... di Santo Piazzese.
Sinossi:
Palermo come una Parigi coloniale. Un gattopardo attuale indaga a ritmo di blues sul duplice omicidio dell'Orto botanico.
«I sani, buoni,
misteriosi delitti, che gli mancano tanto; quelli che rendono vivibili
tutti i paesi civili di questo mondo. Quelli con un bel movente, quelli
da scavarci dentro, come Maigret, come Marlowe, o - più realisticamente -
come don Ciccio Ingravallo, per arrivare alla fine ai meccanismi
elementari della psiche. Da noi, però, c'è la mafia che oscura tutto, e
non concede a un detective brillante alcuna possibilità di uscire dalla
routine». Ma il delitto, il duplice delitto, che insanguina Palermo, nei
giorni del pieno scirocco, i giardini botanici, è di quelli sani buoni e
misteriosi: senza mafia, radicato invece in una complicanza annosa di
gelosie e inconfessabili colpe, in un ambiente di ozi e stranezze
universitarie. Conduce l'indagine una specie di prototipo palermitano,
colto e nullafacente, raffinato e sensuale, ironico e sentimentale, così
simile - per chi conosce Palermo - a una versione sprovincializzata e
moderna dei siciliani-dei di cui diceva il principe Fabrizio del Gattopardo
(o a un miscuglio meridionale di Marlowe e Philo Vance). Ed è questo
suo senso metastorico di superiorità che gli permette di condurre
l'indagine con la facilità, e la felicità, di chi insegue un ritmo. Un blues palermitano. (Sinossi dal sito della casa editrice Sellerio)
I delitti di Via Mediana-Sidonia è un romanzo colto, raffinato e scritto benissimo, con un lessico vario e ricercato. Santo Piazzese è padrone delle parole, gioca con gli spunti e le citazioni colte che semina qua e là, e si capisce benissimo che sa di cosa sta parlando, sia quando l'argomento è l'arte o la musica o il cinema o la letteratura.
Però... però io mi sono annoiata a morte a leggere questo romanzo.
Perchè? Perchè per avere uno straccio di trama da seguire ho dovuto scavare, pagina dopo pagina, nell'assoluto autocompiacimento con cui Santo Piazzese ci snocciolava nomi di musicisti jazz and blues, marche pregiatissime di whiskey, episodi storici curiosi ma per nulla attinenti alla trama. Le citazioni colte, in questo caso, soffocano la narrazione, non la esaltano. Santo Piazzese scrive benissimo, per carità, ma ne è troppo consapevole e lascia che questo gli prenda la mano.
Il protagonista, il biologo Lorenzo La Marca, sembra condividere questo indolente autocompiacimento con il suo autore, e spesso mi sono chiesta dove finisse il personaggio e dove cominciasse lo scrittore. Anche qui, per caità, niente di male, se fossi riuscita a percepire un senso in tutto questo sfoggio di cultura. La sensazione, costante per tutto il romanzo, è che in realtà non stessimo andando da nessuna parte, come se in fin dei conti raccontarci una storia fino in fondo non fosse importante, o non fosse l'obiettivo principale dell'autore.
Inoltre, a me pare che Lorenzo La Marca indaghi controvoglia, che di per sè potrebbe anche non essere una caratteristica negativa, se non fosse che questa svogliataggine del protagonista rende lo svolgimento del romanzo quasi immobile. L'indolenza del protagonista rallenta ulteriormente il ritmo di un romanzo già lento e sonnolento di suo.
Veramente memorabile resta l'ambientazione palermitana, affascinante, originale, non tanto nella scelta del luogo quanto nel punto di vista da cui si è scelto di raccontarla.
La cosa curiosa è che ho deciso di leggere questo romanzo dopo aver letto un racconto dello stesso autore con il medesimo protagonista, Come fu che cambiai marca di whiskey, e ne ero rimasta particolarmente colpita. Lì la medesima formula (citazioni colte + protagonista autocompiaciuto e svogliato + atmosfera noir) funzionava alla grande, e dava vita ad un breve noir di ambientazione mediterranea, godibile ed originale.
Forse l'ampio respiro del romanzo non si addice alla formula scelta dall'autore? Ai lettori l'ardua sentenza.
Voto: 5
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