domenica 10 settembre 2017

Dimmi che credi al destino...

... di Luca Bianchini.

La scheda del libro sul sito della Mondadori

Ornella ha 55 anni, vive a Londra ormai da molti anni e dirige una libreria per italiani che rischia di chiudere. Cercando di risollevarne le sorti, Ornella coinvolge Diego, un giovane apprendista-barbiere napoletano, anche lui trasferitosi a Londra e la sua amica Patti, donna eccentrica che vive in Italia ma è sempre pronta a correre da lei per darle una mano.

Questo è il primo libro che leggo di Luca Bianchini, autore di cui ho sentito dire sempre bene, e devo purtroppo confessare che sono rimasta profondamente delusa.
La trama, sulle prime, è molto accattivante, anche per la simpatia con cui vengono descritti e presentati i personaggi. 
Ornella è una signora di mezza età molto giovanile, con alle spalle un passato doloroso e irrisolto. Questo non le impedisce di avere una punta di follia nella vita di tutti i giorni. Ad esempio, convinta che avere allergie siano una cosa piuttosto cool, si inventa una improbabile allergia all'origano, finendo quasi per crederci davvero. Potrebbe risultare simpatica e divertente, ma ha due lati - quello un po' folle e quello legato alle sofferenze del suo passato - che l'autore non ha saputo amalgamare e rendere verosimili e coerenti.
Patti è l'amica di Ornella, in attesa che la zia di suo marito tiri le cuia e lasci loro una cospicua eredità. Dovrebbe essere una sorta di contrappunto di Ornella, più seriosa, ma a me è sembrata soltanto un personaggio poco riuscito, estremo in ogni azione e decisione, e senza credibilità.
Diego, che lavora part time dal barbiere di fronte alla libreria, è un giovane napoletano in fuga da un amore omesessuale non ricambiato. Odia il caffè e la pizza gli rimane sullo stomaco. Sulle prime questa cosa mi ha fatto sorridere, perchè ci ho visto un ironico tentativo dell'autore di sovvertire gli stereotipi sugli italiani.
Altra cosa che mi ha fatto sorridere, il colloquio che Ornella ha con un vecchio signore inglese, a proposito della possibilità di salvare o meno la libreria:

"Invece deve provarci, soprattutto perchè è italiana."
"E cosa c'entra che sono italiana?"
"Voi italiani sapete sempre togliervi dai guai."
"Quelli sono i napoletani."
"Per noi siete tutti napoletani." 

Mi ha fatto sorridere il punto di vista un po' superficiale, un po' ironico con cui il distinto gentiluomo dichiara di guardare agli italiani, e il candore con cui lo ammette.
Peccato che al di là di questo tentativo, l'autore non ne abbia fatto altri per raccontarci una storia originale e senza luoghi comuni, o meglio, per ribaltare e sfruttare i luoghi comuni per intrattenere il lettore. Tutt'altro. Ben preso il romanzo scivola fino a diventare la sagra della banalità e dello stereotipo. Se ne contano a decine.
Prendiamo Diego, che potenzialmente aveva le carte in regola per essere un bel personaggio.
Ecco, anche io sono napoletana e particolarmente fiera delle mie origini, ma vi posso assicurare che riesco a avere conversazioni anche senza infilare le parole Napoli o napoletano ogni dieci parole. So parlare anche di altro, eh.
Diego no. E se per caso a Diego dimentica di dire Napoli ogni 3x2, ci pensano i suoi interlocutori. Del resto, di che cosa vuoi parlare con un napoletano? Dopo avergli chiesto della pizza e del mandolino, altri argomenti di conversazione non ne restano. Al massimo al massimo puoi chiedergli di Maradona.
La cosa più irritante di Diego poi è che quando parte con i suoi discorsi su Napoli non riesce mai ad andare oltre la superficie. I suoi pensieri non sono veri, vivi, reali, ma sono frutto di quelle quattro immagine da cartolina o da luogo comune che tutti conosciamo: il traffico-il Vesuvio-la partita-la pizza.  Non riesco a credere che uno scrittore abbia caratterizzato un personaggio con così tanta superficialità. Per me questa è pigrizia intellettuale.
 
Questa tendenza a ridurre tutto a stereotipo non è solo di Diego, ma è  diffusa tra tutti i personaggi.

Clara, la dipendente della libreria, non sopporta Diego perchè un ragioniere napoletano poteva capitare solo a lei. [...] Non solo avrebbero chiuso la libreria, ma l'avrebbero fatto anche con il chiasso e il disordine che da sempre i meridionali mettono in tutto ciò che fanno.

Julie, la fioraia danese invaghita di Diego, se ne esce con frasi del tipo: sei il solito italiano orgoglioso e permaloso. (E alla domanda "che ne sai tu degli italiani?" risponde che ha conosciuto il fidanzato italiano della sorella, e gli è bastato e avanzato. Ah beh. Un campione significativo, complimenti Julie!)
Sempre a Julie piace l'idea dell'uscita in doppia coppia con due italiani che ti cucinano la pasta, ti spostano la sedia e ti portano le rose. (Il mandolino, Julie, hai dimenticato il mandolino!)

La sorella di Julie, Anastasia, invita Diego a cena a casa sua e lo accoglie cantando 'O sole mio. L'unico termine che mi viene in mente è: imbarazzante. Io mi sarei girata e me ne sarei andata.

Diego torna nel suo appartamento che condivide con un ragazzo greco e lo trova che balla il sirtaki con degli amici. (Questa fa splendidamente il paio con 'O sole mio. Io me li immagino proprio i giovani greci che nel tempo libero ballano il sirtaki e scolpiscono capitelli corinzi.)

Nunzio, fidanzato di Anastasia, dice che lei le piace perchè non mi sta addosso come le italiane che tra un po' ti soffocano, lavora regolarmente e non mi chiede mai un regalo (!!!).
Di sè dice di essere il classico calabrese, anche se non mangia la 'nduja. Vabbè.
Ornella pensa che il suo vicino di casa  sia il tipico esempio di inglese che ti sorride davanti e ti accoltella dietro.

Ecco, questi non sono neanche tutti gli esempi che potrei estrapolare dal testo. Questo è il modo in cui i personaggi si vedono l'un l'altro, il modo in cui si descrivono agli altri e al lettore.
In mezzo a questa fiera della banalità, viene appiccicata un po' a fatica la storia di Ornella che deve chiudere i conti con il suo ex marito, ormai malato terminale. Una storia piuttosto surreale, inverosimile, che vede lei e Patti (altro personaggio completamente sopra le righe e poco credibile) imbarcarsi in un viaggio per l'Italia su una seicento sgangherata semplicemente perchè Ornella deve chiedere aiuto ad una Madonnina di gesso situtata in un luogo del suo passato. Mi spiego: l'uomo responsabile dei traumi del suo passato sta morendo e vuole vederla per l'ultima volta. E lei, matura signora di 55 anni, percorre centinaia di chilomentri per chiedere alla statua della Madonnina se deve vederlo o meno. Boh.

Insomma, io non trovo veramente nulla da salvare in questo romanzo. Forse solo il fatto che comunque è una lettura veloce e scorrevole.

Voto: 4

6 commenti:

  1. Ciao Lisse,
    Anch'io mai letto nulla di Bianchini.
    Ma visto che prox settimana qui c'è il Festival PordenoneLegge, ci stavo pensando...
    Ma da quello che hai così ben scritto tu, direi che continuerò a non leggerlo.
    Almeno questo romanzo!
    Grazie x esserti immolata per noi 😉
    Anche da voi la scuola inizia domani...?
    Buono scampolo di domenica, Marina

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    1. Sì, la scuola inizia domani e sono meno sollevata del previsto. Rossellina mi mancherà.
      Mi dicono che Io che amo solo te di Bianchini è bellissimo, comunque. È stato scritto prima di questo.

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    2. 😊
      Nonostante le mie siano oramai grandine (13 e 14), quando iniziano scuola mi pare di vederle di meno e mi mancano più che in estate.
      Considerando che lavoro sempre, direi che x me è più un fatto mentale.
      Tant'è!

      Allora rimetto Bianchini nel listone, evitando però questo che hai recensito.

      Allora buona prima settimana di scuola, ciao!, Marina

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  2. Sì ma pure tu...non ti posso lasciare un attimo da sola. Di tutti i libri di Bianchini che fai? Peschi il più brutto in assoluto? Male, malissimo! Ora ci penso io a te, sì sì!!

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    1. È colpa di Anna Rita, mica mia, che ha inserito la parola "destino" nella lista per la sua challenge!!!
      Comunque lo so che Bianchini ha scritto anche libri belli.

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    2. PS: dopo quel "ora ci penso io a te" ho un po' paura.

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