martedì 26 novembre 2019

Penelope Poirot fa la cosa giusta...

... di Becky Sharp.

Con il sangue che le scorre nelle vene, Penelope Poirot sprizza talenti: la vocazione per risolvere misteri, la propensione a vivere artisticamente, il palato fine e la penna feroce di una critica gastronomica perfetta.
La passione, si sa, quando arde divora, e Penelope Poirot è provata nello spirito quanto ammorbidita nel corpo; stile Botticelli, dice lei, stile krapfen, pensa e non dice Velma Hamilton, la sua nuova, perplessa segretaria.
È il momento di cambiare, di partire: c’è una clinica salutistica, nelle colline del Chianti, che promette di depurare corpo e mente.
Ha un bel sapore gotico, avvolta così dai rampicanti, stemperato dalla luce dorata che occhieggia dalle persiane.
A cena il cibo è mesto, ma il bellissimo giardiniere sa come fartelo dimenticare. La donna alta e misteriosa scatena rivalità, odio e simpatia; la famosa scrittrice il desiderio insopprimibile di rubarle il marito.
Penelope non rinuncia al tacco dodici e alla volpe bianca neppure quando trascina Velma ad abbandonare ogni principio in osteria, e basta una pasticca alla violetta per coprire un altro vizio clandestino.
Poi, nelle sedute libido-dinamiche, scavano tutti insieme buche immaginarie per disseppellire i segreti. Operazione non priva di rischi: certi segreti, allo scoperto, esplodono.
C’è odore di gelo nell’aria di novembre, e il delitto, quando accade, è sulla neve bianca.
Neve che cade imperterrita sull’assassino, sulle prossime prede, sulla nuova trappola.
Con il sangue che le scorre nelle vene, Penelope Poirot non ci casca.
In certi casi, solo lei sa qual è la cosa giusta. (Sinossi dal sito della casa editrice Marcos y Marcos)

Ci sono pochi personaggi , nella mia lunga carriera di lettrice, che fatico a lasciar andare. Una, forse lo sanno anche i sassi, è Rossella O'Hara, ragion per cui ho letto tutti i sequel possibili e immaginabili di Via col vento ( e mene sono epntita in tutti i modi possibili e immaginabili).
Un altro personaggio è Hercule Poirot, delle cui abilità deduttive non riesco a far a meno. Dopo aver letto Tre stanze per un delitto, che non sarà all'altezza della Christie, ma non è male, ho deciso di lanciarmi in questa nuova avventura, e fare la conoscenza della pronipote di Hercule Poirot.

Penelope Poirot è un personaggio decisamente sopra le righe; ha una altissima - ma scarsamente meritata, secondo me - opinione di se stessa; invadente, intrigante e convinta di sapere sempre tutto, si dedica con passione al mestiere di critica culinaria. Quando decide di partire per l'Italia per una cura disintossicante, prende con sè una segreteria, Velma Hamilton, discreta e poco appariscente giovane donna inglese.

Il romanzo non mi è piaciuto granchè. Non saprei dire se si tratti di aspettative deluse, o se più semplicemente Penelope Poirot sia riuscita a toccare tutte le corde che mi causano fastidio in un libro.
Tanto per iniziare, la protagonista non mi ha ispirato nè simpatia nè ilarità.
L'ho trovata insulsa, odiosa nelle sue manie di grandezza, e anche parecchio illusa riguardo se stessa e il mondo che la circonda. Ho preferito di gran lunga Velma, la segreteria poco appariscente, che avrebbe avuto del potenziale, secondo me, se non fosse rimasta eccessivamente incastrata, anche grazie a dei flashback piuttosto incolori, nello stereotipo della zitella inglese timida e bruttina.
Oltretutto ho odiato il modo in cui è stata tiranneggiata da Penelope per tutta la durata del romanzo.

La trama non mi ha affascinato molto; la causa principale è da ricercarsi nel fatto che per intravedere una vittima, un delitto ed uno straccio di indagine ho dovuto attendere quasi metà del libro (150 pagine su 336). Decisamente troppo, per i miei gusti.
Mentre attendevo la svolta gialla, per così dire, mi sono annoiata parecchio. L'ambientazione (una clinica salutistica, le colline toscane a novembre) era potenzialmente intrigante ma a conti fatti si è rivelata piatta, a tratti deprimente. 
I personaggi secondari sono piatti e banali; fatta eccezione per due o tre di loro, ho faticato a distinguere gli uni dagli altri;  la maggior parte appariva palesemente messa in scena a far numero, ed era evidente che non sarebbero mai potuti rientrare nel novero dei sospettati dell'omicidio.
L'indagine non costituisce una sfida per il lettore, ed il finale, sebbene ci regali un guizzo di umanità che illumina la protagonista, è inconsistente e totalmente inappagante. 

Salvo lo stile, piacevole e scorrevole, dell'autrice.

Voto: 5

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