martedì 19 dicembre 2017

La vedova...

...di Fiona Barton.

La scheda del libro sul sito Einaudi

Jeanie è diventata vedova da poco. Ha i giornalisti alla sua porta perché suo marito Glen era stato accusato di aver rapito e ucciso una bambina di due anni. Chi era davvero Glen? E chi è davvero Jeanie? Cos'era il loro matrimonio? C' è davvero un segreto oscuro da svelare nelle loro vite? O si tratta dell' ennesima, insensata caccia al mostro messa in piedi da un certo tipo di giornalismo, affamato di scoop e sensazionalismo?

La vedova è, secondo me, un thriller ben riuscito.

La storia in realtà è molto semplice: una madre lascia incustodita la sua bambina in giardino e la bimba, Bella, scompare. Le indagini faticano a trovare una pista, anche se ad un certo punto gli indizi indicano in Glen Taylor il possibile colpevole. Ciò che rende questa storia apparentemente semplice speciale è il sottile senso di dubbio che non ci abbandona mai. In un certo momento, Glen ci sembra colpevole; in un altro siamo costretti a ricrederci; in un altro ancora il dubbio torna a tormentarci. Mi è piaciuto molto questo modo di costruire un thriller che ti tiene incollato alle pagine senza bisogno di esplicite scene di violenza o inseguimenti mozzafiato.

Il senso di inquietudine viene sostenuto e alimentato dai personaggi, ognuno di quali racconta la sua verità.
I capitoli riportano tutti una data e il personaggio dal cui punto di vista viene narrata la storia. Ognuno dei personaggi è identificato con il ruolo che ha avuto nella vicenda del rapimento. È importante prestare bene attenzione alle date, perché il gioco dei flashforward e flashback attorno a cui è costruito il romanzo è parte integrante della trama. Mi spiego: ognuno dei personaggi coinvolti, la vedova, la giornalista, l'ispettore, la madre, racconta un pezzetto di verità, ed è fondamentale che ogni frammento della storia venga contestualizzato. Da questo punto di vista l' autrice ha fatto un gran lavoro, perché nonostante i diversi punti di vista e i diversi piani temporali, tutto torna, tutti i racconti alla fine concordano tra loro e, a patto di prestare attenzione alle date, il lettore non corre il rischio di perdersi nella narrazione.

Insomma, questo è un libro che si lascia leggere facilmente ed è molto piacevole e scorrevole. Se proprio dovessi trovargli un difetto, è un' eccessiva mancanza di colpi di scena.
Chi ha letto qualcuna delle mie recensioni sa che io odio i colpi di scena estremi, quelli che sembrano piazzati lì a caso nella trama solo per stupire il lettore a tutti i costi.
Ecco, in questo romanzo invece mi sembra siamo sul fronte opposto: quando ho cominciato a intuire dove saremmo andati a parare, mi aspettavo un guizzo, un colpo di coda, la rivelazione di qualcosa che non avevo ancora intuito. E invece no.

Leggere questo romanzo è come essere su di un treno che procede sui binari immersi nella nebbia. La via è tracciata, ma non la si vede chiaramente; resta sempre il dubbio su quale sia la meta, ma non ci saranno folli scambi a invertire la rotta. A me il viaggio è piaciuto.

Voto: 7

sabato 16 dicembre 2017

Il seme del male...

... di Joanne Harris.

La scheda del libro sul sito della Garzanti

Cambridge, prima metà del 1900 circa. Daniel Holmes, uno studioso presso l'Università, salva una ragazza che si era gettata nel fiume. Rosemary, questo è il suo nome, è bellissima e la sua purezza e il suo candore conquistano l'uomo. Eppure Rosemary ha qualcosa di inquietante e nasconde un segreto...
 
Cambridge, giorni nostri. Alice, pittrice in cerca di ispirazione, vede nel cimitero di Grantchester, la lapide di una giovane donna, Rosemary Virginia Ashley. L'iscrizione le lascia un profondo senso di inquietudine: qualcosa in me ricorda, e non vuole dimenticare.
Il giorno dopo, il suo ex, Joe, le chiede di ospitare per qualche tempo la sua nuova fiamma Ginny, e quel senso di inquietudine si impadronisce nuovamente di lei. Perché Ginny si comporta in maniera misteriosa, si finge insicura e indifesa davanti a Joe, ma è inquietante quando è sola, incontra nottetempo amici che nega di conoscere, esce di notte e scompare. Suo malgrado, Alice si ritroverà a combattere forze oscure e potenti che vogliono annientarla.
 
Questo è il primo romanzo che Joanne Harris, celebrata autrice di Chocolat, ha scritto. L'autrice stessa ha confessato di vergognarsi un po' di questo lavoro giovanile, ma secondo me non ne ha motivo. Tutto sommato il romanzo, pur avendo dei difetti ed essendo a tratti un po' ingenuo, è leggibile e piacevole.
 
Per prima cosa, questo è un libro sui vampiri (e no, tranquilli, non sto spoilerando niente perché è la stessa Harris a ribadirlo nella propria nota che precede il romanzo), e già questa è una cosa degna di nota.
La storia si svolge su due piani temporali, distinti chiamando semplicemente uno il piano ambientato nel XX secolo, e due quello ambientato ai giorni nostri.
 
Inizialmente non sappiamo cosa leghi tra di loro le due narrazioni, ma in entrambe l'inquietudine e una sottile sensazione di non essere completamente al sicuro pervadono il lettore.
La cosa migliore di questo libro infatti, è proprio questa: le creature soprannaturali, chiamiamole vampiri anche se vanno tranquillamente a spasso di giorno, sono enigmatiche, pericolose, perverse, misteriose. Fanno tutto quello che un vampiro deve fare (e grazie al cielo non risplendono alla luce del sole).
Le atmosfere del romanzo sono squisitamente gotiche, affascinanti, misteriose. Lo stile della Harris è già quello poetico ed evocativo che si svilupperà nei romanzi successivi. Alcuni passaggi riescono a far correre brividi lungo la schiena.
 
All'improvviso la sentii lì, la sua presenza che riempiva il cimitero. Il suo odio e, insieme all'odio, il divertimento. Il profumo di rosmarino si diffondeva dalla piccola fila di cespugli davanti a me, scaldato dall'obliquo sole invernale, dolce e stranamente nostalgico, il profumo delle cucine di campagna, di cassetti riempiti di biancheria candida, di ragazze di campagna che si pettinavano i lunghi capelli con olio di rosmarino. [...] Ero così convinto che lei si trovasse lì che quando alzai gli occhi in effetti la vidi all'ombra dell'albero di biancospino, poi fu solo un miscuglio di luce e ombra sul sentiero nudo, dove una chiazza di erbacce marroni e gelate ondeggiava in modo quasi impercettibile sopra una pietra tombale che non avevo mai notato prima.[...]
Non so perché allora mi avvicinai: avrei dovuto sapere che non mi avrebbe arrecato alcun bene. Forse volevo sapere che cosa era passato nella mente del mio amico prima del suicidio, come se la mia penitenza davanti alla sepoltura di Rosemary potesse aiutare la sua anima torturata a riposare. Forse provavo qualche senso di colpa. Perché l'avevo uccisa io, sapete, o almeno, avevo fatto il meglio che potevo. O forse andai per la stessa ragione per cui la giovane ragazza guarda nella stanza di Barbablù, per la stessa ragione per cui i due bambini vanno alla casa di pan di zenzero, o il ragazzino lascia che il genio esca dalla lampada...
   Lessi l'iscrizione, certo. In fondo era per questo che mi trovavo lì.
    
   QUALCOSA IN ME RICORDA E NON VUOL DIMENTICARE.
   ROSEMARY VIRGINIA ASHLEY
   AGOSTO 1948
    
   Qualcosa in me ricorda... Dopo di allora ci andai spesso, non riuscendo a farne a meno, affascinato, nauseato e terrorizzato allo stesso tempo. Qualcosa in me ricorda... Solo io capivo veramente quelle parole. [...] Era un messaggio per me da parte di Rosemary. Un grido di sfida da oltre la tomba. Non è morta e vuole che io lo sappia. Ha tutto il tempo che vuole. E lei ricorda ancora.
   Ma non ho paura. Sono al sicuro. Ho ancora la mia mano finale da giocare, l'ultima carta che mi terrà al sicuro. E sai qual è l'ultima carta che ho? Sei tu, amico. Non mi credi? Lo farai. Mentre leggi questo diario mi odierai, disprezzerai, ma non potrai fare a meno di credermi. Va bene, non devi farlo tutto in una volta: riponi il libro in un cassetto, dimenticalo per un po', per anni, se vuoi, ma ritornerai. So che lo farai. Dovrai tornare, prima o poi, perché lei è qui. Ti sta aspettando. Proprio come aspettava me. Quindi fai attenzione.
   Quando arriverà il momento, molto può dipendere dal modo in cui ti giocherò.
 
Questo estratto cristallizza molto bene lo stile e le atmosfere del romanzo.
La trama è costruita intorno alla misteriosa ambiguità delle creature malefiche che risorgono dalla tomba, e hanno un loro piano per distruggere gli incauti che si lasciano affascinare dalla loro fredda bellezza.
Da questo punto di vista il romanzo è perfetto, godibile, un piccolo gioiello tenebroso.
 
Il suo vero difetto non è nel lirismo delle descrizioni; nelle atmosfere dal sapore romantico o nei personaggi consumati dall'amore come da una febbre. Il vero difetto del romanzo sta nella sua eccessiva prolissità. Se fosse stato rimaneggiato e tagliato e rivisto in un'ottica più sintetica si sarebbe potuto parlare davvero di capolavoro.
Ma la trama, già priva di clamorosi colpi di scena per sua stessa natura, si trascina troppo lungamente. Il filo rosso che lega i due piani temporali tarda a rivelarsi; e il finale, sebbene un po' prevedibile, sarebbe stato accettabile se fosse stato meno confusionario e meno involuto.
 
Insomma, io ho amato le atmosfere gotiche, che non sono semplici da ritrovare in un romanzo moderno. Ho amato Rosemary e ho amato la concezione del risorgere dalla tomba descritta dalla Harris. Ma avrei gradito qualche capitolo in meno, per garantire maggiore tensione e coesione nelle vicende.
Resta comunque una buona storia, consigliata ai nostalgici dei vampiri classici.
 
Voto: 6 e 1/2.

Il detective che ama i libri...

... di John Dunning

La scheda del libro sul sito della Rusconi

Cliff Janeway è un detective della polizia di Denver con un conto in sospeso con Jackie Newton, piccolo delinquente locale. Lo scontro tra i due diventa violento, e Janeway si dimette e si dedica al suo sogno: aprire una libreria di libri rari e di valore. Ma il mondo dei libri non è tranquillo come Janeway sperava, e presto l'omicidio di Bobby Westfall, cacciatore di libri squattrinato, scuote l'ambiente e costringe Janeway a mettersi sulle tracce di un assassino che non smette di uccidere per raggiungere i suoi scopi.
 
Libro singolare questo, che mi è capitato tra le mani per caso.
 
Il protagonista, Cliff Janeway, è un duro non  dal cuore tenero, ma dall'animo colto. Affascinato dai libri, nel tempo libero coltiva la sua passione per quelli più pregiati. Non libri antichi, ma libri moderni nelle loro prime edizioni. Libri che raggiungono, sul mercato, cifre di tutto rispetto, intorno alle migliaia di dollari. Qualcuno potrebbe uccidere per questo?
La risposta a questa domanda diventa drammaticamente evidente quando Bobby Westfall viene trovato morto in un vicolo. Si mormora che stesse per fare il colpo della sua carriera, e le cose si complicano quando in scena entrano una donna bella e misteriosa, anche lei cacciatrice di libri, ed un malavitoso locale violento e senza scrupoli.
Le atmosfere del noir americano sono centrate in pieno, gli elementi tipici sono tutti presenti, mentre l'argomento libri rappresenta il tratto di rottura con i cliché e l'elemento di novità rispetto ad altri romanzi dello stesso genere.
Belle le citazioni tratte dai libri, quasi tutti classici moderni; interessante ambientare un torbido giro di minacce e omicidi nel mondo dei cercatori di libri; eppure non mi sento di apprezzare questo romanzo fino in fondo.
 
In primo luogo, c'è una lunga, lunghissima parte del romanzo (che io ho percepito quasi come una sorta di premessa alla vicenda) in cui l'omicidio di Bobby Westfall passa in secondo piano e ci viene narrato lo scontro, ormai alle battute finali, tra Janeway e Jackie Newton. Questa storia secondaria non viene portata avanti parallelamente alle indagini per l'omicidio, anzi, ruba spesso la scena a quello che dovrebbe essere il cardine della trama (ovvero, la ricerca dell'assassino).
Questa cosa ha appesantito il romanzo, che già conta oltre 400 pagine, senza apportare benefici significativi.
 
Secondo rilievo da fare, i due mondi - quello noir dei sordidi omicidi e quello colto ed elitario dei cacciatori di libri - non sono fusi bene. Per tutto il romanzo ho avuto la sensazione che Janeway fosse totalmente fuori posto, e non escludo che questa fosse magari l'intenzione dell'autore, che voleva fare del suo detective un outsider in entrambi i mondi. Eppure non sono riuscita a togliermi di dosso la sensazione che la fusione non fosse stata completata con successo.
I lunghi e frequenti excursus sul mercato dei libri, su prezzi, reperibilità, librerie non sono stati di aiuto. Anzi, probabilmente hanno contribuito a creare la sensazione di fastidio, di spezzettamento della trama che ha poi generato le impressioni che descrivo sopra.
 
Insomma, un libro con buoni spunti ma non perfettamente riuscito.
Voto: 6 e 1/2

lunedì 27 novembre 2017

La sposa normanna...

... di Carla Maria Russo.




La scheda del libro sul sito della Piemme Edizioni

Costanza d'Altavilla, principessa normanna, vive serenamente in convento da quindici anni quando viene costretta a lasciare la vita monastica e sposare il figlio dell' imperatore Federico di Svevia, Enrico. Il matrimonio si rivela subito un calvario: Enrico è un uomo rozzo e violento, che gode nell'umiliare la bellissima e raffinatissima moglie. Determinato a distruggere tutto ciò che Costanza ama, Enrico cala in Italia per rivendicare la corona del regno normanno nel Sud Italia, devastando il paese lungo il cammino.

Quando ho iniziato a leggere questo romanzo, sono rimasta un po' perplessa. Stentavo a riconoscere tra le pagine la scrittrice che mi aveva fatto ridere e piangere con il meraviglioso Lola nascerà a diciott'anni. La scrittura mi sembrava algida e distante, e credevo che il libro non mi avrebbe mai presa, per così dire.
Poi, dopo i primi capitoli, mi sono ritrovata immersa nella lettura e dimentica del tempo e delle pagine che scorrevano. Ho divorato (e scusate il termine abusato, ma è andata proprio così) il libro in un'unica serata. E con questa recensione sono qui a chiedermi cosa sia accaduto, e quale misterioso incantesimo la scrittrice abbia gettato su di me.

Probabilmente, le perplessità iniziali sono dovute al fatto che la Russo utilizza uno stile trasparente. L'autrice c'è, e lo si vede nella cura dei dettagli, ma resta rispettosamente in disparte, lasciando che siano gli eventi storici a parlare per lei. Questo crea, in principio, un senso di distacco, ma dopo qualche capitolo, gli eventi cominciano davvero a parlare. E prendono la scena, e sono vividi davanti ai nostri occhi, e scorrono senza intralci o rallentamenti inutili.
Ecco, secondo me l'incantesimo della scrittrice mi ha permesso di entrare nel Medioevo dalla porta principale.

La vita di Costanza d' Altavilla è un susseguirsi di eventi che non sfigurerebbero in un romanzo d' appendice. Violenza, un amore impossibile, guerre, intrighi, prigionia, crudeltà, perdita delle persone amate sono gli eventi con cui la principessa normanna dovrà confrontarsi negli anni del suo infelice matrimonio.
Il cardine attorno a cui ruota però l'intero romanzo è il desiderio di maternità di Costanza. Un desiderio a lungo frustrato dalle circostanze, ma che si rivela al lettore come puro e delicatissimo, perché nulla ha a che vedere con la ragion di stato. Costanza desiderava un figlio per colmare la sua vita d'amore, non certo per salvaguardare la propria precaria posizione presso la corte germanica, che le era ostile. Credo che la bellezza di questo personaggio stia in questo: Costanza non si fa travolgere dal gioco sporco che si consuma sopra la sua testa, gioco a cui ha dovuto sacrificare tutta la sua vita, per volontà altrui. Rimane fedele a se stessa e a ciò che ama, ovvero suo figlio e il regno del sud Italia.

Una menzione speciale merita Enrico di Svevia, che nella sua meschina crudeltà è allo stesso tempo un personaggio che ruba la scena del romanzo e per il quale non si può che provare pena e disprezzo.

Molto belli e avvincenti gli ultimi capitoli, che narrano dell'infanzia del figlio di Costanza,  Federico (futuro Federico II di Svevia), nei vicoli di una Palermo vivace e multiculturale.

Insomma, questo è un romanzo storico incredibilmente ben scritto, accurato, che sa suscitare sentimenti nel lettore e possiede il giusto mix di storia e immaginazione per affascinare il lettore.

Voto: 7 e 1/2.

domenica 26 novembre 2017

Mr. Zuppa Campbell, il pettirosso e la bambina...

... di Fannie Flagg.

La scheda del libro sul sito BUR Rizzoli

Oswald Campbell, cinico e disincantato cinquantenne di Chicago, riceve dal medico una diagnosi infausta: i suoi polmoni sono così malridotti che non sopravvivrà ad un altro inverno a Chicago. Il medico gli consiglia di svernare al sud, e Oswald sceglie la minuscola comunità di Lost River in Alabama, perché è l' unico posto che può permettersi.
Abituato alla solitudine e alla malattia, Oswald, orfano e senza famiglia, parte piene di pregiudizi e con poche speranze. Eppure a Lost River incontrerà una comunità che cambierà la sua vita.

Devo iniziare la recensione di questo romanzo dicendo quello che dico sempre dei libri di Fannie Flagg: questa storia è meravigliosa. Tenera, delicata, consolante. Lascia un sapore dolcissimo in bocca e riconcilia con il mondo.

Si tratta di una storia dal sapore natalizio (sebbene spazi in un arco temporale più ampio, la conclusione avviene a Natale ed è magica), perfetta per questo periodo.
Il protagonista, Oswald Campbell, non è propriamente il tipico personaggio dei romanzi di Fannie Flagg. Non è una persona dolce, empatica, affascinante o strampalata, parte di quelle comunità del sud degli Stati Uniti che abbiamo imparato a conoscere tramite questa autrice. È un solitario, messo a terra dalla vita, che ha rinunciato a sperare. Non ha affetti, non ha legami, non ha hobby. In parole semplici, conduce davvero una vita tristissima. Per sua fortuna il caso, e le sue scarse risorse economiche, lo portano a Lost River, dove ritroviamo tutta la galleria dei tipici personaggi della Flagg. C'è la vedova di mezza età compita, pilastro della società; la vecchietta strampalata; l'anziano saggio e bonario; la donna rimasta sola che affronta i problemi con naturalezza e sulla cui solidità tutti possono fare affidamento.
Nel minuscolo paesino, stretto fra i boschi e l'ansa di un fiume, vivono una cinquantina di persone, tutte con un fortissimo senso della comunità. Queste persone amano il loro prossimo senza affettazioni e senza secondi fini, e con la loro naturalezza riescono in brevissimo tempo a scardinare le difese di Mr. Campbell.

Figure centrali del romanzo sono, in tal senso, una bambina senza famiglia, Patsy, e l' uccellino che vive nell'emporio del paese, un cardinale di nome Jack (e non un pettirosso come nel titolo. La scelta del termine è però giustificata dal fatto che la parola cardinale nel titolo avrebbe potuto sviare il lettore italiano).
Campbell, Patsy e Jack son tre personaggi molto diversi tra loro, ma hanno in comune l' essere stai emarginati dai rispettivi ambienti di appartenenza fino a che non sono stati accolti nella comunità di Lost River. Non soltanto i tre diventeranno importanti per le persone che li hanno accolti, ma in maniera singolare diventeranno dipendenti l'uno dall'altro.

Il nocciolo del romanzo, e il suo senso profondo, sta proprio qui: tre figure che più diverse non potrebbero essere trovano finalmente il loro posto nel luogo più improbabile. Come a dire: ognuno di noi ha un cammino che conduce da qualche parte, un posto, un ruolo che ci aspettano.
Ad un certo punto, i pezzi del puzzle delle nostre vite vanno a posto da soli, ci dice Fannie Flagg. E questo è un pensiero dolcissimo e consolante.

Voto: 7

domenica 12 novembre 2017

Louisiana...

... di Maurice Denuziere.

Louisiana, 1830. Adrien de Damerville, ricco proprietario terriero di origine francese, ed il suo attendente Clarence Dandrige attendono l'arrivo a Bagatelle, la piantagione dove vivono, di Virginie Trégan, giovane orfana e figlioccia di Adrien. Virginie ha completato la sua educazione a Parigi, e si appresta a rientrare in Louisiana dopo una lunga assenza.
Al suo rientro non è più la bambina che aveva lasciato gli Stati Uniti: adesso è una giovane donna bellissima e spregiudicata. E con le idee molto chiare.
Ben presto diventerà insostituibile a Bagattelle, conquistando il cuore di tutti gli uomini che le capitano a tiro, mentre gli anni passano e la storia degli Stati Uniti scorre sullo sfondo.
 
Ho trovato questo libro su una bancarella dell'usato, e l'ho acquistato con grande entusiasmo. Sono una fanatica del periodo della Guerra Civile Americana, specialmente quella vista con gli occhi dei Sudisti. Insomma, non per niente Via con vento è il mio romanzo preferito (anche se sono ovviamente perfettamente cosciente del fatto che l'economia del Sud degli Stati Uniti si basava sullo sfruttamento intollerabile e indegno di altri esseri umani, ammantato di ipocrisia e giustificazioni risibili; eppure c'è qualcosa che mi affascina di questa epoca storica; forse si tratta del mito costruito presumibilmente dopo la caduta del Sud; mi affascinano un po' tutte le cause perse, e mi interessano anche moltissimo le conseguenze e le implicazioni della guerra civile, portata avanti - a parole - per abolire la schiavitù, mentre in realtà a nessuno importava davvero della sorte degli ex schiavi.)
 
Il fatto che nonostante io sia un'appassionata non avessi mai sentito nominare romanzo e autore - che pure ha vinto il premio Bancarella nel 1980 proprio con questo volume - avrebbe dovuto farmi sorgere qualche domanda. E anche il fatto che online si trovano pochissime recensioni (si contano sulla punta delle dita), nessuna sinossi e il volume sia reperibile esclusivamente usato avrebbe dovuto farmi sorgere qualche dubbio.
Dubbi comunque perfettamente fugati da un'attenta e approfondita lettura del romanzo in questione.
Per farla breve: Louisiana è un mattone. E non esiste un modo gentile per dirlo. È un romanzo lungo, lento, pedante, prolisso e noioso.
 
L'autore dovrebbe narrarci la storia di Virginie, piccola intrigante arrivista, sfacciata arrampicatrice sociale dall'intelligenza vivace e calcolatrice. La sua storia però, di per sé assai banale, si perde tra mille descrizioni di fatti storici meno noti che nessuna attinenza hanno con la trama; si perde tra infinite descrizioni sull'abbondanza o meno del raccolto di cotone; tra divagazioni sul prezzo di questa o quella materia prima; e tra mille altri dettagli profani che niente aggiungono alla comprensione della trama o dei personaggi.
 
Ho letto su Wikipedia che il romanzo è nato da un'inchiesta giornalistica condotta dall'autore sui francesi stabilitisi nel Sud degli Stati Uniti. Bene, sembra che l'autore si sia limitato a inserire brani della vita di Virginie e degli abitanti di Bagatelle tra un capitolo e l'altro della sua inchiesta.
 
I personaggi restano sempre molto distanti dal lettore. Niente ci racconta davvero cosa pensano, cosa sognano e cosa li spinge ad agire |(o a non agire). Li vediamo muoversi ma restano per noi degli sconosciuti, dalle motivazioni oscure, per cui non proviamo alcuna empatia. L'unico che sfugge, almeno parzialmente, a questo triste destino, è Clarence Dandridge, l'amministratore della piantagione, il quale viene descritto come un uomo la cui vita si svolge principalmente nella sua testa. Perciò l'autore si premura di farci sapere cosa pensa e come ragiona. Peccato però che si tratti di uno degli uomini più noiosi della storia della letteratura mondiale. Ok, ha un tragico segreto sepolto nel suo passato, segreto che però viene nominato un paio di volte in tutto il romanzo, e che ci viene svelato nelle ultimissime pagine, senza che ci sia mai stata data l'opportunità di incuriosirci o di provare empatia grazie ad esso.
 
Onestamente, l'unica cosa che ho trovato tollerabile nelle quasi 500 pagine del romanzo, sono state alcune considerazioni sulla condizione degli schiavi nella Louisiana. Denuziere, in questo senso, offre alcuni spunti di riflessione interessanti.
Ad esempio l'autore fa dire ad un suo personaggio (un inglese in visita a Bagattelle), riferendosi agli yankees:
 
"Bisogna vedere con quanto disprezzo trattano i negri liberi. La libertà, ai loro occhi, è una ricompensa sufficiente per quei poveri diavoli che dormono nel fango delle strade e si guadagnano il pane facendo lavori giudicati indegni dei bianchi". 
 
Quando Virginie ricambia la visita e si reca in Inghilterra, verso la metà del romanzo, c'è una interessante riflessione che confronta il destino e le miserevoli condizioni degli operai inglesi con quelli degli schiavi delle piantagioni. L' uomo infatti le dice:
 
"La libertà di questi uomini e di queste donne (gli operai, n.d. Lisse) è la speranza. I vostri schiavi non hanno nessuna probabilità di uscire dalla loro condizione. [...] I nostri operai possono elevarsi [...]"
"Ma quelli che tendono la mano agli angoli delle strade sperando il pane dalla carità pubblica, quelle donne cenciose, quei marinai monchi d'un braccio o d'una gamba, quei vecchi addossati ai muri delle case, che speranze possono avere?"
"Quelli sono i rifiuti, i rottami della nostra società. Il più delle volte hanno quello che si meritano, non possiamo occuparci di loro."
 
La riflessione finale, dopo il viaggio alla scoperta del progresso e delle ricchezze inglesi, è che l' Inghilterra, esempio di liberismo, trattava i suoi operai peggio degli schiavi del cotone.
Indubbiamente interessante, ma non basta.
Non basta perché le riflessioni, per quanti stimolanti, sono esclusivamente per gli occhi del lettore e non incidono mai sulla trama o sui personaggi, modificandone i sentimenti o le azioni. I personaggi continuano dritti per la loro strada, e sembra che nulla possa toccarli nel profondo.
Probabilmente perché una profondità non ce l' hanno.
 
Da dimenticare.
Voto: 4

La casa di tutte le guerre...

... di Simonetta Tassinari.

La scheda del libro sul sito della Corbaccio

Certo che avrei voluto assomigliare alla nonna Mary Frances! Era la grande ambizione della mia vita, ma, per disilludermi, sarebbe bastato uno specchio. La nonna Mary Frances era bella, esile e bionda, con gli occhi azzurri, i capelli ondulati a metà guancia, un ovale perfetto, un naso sottile e una carnagione bianchissima. Teneva molto alla sua figura snella e dritta come un fuso. Quando si accorgeva di essere un po’ ingrassata pregava la sua governante, la Bea, di prepararle del brodo, e per una settimana a pranzo mangiava solo filini o quadrucci all’uovo per tenersi leggera. Aveva un modo speciale di camminare, di ridere e soprattutto di parlare, si capisce, con il suo bell’accento inglese che non perse mai. Profumava di Femme, portava sciarpe di seta, scarpe allacciate alla caviglia e stendeva sulle labbra un velo di rossetto rosa pesca. Se aveva dei difetti, io non li vedevo. Tutti la chiamavano «la signora» e io la adoravo, benché fosse palese che non ci somigliavano neppure nella forma delle unghie. Ero così orgogliosa di lei che silenziosamente ringraziavo la sorte poiché, per l’appunto, la zia Prospera era la mia prozia e non mia nonna.
E il motivo era semplice: non avrei cambiato la mia con nessun’altra al mondo.

Rocca, paesino dell'entroterra romagnolo, anni '60. Silvia trascorre le vacanze estive dalla nonna di origine inglese, una donna amorevole, intelligente e raffinata, che tutti in paese chiamano semplicemente la signora. Silvia ama quelle estati passate nella grande casa con giardino, tutte uguali ma tutte bellissime. Ma nel 1967, qualcosa cambia. L'incontro con Lisa, una ragazzina che non appartiene al suo mondo, segnerà l'inizio di un'amicizia ferocemente osteggiata dalla nonna, altrimenti sempre pronta ad assecondare l'amata nipote. Cosa si nasconde dietro il divieto inflessibile della nonna? E perché il padre di Lisa sembra nutrire una grande ostilità per la famiglia di Silvia?
Le due ragazzine sfideranno i pregiudizi degli adulti e scopriranno un segreto che tutti hanno tentato, senza riuscirci, di dimenticare.
 
Con La casa di tutte le guerre Simonetta Tassinari ci porta nel mondo ovattato, tranquillo e nostalgico della Romagna degli anni '60. La voce narrante del romanzo, Silvia, a dieci anni e mezzo ha una visione molto lucida dell'ambiente che la circonda, e soprattutto degli adulti, che la trattano come una piccola principessa. La sua intelligenza e la sua lucidità, comunque, sono sempre quelle di una bambina, e le piccole e grandi ipocrisie, bugie e segreti degli adulti, sebbene non passino inosservati,  le risultano il più delle volte incomprensibili.
Ad esempio, in paese c'è una sorta di ostracismo per la famiglia Bandini, composta da Lisa e da suo padre Tito, comunista, ubriacone e pecora nera del paese. Ma per Silvia le etichette apposte dagli adulti non hanno alcun significato finché non riesce a vedere con i suoi occhi Lisa e suo padre.
Questa scelta caparbia cambierà il corso degli eventi non solo di quella estate, ma anche di tutta la vita di Silvia.
Il romanzo ruota attorno ad un segreto che potrà essere svelato solo quando Silvia si accorgerà che dietro le apparenze quasi nessuno è come sembra davvero. L'adorata nonna Mary Frances non è perfetta ed infallibile come appare alla bambina; Lisa non è un animaletto selvatico come dicono le voci di paese; Tito, suo padre, non è quel buono a nulla ubriacone e pericoloso che tutti descrivono; e la vita dei Frassineti, la famiglia di Silvia, non è così perfetta come appare a tutti.

Silvia è un personaggio molto riuscito. Non che sia esente da difetti, tutt'altro. È evidente che si tratta di una bambina piuttosto saccente, a tratti presuntuosa ed egocentrica, ma allo stesso tempo i suoi pensieri, che ci guidano attraverso il dipanarsi del romanzo, sono molto naturali e coerenti, e non suonano mai artificiosi. Non è mai facile, per un  autore, entrare nella testa di una bambina, e per di più di una degli anni 60, ma la Tassinari ci riesce con una naturalezza sorprendente.

Il punto forte di questo romanzo è proprio la solidità e la naturalezza del racconto, che scorre fluido, che viene narrato con un linguaggio semplice ma evocativo.  Durante tutta la lettura non ho potuto fare a meno di provare una sorta di malinconia, come per qualcosa che avevo perso e che non avrei ritrovato mai più. Non si tratta tanto dell'atmosfera degli anni 60, epoca che non ho vissuto ma che comunque oramai incarna, nell'immaginario di tutti noi, una sorta di epoca d'oro scomparsa, quanto della bravura con cui l'autrice ci conduce, insieme a Silvia, verso la fine dell'infanzia, avvertendoci, rigo dopo rigo, che qualcosa di irripetibile sta per finire, che questi giorni perfetti non torneranno mai più e li rimpiangeremo per sempre. In questa ottica, gli anni '60, sono perfetti per aggiungere quel pizzico di innocenza e malinconia che rende l'atmosfera del romanzo unica.
Silvia crescerà durante quella estate scoprendo appunto le carte di un gioco che andava avanti da troppo tempo; e l'autrice sembra dirci che si cresce davvero quando le invincibili certezze dell'infanzia crollano per permetterci di guardare oltre il velo delle nostre illusioni.

Insomma, questo romanzo è un piccolo gioiello. Unico neo, a parer mio, un finale un po' affrettato e un po' troppo zuccheroso.

Voto: 7 e 1/2

lunedì 30 ottobre 2017

Magic...

... di V. E. Schwab.

La scheda del libro sul sito della Newton Compton

Kell indossava un cappotto molto particolare.
 Non aveva né un solo verso, come sarebbe stato normale, né due, che sarebbe stato insolito ma plausibile, bensì numerosi, il che era – ovviamente – impossibile.
 La prima cosa che faceva quando metteva un piede fuori da una Londra per andare in un’altra era sfilare il cappotto e rivoltarlo una o due volte (o addirittura tre) fino a quando non trovava il verso di cui aveva bisogno. Non tutti erano alla moda, ma ognuno di essi aveva uno scopo. C’erano quelli fatti per confondersi, quelli fatti per risaltare, e quelli che non servivano a nulla ma a cui lui era particolarmente affezionato.
 
Kell è uno degli ultimi Antari, i maghi del sangue, e può muoversi attraverso le quattro dimensioni parallele che compongono il suo universo. Da Londra Rossa, la sua patria, egli viaggia per conto della famiglia reale a Londra Grigia, quasi priva di magia, e a Londra Bianca, dove la magia è potente ma anche pericolosa. La quarta dimensione, quella di Londra Nera, invece, è poco più di una leggenda, perduta e distrutta quando le porte tra le dimensioni vennero sigillate per impedire che la magia prendesse il sopravvento sugli altri mondi, come appunto era successo a Londra Nera.
Kell, che è uno dei pochissimi che ancora può viaggiare tra i mondi, è però anche un contrabbandiere: trasporta illegalmente oggetti da una dimensione all'altra. Questa cosa, oltre ad essere proibita dalla legge, si rivelerà essere molto, molto pericolosa, quando qualcuno gli affiderà un manufatto dai poteri oscuri.
 
Mi ero avvicinata a questo romanzo fantasy con aspettative molto basse. Ultimamente tendo a diffidare dai fantasy, specie quelli destinati ad un pubblico giovane, a causa delle molteplici fregature rimediate in passato. Complice una bella copertina ed un prezzo contenutissimo, ho comprato questo ebook, ed ora posso dirlo: 99 centesimi spesi non bene, ma benissimo.
 
Avete letto l'incipit riportato sopra? Bene, ditemi se non vi ha intrigato e incuriosito. Certo, Magic non è un romanzo perfetto, ma porta nel panorama del fantasy qualcosa di nuovo, interessante e affascinante.
 
L'ambientazione è la cosa migliore di tutto il romanzo, e, poiché la fa da padrona nella storia, questo non è poco. Ci sono quattro dimensioni, disposte una sull'altra come le pagine di un libro: per passare dalla prima all'ultima, ad esempio, bisogna attraversarle tutte. La magia del sangue è la chiave per passare da un mondo all'altro. La magia più comune, quella basata sugli elementi, non consente di aprire varchi tra le dimensioni.
Come potete intuire da questi cenni, il panorama magico è complesso e variegato, anche perché muta da una dimensione all'altra. In pratica ad ogni pagina c'è una nuova scoperta e si aggiunge un tassello al mosaico. Ho adorato questa idea dei quattro mondi, chiusi tra loro eppure stranamente dipendenti l'uno dall'altro, legati a doppio filo da una magia che è potente ma difficilmente addomesticabile.
Devo dire che, per quanto io sia rimasta affascinata e piacevolmente colpita da questa costruzione, inizialmente c'è un po'di confusione e le distinzioni tra i tipi di magia, i vari poteri, le varie leggi che regolano le diverse società non sono chiarissime. Ho provato un po'di smarrimento, e per afferrare bene i concetti è necessario proseguire nella lettura, e non scoraggiarsi di fronte ai primi dubbi.
 
La trama è piacevole, senza punti morti e scorre velocemente.
 
Lo stile è pulito e veloce, anche se ho riscontrato una tendenza a raccontare le situazioni, anziché mostrarle e ad utilizzare i monologhi interiori dei personaggi per fornirci informazioni sull'ambientazione. Le informazioni sono sicuramente di vitale importanza per il lettore, ma il sistema scelto mi ha un pochino infastidito, perché i pensieri dei personaggi non suonavano naturali.
È come se io, trovando dei rifiuti abbandonati per strada, attaccassi a pensare: beh, nonostante l'Italia sia una Repubblica parlamentare, e la sua bandiera sia verde, bianca e rossa, devo sottolineare che la scarsità di controllo sul territorio genera aberrazioni che si ripercuotono sulla vita di tutti i giorni dei cittadini... Non esattamente un discorso spontaneo e lineare, secondo me.
 
Il vero punto debole del romanzo si trova, comunque, nei personaggi. Per quanto essi siano potenzialmente interessanti, sono poco o per nulla sviluppati e caratterizzati psicologicamente, e risultano simpatici sì, ma bidimensionali.
 
Kell dovrebbe essere un personaggio portatore di un sano conflitto: egli è stato adottato dalla famiglia reale, che se ne serve come messaggero tra le dimensioni, ma allo stesso tempo infrange la legge contrabbandando oggetti da una Londra all'altra. Perché? Cosa lo spinge? È vero che Kell risente della natura ambigua del suo rapporto con la famiglia d'adozione (servitore o membro della famiglia?) ma l'argomento andava, secondo me, approfondito per garantire maggiore spessore e coerenza al personaggio.
 
Anche la co- protagonista, Lila, una ladruncola di strada che vorrebbe essere un pirata, mi è piaciuta, ma trovo che sia stata approfondita pochissimo. L'autrice ci ripete che Lila non ha altro scopo che accumulare denaro per abbandonare le miserie di Londra Grigia; che è sopravvissuta perché ha sempre pensato esclusivamente a se stessa, ma in realtà Lila non fa altro che correre in soccorso degli altri dall'inizio alla fine del romanzo. La cosa mi sta bene, o meglio, mi starebbe stata bene se questo atteggiamento fosse arrivato alla fine di un percorso di cambiamento emotivo del personaggio, invece di essere in aperto contrasto con quanto l'autrice ci ha detto di Lila fino a quel momento.
 
Nel complesso, comunque, il romanzo mi è piaciuto. Sebbene si tratti del primo volume di una trilogia, la storia è autoconclusiva. Consiglio il romanzo a tutti gli appassionati di fantasy.
 
Voto: 7

domenica 29 ottobre 2017

Il mistero del treno azzurro...

... di Agatha Christie.

Il miliardario americano Van Aldin, durante un soggiorno a Londra viene in possesso di una collana di rubini che si dice appartenuta a Caterina I di Russia, e la regala alla sua unica figlia, Ruth. Quest'ultima, stufa dei continui tradimenti del marito inglese, accarezza l'idea del divorzio, che lascerebbe il marito fedifrago al verde e in balia dei debiti, e intanto si reca in Costa Azzurra in vacanza. Sul treno che la porta dall'Inghilterra al sud della Francia viene assassinata.
Suo padre chiede aiuto al celebre investigatore Hercule Poirot.
 
Il mistero del treno azzurro, pubblicato per la prima volta nel 1928, è la quinta avventura di Hercule Poirot. Qui l'autrice mescola elementi a lei cari, e che diventeranno negli anni seguenti classici del giallo.
Innanzitutto parliamo dell'ambientazione: un treno notturno che da Londra porta i ricchi vacanzieri inglesi fino alle assolate coste del sud della Francia. È ovvio che la mente corra subito ad un altro celebre omicidio avvenuto a bordo di un treno, Assassinio sull'Orient Express, ma questo romanzo è precedente a quello citato.
Il treno è un ambiente chiuso che permette di circoscrivere senza forzature l'ambito dei sospettati e la scena del crimine, ed allo stesso tempo è un'ambientazione dinamica. Non è impossibile che qualcuno sia salito o sceso dal treno senza essere notato, ma il punto focale, in questo romanzo, è come possa averlo fatto nel preciso momento in cui la vittima è stata uccisa. Ed è su questo dettaglio che si focalizzerà l'acuta intelligenza di Poirot. Quando tutti daranno per scontata la risoluzione del caso, lui continuerà ad indagare fino a svelare la verità.
 
Altro elemento classico che possiamo trovare nel romanzo è la presenza di un gioiello famoso, inestimabile e dalla fama sinistra. La sua natura in relazione al crimine è qui ambigua: la sparizione dei rubini è movente dell'omicidio o semplicemente fumo negli occhi? Questa ambiguità e la leggenda nera che li circondano aggiungono fascino ad una vicenda che comunque non ha bisogno.
 
Ho trovato questo romanzo leggermente diverso da quelli della Christie (che ho letto quasi tutti, me ne manca ancora qualcuno, però). Qui l'investigazione è dinamica, gli ambiti in cui spaziare sono non solo molteplici, ma anche molto diversi l'uno dall'altro. Si va infatti dalla promessa di una ingente eredità al contrabbando di gioielli, fino alla presenza di una ladro internazionale senza volto. Lo stesso Poirot dovrà ricorrere ad aiuti esterni per chiarire i dettagli (ed il movente) della vicenda. Insomma, le sue celluline grigie avranno bisogno di una mano, ma riusciranno comunque a tenere la situazione sotto controllo.
 
Nonostante io preferisca le ambientazioni classiche, del tipo riunione di famiglia in vecchia villa isolata nella campagna inglese, ho amato molto questo romanzo. La trama gialla è solida ed il colpevole è onestamente insospettabile, eppure nascosto in bella vista per tutto il tempo. Interessanti anche i personaggi secondari, come la giovane Katherine Grey, la quale ha appena ereditato una fortuna da un'anziana signora di St. Mary Mead (no, tranquilli, non si tratta certo di Miss Marple!) e si rivela essere una osservatrice acuta e un'ottima spalla per Poirot.
 
Una chicca per appassionati è la presenza sul treno di un inserviente di nome Pierre Michel, lo stesso nome (e dunque è dato presumere si tratti dello stresso personaggio) dell'inserviente dell'Orient Express teatro del celebre omicidio.
 
Voto: 8
 

lunedì 23 ottobre 2017

I Medici. Decadenza di una famiglia...

... di Matteo Strukul.


Grazie alla disponibilità di Federica della casa editrice Newton Compton recensisco in anteprima, in collaborazione con altre blogger, il quarto volume della saga della famiglia de' Medici, opera dello scrittore veneto Matteo Strukul.
 
La Parigi del diciassettesimo secolo è l’essenza del vizio e della violenza. Maria de’ Medici, da poco sposa di Enrico IV di Borbone, si trova ben presto a fare i conti con le mire rapaci di Henriette d’Entragues. Con un documento scritto, Enrico stesso ha promesso alla propria favorita di prenderla in moglie, e ora quel foglio è l’arma con la quale ricattarlo. Ma non è l’unica minaccia: un’altra arriva da un gruppo di nobili che cospirano per rovesciare il trono. Avvertendo che le sorti proprie e del re sono sempre più critiche, Maria decide allora di affidarsi a Mathieu Laforge, spia e sicario abilissimo, capace di sventare più di una congiura. Ma la regina non sa ancora che il suo destino sarà segnato dalla lotta costante contro coloro che vogliono la fine del suo regno. Quando Enrico IV di Borbone muore, vittima dell’ennesimo complotto, all’orizzonte si profila, inarrestabile, l’ascesa di un astro di prima grandezza della politica francese: il cardinale di Richelieu. Sarà proprio lui, dopo la morte del re, ad acquisire un potere sempre maggiore, tradendo colei che più di chiunque altro ne aveva favorito la fortuna: Maria de’ Medici. (trama tratta dal sito della C. E.)
 
In questo quarto romanzo l'autore ci narra le vicende di Maria de' Medici, moglie di Enrico IV, primo Borbone a salire sul trono di Francia, comprendo un periodo che va dal 1597 al 1640.
L'ambientazione è intrigante e particolarmente adatta ad un romanzo. La corte di Francia all'epoca era dominata da personalità forti in  costante contrasto fra loro. Intrighi, bugie, segreti, e tradimenti erano all'ordine del giorno.
In questo ambiente deve inserirsi la giovane Maria, che sposa un uomo parecchio più vecchio di lei, e che non è particolarmente amata dalla nobiltà francese e per la quale resterà , come era già accaduto per la sua lontana cugina Caterina de' Medici, sempre un corpo estraneo.
 
Maria è una donna forte e consapevole delle proprie qualità e della propria abilità, che non esiterà ad usare la sua influenza sul re per indirizzare la politica interna ed esterna della Francia. Bella e intelligente, ma forse troppo impetuosa, causerà la sua stessa rovina.
Co-protagonista di questa storia lunga quasi mezzo secolo è un giovane vescovo di nome Armand-Jean du Plessis, meglio noto come Richelieu.
Richelieu regala un fremito al lettore ogni volta che entra in scena, per la sottigliezza dei suoi maneggi e naturalmente per l'indubbio fascino che questo personaggio possiede. Per inciso, viene narrata di sfuggita, e da un punto di vista totalmente diverso, la famosa relazione di Anna d'Austria, moglie di Luigi XIII (figlio di Maria) e il Duca di Buckingham, storia attorno alla quale ruota I tre Moschettieri di Dumas.
 
Le vicende narrate si susseguono veloci, gli intrighi e le congiure si dipanano una dopo l'altra. Gli amanti della Storia e del romanzo storico non potranno che gioire leggendo questo libro. Infatti l'autore ha dalla sua una solida ed accurata ricerca storiografica. Di ciò è prova, tra le altre cose, la naturalezza con cui Strukul fa muovere sulla scena anche i personaggi secondari come Condè, Concino Concini e Leonora Galigai, protetti della Regina.

Nonostante la precisione della ricostruzione storica e la cura dei dettagli, il romanzo risulta molto scorrevole e piacevole da leggere. Insomma, l'accuratezza non diventa un ostacolo alla leggibilità del romanzo.
 
Quello che davvero non mi ha convinto di questo libro, però, è stata la scelta di una narrazione a quadri, già utilizzata nei precedenti volumi della saga. In pratica lo scrittore raggruppa i capitoli per finestre temporali, e tra un gruppo di capitoli e l'altro possono passare anche diversi anni.  
Nelle note finali, l'autore ribadisce che si tratta di una scelta meditata e consapevole, e a suo parere, anche obbligata a  causa dell'ampiezza dell'arco temporale da trattare in ogni romanzo.
Prendo atto di ciò, ma continuo a pensare che una narrazione che presenta continui salti temporali allontana il lettore dai personaggi e lo coinvolge meno nella trama. Sebbene io abbia notato una maggiore coesione fra i vari gruppi di capitoli, rispetto a quanto accadeva nel terzo volume della serie, I medici. Una regina al potere, non si può non notare come a volte i collegamenti fra un lasso temporale e l'altro siano labili, o addirittura assenti. Ad esempio, ed evitando spoiler sulla trama, capita di lasciare un determinato personaggio imprigionato dalle guardie del Cardinale Richelieu, e di ritrovarlo, dopo qualche pagina e qualche anno, da tutta altra parte, senza che ci sia dato sapere come il personaggio si sia tratto d'impaccio. L'impressione è proprio quella di guardare un affresco, sicuramente pregevole, accurato, ricco di particolari, ma appunto un affresco e come tale immobile, e non una storia in divenire che cattura il lettore con il fluire della sua trama.
 
Perciò il mio voto è ampiamente sufficiente ma non completamente positivo.
 
Voto: 6 e 1/2
 
Questa è la mia opinione. Cosa avranno pensato e scritto le altre blogger partecipanti a questo review party? Per scoprirlo, correte su:
 
 
 
 
 

domenica 15 ottobre 2017

Ross Poldark...

... di Winston Graham.

La scheda del libro sul sito della Sonzogno

Cornovaglia, 1783. Ross Poldark, figlio di un nobile locale, torna a casa dopo aver combattuto durante la Guerra d'Indipendenza Americana. L'esperienza lo ha cambiato: ama ancora la sua terra ma capisce che non è più la stessa terra che ha lasciato. Le mienere di rame sono impoverite, suo padre è morto, la casa di famiglia è in rovina e la donna che ama ha sposato un altro.
A Ross, tenace per natura, non resta che rimboccarsi le maniche e cercare di risollevare le fortune della famiglia, aiutato dalla cugina Verity e da Demelza, una ragazzina scaltra che lui ha salvato da un padre ubriacone e violento.
 
Ross Poldark è un bel drammone storico, ricco di vicende e di personaggi romantici.
Ross, il protagonista, è uno che parla poco e agisce molto, a volte senza pensare. Ma circa a pagina 50 ha già conquistato il cuore di ogni lettrice. Innanzitutto, tornato a casa logoro e disilluso da una guerra che l'Inghilterra ha peso, non chiede altro che trovare conforto nella braccia della donna che ama, ma la trova accasata senza tanti scrupoli con un altro, con suo cugino per di più. La compostezza con cui reagisce ad un dolore che egli stesso crede di non poter superare ne fanno subito un beniamino agli occhi dei lettori.
Senza essere stucchevole o pesantemente moralista, Ross è uno che sa dove sta la giustizia, e sa preferire, d'istinto, la cosa giusta a quella sbagliata. In una società dominata dall'ipocrisia, questo gli creerà più di qualche problema.
Intorno a lui si muove la società della Cornovaglia, composta di piccoli nobili e ricchi borghesi e poverissimi minatori.
In particolare, la crisi del mercato del rame fa da filo conduttore a tutta la vicenda. Da un lato, infatti, c'è la lotta di Ross per ridare lustro alle proprietà della famiglia; dall'altro c'è la dignitosa lotta dei minatori e delle loro famiglie per riuscire letteralmente a non morire di fame.
L'elemento di disturbo, per così dire, nel fluire della trama è rappresentato da Demelza. Ross la strappa al suo destino di fame, percosse e miseria, attirandosi così la disapprovazione non solo dei suoi pari ma anche dei minatori, che non vedono di buon occhio l'idea che un signorotto abbia portato fuori dal suo ambiente la ragazzina.
 
Insomma, come potete intuire da questi cenni, gli ingredienti per farne un bel romanzo ci sono tutti, e mescolati ad arte.
La trama si dipana lenta ma costante, senza eccessi ma senza punti morti, dando tempo al lettore di familiarizzare con l'ambientazione e i numerosi personaggi.
Ross Poldark è un affresco ben riuscito, un romanzo storico di ampio respiro (non per niente la saga conta 14 romanzi), una di quelle storie che diventano familiari, in cui ci si sente a casa non appena si comincia a leggere.
Difficile non trovare piacevole la lettura e non venirne rapiti. Avrei gradito qualche grande evento tragico a dare uno scossone alla trama, ma è solo una questione di gusti.
 
Libro consigliato.
Voto: 7 e 1/2
 

L'amore bugiardo...

... di Gillian Flynn

La scheda del libro sul sito Rizzoli

Amy e Nick Dunne sono una coppia all'apparenza perfetta, felice e innamorata. Le cose cominciano a cambiare quando entrambi perdono il lavoro e decidono di trasferirsi da New York in Missouri, nella città natale di Nick, per stare vicino alla madre malata e aprire un bar con gli ultimi risparmi. Una volta lì, il matrimonio mostra le prime crepe e all'improvviso Amy scompare. Nick proclama a gran voce la sua estraneità al fatto, ma molti piccoli indizi portano la polizia a sospettare di lui, e l'opinione pubblica a chiedersi chi fosse veramente Nick. Il diario di Amy descrive una vita di menzogne, prevaricazioni e violenze. La polizia pensa di arrestare Nick. Eppure anche Amy ha i suoi segreti...  
 
Ho letto molto pareri contrastanti su questo thriller psicologico, e quelli negativi ci andavano giù veramente pesanti. Beh, a me il libro è piaciuto, e mi sento anche di consigliarlo ad un certo tipo di pubblico.
 
Ma andiamo con ordine. L'amore bugiardo è probabilmente penalizzato da un inizio un po' sottotono, e per niente fuori dall'ordinario.
Lui & Lei, bellissimi e in carriera, innamoratissimi e lanciati verso un luminoso futuro, perdono il lavoro e da New York tornano a vivere in provincia. Il matrimonio scricchiola. Lei scompare, il marito diventa il sospettato n. 1. Già visto, già letto, già sentito.
Sebbene la scelta di narrare la storia in prima persona con le voci del sospettato e della vittima (la voce di lei viene svelata attraverso un diario) sia stata senza dubbio interessante, inizialmente faticavo a contenere qualche sbadiglio. Mi sono ritrovata a leggere pagine di vita della protagonista datate sei- sette anni prima della vicenda. Sbuffavo per l'impazienza, mi chiedevo: sì, ok, è tutto molto bello, ma a me cosa importa?
Poi però, il romanzo ha cominciato a cambiare impercettibilmente davanti ai miei occhi, e la lettura svogliata si è trasformata in attenta e vorace. Ho divorato le 464 pagine del romanzo in due giorni e mezzo.
 
Le cose non sono come sembrano in questo romanzo. Anche il lettore più esperto e smaliziato dovrà ammettere che sono molto, molto più contorte di come se le aspettava.
A metà circa del romanzo, arriva un bel colpo di scena che ci svela, almeno parzialmente, la verità. Colpo di scena che ho apprezzato e che mi ha fatto rivalutare anche quanto avevo letto fino a quel momento. Ma con oltre 250 pagine ancora da leggere, mi sono chiesta: e adesso?
Ecco, questo è il bello di questo romanzo. Dopo l'iniziale lentezza, cominci a chiederti  in continuazione: e adesso? E la risposta non è mai scontata. Gillian Flynn scombina le carte, rovescia il tavolo, poi lo rimette a posto e distribuisce nuove carte come se niente fosse.
Ci troviamo di fronte, di volta in volta, ad un mistery, una caccia al tesoro, un procedural thriller in fase embrionale, un romanzo on the road, un thriller psicologico. E più ci addentriamo nella narrazione, più la verità ci appare inquietante e disturbante.
 
La psicologia dei personaggi è molto curata. Non solo quella di Amy e Nick, ma anche quella dei personaggi minori. Ho trovato i genitori di Amy, ad esempio, tremendamente inquietanti, con la loro fredda logica da psicologi di successo, più attenti al loro tornaconto personale che all'effettiva felicità emotiva della figlia.
 
Il finale è in linea con l'intero romanzo, non ha nulla di convenzionale e, sebbene riesca a chiudere l'ampio cerchio delle diverse vicende narrate, mi ha lasciato insoddisfatta. Non si tratta di un finale brutto, questo no, ma avrei preferito qualcosa di più definitivo.
 
So di essere stata vaga in questa recensione, ma parlare del romanzo senza svelare nulla dei colpi di scena, senza tradirmi rivelando dettagli che minerebbero il piacere di una futura lettura, è stato molto difficile.
Consiglio questo libro a chi ama i thriller psicologici e ha la pazienza di andare oltre un inizio molto lento;  a chi ama i romanzi che si sverlano senza fretta, a chi non cerca adrenalina a tutti a costi, ma ama sentirsi turbato da qualcosa di più sottile, di più strisciante.
 
Voto: 7

domenica 1 ottobre 2017

7-7-2007...

...di Antonio Manzini.

 
ATTENZIONE:
In caso non abbiate ancora letto niente della serie di Rocco Schiavone, vi consiglio vivamente di rimediare subito, e allo stesso tempo vi sconsiglio la lettura della recensione, perché essendo il romanzo un enorme flashback, la sua recensione potrebbe contenere spoiler su eventi narrati in altri libri.
 
Rocco Schiavone è un poliziotto molto particolare. Insofferente, scorbutico, la sottile linea che divide la legalità dall'illegalità l'ha passata da un pezzo e pure più volte, eppure è un buon poliziotto. Una volta, prima che sua moglie Marina cadesse in un agguato, era anche un uomo felice.
Questa è la storia di quel "prima", e la storia di come quel prima è diventato "dopo", consegnandoci quel Rocco Schiavone rabbioso, indifferente e vuoto che abbiamo imparato a conoscere.
 
Ci sono libri che si fanno leggere, ti intrattengono, ti divertono, ma che non escono mai dalle pagine su cui sono scritti. E poi ci sono romanzi come questo.
La forza, il realismo e la profondità di questa storia e di questo personaggio sono di quelli che lasciano una traccia indelebile nel lettore.
 
Rocco Schiavone, vicequestore trasteverino spedito per punizione ad Aosta, lo conosciamo tutti. Facile all'ira, al turpiloquio, scarsamente interessato ai suoi simili, brusco, misantropo e misogino, ha il fiuto del buon poliziotto. Non è una vocazione, perché Rocco non ha uno spiccato senso della giustizia, ma piuttosto un talento innato.
Anni addietro, era un uomo diverso. Non migliore, ma diverso. E addirittura più tollerante verso il prossimo, più disponibile; a volte perfino empatico.
E in questo romanzo vediamo questo Rocco muoversi nella sua città, in mezzo ai suoi amici e ai luoghi che conosce benissimo e ama.
Un ragazzo è stato ucciso con una pugnalata alla nuca, e scaricato in una cava. Un bravo ragazzo, dalla vita apparentemente normale e irreprensibile. Schiavone indaga aiutato dai suoi amici Seba, Brizio e Furio, utilizzando sistemi al limite della legalità.
Come ben sappiamo, la legalità non è mai stata in cima ai pensieri del vicequestore: qui però questa tendenza a sconfinare nella zona grigia viene scoperta dalla adorata moglie Marina, che lo lascia.
Rocco è distrutto eppure continua ad indagare, mettendo inconsapevolmente in moto gli eventi che porteranno al tragica uccisione di Marina.
 
Il caso da risolvere è, al solito, interessante e valido; ma la verità è che qui il lettore vuol arrivare a capire cosa sia accaduto a Marina, e perché. Ci vuole pazienza, però, e bisognerà seguire con calma tutti gli sviluppi del caso e coglierne i dettagli per poter davvero comprendere la portata del dolore e del senso di colpa di Rocco.
 
La scena dell'omicidio di Marina è descritta con parole semplici, nude e crude, e fa malissimo. Commuove nella sua semplicità. Colpisce con la sua ineluttabile evidenza, e vale da sola un intero romanzo. Stessa cosa può dirsi per la vendetta di Rocco, un uomo distrutto che vediamo cambiare davanti ai nostri occhi in poche pagine. Colpisce il fatto che dietro la boria del vicequestore c'è una grande fragilità, che non gli consente di andare avanti da solo, dopo aver perduto la sua adorata Marina.
 
Non posso che inchinarmi alla bravura di Antonio Manzini per essere riuscito a rendere sulla carta le mille sfumature di un personaggio complesso e imperfetto, triste, vuoto, spezzato eppure ancora in pista, nonostante tutto.
 
Votö: 8

Piccole grandi bugie...

...di Liane Moriarty.

La scheda del libro sul sito della Mondadori

A  Pirriwee, una piccola cittadina di provincia australiana, Jane, giovane madre single del piccolo Ziggy, stringe amicizia con Madeleine e Celeste.
Jane parla poco del suo passato, e ancor meno del padre di suo figlio ed è evidente che nasconde qualcosa.
Madeleine, madre di tre bambini, è una sorta di ape regina, abituata ad averla vinta su tutto. Ma anche lei ha subito una sconfitta che le brucia ancora, l'abbandono del suo primo marito, che ora ha deciso di tornare a vivere proprio accanto a Madeleine e alla sua nuova famiglia.
Celeste è una donna bellissima, con un marito bellissimo e due figli perfetti. Eppure è sempre nervosa, assente, spaurita.
Quando Ziggy viene accusato di bullismo da una compagna di scuola, Madeleine e Celeste prendono Jane sotto la loro ala protettrice per cercare di fare chiarezza sull'episodio.
Ma come una piccola spinta fa cadere una dopo l'altra le tessere nel gioco del domino, questo evento scatenerà una cascata di avvenimenti e metterà in luce le piccole grandi bugie che le vite apparentemente perfette nascondono.
 
Mi sono avvicinata a questo libro dopo aver visto l'ottima serie tv tratta dal romanzo. E devo dire che, pur sapendo benissimo cosa sarebbe accaduto, la storia mi è piaciuta tantissimo. Nonostante sapessi praticamente già tutto, mi risultava assai difficile staccarmene.
 
La cosa che più mi è piaciuta è la struttura del romanzo.
La storia inizia dalla fine: siamo ad una serata di beneficenza per la scuola elementare della cittadina. Qualcosa è successo, qualcuno è morto. Ma chi? Come? Chi ne è il responsabile (se un responsabile esiste)? E cosa è successo esattamente?
Per scoprirlo dobbiamo ricostruire gli eventi negli ultimi mesi di vita dei protagonisti.
 
Mentre accompagna la figlia minore a scuola, Madeleine prende una storta e viene aiutata da Jane, che sta portando Ziggy alla stessa scuola. C'è qualcosa in Jane che alla sofisticata ed elegantissima Madeleine fa tenerezza: la sua giovane età forse, o le sue insicurezze, o forse quella coda di cavallo stretta stretta che sembra fatta apposta per mortificare i suoi capelli.
Madeleine è quel tipo di persona che amplifica i propri sentimenti: l'odio è per sempre, ma anche l'amicizia e la gratitudine lo sono. E questa è la ragione per cui difende Jane e suo figlio a spada tratta quando il piccolo viene accusato di essere un bullo, mettendo così in moto tanti piccoli eventi concatenati tra loro, che porteranno inesorabilmente alla tragedia finale.
Infatti, nelle vite patinate e perfette degli abitanti di Pirriwee ci sono parecchie imperfezioni, coperte alla meno peggio con - appunto - bugie piccole e grandi.
Ma l'arrivo di Jane, che sembra non appartenere a quel mondo, con i suoi silenzi, i suoi abiti dimessi e sempre di colore scuro, con quel figlio taciturno, sconvolge gli equilibri e comincia a metterle a nudo.
Utilizzando i piccoli dettagli della vita quotidiana come tessere di un mosaico, l'autrice ci racconta una storia di ordinario mistero e di ordinaria violenza. Non si tratta però di quella violenza eclatante a cui ci hanno abituato i telegiornali; si tratta di una violenza subdola, nascosta e più sottile ma non meno dolorosa. 
 
Altra cosa che veramente mi ha colpito, sono i personaggi. La caratterizzazione di ognuno di loro, anche di quelli secondari, è perfettamente riuscita e perfettamente amalgamata con la trama.
Essi sono così imperfetti, e così impegnati a nascondere le crepe nella facciata. Ipocrisia, sofferenza, rancori, amore e amicizia si mescolano e si agitano nei loro animi. Solitamente questo miscuglio esplosivo viene spinto in fondo al loro animo, e ricoperto da una patina di cordialità. Ma basterà davvero poco perché quel magma risalga in superficie.
 
Il romanzo sconta forse un po'di lentezza nel suo svolgimento, ma le vicende di queste tre donne e delle loro famiglie hanno avuto su di me un effetto quasi ipnotico.
 
Voto: 7 e 1/2
 
 

martedì 19 settembre 2017

Il mistero di Lord Listerdale e altre storie...

... di Agatha Christie.

Il Mistero di Lord Listerdale e altre storie è una raccolta di dieci racconti di Agatha Christie, pubblicati per la prima volta nel 1934. Nei racconti non compare nessuno dei personaggi ricorrenti creati dell'autrice. Il filo conduttore della raccolto è lo scambio di identità o l'equivoco sull'identità altrui. Insomma, niente e nessuno sono come sembrano, in queste storie.
 
Il mistero di Lord Listerdale
 
Un lord scompare misteriosamente: la sua casa a Londra viene affittata per una cifra irrisoria e la servitù sembra estremamente devota ai nuovi inquilini, i quali non possono fare a meno di chiedersi cosa c'è sotto.
Il mistero è intrigante e la soluzione divertente. Ottimo racconto, ottima soprattutto la parte preparatoria alla indagine vera e propria, e l'atmosfera.
 
La ragazza del treno
 
Un giovane spiantato prende un treno e si imbatte in una misteriosa ragazza dall'accento straniero, inseguita da un energumeno minaccioso.
Emerge in questo racconto l'amore della Christie per lo spionaggio, l'azione e gli intrighi internazionali. Tocco rosa nel finale.
 
Canta una canzone da sei soldi
 
Una giovane donna chiede aiuto ad un maturo avvocato conosciuto anni prima in vacanza. La sua ricca zia è stata uccisa nella casa dove abitava con i quattro nipoti. Se, come sembra, nessun estraneo è entrato, vuol dire che in famiglia si nasconde un assassino.
Indagine molto intrigante: il vecchio p[enalista, sir Edward, mi ha ricordato per certi versi Hercule Poirot. La Christie riesce a condensare in poche pagine tutti gli indizi necessari ad arrivare ad una soluzione: gli indizi sembrano insignificanti e sono quasi invisibili agli occhi del lettore ma ci sono tutti, come sempre. In questo risiede la grandezza dell'autrice. 
 
L'ardimento di Edward Robinson

Edward Robinson ha una fidanzata che ama ma che lo tiranneggia. Per questo decide di fare un colpo di testa e di acquistare un'automobile sportiva e andarsene a zonzo da solo. A causa di una serie di equivoci e coincidenze, finirà per mettersi nei guai, ma  allo stesso tempo ritroverà il carattere che credeva perduto.
Non è propriamente un racconto giallo, quanto più un racconto d'azione basato sul classico scambio di due oggetti simili all'apparenza ma in realtà molto diversi. Storia simpatica e con un pizzico di divertita ironia da parte dell'autrice.
 
In cerca di lavoro
 
Jane, giovane disoccupata, risponde ad un annuncio di lavoro in cui si cerca una ragazza con caratteristiche fisiche molto particolari: occhi azzurri, capelli biondi, altezza 1,65, corporatura snella, naso dritto. Incuriosita ma sospettosa, si presenta all'indirizzo indicato, e, quando viene scelta, si trova coinvolta in un intrigo internazionale.
Anche qui non abbiamo propriamente un racconto giallo, ma siamo quasi nel genere della spy story. Nonostante il racconto sia breve quanto gli altri, l'autrice riesce a piazzare un paio di colpi di scena molto ben riusciti. 
 
Una domenica fruttuosa
 
Due giovani fidanzati trovano un gioiello di grande valore, probabilmente rubato, in un cestino della frutta. Il dilemma è: tenerlo o andare alla polizia? Gli esiti della loro decisione saranno sorprendenti.
Interessante racconto, in cui più che indagare su un furto, la Christie indaga sull'animo umano messa di fronte al frutto (è il caso di dirlo) di un crimine. Bella la conclusione della storia, significativa e ottimistica.
 
L'avventura del signor Eastwood
 
Uno scrittore in crisi riceve una misteriosa telefonata da una ragazza che gli chiede aiuto e gli fornisce un indirizzo cui recarsi. Qui l'uomo incontra la ragazza ma viene scambiato per un assassino e arrestato. Ma la sua avventura non finisce certo così.
Un racconto davvero carino, basato su uno scambio di identità e con un plot twist tanto inaspettato quanto geniale. Il racconto che mi è piaciuto di più in questa raccolta.
 
La palla dorata
 
Un giovane perde il lavoro per essersi preso mezza giornata di vacanza. Conosce una ragazza dell'alta società e la segue in campagna, dove viene coinvolto in una strana avventura.
Racconto divertente, senza un vero e proprio crimine, ma con un "piano" ben congegnato.
 
Lo smeraldo del rajah
 
Giovane innamorato segue una ragazza superficiale in una località turistica. Sulla spiaggia scambia accidentalmente i suoi vestiti con quelli di qualcun altro, e nella tasca dei pantaloni trova un enorme smeraldo...
Ancora uno scambio di oggetti e di identità in questo racconto, dove l'astuzia e la costanza vengono ricompensati nel finale.
 
Il canto del cigno
 
Un giovane soprano ma già molto famoso partecipa ad una rappresentazione della Tosca. Il cantante che fa Scarpia si sente male in seguito ad un avvelenamento. Viene trovato un sostituito in tutta fretta in un vecchio cantante ormai ritiratosi dalla scena. Ma c'è un segreto nel passato di qualcuno che getta ombre sulla rappresentazione...
Per l'ultimo racconto, il tema è quello intrigante del passato che torna a chiedere il conto. Racconto tragico, delicato e struggente.
 
Nel complesso si tratta di un'antologia molto piacevole da leggere. I racconti sono sorprendentemente originali , con temi diversi dai classici gialli cui ci ha abituati la Christie.

Voto: 7 e 1/2
 
 

lunedì 18 settembre 2017

La musica del caso...

... di Paul Auster.

La scheda del libro sul sito Einaudi

Jim Nashe riceve un'inaspettata eredità poche settimane dopo essere stato piantato dalla moglie. Porta la figlia di soli due anni dalla sorella, prende una pausa dal suo lavoro di pompiere, compra una Saab 900 e comincia a viaggiare per gli Stati Uniti.
Una notte conosce Jack Pozzi, giovane giocatore d'azzardo in fuga da un pestaggio. I due decidono di mettersi in società per sfidare Flower e Stone, due eccentrici miliardari, ad una partita a poker. Ma la partita avrà egli sviluppi imprevisti.
 
La musica del caso inizia come un romanzo on the road, nella più classica tradizione americana. Jim Nashe si lascia tutto alle spalle, pure i legami familiari, dopo che i suo equilibrio viene rotto dall'abbandono della moglie.
Sfruttando i soldi di un'eredità inaspettata, vive una vita libera, anche se non sregolata o piena di eccessi.
Semplicemente guida, macina chilometri su chilometri, senza prefissarsi una meta se non quella di andare sempre più lontano, dimentico di se stesso e di tutto se non della macchina e della strada.
 
Lui era il punto fermo in un vortice di cambiamenti, un corpo che restava in equilibrio, assolutamente immobile, mentre il mondo gli si gettava incontro e scompariva. L’automobile divenne il sacrario dell’invulnerabilità, un rifugio dentro il quale nulla poteva più colpirlo. Mentre guidava non aveva fardelli da portare, era libero dalla benché minima particella della vita precedente.
 
Il caso mette sulla sua strada un giovane giocatore di poker, Jack Pozzi, e insieme progettano di arricchirsi facilmente a spese di due sprovveduti miliardari che si danno arie da grandi giocatori.
Ma le cose non vanno esattamente come i due avevano immaginato, e le loro vite prendono una piega strana e non prevedibile. I due protagonisti si trovano intrappolati in posto inquietante, a svolgere un'attività anch'essa inquietante e priva di senso.
E così il romanzo si trasforma davanti agli occhi del lettore in una specie di fiaba surreale da cui non ci si riesce a staccare.
 
Mi ha fatto molto pensare questa citazione dell'autore:
 
L'influenza più grande sulle mie opere sono state le fiabe, [ovvero] la tradizione orale del racconto. I Fratelli Grimm, Le mille e una notte - il tipo di storie che si leggono ad alta voce ai bambini. Si tratta di narrazioni spoglie, scarne, narrazioni in gran parte prive di dettagli, enormi quantità di informazioni vengono ancora trasmesse in uno spazio molto breve, con pochissime parole. [1]

Senza dilungarsi in descrizioni o introspezioni inutili, Paul Auster riesce a fornirci tutto quello di cui abbiamo bisogno per comprendere il suo romanzo.
 Infatti la lettura è scorrevolissima e fa sicuramente presa sul lettore. Ciò non vuol dire che lo stile dell'autore sia superficiale, o eccessivamente sintetico. L'autore riesce a darci tutti i dettagli necessari a comprendere i personaggi e per calarci in una storia costruita con elementi di routine, che però di ordinario o banale non ha assolutamente nulla, tutt'altro.
La ripetitività degli eventi nella parte centrale del romanzo non significa che essa sia noiosa. La cosa stupefacente è come una attività (di cui non voglio rivelare nulla) all'apparenza piatta riesca a caricarsi di significati, di aspettative e di interesse per il lettore, a portare a galla la tragedia latente in questa vicenda, e la vena di follia ed il alto oscuro presente in un essere umano.
 
Non è facile descrivere questo libro senza svelare gli eventi. Vi basti sapere che ci troviamo sempre in bilico fra il potere del caso e la prevalenza del libero arbitrio, e insieme a Nashe e Pozzi anche il lettore cammina in bilico su questa corda tesa, fino ad un finale inaspettato ed esplosivo.
La nostra vita e la nostra libertà sono nelle nostre mani o in balia del caso? Cosa ne sarebbe di noi se improvvisamente ne perdessimo il controllo? E fino a dove potremmo spingerci, eventualmente, per riprenderci le redini?

Questo è un romanzo che non mi ha lasciato indifferente, mi ha intrigato e conquistato con la sua particolare visione della vita, che ha una forza comunicativa straordinaria e sorprendente.

Voto: 8
 
[1] Citazione tratta da Wikipedia