La scheda del libro sul sito della casa editrice Neri Pozza
Uno scrittore ultracinquantenne e non troppo famoso riceve una richiesta d'aiuto da un ex amico di gioventù, Damian Baxter. L'uomo sta morendo, e nonostante abbia accumulato una fortuna, non ha amici né parenti a cui rivolgersi. Prima di morire desidera che il suo ex amico indaghi su una lettera anonima giuntagli anni prima, in cui una donna lo metteva al corrente di aver avuto un figlio da lui senza mai rivelarglielo. La lettera non fornisce molti indizi, ma Damien, uomo forte, affascinante, ma anche cinico e opportunista, desidera lasciare il suo patrimonio ad un figlio che non ha mai conosciuto.
Incapace di rifiutargli il suo aiuto, nonostante qualcosa sia successo tra loro quarant'anni prima, tanto da indurli a non rivedersi mai più, lo scrittore ripercorrerà a ritroso le tappe della loro giovinezza alla ricerca della donna che ha scritto la lettera e di suo figlio.
Il romanzo è narrato in prima persona dallo scrittore, che resterà senza nome per tutta la durata del libro. Per esaudire l'ultimo desiderio di Baxter dovrà rintracciare cinque donne, in base a una lista che lo stesso Baxter ha scritto per lui. Così lo Scrittore ci porterà in giro per l'Inghilterra e anche a Los Angeles, ma inevitabilmente la ricerca lo costringerà a ricostruire i fatti salienti della sua giovinezza. Lo Scrittore, adesso, ha passato i 50 e si avvia verso i 60; la sua vita scorre su consolidati binari fatti di routine e insoddisfazione. Lo Scrittore non è infelice, ma nemmeno pieno di gioia e voglia di vivere.
La richiesta di Damian Baxter non comporterà solo una ricerca di vecchi amici ed ex fidanzate. Comporterà un tuffo in un passato che non è assolutamente idilliaco, nemmeno quando viene guardato attraverso la lente deformante dei numerosi anni trascorsi.
Il romanzo è narrato in prima persona dallo scrittore, che resterà senza nome per tutta la durata del libro. Per esaudire l'ultimo desiderio di Baxter dovrà rintracciare cinque donne, in base a una lista che lo stesso Baxter ha scritto per lui. Così lo Scrittore ci porterà in giro per l'Inghilterra e anche a Los Angeles, ma inevitabilmente la ricerca lo costringerà a ricostruire i fatti salienti della sua giovinezza. Lo Scrittore, adesso, ha passato i 50 e si avvia verso i 60; la sua vita scorre su consolidati binari fatti di routine e insoddisfazione. Lo Scrittore non è infelice, ma nemmeno pieno di gioia e voglia di vivere.
La richiesta di Damian Baxter non comporterà solo una ricerca di vecchi amici ed ex fidanzate. Comporterà un tuffo in un passato che non è assolutamente idilliaco, nemmeno quando viene guardato attraverso la lente deformante dei numerosi anni trascorsi.
Stai rivisitando il tuo passato e non potrai fare a meno di paragonarlo con il tuo presente. Sarai costretto a ricordare ciò che volevi dalla vita a diciannove anni, quando ancora non sapevi nulla della vita, i tuoi sogni e i sogni di tutte le ragazzine sciocche e troppo truccate, dei giovanotti montati che frequentavi allora. Per colpa di Damian, dovrai essere testimone della loro sorte. Della tua sorte. Da vecchio, chiunque abbia un minimo di cervello trova il modo di venire a patti con le grandi delusioni della vita, ma tu sei ancora troppo giovane. Non avrai più il tempo di raddrizzare le cose, ma te ne resterà troppo per rimpiangere gli errori che hai commesso.
Perciò la ricerca lascerà un segno molto profondo sulle vite dello Scrittore e delle persone da lui contattate, anche perché tra Damian e lo Scrittore è successo qualcosa, qualcosa di grave e mai chiarito, ma che molto britannicamente (si, lo so che questa parola non esiste, ma è comunque appropriata) viene sempre e soltanto accennato e mai discusso direttamente.
Damian Baxter è stato un affabulatore, un arrampicatore sociale senza empatia e senza sentimenti veri. Lo Scrittore invece è esacerbato da quello che è successo tra loro, ed è ancora amareggiato a distanza di quarant'anni.
Quando lui e Baxter erano giovani hanno assistito, come tutta la loro generazione, nata durante o subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, al crollo inesorabile dell'aristocrazia; alla scomparsa dei vecchi privilegi e della deferenza ossequiosa verso le classi alte; alla sparizione di interi patrimoni non più in grado di reggere il confronto con l'economia moderna; in una parola, sono stati testimoni di un cambio epocale per le fortune e le vite degli aristocratici.
Ecco, tutto questo ci viene narrato con estrema dovizia di particolari, abbondanza di dettagli che sfiora la pedanteria. La trama procede lenta, perché ci sono pagine e pagine di spiegazioni sul come, perché, quando, dove l'aristocrazia ha fallito, è caduta, ha ceduto il testimone ed il mondo è inesorabilmente cambiato (in peggio).
Il crollo di una società e l'instaurarsi di un'altra è un'ottima cornice per un romanzo (penso ad esempio, a Via col Vento) ma qui questi eventi sono narrati dall'esterno, senza essere veramente legati alla trama, senza che ne facciano parte davvero. E' come se fossimo a cena con l'autore, e lui ci stesse illustrando l'ambientazione del suo romanzo, senza lasciare che siano i suoi personaggi e le loro storie a definirla per noi.
Per esempio, lo Scrittore incontra un tizio che potrebbe avere informazioni utili per lui, e parte la divagazione:
Il vecchio Savoy ci ha lasciato. Quell’assurda mescolanza di Odéon e Belle Époque ha fatto da sfondo a buona parte della mia vita: dalla fanciullezza, quando le zie mi ci portavano per il tè, all’adolescenza, con i balli e i cocktail-party nella River Room, agli anni adulti fra matrimoni, compleanni e ricorrenze di ogni genere, fino a ieri, quando ci andavo per le cene di gala dei festival cinematografici con i loro menu privi di fantasia, le pacche sulle spalle, la finta allegria. Poco dopo la serata con Kieran, la nuova proprietà chiuse i battenti ed è passato un bel pezzo prima che ci fosse svelata la forma rivista e corretta dell’hotel. Consapevoli del posto speciale che il Savoy occupa, da oltre un secolo, nel cuore dei londinesi, gli architetti hanno cercato di preservarne almeno lo spirito, ma il ritrovo preferito da Nellie Melba e Diana Cooper, Alfred Hitchcock e la duchessa di Argyll, Marilyn Monroe e Paul McCartney vive ormai solo nella nostra memoria e nei libri di storia.
Era da tempo che non entravo al Grill e lo trovai molto diverso dall’esclusivo rendez-vous della mia adolescenza. All’inizio degli anni Sessanta... [continua così ancora per parecchio]
Dopo una discreta scena piena di sentimento, lo Scrittore decide di fare una camminata per schiarirsi le idee - e parte il sermone.
Esco raramente a piedi di notte, più per pigrizia che per timore a dire la verità, ma ogni volta rimango stupito nel vedere quanto è cambiata Londra dai tempi della mia giovinezza. Non mi riferisco alla microcriminalità e neppure alla sporcizia, le cartacce che svolazzano qua e là e si accumulano presso le ringhiere e i platani nella vana attesa che gli addetti vengano a raccoglierle. È l’ubriachezza molesta ad aver trasformato le strade di Londra in un piccolo inferno per il cittadino rispettoso della legge. L’abbrutimento alcolico che si associava un tempo alla Russia di Stalin, sintomo di un popolo oppresso dal pugno di ferro della dittatura, o alle regioni polari, dove l’interminabile notte artica conduceva alla pazzia anche i temperamenti più equilibrati, sembra essere dilagato anche da noi. Perché? Sbaglia chi pensa che sia un problema di classe, frutto delle miserie dei meno abbienti.[...]
La gente beveva anche quarant’anni fa, è ovvio, ma capitava di rado di assistere al triste spettacolo di un uomo in preda ai fumi dell’alcol. Alzare troppo il gomito era considerato uno sbaglio, un riprovevole effetto collaterale dell’allegria, un errore di valutazione che, il giorno dopo, richiedeva delle scuse. Oggi è il vero scopo di ogni festa. C’è qualcuno in grado di spiegarmi perché continuiamo a tollerare un simile andazzo? Non intendo negare il fascino della vita notturna, che noi stessi abbiamo favorito e incoraggiato, ma non si può andare avanti così. Quanto tempo dovrà passare prima che riusciamo ad ammetterlo? L’ottimismo non equivale a chiudere gli occhi sui problemi, quella si chiama ignavia. [continua così ancora per un po']
Questi sono due esempi, ma se ne potrebbero fare molti, molti, molti altri, perché il romanzo è costruito tutto così.
C'è una vena triste, a volte amara, a volte velenosa che attraversa il romanzo. Non c'è traccia dell'humour cui ci aveva abituato il precedente romanzo del medesimo autore, Snob; i personaggi suscitano più pietà e compatimento più che empatia. Il rimpianto per quello che poteva essere e non è stato permea tutto il libro. Avrei potuto apprezzare l'amarezza e la tristezza di fondo, che danno alla trama un accento dolente, se non fossero state sommerse da una incredibile quantità di recriminazioni che somigliano a lezioncine su cosa c'è che non va nella società di oggi; ogni singolo passo che compie la trama viene accompagnato da pagine e pagine di dissertazione che analizzano le pecche del mondo moderno.
In questo modo la lettura viene resa molto difficoltosa, e a tratti diventa noiosa.
Il finale è passabile, ma nulla di più.
Voto: 5
Il vecchio Savoy ci ha lasciato. Quell’assurda mescolanza di Odéon e Belle Époque ha fatto da sfondo a buona parte della mia vita: dalla fanciullezza, quando le zie mi ci portavano per il tè, all’adolescenza, con i balli e i cocktail-party nella River Room, agli anni adulti fra matrimoni, compleanni e ricorrenze di ogni genere, fino a ieri, quando ci andavo per le cene di gala dei festival cinematografici con i loro menu privi di fantasia, le pacche sulle spalle, la finta allegria. Poco dopo la serata con Kieran, la nuova proprietà chiuse i battenti ed è passato un bel pezzo prima che ci fosse svelata la forma rivista e corretta dell’hotel. Consapevoli del posto speciale che il Savoy occupa, da oltre un secolo, nel cuore dei londinesi, gli architetti hanno cercato di preservarne almeno lo spirito, ma il ritrovo preferito da Nellie Melba e Diana Cooper, Alfred Hitchcock e la duchessa di Argyll, Marilyn Monroe e Paul McCartney vive ormai solo nella nostra memoria e nei libri di storia.
Era da tempo che non entravo al Grill e lo trovai molto diverso dall’esclusivo rendez-vous della mia adolescenza. All’inizio degli anni Sessanta... [continua così ancora per parecchio]
Dopo una discreta scena piena di sentimento, lo Scrittore decide di fare una camminata per schiarirsi le idee - e parte il sermone.
Esco raramente a piedi di notte, più per pigrizia che per timore a dire la verità, ma ogni volta rimango stupito nel vedere quanto è cambiata Londra dai tempi della mia giovinezza. Non mi riferisco alla microcriminalità e neppure alla sporcizia, le cartacce che svolazzano qua e là e si accumulano presso le ringhiere e i platani nella vana attesa che gli addetti vengano a raccoglierle. È l’ubriachezza molesta ad aver trasformato le strade di Londra in un piccolo inferno per il cittadino rispettoso della legge. L’abbrutimento alcolico che si associava un tempo alla Russia di Stalin, sintomo di un popolo oppresso dal pugno di ferro della dittatura, o alle regioni polari, dove l’interminabile notte artica conduceva alla pazzia anche i temperamenti più equilibrati, sembra essere dilagato anche da noi. Perché? Sbaglia chi pensa che sia un problema di classe, frutto delle miserie dei meno abbienti.[...]
La gente beveva anche quarant’anni fa, è ovvio, ma capitava di rado di assistere al triste spettacolo di un uomo in preda ai fumi dell’alcol. Alzare troppo il gomito era considerato uno sbaglio, un riprovevole effetto collaterale dell’allegria, un errore di valutazione che, il giorno dopo, richiedeva delle scuse. Oggi è il vero scopo di ogni festa. C’è qualcuno in grado di spiegarmi perché continuiamo a tollerare un simile andazzo? Non intendo negare il fascino della vita notturna, che noi stessi abbiamo favorito e incoraggiato, ma non si può andare avanti così. Quanto tempo dovrà passare prima che riusciamo ad ammetterlo? L’ottimismo non equivale a chiudere gli occhi sui problemi, quella si chiama ignavia. [continua così ancora per un po']
Questi sono due esempi, ma se ne potrebbero fare molti, molti, molti altri, perché il romanzo è costruito tutto così.
C'è una vena triste, a volte amara, a volte velenosa che attraversa il romanzo. Non c'è traccia dell'humour cui ci aveva abituato il precedente romanzo del medesimo autore, Snob; i personaggi suscitano più pietà e compatimento più che empatia. Il rimpianto per quello che poteva essere e non è stato permea tutto il libro. Avrei potuto apprezzare l'amarezza e la tristezza di fondo, che danno alla trama un accento dolente, se non fossero state sommerse da una incredibile quantità di recriminazioni che somigliano a lezioncine su cosa c'è che non va nella società di oggi; ogni singolo passo che compie la trama viene accompagnato da pagine e pagine di dissertazione che analizzano le pecche del mondo moderno.
In questo modo la lettura viene resa molto difficoltosa, e a tratti diventa noiosa.
Il finale è passabile, ma nulla di più.
Voto: 5
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