...di Laura Purcell.
Inghilterra, prima metà dell'Ottocento.
Dorothea Truelove è una signorina di buona famiglia, benestante e bene educata. Nonostante la disapprovazione del padre si dedica a opere di carità nel carcere femminile di Oakgate. Qui incontra Ruth Butterham, in attesa di processo per omicidio.
Dorothea deve crederle oppure bollare il racconto come la fantasia di una povera pazza che ha ormai un piede sul patibolo?
Laura Purcell è l' autrice dell'inquietantissimo Gli amici silenziosi, la cui lettura mi ha lasciato estatsiata circa un annetto fa, e mi ha convinta a leggere questo nuovo romanzo. Non me ne sono pentita, anzi.
L'ambientazione spazio temporale (Inghilterra, XIX secolo) è simile tra i due romanzi, ma all'autrice va riconosciuto il grande merito di restare nel campo del romanzo gotico cambiando completamente le carte in tavola.
Se nel primo romanzo avevamo la classica ambientazione di una vecchia casa infestata sperduta nella campagna inglese, qui ci troviamo nella Londra post rivoluzione industriale. Ma i lati oscuri delle persone e i misteri insondabili dell'esistenza non sono stati spazzati via dalla modernità e dal conseguente benessere (che ovviamente non è alla portata di tutti).
Alcune pagine per la loro cruda durezza e per il modo semplice e lineare in cui espongono le terribili condizioni di vita di chi è povero e senza protettori potrebbero essere uscite da un romanzo di Dickens.
Ed è proprio in queste pagine, in mezzo a questa dura realtà, che si insinuano l'oscurità e il soprannaturale.
Il dubbio striscia nella mente di Dorothea, determinata ad ascoltare fino alla fine la storia di Ruth perchè ella possa riconoscere i suoi crimini e pentirsi; ma il dubbio si insinua anche nella mente del lettore: cosa stiamo leggendo? La cronaca di una storia tristissima, l'epilogo di una esistenza destinata suo malgrado al male, alla distruzione e alla follia? O la storia soprannaturale di un'innocenza che si mescola inconsapevolmente all'odio, con conseguenze nefaste?
Ecco, per tutto il romanzo l'autrice gioca sul filo di questa dualità, riuscendo, a mio parere, a scrivere pagine che sanno catturare l'interesse del lettore sia quando ci parlano delle condizioni di vita dei proletari, sia quando scrive pagine più spiccatamente gotiche.
Dov'è il vero orrore?, sembra dirci Purcell. Di cosa dobbiamo avere paura? Questa continua sospensione tra le due anime del romanzo è quello che tiene avvinto il lettore fino alla fine, e che dà alla storia un sapore originale.
Anche i personaggi vivono sul filo dell'ambiguità, specialmente Dorothea, della quale non riusciamo mai a capire se abbia intenzioni buone e disisnteressate, o se il suo voler fare del bene sia una maschera, una studiata forma di manipolazione di chi le sta intorno.
Nel finale, io un'idea me la sono fatta.
E a proposito del finale, penso che sia la parte migliore di tutto il romanzo. Fornisce, a parer mio, le risposte ai dubbi del lettore (anche quella che alla domanda che ci trascina attraverso il romanzo: il racconto di Ruth è realtà o follia?). È necessario però che il lettore stesso le vada a cercare.
È un finale triste, che, nel momento in cui sembra voler consolare il lettore, gli svela invece nuovi abissi di malvagità insiti nell'animo umano. Una visione amara e pessimistica dell'essere umano, che si sposa perfettamente con l'atmosfera del romanzo gotico, perchè ci lascia con il cuore in gola fino alla fine e con la consapevolezza che sì, c'è da aver paura perchè il male è tutto intorno a noi, ed è ben nascosto. Ed è questa la cosa che inquieta di più.
Voto: 8
Ciao Lisse, ben tornata, mi fa piacere rileggerti :-)
RispondiEliminaHo visto questo romanzo, ma non aveva attirato la mia attenzione... dalla tua recensione, però, sembra davvero affascinante...