venerdì 23 ottobre 2009

Io sono Dio...

...di Giorgio Faletti.

Oddio, da dove comincio? E quando scrivo da dove comincio, intendo, da dove comincio a massacrare questo libro?
Sì, intendo proprio massacrare, perchè sono arrabbiata. E tanto.

Quello che mi fa rabbia è che secondo me, Faletti è bravo; ho letto tutti i suoi romanzi, e adoro quel suo modo di giocare con le parole, di costruire una prosa poetica ma non ampollosa o contorta. Però mi pare che in Io sono Dio è rimasto solo quello.

Cominciamo dall'inizio. Un ex soldato americano rimasto gravemente ustionato dal napalm in Vietnam, appena dimesso dall'ospedale, medita vendetta contro un paese che l'ha mandato a combattere quella sporca guerra.
Circa 30 anni dopo, in un cantiere viene ritrovato lo scheletro di un uomo. Accanto a lui due fotografie sbiadite, che ritraggono un ragazzo in divisa accanto a un carro armato, e lo stesso ragazzo, in borghese, con un grosso gatto nero a tre zampe.
Incaricata delle indagine è la giovane detective della polizia, Vivien Light.
Pochi giorni dopo, un palazzo nel Lower East Side di New York viene fatto saltare in aria con napalm e tritolo. Apparentemente, le due cose non hanno legame alcuno, finchè alla polizia non si presenta un fotoreporter in crisi, Russel Wade, che è venuto in possesso di una vecchia lettera, cui mancano delle pagine.
Nei fogli in mano sua, un uomo chiede a suo figlio di vendicarlo facendo saltare in aria alcuni palazzi di New York, da lui stesso minati anni prima quando lavorava nei cantierei che li hanno costruiti. La lista degli edifici minati manca, ma allegata alla lettera, c'è una foto dello stesso ragazzo con lo stesso gatto nero ritratti nelle immagine accanto al cadavere del cantiere.
Russel Wade chiede e ottiene il permesso di seguire le indagini e insieme a Vivien, si mette a caccia del pazzo che minaccia di uccidere centinaia di persone innocenti.


Questa è, grosso modo, la trama.
Come detto in precedenza lo spunto è originale e interessante (cosa vuol fare quest'uomo distrutto per vendicarsi? Perchè aspetta trent'anni per farlo? Cosa lega i fatti accaduti in Vietnam con quelli che stanno accadendo a New York oggi?).
Purtroppo lo svolgimento della trama è alquanto banale.

Partiamo dalla protagonista, Vivien. Non so se esista un personaggio di thriller più stereotipato di lei. E' giovane e carina (se sei brutta, non ti assumono nella polizia di New York, e poi mi chiedo anche un'altra cosa: ma le detective donna ultraquarantenni, che fino fanno nella polizia americana? Le nascondono in uno scantinato quando arrivano gli scrittori? Non sia mai che in un romanzo se ne veda una...); è una tipa tosta che preferisce lavorare da sola; ha una triste storia familiare alle spalle; non relazioni sociali di alcun tipo perchè è sposata col suo lavoro e per finire... ta-daa! Si innamora del suo partner a pagina 318.(Beh, almeno questa è una nota originale, perchè i due non si mettono insieme alla fine del romanzo, secondo la logica del "ne abbiamo passate tante insieme, adesso facciamo anche sesso!", ma decidono di farlo a metà strada.)
Che poi non si capisca perchè due persone così diverse, che si conoscono da circa 48 ore, decidano di essere fatte l'una per l'altra mentre intorno i palazzi saltano per aria...beh, è un altro paio di maniche.

Il co-protagonista maschile, Russell, mostra invece sprazzi di orginalità.
Naturalmente ha anche lui una storia tristissima alle spalle, riguardante la morte del fratello, fotoreport nelle zone di guerra (figurarsi: un'indagine non te la fanno nemmeno leggere sul giornale, se non hai episodi catastrofici nel tuo passato), però c'è in lui qualcosa che interrompe la consueta linea di dolore--->crisi esistenziale---> tentativo di riscatto.
Alla morte del fratello, Russel, che per tutta la vita aveva vissuto nella sua ombra, ha reagito in maniera inconsueta: ha rubato un suo grande scatto inedito, spacciandolo per suo e vincendo così il premio Pulitzer. Smascherato, sopporta il peso della sua vergogna come una penitenza, un'espiazione per il fatto che suo fratello, adorato dai genitori e da tutti, sia morto, e lui sia sopravvissuto.
Ho trovato questa caratterizzazione di Russel oltremodo interessante. Almeno, è fuori dai soliti schemi.

Dopo un incipit vivace, la trama perde il suo ritmo fino a circa metà del romanzo e ci regala più di qualche sbadiglio.
Conosciamo meglio Vivien, a sua storia e quel che resta della sua famiglia, ovvero una nipote adolescente che si trova in una comunità gestita dalla Chiesa per disintossicarsi dall'abuso di sostanze stupefacenti.
L'impressione è che tutto questo c'entri ben poco con la trama principale, fino a quando l'autore degli attentati non va dal sacerdote che gestisce la comunità per confessare i suoi crimini (senza naturalmente aver alcuna intenzione di fermarsi).
Questo passaggio finalmente riaccende la curiosità del lettore; il ritmo si risveglia e si mantiene su buoni livelli fino al finale che è molto, molto, molto, molto deludente.
Non solo il colpevole è la persona più improbabile di tutto il romanzo; ma una volta svelataci la soluzione, ci rendiamo conto che l'autore ha barato. Ci ha spacciato per vere alcune cose, alcuni dettagli, alcune situazioni, che poi si sono rivelate impossibili, mai accadute o accadute in maniera diversa.
E secondo me, questo è il peccato più grave per uno scrittore di thriller e romanzi gialli.
Oltretutto la soluzione è davvero frettolosa, tirata per i capelli e lascia l'amaro in bocca.
Che salverei di questo libro? Direi poco o nulla. Lo stile di Faletti mi piace, è evocativo e risveglia le immagini che descrive nella mente del lettore.
So che c'è stata una piccola polemica fra l'autore e una giornalista, secondo cui il romanzo non sarebbe opera di Faletti, ma di un ghost writer di lingua americana, e Faletti si sarebbe limitato a tradurlo dall'inglese. Specchio rivelatore sarebbero alcune espressioni idomatiche tipiche dello slang americano tradotte letteralmente, e non adattate alla lingua italiana.
Ora, io ho letto il romanzo e non mi ero accorta di nulla. Non sentivo nulla di particolarmente stonato nelle scelte linguistiche dell'autore.
Oltretutto mi chiedo perchè si dovrebbe pagare un ghost writer per scrivere un romanzo, e non un buon traduttore per renderlo in lingua italiana.
Infine, sinceramente lo stile non mi sembra tanto diverso da quello degli altri romanzi di Faletti, quindi, secondo me, queste accuse lasciano il tempo che trovano.
Sarebbe più opportuno, sempre a parer mio, concentrarsi sugli altri problemi del romanzo.
Infatti, polemiche a parte, e nonostante tutta la stima che ho di Giorgio Faletti, mi sento di sconsigliare vivamente la lettura di Io sono Dio, perchè è un pessimo esempio di thriller.
Oppure di un ottimo esempio di quello che un thriller non dovrebbe essere.

5 commenti:

  1. caspita... allora direi che sfrutterò diversamente il mio tempo e non lo leggerò! Anche a me erano piaciuti gli altri, un po' meno l'ultimo di racconti...
    Grazie per la dritta!! Sei bravissima a raccontare un libro!

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  2. io adoro le tue recensioni...le adoro!!!!!

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  3. Oh Lisse, se hai veramente letto tutti i libri di Faletti (o di chi per lui...) non ti saresti dovuta stupire più di tanto. Il modus operandi è sempre lo stesso: accampare scuse deboli e raffazzonate per giustificare il fatto che il killer sia SEMPRE il personaggio più improbabile.
    Tra lupo, capra e cavolo -insomma- puoi scommetterci che il colpevole sarà il cavolo e faletti troverà un modo decisamente poco probabile per giustificarlo.

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  4. ciao Dalla, grazie del commento! Sono parzialmente d'accordo con te, perchè credo che quello che dici ha un fondo di verità, ma è tremendamente evidente solo negli ultimi lavori.

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  5. Appena finito di leggere, a distanza di oltre dieci anni dalla sua uscita. Mi duole confermare il giudizio espresso nella recensione: thriller insipido, a tratti banale, con un paio di grandi rivelazioni telefonate 50 pagine prima.
    PS per lavoro traduco, principalmente dall'inglese. La mano di un ghost writer sembra esserci, eccome.
    Bottom line: deludente.

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