mercoledì 19 gennaio 2022

Il sale della terra...

 ... di Jeanine Cummins. 

Lydia vive ad Acapulco con il marito Sebastiàn e il figlio Luca, e conduce un'esistenza normale e tranquilla fino al giorno in cui un commando di sicari stermina 16 membri della sua famiglia. Solo Lydia e il piccolo Luca si salvano fortuitamente. Traumatizzata, terrorizzata e sola, la donna inizia un lungo viaggio clandestino per abbandonare il Messico senza che il cartello di naroctrafficanti che la vuole morte li scopra, ben sapendo che, se è vero che la morte la insegue, è anche vero che il viaggio che la attende è pericoloso e pieno di orrori.

Il sale della terra affronta un tema che io ritengo non possa essere ignorato al giorno d'oggi. L'immigrazione, spesso forzata da violenze, fame, guerra, violazione dei diritti umani o estrema povertà, è qualcosa che non possiamo fare finta che non ci riguardi, solo perchè, tutto sommato, siamo nati nella parte privilegiata del mondo.
Perciò ero molto ben disposta verso questo romanzo.

Fin dalle prime pagine, però, ho cominciato a pensare che ci fosse qualcosa che non andava, una sorta di dissonanza. 
Questa sensazione mi ha accompagnato per tutto il romanzo, che ha avuto perlomeno il pregio di essere scorrevole e di veloce lettura.
In pratica, ci ho messo più tempo ad elebaorare e scrivere questa recensione che ha leggere il libro in questione.

Dopo molte riflessioni ho capito cosa mi ha tanto disturbato: Cummins scrive una storia tragica, tremenda e tristissima, piena di episodi agghiaccianti che dovrebbero essere un pugno nello stomaco del lettore ma lo fa con una superficialità e con un ingenuità tali da rovinare un tema significativo come questo.

Lydia e Luca si salvano perchè erano in bagno al momento della strage. I killer sterminano una famiglia intera, e per ragioni che non spoilero sanno benissimo che Lydia è lì ma non la trovano (la cercano eh, ma non la trovano, #tuttoaposto), e già così, secondo me, cominciamo male.
Le proporzioni della strage sono ragguardevoli; ho letto da persone più informate di me che una cosa del genere avrebbe fatto scalpore e sarebbe stata per settimane sui quotidiane nazionali anche in un paese funestato da numerosi omicidi dei narcos. Invece questo evento assume, tra le pagine del romanzo, una dimensione praticamente normale, come se certe cose succedessero un giorno sì e l'altro pure. (Attenzione, non sto dicendo che non accadono; sto dicendo che sono eventi gravissimi e eccezionali che scuotono l'opinione pubblica; descriverli come "normale amministrazione in Messico" significa offrire un'immagine falsata della realtà).
 
In effetti il romanzo non è esente da stereotipi e banalizzazioni. 
 
Il Messico è ridotto a un semplicistico miscuglio di narcos e corruzione, senza alcun tentativo di approfondimento. L'immigrazione invece è un fato ineluttabile, gli Stati Uniti un paradiso in terra, un sogno proibito, senza che mai, mai, mai venga mossa la più piccola critica nei confronti della politica anti immigrazione statunitense, che ha causato e continua a causare immani sofferenze.
 
Un altro esempio di quanto affermo sopra è il linguaggio usato dai personaggi. 
I personaggi sono nella stragrande maggioranza di lingua spagnola e dunque si presume che parlino tra di loro in spagnolo. Perciò non mi spiego il senso di buttare qua e là parole in spagnolo nel discorso diretto visto che si presume che il dialogo che sto leggendo si stia già svolgendo interamente in spagnolo.
Mi pare un mezzuccio per buttare tra le righe un po' di colore, qualche parolina spagnola che fa tanto esotico, olè! Un mezzuccio a cui si ricorre quando l'ambientazione non è sufficientemente approfondita.
 
E a proposito di approfondimento, i personaggi ne mancano totalmente. Lydia e Luca forse sarebbero appena appena sufficienti, in quanto ad approfondimento, ma i comprimari sono perfettamente bidimensionali e sembra siano stati messi lì perchè possano cavare Lydia e Luca d'impaccio quando serve. In particolare c'è un personaggio che compare causualmente nell'ultimo quarto del romanzo, aiuta i due protagonisti a superare un ostacolo, e convenientemente sparisce senza tanti complimenti prima della fine.

Ma il difetto peggiore del romanzo è, a parer mio, l'aver scelto di narrare una storia come questa attraverso un personaggio che non ha nulla della tipica migrante disperata. È vero, Lydia scappa da un vissuto terribile, ma è ricca, colta e ha i documenti in regola (e secondo me anche una fortuna sfacciata, perchè durante il viaggio evita sempre il peggio merntre intorno a lei succede qualunque cosa). Ha quasi sempre una scelta, una soluzione, laddove le migliaia di disperati che tentano di varcare il confine non ce l'hanno.
Per carità, non ci sarebbe nulla di male a raccontare la storia di questa donna sullo sfondo dell'esodo dei migranti centro e sud americani; il problema è che l'autrice ha dichiarato (nella postfazione) di voler dare, col suo romanzo, un volto alla massa di persone anonime che tentano la fuga verso il nord america, ma ha deciso di usare un personaggio che non rappresenta proprio nessuno, neanche se stessa, secondo me. 
Anche la caratterizzazione del villain della storia stride tantissimo col contesto e allontana ancora di più la trama dalla sua pretesa universalità.
 
Nonostante le migliori intenzioni, la storia raccontata in questo libro non riesce ad emozionare nonostante i contenuti forti; la superficialità di ambientazioni e personaggi non suscita alcuna empatia e la pretesa di narrare una storia universale resta solo un'intenzione e nulla di più.
 
Voto: 4 e 1/2
 
(Ultima notazione, e poi giuro, la smetto. In Messico e tra gli statunitensi di origine messicana e centroamericana il libro è stato oggetto di forti polemiche. Le accuse principali rivolte a Cummins sono state quella di aver scritto un libro sull'immigrazione che non turbasse troppo i bianchi che dovessero leggerlo e quella di essersi appropriata di una parte della cultura latino americana e averla ridotta a stereotipo)

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