martedì 11 aprile 2017

Le belle Cece...

... di Andrea Vitali.
 
 
Bellano, sul lago di Como, 1936. Il segretario della locale sezione del partito, Fulvio Semola, organizza un concerto di campane per festeggiare la raggiunta conquista dell'Impero. Mentre il popolo ascolta le parole del Duce diffuse dalla radio, si mettono in moto una serie di eventi surreali: un furto di biancheria intima; un'aggressione apparentemente collegata; un'indagine per una rissa con improbabili testimoni; un reduce della guerra d'Africa e il suo attendente di colore; alcune rispettabili signore bellanesi. Toccherà al maresciallo dei Carabinieri Maccadò sbrogliare la singolare matassa.
 
Se le vicende partono da lontano, da un ambizioso progetto del Semola, teso a consolidare la sua posizione all'interno del partito locale, il fulcro della storia ruota attorno ad un misterioso quanto imbarazzante furto di biancheria intima. Tutte le persone coinvolte vogliono mantenere il più stretto riserbo sul fatto; il Semola, investito delle indagine dal potente e acido ispettore di produzione del locale cotonificio (tale Malversati) deve sbrigarsela alla svelta, pena ritorsioni; il Malversati deve salvare la sua reputazione; sua moglie Verzetta Cece (una delle due Cece del titolo) deve invece nascondere qualche peccatuccio. Il maresciallo, dal canto suo, deve mettere in campo tutta la sua astuzia per districarsi fra le bugie e le reticenze di tutte le persone coinvolte, tra cui spicca, sua malgrado, Stellio Cerevelli, eroe decorato della guerra d'Africa.
Mi sono abituata a vedere come Vitali di solito strapazzi i suoi personaggi, mettendo a nudo senza pietà le loro debolezze e soprattutto le loro meschinità. Mi ha colpito invece la caratterizzazione del Cerevelli, che pur avendo una condotta ritenuta scandalosa per l'epoca, è uno dei pochi, insieme al suo attendente di colore, che conserva la sua dignità.
 
Le belle Cece è il più teatrale dei romanzi di Andrea Vitali. Congegnato come una commedia degli equivoci, con i personaggi che fanno continuamente capolino su quel grande palcoscenico all'aria aperta che è Bellano, sembra diviso in atti. A far da capocomico o forse da regista, è il maresciallo Maccadò.
Alcuni personaggi mi hanno ricordato le maschere tipiche della commedia dell'arte - in particolare, il Malversati ricorda Balanzone, tronfio e presuntuoso; Volantino (il tuttofare del paese) Arlecchino; la servitù in generale ha caratteristiche comuni ai servitori che popolano la commedia dell'arte (e quindi di volta in volta la furbizia, o l'ignoranza, o lo scarso acume).
Sotto la leggerezza delle vicende traspaiono due temi importanti: l'omofobia e il razzismo. Vitali non ci fa una morale su questi due temi; si limita a descrivere come nel 1936, in piena epoca fascista, fosse considerato non solo normale ma anche meritorio essere razzisti e omofobi. Quello che però mi ha divertito è stato che, a ben guardare, l'autore un  messaggio ce lo manda: gli unici due personaggi che nel romanzo non fanno la figura dei "fessi" (ovvero Maccadò  e Stellio Cerevelli) sono anche gli unici due che non mostrano traccia né di razzismo né di omofobia.
 
Un romanzo divertente, arguto, che si legge velocemente e con interesse crescente. Consigliato sia agli amanti di Vitali, che a chi si avvicina per la prima volta a questo autore.
 
Voto: 7 e 1/2
 

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