...di Rick Riordan.
Percy Jackson ha dodici anni ed è considerato un ragazzino difficile. E' stato espulso da sei scuole negli ultimi sei anni e per questo non è mai riuscito a farsi degli amici. A casa la situazione non è migliore: sua madre lo adora, ma il suo patrigno fa di tutto per rendergli la vita difficile.
Durante una gita scolastica però, accade qualcosa di strano: Percy viene attaccato da un mostro mitologico che sembra avercela proprio con lui. Gli eventi precipitano e Percy scopre una verità incredibile: lui non è un ragazzino come tutti gli altri, essendo in realtà figlio di uno degli dei dell'Olimpo. Sì, perché gli Dei esistono, sono tra noi, e combattono ancora le loro sanguinose guerre... e ben presto Percy si troverà proprio in mezzo ad un conflitto divino che rischia di degenerare e coinvolgere l'intera umanità.
Il romanzo parte molto bene con delle premesse affascinanti: gli Dei dell'Olimpo non sono materia di miti e leggende, sono vivi, sono ben nascosti nel mondo moderno, e fanno quello che hanno sempre fatto fin dai tempi antichi: bere, litigare, dedicarsi ai piaceri terreni, e naturalmente complottare per conquistare il potere assoluto. La spiegazione fornitaci dell'autore sulla loro esistenza e sul loro perdurare nel mondo moderno è originale e ben costruita. In pratica l'autore ipotizza che quella che noi chiamiamo civiltà occidentale sia legata a doppio filo all'esistenza di questi esseri sovrannaturali, e gli uni non potrebbero esistere senza l'altra. Allo stesso tempo, quando il fulcro della civiltà occidentale si sposta (per esempio dalla Grecia a Roma, poi all'Inghilterra, infine all'America), le divinità si spostano con esso. E questo spiega perché la "sede" dell'Olimpo si trovi attualmente a New York, in cima all'Empire State Building, ovviamente nascosta ad occhi mortali, mentre gli Inferi si trovano a Los Angeles, camuffati da studios televisivi. (E a proposito degli Inferi, ed a riprova che il lavoro di ambientazione fatto dall'autore è buono, c'è nel romanzo una rappresentazione del fiume Stige che mi ha colpito: è anch'esso inquinato come quasi ogni corso d'acqua, ma i rifiuti che lo appestano sono quelli lasciati dalle anime di passaggio, e cioè sogni infranti, speranze deluse, illusioni, traguardi mai raggiunti.)
Se esistono gli dei, esistono anche gli eroi, o semidei, e Percy scopre di essere uno di loro, anche se inizialmente ignora da quale divinità discenda. Interessante l'idea che la sua dislessia e i suoi disturbi comportamentali (iperattività, scarso rendimento, etc.) siano una conseguenza diretta del suo essere semi-divino, e quindi non completamente adatto al mondo mortale.
Una volta svelata la propria identità dall'attacco del mostro e dagli eventi che seguono, Percy cerca rifugio in un campo per ragazzi come lui, chiamato Campo Mezzosangue, dove potrà ricevere protezione e addestramento per abituarsi alla sua nuova condizione.
In seguito al pronunciarsi dell'Oracolo di Delfi, a Percy sarà affidata la missione di scoprire chi ha rubato la folgore di Zeus e restituirla prima che le divinità maggiori scendono in guerra tra di loro, accusandosi l'un l'altra del furto.
Purtroppo però alle buone premesse non segue uno svolgimento altrettanto buono.
Partiamo da Percy, che narra in prima persona la storia. Dovrebbe avere dodici anni, ma la sua voce non è assolutamente quella di un dodicenne, oltretutto con problemi di apprendimento. Percy parla e ragiona come un quarantenne. Non si fa mai prendere dal panico, eppure di situazioni bizzarre, rischiose o potenzialmente letali ne vede; usa un linguaggio lontano dallo slang di un pre-adolescente. Per esempio dice a una coetanea che ha una cotta "stai iperventilando", oppure paragona la tensione che sale alla carbonicazione dietro a un tappo di champagne. Non ce lo vedo proprio un dodicenne ad usare queste parole.
Ma il problema non è solo il linguaggio usato. Percy come dodicenne non è credibile, ed è ancor meno credibile come semidio che, dopo solo due settimane di allenamento riesce a battere una sfilza di mostri e divinità mitologiche che Ercole, scansati!
La trama risulta perciò non proprio entusiasmante, a tratti noiosa.
La trama risulta perciò non proprio entusiasmante, a tratti noiosa.
A voler essere puntigliosi poi, non mi pare proprio il più furbo dei piani affidare la salvezza della civiltà occidentale a un dodicenne senza alcun tipo di preparazione, che versa nella più completa ignoranza riguardo la mitologia "moderna", e soprattutto senza alcun tipo di piano, aiuto, consiglio o accompagnatori. Ah, no, aspettate un attimo, Percy due compagni ce li ha, una dodicenne che non è praticamente mai uscita dal Campo Mezzosangue, e un satiro la cui precedente missione di protezione di una giovanissimo semidio si era risolta in un bagno di sangue.
Ottimo, direi.
Ma comunque non c'è da preoccuparsi per Percy. Anche se la trama non è altro che una specie di corsa ad ostacoli, in cui l'ostacolo è rappresentato dal mosto di turno, Percy non è mai veramente in pericolo, non c'è mai un vero pathos e mai temiamo per la sorte del personaggio o della sua missione. Percy riesce perfino a sconfiggere Ares (Ares, il dio della guerra, mica pizza e fichi) perché lui è... boh, forse perché lui è il protagonista del romanzo.
Anche i suoi rapporti con i compagni di viaggio sono poco approfonditi; Percy definisce Grover, il satiro, il suo unico amico. ma se onestamente dovessi raccontare su cosa si basa questo rapporto di amicizia, quale sia lo scambio a livello umano tra i due, perché abbiano legato (al di là del fatto che Grover deve proteggerlo) non saprei dirlo. Semplicemente perché il rapporto di amicizia è costruito sul fatto che ce lo ha detto l'autore che è così, senza mai mostrarci niente del nascere e soprattutto dello sviluppo di questo rapporto.
Insomma, nonostante buoni spunti, Percy Jackson mi sembra il classico eroe che l'autore vorrebbe farci credere sia limitato, pieno di debolezze e anche un po' emarginato... ma a conti fatti risulta essere super senza doversi sforzare eccessivamente.
Tutto questo, unito a una trama non particolarmente brillante, mi ha un po' infastidito.
Non è una lettura orrenda, questo no; ma onestamente non mi ha trasmesso la voglia di proseguire con la lettura dei successivi capitoli della serie.
Voto: 5 e 1/2
Anche i suoi rapporti con i compagni di viaggio sono poco approfonditi; Percy definisce Grover, il satiro, il suo unico amico. ma se onestamente dovessi raccontare su cosa si basa questo rapporto di amicizia, quale sia lo scambio a livello umano tra i due, perché abbiano legato (al di là del fatto che Grover deve proteggerlo) non saprei dirlo. Semplicemente perché il rapporto di amicizia è costruito sul fatto che ce lo ha detto l'autore che è così, senza mai mostrarci niente del nascere e soprattutto dello sviluppo di questo rapporto.
Insomma, nonostante buoni spunti, Percy Jackson mi sembra il classico eroe che l'autore vorrebbe farci credere sia limitato, pieno di debolezze e anche un po' emarginato... ma a conti fatti risulta essere super senza doversi sforzare eccessivamente.
Tutto questo, unito a una trama non particolarmente brillante, mi ha un po' infastidito.
Non è una lettura orrenda, questo no; ma onestamente non mi ha trasmesso la voglia di proseguire con la lettura dei successivi capitoli della serie.
Voto: 5 e 1/2
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