...di janet MacLeod Trotter.
La scheda del libro sul sito della casa editrice Newton & Compton
Assam, India, 1904. Dopo la morte del padre, la diciottenne Clarissa e la tredicenne Olive sono costrette a vendere la piantagione di tè della famiglia, ormai in bancarotta, e a trasferirsi in Inghilterra da un parente che gestisce un pub. Le due ragazze ritengono responsabile della propria rovina economica un facoltoso piantatore di tè, Wesley Robson.
La vita in Inghilterra non è facile; i lontani parenti si dimostrano gretti e meschini con le ragazze, che hanno un unico scopo: restare unite e riconquistare un po' dell'agiatezza e della serenità perdute.
La figlia del mercante di tè è parte della serie chiamata India Tea Series di Janet MacLeod Trotter. La figlia sarebbe il primo volume, ma io, nella mia beata ignoranza, ho letto (e recensito qui) per primo il secondo volume, La promessa sposa del mercante di tè.
Protagoniste di questo volume sono due sorelle, che, dopo aver perso la madre, perdono anche il padre. L'uomo non si era mai ripreso dalla scomparsa della moglie, e così aveva lasciato andare la piantagione di tè in rovina, affogando il suo dolore nell'alcool.
Un burbero ma affascinante piantatore, Wesley Robson, cerca di mostrare a Clarissa, soltanto diciottenne ma oramai sostegno della famiglia, come salvare la proprietà, ma a causa di screzi passati, lei e il padre non vogliono l'aiuto della famiglia Robson.
Per ragioni sconosciute ai più, Wesley rimane affascinato da Clarissa, che lo tratta davvero malissimo in ogni occasione possibile, e le resterà devoto per oltre dieci anni e 400 pagine.
Questa è la prima nota stonata del romanzo: di preciso, cosa ha tanto colpito Robson da farlo restare fedele a quella infatuazione? Perché rimane devoto a Clarissa, correndo a toglierle le castagne dal fuoco a distanza di dieci anni dal loro primo incontro?
Insomma, la cosa appare un po' forzata, o quantomeno non ben approfondita.
Il personaggio di Clarissa non è male; è una persona forte, che si fissa uno scopo e non lavora sodo per ottenerlo. Nel suo caso lo scopo è tenere la sorellina Olive al sicuro, e darle una vita migliore.
Clarissa in sé mi è piaciuta, anche perché ha il coraggio di fare scelte che non sono perfettamente in linea con l'ideale di "eroina romantica" che ci aspettiamo di trovare in un romanzo come questo.
Olive invece è una lagna, sempre attaccata alle gonne della sorella, spaventata, inerme, triste. Ci potrebbe anche stare; in fondo parliamo di una ragazzina strappata alla sua terra natale, l'India, e ad una certa agiatezza, che finisce a fare la lavapiatti nel pub di due cugini del padre che niente hanno da invidiare agli schiavisti del '700. Ma nel corso del romanzo, l'indole di Olive è altalenante, prima è attaccata alla sorella, poi si dimostra ostile, poi di nuovo attaccata, poi è gelosa, poi distante (anche fisicamente, si allontana dalla sorella e fa di tutto per evitarla), poi corre bellamente a ripararsi sotto l'ombrello di Clarissa quando le cose vanno male. Il tutto un po' troppo velocemente e senza il necessario approfondimento, secondo me.
Le vicende narrate non sono noiose, ma mancano di mordente. Se si eccettua la prima parte del romanzo, quando le due ragazze precipitano verso il basso della scala sociale, e devono adattarsi al nuovo status, al duro lavoro, alle angherie ed oltretutto devono anche elaborare il lutto, il romanzo è la cronaca un po' stanca della vita di Clarissa, e dei suoi tentativi di risalire la scala sociale.
L'apice di questo modo di raccontare si raggiunge nella parte finale del romanzo, quando scoppia la Prima Guerra Mondiale. Sarebbe l'occasione perfetta per un po' di patos, di sentimento, di stravolgimenti nelle vite dei personaggi... invece sembra che per sbagliano nel libro abbiano inserito la sinossi di questa parte anziché le pagine del romanzo vero e proprio.
L'autrice ci fa uno stringato riassunto degli anni della guerra, raccontandoceli senza mostrarceli, senza farceli vivere davvero.
Anche l'evento tragico del finale giunge un po' troppo tardi a riscattare l'assenza di sentimento della narrazione, e secondo me non è neanche sfruttato al meglio. In pratica il suddetto evento tragico ci viene comunicato con lo stesso tono piatto che io userei per dire "ehi! Sai chi ho incontrato alle Poste ieri?". Il tutto poi viene ulteriormente annacquato dal lieto fine d'ordinanza.
L'ambientazione, sia quella indiana che quella inglese sono belle, ben approfondite, e non mancano gli spunti interessanti, ma per lunghi tratti il libro è troppo piatto per meritarsi la sufficienza.
Voto: 5
Ehm... io non vorrei dirlo, ma... te l'avevo detto!!!
RispondiEliminaè vero, me l'avevi detto!! Quando ero giuovane mi avevi sconsigliato La Biblioteca dei Libri Proibiti... ed è finita come sappiamo. Mi avevi sconsigliato questo... ed è finita come sappiamo. Quindi la morale della favola qual è????
EliminaChe se la Libridinosa dice no, Ansialisa non legge!
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