
 
Malvaldi è oramai un autore molto noto; alcuni dei suoi romanzi sono stati anche adattati per la tv.
Questo è stato il suo primo romanzo. Qui è dove tutto è cominciato.
Il lettore si trova trasportato nell'immaginario borgo di Pineta, in un piccolo bar come ce ne sono tanti, frastornata dalle chiacchiere degli avventori abituali (non so voi, ma io ho avuto qualche difficoltà all'inizio a ricordare i nomi dei simpatici vecchietti).
La vitalità dei protagonisti più anziani (Ampelio, Pilade, Aldo e il Rimediotti) diventa immediatamente la protagonista del romanzo. Nonostante l'iniziale straniamento, ci sentiamo ben presto anche noi abituali frequentatori del Bar Lume. Merito sicuramente dello stile frizzante di Malvaldi, punteggiato qua e là di modi di dire toscani che rendono tutto ancora più vivo e reale.
Massimo, il barrista, come si definisce lui, è la voce pacata della ragione, che smorza gli entusiasmi, analizza con metodo matematico e riflette su ogni circostanza.
L'ironia, le battute, le prese in giro colorite che i protagonisti si scambiano restano comunque solo un contorno per caratterizzare l'ambientazione del romanzo, e non prendono mai il sopravvento.
La narrazione è finalizzata a raccontare le indagini, e lo stile gradevole, scorrevole e leggero di Malvaldi è il mezzo, non certo il fine.
 
La trama gialla ha un impianto classico. Si parte con il ritrovamento del cadavere della vittima - ma senza mostrare l'omicidio, e si arriva all'epilogo in cui Massimo ricostruisce tutta l'indagine e si assicura che ogni pezzo del puzzle sia andato al suo posto, passando per un discreto colpo di scena che scardina completamente le premesse iniziali.
Solitamente nei romanzi odio gli spiegoni, ma trovo che nei gialli, specie in quelli forniti di varie distrazioni come questo, siano utili e fondamentali. Li adoro!
 
Solo un autore che sa il fatto suo può permettersi senza timore un riepilogo analitico e completo.
 
Voto: 7 e 1/2.
 
 
 

Agatha Raisin e la giardiniera invasata...

...di M. C. Beaton.


La scheda del libro sul sito della Astoria Edizioni

Agatha Raisin è tornata dalle vacanze per scoprire che il suo affascinante ma sfuggente vicino James ha una nuova simpatia: è Mary Fortune, una nuova arrivata a Carsely, bella donna e giardiniera provetta. Ad Agatha risulta immediatamente antipatica ... è solo gelosia, oppure c'è qualcosa di strano in quella donna, che si comporta in maniera bizzarra e spesso crudele?
Mentre la Giornata dei Giardini Aperti si avvicina, ed Agatha è decisa a primeggiare a tutti i costi, strane cose cominciano ad accadere, atti di vandalismo, pesciolini uccisi, ed alla fine un omicidio. Pane per i denti di Agatha.
 
La protagonista Agatha Raisin questa volta si trova a dover affrontare un sentimento che finora le era sconosciuto: la gelosia. James non gradisce he gli si dia la caccia e preferisce alla compagnia di Agatha quella di Mary Fortune, donna interessante e sicura di sé, che non ha bisogno di correre dietro agli uomini per farsi notare.
Eppure c'è qualcosa di strano nel suo modo di comportarsi; osservazioni crudeli buttate lì in modo apparentemente innocuo e giocoso.
 
“Quel tuo amichetto muso giallo è andato in giro a ficcare il naso in tutti i nostri giardini,” disse Mary con aria languida. Agatha la guardò, irritata. “A volte non ti capisco proprio, Mary,” disse. “Sei sempre così gentile e poi ogni tanto salti su con qualche osservazione sgradevole. Il mio amico, Bill Wong, è cinese per metà. Sua madre è di Evesham. Non mi va che qualcuno lo chiami muso giallo.” Mary rise. “Credo che tu abbia una simpatia per lui, Agatha. Mi sa che ho trovato il tuo punto debole.” Il suo sguardo si spostò su Roy, che stava tornando. “Ti piacciono giovani.” “Non fare la stronza con me, Mary,” disse Agatha, con gli occhi ridotti a fessure. “Ho avuto a che fare con stronzi professionisti, io.”
 
Agatha è la prima ad accorgersene, e quando Mary viene trovata morta con la testa infilata in un vaso da giardiniere, non può fare a meno di pensare che il carattere orribile di Mary debba esser collegato all'omicidio.
E così Agatha, coadiuvata da James, indaga.
Il modus operandi è sempre quello: Agatha con il "tatto" ( o sarebbe meglio dire con l'assenza di esso) cerca di mettere a nudo le piccole meschinità della vita di campagna. Solleva la cortina di ipocrisia così ben tenuta e curata, guadagnandosi la fama di "vecchia impicciona".
Eppure il suo metodo è efficace, sia per la risoluzione delle indagini sia per la soddisfazione del lettore.
Ho adorato andarmene in giro per Carsely insieme a Agatha, domandando, spiando, discutendo.
In questo romanzo ancor di più che nei precedenti, la vita del villaggio è in protagonista. Ho sentito gli echi dei placidi gialli campagnoli di Miss Marple mentre Agatha e James vanno con una scusa di casa in casa per scoprire cosa ci fosse sotto la patina di cordialità di Mary Fortune, e cosa davvero i paesani pensassero di lei.
Alla fine il colpevole appare la persona meno probabile a prima vista; ma anche l'unica persona, a conti fatti, che aveva modo, movente e opportunità.
L'allegro (e un po' disincantato) spaccato di vita della campagna inglese che M.C. Beaton ci offre è promosso anche come romanzo giallo.
L'unica cosa che mi impedisce di dargli un voto più alto è la sua caratteristica di giallo atipico, dove le indagini non sono né rigorose, né ben organizzate.  Gli indizi non sono ordinati e si procede a tentoni. Ma ci si diverte molto mentre si procede.
 
Voto: 7.
 
 

martedì 23 agosto 2016

Agatha Raisin e il veterinario crudele...

...di M. C. Beaton.



La scheda del libro sul sito della Astoria Edizioni

Avevamo lasciato Agatha alle prese con la soluzione di un caso di omicidio, e con il suo vicino, l'affascinante James Lacey. Agatha è decisa a conquistarlo, ma lui è molto sfuggente...forse perché la donna gli da la caccia, inseguendolo fino alla Bahamas.
Così quando in città arriva un nuovo e aitante veterinario, un po' per curiosità, un po' nella speranza di far ingelosire James, la nostra eroina comincia a frequentarlo, prima professionalmente, poi per una cena (o due). Quando l'uomo viene ucciso, ad Agatha sembra una buona idea per riavvicinarsi a James indagare insieme a lui sull'omicidio. Come al solito, riuscirà a causare un mare di guai.
Ed eccoci arrivati al secondo volume della serie di Agatha Raisin, investigatrice dilettante, burbera e impicciona, che fuma, beve, dice parolacce ed ha un estremo bisogno di essere amata. La sua incredibile mancanza di capacità introspettiva riguardo ai sentimenti la porta a cercare una relazione con il nuovo aitante veterinario di Carsely, nella speranza di far ingelosire il bel James Lacey, suo sfuggente vicino. A questo punto, dopo una fallimentare vacanza alle Bahamas alla ricerca di James, anche i sassi del suo giardino hanno capito che al signor Lacey non piace che gli si corra dietro. Ma Agatha è assolutamente carente in quanto ad abilità sociali, e questa è anche la cifra stilistica delle sue indagini. Procede a casaccio, tirando a indovinare, non nascondendo simpatie e antipatie,  pone domande brusche, indelicate, punta il dito senza pietà e per questo risulta semplicemente vera, e adorabile come un cucciolo maldestro.
Il caso stavolta sembra evanescente; la polizia è incline a etichettarlo come incidente, perché sembra che il dott. Paul Bladen si sia iniettato per errore un pericoloso sedativo per cavalli mentre eseguiva una delicata operazione. Anche Agatha finirebbe per crederci alla tesi dell'incidente, se non fosse che l'indagine è l'unica cosa che attualmente hanno in comune lei e James. Perciò deve andare avanti.
Non avendo una vera e propria pista da seguire, Agatha applica quello che diventerà il suo metodo investigativo collaudato: rimestare nel fango, tirare fuori gli scheletri dagli armadi e vedere che succede.
La trama gialla non è particolarmente intricata, il mistero non è fitto, ma il libro è comunque molto piacevole. I puristi del giallo potrebbero storcere il naso, ed in effetti questa non è un mistery; è piuttosto la storie di un'adorabile e imperfetta cinquantenne che tenta di rimettere in piedi la sua vita... e di tanto in tanto inciampa in un caso di omicidio, e non è disposta a lasciar fare alla polizia.
La campagna inglese, co-protagonista del romanzo, é deliziosamente monotona e convenzionale.

Voto: 7

Agatha Raisin e la quiche letale...

...di M.C. Beaton.


La scheda del libro sul sito della Astoria

Agatha Raisin ha 53 anni ed è una PR, la più tosta, la più brava, la più scorbutica di Londra. Quando sente di aver raggiunto un certo benessere economico, decide di vendere la sua agenzia e di cambiare vita acquistando un cottage a Carsely, nei Cotwolds, ridente regione della campagna inglese.
Cercando di integrarsi nella vita del villaggio Agatha decide di partecipare ad una gara culinaria, ma abituata alle prepotenze e ai sotterfugi del mondo delle pubbliche relazioni londinesi, decide di barare, e compre una quiche già pronta in un negozio di Londra. Quando uno dei giudici muore dopo averla assaggiata, per Agatha cominciano i guai: sbugiardata e sospettata di omicidio, dovrà investigare per tirarsi fuori dai pasticci.
 
Agatha aveva cinquantatré anni, capelli di un castano scialbo, un viso squadrato e insignificante, corporatura tozza. L’accento era passabilmente Mayfair, tranne nei momenti di tensione o quando era eccitata, perché in quel caso saltava fuori la vecchia voce nasale genere Birmingham, residuo di gioventù. Nelle pubbliche relazioni è utile avere un certo fascino, e Agatha ne era del tutto sprovvista. I risultati li otteneva applicando in modo alternato la tecnica poliziotto buono/poliziotto cattivo; ora faceva la prepotente ora la ruffiana, per conto dei suoi clienti. I giornalisti, pur di levarsela di torno, spesso finivano per concedere loro dello spazio. Era anche un’esperta in ricatto affettivo, e tutti quelli che erano così incauti da accettare un dono o un invito a pranzo da parte di Agatha, poi venivano braccati senza vergogna finché non ricambiavano in natura. Tra i suoi dipendenti era popolare, perché nell’insieme erano una manica di deboli, gente frivola, il tipo di persone che trasformano in leggenda chiunque abbia il potere di atterrirli. Agatha era descritta come “un bel tipetto”, e come tutti i bei tipetti che dicono quello che pensano non aveva amici veri. La sua vita sociale iniziava e finiva nel lavoro. Mentre si alzava per andare a raggiungere il gruppo, una piccola nube offuscò l’orizzonte della mente di Agatha, di solito poco incline alle elucubrazioni. Di fronte a lei si stendevano giornate vuote: niente più lavoro da mane a sera, niente trambusto, niente rumore. Come avrebbe fatto a resistere
 
Con questo piacevole giallo facciamo la conoscenza di Agatha Raisin, sicuramente la più indisponente tra gli investigatori dilettanti del panorama letterario. Dopo una vita passata a fare lo squalo nel mondo delle pubbliche elazioni londinesi, Agatha pensa che la vita di campagna sarà uno scherzo; invece si ritrova sola, isolata e senza amici. Del resto non ha mai avuto tempo o voglia di coltivare le amicizie, e si ritrova a cinquant'anni a non sapere da che parte cominciare.
Certo, il buon senso avrebbe dovuto suggerirle che barare ad una gara culinaria sperando di diventare popolare non è esattamente un buon modo per iniziare la sua nuova vita... ma presto scopriremo che tra le qualità di Agatha il buon senso non è quella preponderante.
La nostra protagonista si muove nel mondo tranquillo e rilassato della campagna inglese con la grazia di un rinoceronte in una cristalleria, e la fragilità di un'adolescente che teme di essere rifiutata.
Decide di applicare i suoi metodi spicci da regina delle pubbliche relazioni anche a Carsely, con risultati non proprio esaltanti, ma sicuramente divertenti per il lettore.
 
Il dipanarsi della trama gialla è anch'esso originale come la protagonista. L'indagine procede a tentoni, con Agatha che da ascolto più alle sue simpatie (e soprattutto antipatie) che alle deduzioni logiche e coerenti. Ma c'è qualcosa in questa indagine che affascina il lettore. Probabilmente il realismo della vita di campagna descritto con sguardo divertito e indulgente; i progressi di una investigatrice davvero improvvisata ma molto umana e reale, progressi che possiamo facilmente seguire anche noi, e piste che si rivelano vicoli ciechi, ma che in fondo andavano esplorati; una simpatica galleria di personaggi secondari, nessuno dei quali impeccabile perfetto.
 
Agatha non ha l'acume di Poirot, né lo spirito di osservazione la compostezza di Miss Marple, ma pur col suo caratteraccio e la sua impulsività, è simpatica. E alla fin fine, i suoi metodi si rivelano efficaci.

E poi, dopo aver letto questo romanzo, a me è venuta ina irresistibile voglia di preparare un quiche. Qualunque cosa sia.
 
Voto: 7

lunedì 22 agosto 2016

La ladra di ricordi...

...di Barbara Bellomo.


La scheda del libro sul sito della Salani.

Il professor Nardi, professore di museologia presso l'Università di Todi, riceve una sera una strana telefonata da un'anziana signora che gli parla di un antico cammeo, un tempo appartenuto ad Ottaviano, di cui si sono perse le tracce. La donna sostiene di averlo con sé e che qualcuno vuole portarglielo via. La comunicazione si interrompe bruscamente, e il giorno dopo l'anziana donna viene ritrovata assassinata in casa sua. Del cammeo che diceva di avere, nessuna traccia.
E' così che inizia l'indagine che metterà insieme tre diverse personalità: il professor Nardi, vedovo e depresso, il commissario Caccia, amante del jazz che sente incombere la crisi di mezza età, e la giovane ricercatrice Isabella De Clio, siciliana in trasferta a Todi, che sta lavorando a una monografia sui cammei antichi.
Prima di scrivere una recensione, mi piace andare a leggiucchiare qua e là le recensioni altrui; mi aiuta a focalizzare quello che io vorrei dire sul libro appena concluso. Ho fatto la stessa cosa con La ladra di ricordi, riuscendo a reperire solo recensioni ampiamente positive. Mi dispiace di essere, per questa volta, una voce fuori dal coro: questo romanzo non è riuscito a convincermi a pieno.
Non nego esistano aspetti molto positivi e interessanti, ma è altrettanto vero che qualcosa, nell'impianto di base della storia, non funziona a dovere, secondo me.
Partiamo dai punti positivi. I protagonisti, in special modo Isabella, che è la ladra del titolo, non sono male.
Isabella soffre di cleptomania, un tratto della personalità originale e insolito da trovare in un investigatore (seppur dilettante). L'idea mi è piaciuta molto e trovo che sia un punto a favore dell'autrice e della sua capacità di narrare storie interessanti.
La parte centrale del romanzo, quella in cui Isabella e il professor Nardi ricostruiscono a ritroso la storia del cammeo e i suoi passaggi di mano in mano è la parte più avvincente del romanzo. Mescola la storia del Novecento con quella di una famiglia potente e con un segreto custodito per moltissimi anni.
Proprio da questo punto vorrei partire per illustrare quelle che sono - sempre a parer mio - le dolenti note: questa parte avrebbe meritato una ricostruzione più ampia, più accurata, e scevra da espedienti narrativi banali e abusati, quali la bella Isabella che sbatte gli occhioni per ottenere informazioni, oppure la bella Isabella che ottiene informazioni riservate rubando documenti dell'anagrafe, il cui impiegato si è provvidenzialmente distratto.
L'impianto della trama gira tutto intorno a questo misterioso cammeo, che poi di misterioso non ha granché: è "semplicemente" antico, e non è nemmeno sicuro che l'anziana vittima lo possedesse davvero. Eppure le indagini si dirigono subito verso il cammeo, nell'esplorare la sua storia e ricostruire i vari passaggi, lasciando altre piste investigative inesplorate. Perché? Perché come movente il cammeo antico appartenuto prima a Marco Antonio (o meglio, a sua moglie Fulvia) e poi a Ottaviano fa più figo rispetto a una rapina finita male. Anche quando pare abbastanza certo che la vittima trafficasse reperti antichi non si scava nel mondo dei trafficanti d'arte, ma sempre e solo in direzione del cammeo. Perché? Perché sì.
A voler essere precisi, la storia del cammeo è importante fino ad un certo punto per la risoluzione del caso. E' interessante, avvincente ma di scarso aiuto. Anzi, diciamo che non serve quasi a nulla.
In particolare, i flashback ambientanti nel primo secolo avanti Cristo, all'epoca del triumvirato, non hanno alcun legame con la storia ambientata ai giorni nostri. Per quanto affascinanti, appena finiti di leggere questi flashback, non potevo fare a meno di chiedermi e quindi?
Certo, erano interessanti, ma erano completamente slegati dalla trama.
E' come se questo romanzo fosse un mix di elementi di per sé di buona qualità, ma non amalgamati nel modo giusto. Le cerniere tra le varie parti che compongono la storia non sono sufficientemente forti.
Questa scarsa coesione e solidità nella trama mi ha lasciato un senso di insoddisfazione al termine della lettura.
Sento la necessità di sottolineare, inoltre, come nel finale ci sia una imprecisione di natura giuridica molto molto grossa: un bene rubato e posseduto clandestinamente non può essere usucapito né tantomeno essere lasciato in eredità (perché non è di proprietà della persona che ce lo aveva materialmente) e vedere l'erede di chi lo aveva rubato dichiarare allegramente di voler agire in giudizio per rivendicarne la proprietà, e vederlo nel frattempo disporre del bene come meglio crede mi ha infastidito non poco. Ok, deformazione professionale, lo so.
Voto: 6

Ogni giorno come se fossi bambina...


...di Michela Tilli.
 
 

La scheda del libro sul sito della Garzanti.

Ma mano a mano che Arianna si abituava e procedeva, il suo interesse si faceva sempre più vivo, e anche il senso di colpa, e la paura di essere sorpresa, perché tra le dita si trovava all’improvviso un’anima messa a nudo; e più si diceva che avrebbe dovuto smettere, come quando si sorprende qualcuno nell’espressione della sua intimità e si distoglie lo sguardo, più cresceva il desiderio di andare avanti e immergersi in quel mare di sensazioni dense.
 
Arianna ha sedici anni. Si sente goffa e insicura anche a causa dei suoi chili di troppo, ed è a suo agio solo con i suoi libri o mentre scrive il suo blog. Quando viene bocciata a scuola, i genitori decidono che è il momento che si prenda delle responsabilità, e la costringono a diventare la badante di Argentina, ottantenne che ha ancora il senso del meraviglioso di una bambina.
Argentina ha un segreto, delle lettere che giungono dal paese che ha lasciato cinquant'anni prima.
Quando Arianna svela il segreto di queste lettere, dopo un primo momento di smarrimento, le due donne iniziano a comprendersi e intraprendono un viaggio che le cambierà entrambe.
 
Argentina che, dall'alto dei suoi ottanta anni, vive la vita ancora come fosse un gioco meraviglioso; aspetta le sue lettere segrete e vive di piccole gioie e sogni. Come se davvero fosse ancora una bambina, cerca i suoi spazi eludendo l'autoritarismo della figlia Monica, perennemente preoccupata ma costantemente impegnata.
Arianna ha sedici anni e anche lei vive veramente solo quando legge e quando scrive, non lettere come Argentina, ma libri e recensioni sul suo blog. Incompresa dai genitori, che le vogliono bene ma non si sforzano più di tanto di capirla, arrivando inconsapevolmente a farle del male (vi dirò, la scena in cui le portano via a tradimento il computer mi ha fatto stare veramente male), Arianna sembra già aver gettato la spugna.
 
Due personaggi che inizialmente sembrano assai diversi, ma che in realtà sono molto simili. Hanno entrambe il loro angolino, la loro comfort zone che non vogliono lasciare, e forse è questo che in fondo le spinge ad avvicinarsi. Si conoscono davvero attraverso la parola scritta, e decidono che è arrivato il momento di passare dalle parole ai fatti: è il momento di vivere la vita in prima persona, facendo un viaggio che Argentina ha rimandato troppo a lungo.
Così lontane, e così vicine, Argentina ed Arianna danno vita ad una storia bella e delicata. Non solo un viaggio nei sentimenti e negli spazi più intimi dell'anima, ma una vera e propria trama a metà strada fra il romanzo di formazione e il romanzo on the road.
Michela Tilli da un nuovo significato alla definizione "romanzo di formazione", perché non sarà solo la giovane Arianna a formarsi ed uscire dal suo guscio, ma anche Argentina, ormai anziana, completerà la sua maturazione e troverà il suo posto.
La parte "on the road" del romanzo è la mia preferita, ed è fresca e originale. Le due improbabili Thelma e Louise, sfuggite alla sorveglianza della figlia di Argentina, si mettono in viaggio da Milano a Grassano, profondo Sud, per cercare quello che Argentina ha lasciato molti anni prima. Un viaggio non facile, e non privo di imprevisti.
E una volta giunte a destinazione, per entrambe ci sarà un mondo intero da scoprire, con un piccolo, delizioso colpo di scena.
 
Cominciarono a nominare persone, soprattutto donne, e a fare collegamenti e ricordare aneddoti. La più giovane azzardava delle ipotesi, sosteneva che Argentina dovesse conoscere questo e quello, o essere imparentata con il tale e il tal altro, ma la madre la interrompeva sempre e le spiegava perché le cose non potevano stare come diceva lei. Di tanto in tanto dicevano qualcosa che ad Argentina ricordava qualcos’altro e allora, sebbene i dettagli non sembrassero coincidere, si sorridevano e si stringevano le mani. C’erano alcuni nomi di vecchi parroci che parevano avere un significato per tutte e tre ed episodi della guerra che anche le due donne, che all’epoca non erano ancora nate, ricordavano come fosse ieri. E poi c’erano eventi tanto importanti e famosi che persino Arianna ne aveva sentito parlare. Ricordarono la banda caduta nel fosso al ritorno da una festa e tanta gente emigrata, che non era la stessa gente per l’una e per l’altra, ma era stata la stessa storia per tutti quanti.
 
Con quanta delicatezza e profondità Michela Tilli riesce a parlarci dei sentimenti di Argentina, della speranza di sentirsi ancora vivi, della paura di cambiare, di osare, di cercare ciò che potrebbe renderci felici, a qualunque età. Con la stessa delicatezza, l'autrice accenna al dramma dell'emigrazione, che troppo spesso è scelta obbligata, e con poche, semplici pagine ci descrive la tristezza, il senso di smarrimento nel ritornare e allo stesso tempo la gioia di ritrovare un legame che non si spezza mai davvero.
 
Il finale dolce amaro è poi la ciliegina sulla torta.
 
Voto: 8