mercoledì 7 giugno 2017

La quinta stagione...

... di Piero Colaprico.


La scheda del libro sul sito della Rizzoli

Pietro Binda, maresciallo dei Carabinieri in pensione, incontra per caso una sua vecchia conoscenza, il borseggiatore Pallonetto. L'uomo gli racconta di aver trovato l'amore in una giovane rom di nome Maronela. ma la ragazza è stata rapita a causa di un debito da lui contratto con la mala albanese. Pallonetto è disperato e non sa a chi rivolgersi. Binda decide di aiutarlo senza immaginare che il problema è molto, molto più grande di quello che sembra.
Ambientato a Milano durante la prima metà degli anni 2000, La quinta stagione ci racconta le indagine dell'ultrasettantenne Pietro Binda, maresciallo dei Carabinieri che da quando è andato in pensione smania per sentirsi ancora utile. Più che un giallo o un thriller, il romanzo può definirsi un noir intriso di rassegnazione e rimpianto. Binda ha deciso di non mollare la sua attività investigativa, ma allo stesso tempo si sente inadeguato ai tempi (non possiede neanche un telefonino) e incapace di adattarsi alla realtà sempre mutante del sottobosco criminale.
Il romanzo è notevolmente appesantito da continui ricordi del passato, addirittura risalenti al periodo della Resistenza; i più molesti comunque sono quelli che narrano operazioni portate a termine da Binda quando ancora era in servizio e che non hanno nessun legame con l'attuale indagine, e ne spezzano il ritmo. Forse la narrazione risente del fatto che l'autore, giornalista di cronaca nera per Repubblica, è abituato a narrare i fatti, e non le storie; ma in un romanzo i fatti possano anche risultare noiosi. Quello che voglio leggere sono le storie e i loro intrecci. Poco mi interessa se Binda, negli anni '80, ha arrestato un tossico che stava morendo di AIDS, o ha fatto un'irruzione in quel posto o in quell'altro, se la cosa non attinenza con la storia che mi viene raccontata.
Quando queste interruzioni sono meno presenti, il romanzo sembra spiccare il volo, acquistare un certo ritmo e un buon livello di suspense. Ma il tutto dura poco.
La laettura è stata per me faticosa e lenta.
Ci sono alcune cose poi che mi hanno dato da pensare in questo noir. Non le intendo come cose necessariamente negative, ma semplicemente ci sono dei particolari che non so come interpretare, come incasellare, diciamo.
Partiamo dal titolo: la quinta stagione, come spiegato nel romanzo, indica la più recente ondata di criminalità che ha travolto Milano (e l'Italia: in questo romanzo viene più volte ribadito che Milano è una sorta di avanguardia di quello che capita nel paese).
 La prima era stata la stagione del boom economico e delle grandi rapine, delle "tute blu" che avevano assaltato un furgone blindato alla fine degli anni Cinquanta, un blitz mai tentato prima d'allora in Europa. Poi era venuta la stagione della grandi bande criminali, anche cento persone alle dipendenze di un capo, e delle bische, dove i gangster sedevano allo stesso tavolo di chemin de fer con gli industriali e i politici. Era nato così il bel grigio milanese, il colore elegante che copre lo sporco, mescola il nero della morte e il bianco della faccia pulita dei riciclatori. A sorpresa scoppiò la stagione inattesa degli anni di piombo, dei terroristi rossi e neri, delle manovre occulte da parte delle spie di mezzo mondo per pilotare gli uni e gli altri. [...] Infine, come se dovesse concludersi il ciclo delle quattro stagioni, arrivò l'ultima, quella dei colletti bianchi che andavano sotto processo dopo decenni d'impunità e di ruberie. Arrivò Tangentopoli, [...]. E invece, nessun mago, nessun religioso, nessuno scienziato, nessun politico aveva previsto la quinta stagione, la stagione delle città dentro le città. La stagione della mala nottambula e straniera, con le sue storie e codici e vite e casini indecifrabili, inafferrabili. La stagione di un terrorismo medievale, in cui la religione c'entrava poco, c'entravano molto di più le trame di potere che, tessute in Paesi scordati troppo a lungo da tutti gli altri, rivendicavano un nuovo scenario, proponevano nuove mistificazioni.
Se le stagioni della malavita si sono succedute con continuità fin dagli anni '50, non mi spiego quel senso di rimpianto, di "si stava meglio prima", che pervade il romanzo e il personaggio principale, che torna continuamente con la memoria ai tempi andati, quando le cose si facevano meglio e - sembra dirci - quando certe cose non accadevano.
Un'altra cosa a cui non riesco a smettere di pensare, è l'immagine di Milano che ci da l'autore. Mi è piaciuta oppure no? Non riesco a decidermi. Questo perché mi è sembrato che Colaprico descrivesse una sorta di Milano vuota, dove ci sono esclusivamente rom, immigrati meridionali, delinquenti stranieri e le forze dell'ordine. Questa sensazione nasce dal fatto che l'autore ha deciso di calcare sempre e comunque la mano sulla provenienza dei personaggi, cosa che mi ha lasciato un po' perplessa. E' davvero di capitale importanza ribadire ad ogni piè sospinto che le varie nazionalità/etnie/origini? In tutto questo amor di precisione, emerge una mancanza: manca il milanese. Perfino l'onesto lavoratore che vive da decenni a Milano e occasionalmente si trova a dare informazioni importanti a Binda viene definito "molisano". È importante? È davvero necessario? C'è una ragione? Non lo so. Ma alla lunga la cosa mi ha infastidito.
Mi è sembrato che l'autore volesse descriverci una città vuota e senza radici, una città che non appartiene a nessuno, dove tutti sono di passaggio. O peggio, una città presa d'assalto di chi non le appartiene, sempre secondo l'autore?
Se la sua intenzione era di comunicare un senso di vuoto, beh, allora Colaprico ha fatto centro. Ma in ogni caso non riesco a non pensare che sia una visione provinciale e una rappresentazione riduttiva e parziale di una metropoli come Milano.
E anche piuttosto pessimista. A parer mio, troppo pessimista e amara.

Voto: 6

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