mercoledì 31 dicembre 2008

Buon anno con...

...I DIECI DIRITTI DEL LETTORE
(brani tratti da: Daniel Pennac, Come un romanzo, Milano, Feltrinelli 1999)

1. IL DIRITTO DI NON LEGGERE
(…) la maggior parte dei lettori si concede quotidianamente il diritto di non leggere. (…) tra un buon libro e un brutto telefilm, il secondo ha, più spesso di quanto vorremmo confessare, la meglio sul primo. Inoltre, non leggiamo sempre. I nostri periodi di lettura si alternano sovente a lunghi digiuni (…)

2. IL DIRITTO DI SALTARE LE PAGINE
Ho saltato delle pagine (…). E tutti i ragazzini dovrebbero fare altrettanto. In questo modo potrebbero buttarsi prestissimo su tutte le meraviglie ritenute inaccessibili per la loro età. (…) Un grave pericolo li minaccia se non decidono da soli quel che è alla loro portata saltando le pagine che vogliono: altri lo faranno al posto loro.

3. IL DIRITTO DI NON FINIRE IL LIBRO
Ci sono mille ragioni per abbandonare un romanzo prima della fine: la sensazione del già letto, una storia che non ci prende, il nostro totale dissenso rispetto alle tesi dell’autore, uno stile che ci fa venire la pelle d’oca (…) Inutile enumerare le 995 altre ragioni, fra le quali si debbono tuttavia annoverare la carie dentale, le angherie del capoufficio o un terremoto del cuore che ci paralizza la mente. (…)

4. IL DIRITTO DI RILEGGERE
Rileggere quel che una prima volta ci aveva respinti, rileggere senza saltare nessun passaggio, rileggere da un’altra angolazione, rileggere per verificare (…)
Ma rileggiamo soprattutto in modo gratuito, per piacere della ripetizione, la gioia di un nuovo incontro (…)

5. IL DIRITTO DI LEGGERE QUALSIASI COSA
(…) ci sono “buoni” e “cattivi” romanzi.
Molto spesso sono i secondi che incontriamo per primi sulla nostra strada.
E, parola mia, quanto toccò a me, ricordo di averli trovati “belli un casino”. Ma sono stato fortunato: nessuno mi ha preso in giro … Qualcuno ha solo lasciato sul mio passaggio qualche “buon” romanzo guardandosi bene dal proibirmi gli altri.

6. IL DIRITTO AL BOVARISMO
E’ questo, a grandi linee, il “bovarismo”, la soddisfazione immediata ed esclusiva delle nostre sensazione: l’immaginazione che si dilata, i nervi che vibrano, il cuore che si accende, l’adrenalina che sprizza, l’identificazione che diventa totale e il cervello che prende (…)

7. IL DIRITTO DI LEGGERE OVUNQUE
(qui Pennac ci presenta un soldato un po’ particolare, che ama leggere Gogol durante l’esecuzione di un servizio, considerato dai più, poco onorevole: pulire le latrine. Il messaggio, consegnatoci dallo scrittore francese, è che qualunque luogo è buono per chi ami la lettura…. anche un comune gabinetto).

8. IL DIRITTO DI SPIZZICARE
E’ la libertà che ci concediamo di prendere un volume a caso della nostra biblioteca, di aprirlo, dove capita e di immergercisi un istante, proprio perché solo di quell’istante disponiamo.

9. IL DIRITTO DI LEGGERE A VOCE ALTA
L’uomo che legge a viva voce si espone completamente agli occhi che lo ascoltano.(…)

10. IL DIRITTO DI TACERE
L’uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun’altra, ma che nessun’altra potrebbe sostituire. (…)
(…) le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere.

lunedì 29 dicembre 2008

Io sono leggenda...

...no, non è un delirio di onnipotenza, ma il titolo del libro di R. Matheson che ho finito di leggere un paio di settimane fa.

C'erano ancora molte cose da imparare, ma meno di prima. Stranamente, la vita cominciava a diventare quasi sopportabile.
"Indosso la tunica dell'eremita senza una lacrima".
Dal giradischi proveniva una musica quieta e maestosa.
Fuori, i vampiri aspettavano.

Che dire? Che dire di un capolavoro così? Solo una cosa: dovete assolutamente leggerlo!
Volevo leggere questo libro da quando ero ragazzina, l'idea di partenza mi intrigava da morire: cosa succede ad un uomo quando i suoi incubi, le leggende tenebrose diventano la realtà...e lui, l'essere umano più normale della Terra, diventa invece mito, creatura leggendaria?

1976. Sulla Terra una tremenda epidemia ha spazzato via il genere umano, trasformando gli uomini in creature assetate di sangue, in vampiri...tutti, tranne uno.
Un uomo è rimasto in una casa assediata, solo, con i suoi ricordi e il suo dolore, uscendo solo con luce del sole, tentando di sopravvivere e di non impazzire.
Poi, un giorno, vede da lontano una donna...

Se avete leggiucchiato qua e là il mio blog, sapete che io detesto le storie in cui i vampiri non sono i vampiri classici e canonici. Quindi, quando ho capito che razza di mostri sanguinari Matheson aveva infilato nel suo romanzo, ho avuto un moto di disappunto.
Ma per fortuna è durato poco.
Intanto, i vampiri, anche se resi tali da una specie di virus, fanno proprio quello che devono fare: mettono paura. Tanta, tanta paura. Ve lo posso assicurare. Sono creature non umane, sanguinarie, alcune con un barlume di intelligenza ma tutte, tutte, avanzano con le braccia protese e i canini snudati, bramando il sangue di Robert Neville.
E poi, i vampiri, a parte la loro origine, sono proprio come dovrebbero essere: escono solo di notte, odiano l'aglio, rifuggono le croci, sono uccisi da un paletto di frassino...


Leggendo mi sentivo assediata, oppressa, involontariamente tendevo le orecchie quasi temendo di udire le voci rauche dei vampiri che assediavano la mia casa...proprio come il protagonista del romanzo.

Stephen King ha detto che Matheson è l'autore che lo ha influenzato più di ogni altro. Dopo aver letto questo romanzo, è facile capire perchè.
C'è tra le righe un senso di claustrofobia, di terrore incombente, di paura senza via scampo che non da tregua.
E c'è un finale geniale, imprevisto e imprevedibile, a mettere la parola fine a questa storia, che vi lascerà con gli occhi spalancati e la bocca aperta.
Questo è un romanzo che non potete non leggere. Imperdibile!

E se ne è accorta pure Hollywood, realizzando di recente un film con un cast di grande richiamo (Robert Neville era impersonato da Will Smith).
Ma qui dobbiamo aprire una parentesi: avete visto il film? Bene, prima di aprire il romanzo, dimenticatelo!!
Il film non ha nulla a che vedere con il romanzo, e mi chiedo cosa spinga un regista o uno sceneggiatore a prendere in mano un capolavoro e a banalizzarlo fino alla noia, snaturandone il senso, lo spirito e le trovate narrative più originali.
Ma perchè, mi chiedo io, bisogna stravolgere una storia che funziona benissimo da sola, aggiungendo particolari totalmente superflui e tagliando invece quelli che rendone tale storia unica, fino ad uno scontatissimo e inverosimile lieto fine (lontanissimo tra l'altro della genialità dell'originale)?
So bene che a queste domande non c'è risposta, perciò, quando vado al cinema a vedere un film tratto da un libro, cerco sempre di procurarmi e leggere anche il libro.
E' l'unica cosa da fare.

martedì 2 dicembre 2008

Non ridere, non piagere, non giocare...

...è il titolo di un articolo che mi ha commosso.

Lo ha scritto Gian Antonio Stella, giornalista e scrittore, autore, fra gli altri, di libri come La casta. Come i politici italiani sono diventati intoccabili e La deriva. Perchè l'Italia rischia il naufragio.

Lo trovate qui, sul Corriere della Sera.
E' bello e poetico come un racconto, ma decisamente triste e amaro.

lunedì 1 dicembre 2008

Ines dell'anima mia...

...di Isabel Allende.

Ecco un bel romanzo, quasi epico nei toni, forte, possente, con protagonista una donna altrettanto forte, e sensuale, passionale, sicura di sè, non spaventata dalla vita, che sa cogliere le sfide e le opportunità che le si parano davanti.
Dalla Spagna del 1500, Ines Suarez parte per le Americhe alla ricerca del marito, armata solo della sua intraprendenza, e diventerà un'eroina e la conquistatrice e fondatrice del Cile.
Passerà attraverso pericoli mortali, intrighi e avventure. Fonderà una città, contribuirà alla nascita di una nazione e del suo popolo.

L'amore, la passione, l'avventura sono gli ingredienti di questo romanzo.
L'eroina è un personaggio di quelli che conquista, buca la pagina, per così dire.
Nel complesso, il libro mi è piaciuto molto ma nel momento in cui mi sono messa a a scrivere la recensione, mi sono accorta che mi mancavano le parole... cosa che per me è un fatto quanto meno inconsueto.
Mi sono interrogata sul perchè, e dopo un po' ho capito: il libro m'è piaciuto, è vero, ma sento che alla fin fine sia scivolato via senza troppi batticuore e colpi scena. E' sicuramente una lettura piacevole ma non ti emoziona.
Vediamo perchè.
La trama alla lunga appare fin troppo lineare, e prevedibile, anche perchè l'espediente di farla raccontare da una ormai ottantenne Ines Suarez, se da un lato smorza i toni violenti e aggressivi del resoconto della conquista del Cile, filtrandoli attraverso i ricordi e la saggezza di una donna divenuta anziana, dall'altro toglie quel senso di attesa e di curiosità sul procedere della storia, perchè molti avvenimenti-cardine si intuiscono o addirittura vengono anticipati dalla narratrice, che segue il filo dei suoi pensieri e non sempre l'ordine cronologico degli accadimenti.

Un'altra cosa di cui ho grandemente sentito la mancanza è stata la presenza di co-protagonisti e comprimari di spessore.
Nei libri della Allende solitamente si muovono una gran massa di personaggi, tutti con le loro molteplici storie, i loro racconti e la loro personalità. La maestria della Allende è sempre stata quella di raccontare tutte queste storie tenendo vivo l'interesse del lettore, anzi, avvincendolo sempre di più man mano che gli intrecci crescevano di numero e di spessore.
Qui, chiunque non fosse Ines Suarez è rimasto sempre un passo indietro, posizionato sullo sfondo.
Colpa (o forse merito?) della grande personalità di Ines Suarez che, ricordiamolo, è un personaggio storico realmente esistito, nonchè l'unica donna a essere ricordata dalla storia tra i conquistadores spagnoli.

Altro neo del romanzo, che me lo ha fatto gustare solo a metà, è che l'epopea di Ines Suarez, la sua avventura alla conquista del Cile, coincide con lo sterminio degli indios nativi dell'America del Sud; con le crudeltà, soprusi, ruberie perpetrati da Pizzarro e dagli altri conquistadores spagnoli. Capisco il punto di vista della Allende nel romanzo: narrando in prima persona la storia si è calata nei panni dell'eroina del 1500, adottandone i punti di vista.
Per uno spagnolo di quell'epoca era perfettamente plausibile attraversare mezzo mondo per impadronirsi della terra di popolazioni primitive ai loro occhi e per di più non cristiane. Gli spagnoli (come gli altri europei dell'epoca) consideravano il loro modo di fare perfettamente ligio alle regole e alla morale. Anzi, consideravano quella terra come una sorta di paradiso terrestre, loro per diritto divino.
Emerge di tanto in tanto nel romanzo lo sdegno, il rifiuto e la condanna delle violenze e delle crudeltà compiute dagli spagnoli sulla popolazione nativa americana; viene altresì condannata e disprezzata l'avidità e la brama d'oro di certi ambigui personaggi che popolano il romanzo, ma questi sentimenti restano sempre in secondo piano.
Dicevo che capisco il punto di vista che la Allende ha adottato, ma anche così, mi è stato difficile entusiasmarmi per una vicenda che sebbene potente ed evocativa, ha come risvolto lo sterminio di un popolo.

Mi rendo conto di essermi dilungata molto sulle critiche negative e poco sugli aspetti positivi del romanzo; ribadisco però che nel complesso il giudizio è positivo.
La narrazione di vicende storiche a noi poco note come quelle della nascita del Cile rende sicuramente la storia interessante e appetibile. Lo stile della Allende è sempre affascinante e magico. Ines Suarez è un gran bel personaggio, con una forza e passione travolgenti.
Essendo questo il secondo romanzo ispirato a fatti storici della Allende (l'altro è stato Zorro) mi sono fatta l'opinione che quando le storie che racconta sono interamente frutto dalla sua immaginazione, la Allende sia maggiormente ispirata e riesca a infondere la magia nella parola scritta.
Ma questo non vuol dire che i romanzi di diversa ispirazione siano da buttare.
Tutt'altro!