venerdì 4 novembre 2022

La settima luna...

 ...di Piergiorgio Pulixi.

Il vicequestore Vito Strega sta festeggiando in uno splendido hotel nel Supramonte, in Sardegna, la risoluzione di un difficile caso. Con lui c'è la sua squadra, composta dagli ispettori Eva Croce, Mara Rais e Bepi Pavan.

La meritata vacanza viene interrotta da una telefonata della questura di Pavia. In una zona paludosa del Parco del Ticino, nei pressi di Garlasco, è stato ritrovato il cadavere di una ragazza nuda, legata ed inginocchiata, con indossa una maschera bovina. La scena del crimine ricorda molto da vicino un vecchio caso risolto da Vito Strega, e nessuno meglio di lui e della sua squadra lo conosce. C'è un emulatore in libertà? O qualcuno sta cercando di attirare l'attenzione del vicequestore e dei suoi? 

Cominciamo questa recensione con un bel disclaimer: questo romanzo è il quarto di una serie, ma io ne ho affrontato la lettura senza leggere i precedenti. So benissimo che non si dovrebbe fare, ma io l'ho fatto perchè sono una figlia del demonio perchè mi è capitata la possibilità di prenderlo in prestito da un'amica, ed ero curiosa di leggere qualcosa di questo autore. Dunque qualcuno dei rilievi che farò potrebbe essere dettato dal fatto che sono piombata su questa serie noir partendo dalla fine.

Vito Strega e la sua affiatatissima squadra non si sono ancora ripresi dalla risoluzione del caso precedente, quello di un serial killer noto come il Dentista (e onestamente non voglio sapere il perchè di questo soprannome), quando sono chiamati in soccorso della questura di Pavia, per indagare su un caso che inizialmente pareva essere una "banale" scomparsa, ma che purtroppo si rivela un efferato omicidio, con dettagli rituali che ricordano qualcosa di cui Strega si è già occupato anni prima.

Teresa Polello, ragazza modello, amata da tutti, bella, intelligente, buona, salutava sempre, scompare nel nulla per diversi giorni, fino al ritrovamento del suo cadavere, che trasforma le ricerche di una persona scomparsa in una delicata indagine per omicidio, indagine condotta col timore che si tratti dell'opera di una serial killer che potrebbe colpire ancora.

La prima cosa che mi ha lasciata perplessa è stato il fatto che l'indagine vera e proprio inizia verso la metà del romanzo. Prima, ci sono circa 200 pagine in cui Strega e i suoi si danno (metaforicamente parlando) grosse pacche sulle spalle complimentandosi per la brillante risoluzione del caso del Dentista (e dopo la ventesima volta che mi si ricorda che il caso è stato brillantemente risolto, ecco, credo di aver capito, grazie per la premura, comunque) mentre nei dintorni di Garlasco polizia e volontari cercano senza sosta una donna scomparsa e sospettano un allontanamento volontario. 

Questo dilatarsi del prologo del romanzo non mi ha colpita favorevolmente, e mi ha anche un po' annoiata. Certo, magari ha aiutatato a conoscere meglio i personaggi, ma arrivati al quarto volume di una serie, c'è davvero bisogno di un così corposo numero di pagine per riprendere le fila delle vicende di Strega & co.?

I personaggi poi, sono un altro punto che mi ha lasciato perplessa. Ho trovato fastidiosissima la tendenza degli stessi a fare commenti e battute sull'aspetto fisico e sul peso di chiunque, soprattutto colleghi, anche conosciuti da poco. Capisco il clima goliardico e cameratesco creatosi tra i membri della squadra, ma a parer mio la tendenza è esagerata, e il troppo stroppia. Allo stesso tempo, oltre a queste continue battutine sul peso di Bepi Pavan, o sul peso di chiunque, o sull'altezza di una collega appena conosciuta, o addirittura sui problemi neurologici di un agente ferito in servizio, mi sembra che i personaggi siano caratterizzati poco o nulla, tratteggiati più attraverso clichè che attraverso un vero approfondimento. La diversa provenienza geografica dei membri della squadra sottolineata inserendo frasi in dialetto ne è un esempio. Non solo non basta a rendere originale, unico, riconoscibile un personaggio, ma è anche una abusata scorciatoia per tratteggiare un personaggio, a parer mio.

Un dettaglio poi verso la fine del romanzo ha rafforzato la mia idea che i personaggi siano scarsamente approfonditi e "curati", per così dire: durante una scena d'azione un agente che collabora con Strega viene ferito in modo serio (e abbastanza raccapriciante); subito dopo la risoluzione del conflitto, di questo agente perdiamo le tracce, Strega abbraccia i suoi sollevato per lo scampato pericolo, lui e le ispettrici ricominciano a darsi (metaforicamente parlando) grosse pacche sulle spalle per aver superato una situazione difficile, e nessuno che spenda una parola per chiedersi come sta X (non faccio il nome per non fare spoiler). Non sappiamo neanche se X sia vivo o morto, o sia stato almeno caricato su di un'ambulanza. Ma per carità, l'importante è che Pulixi si premuri di farci sapere che Vito Strega considera i suoi collaboratori come la sua famiglia.

Lo svolgimento della trama, nella seconda metà del romanzo, è moderatamente interessante; diverse false piste vengono indagate, poi abbandonate, poi riprese, il che rende l'impianto narrativo credibile e anche sufficientemente movimentato. Il finale non è scontato ma allo stesso tempo, chiuso il volume, non sono riuscita a togliermi di dosso quella sensazione di "già letto, già visto". 

Voto: 6-

 

mercoledì 5 ottobre 2022

Io ti ho trovato...

... di Lisa Jewell.

Alice Lake vive in un piccola cottage sulla costa dello Yorkshire con i suoi tre figli, due cani e tanti problemi. Un giorno vede un uomo seduto sulla sabbia, sotto la pioggia, e senza pensarci troppo, lo avvicina e, quando scopre che l'uomo non ricorda neanche il suo nome, decide di offrirgli aiuto e un riparo.

In quello stesso villaggio, vent'anni prima, una tragedia senza colpevoli e senza risposte aveva coinvolto tre adolescenti.

Quella stessa sera, a Londra, una donna denuncia la scomparsa del marito, Carl Monrose.

Tre storie all'apparenza distanti, ma che hanno qualcosa che le lega, un segreto ben custodito, in grando di mettere in pericolo la vita di Alice e della sua famiglia.

Lisa Jewell è l'autrice di Ellie all'improvviso , un thriller psicologico molto ben costruito. Con Io ti ho trovato, Jewell si conferma una abilissima narratrice, non delude le aspettative e ci regala un altro thriller ben scritto, lucido, solido, razionale, dove le motivazioni dei personaggi sono credibili e la loro psicologia ben approfondita e descritta.

La trama si sviluppa su tre livelli, due nel presente e uno nel passato; tutti e tre hanno pari peso narrativo, alternandosi con regolarità e costruendo con inesoarabile lentezza un'atmosfera di dramma incombente che spinge il lettore a leggere ancora una pagina, o due...o dieci.

I protagonisti sono Alice, donna dalla vita complicata, pochi soldi, tre figli da tre uomini diversi, che però non ha ancora persona la fiducia nel genere umano, ed è disposta ad aprire la sua casa ad  uno sconosciuto semplicemente perchèlo vede disperato. Non le importano le chiacchiere velenose degli abitanti del villaggio. Alice fa quello che ritiene giusto, e nonostante le sue fragilità e il disordine enlla sua vita è un bell'esempio di donna forte

Lyly Monrose probabilmente è l'opposto di Alice; all'apparenza ha una vita perfetta, agiata ed appagante. Ma quando è costretta a cercare suo marito Carl, uomo perfetto, compagno devoto e innamorato, il quale una sera non è rientrato dal lavoro e sembra semplicemente svanito nel nulla, si ritrova a mettere in discussione ogni cosa. La polizia guarda Lily con sufficienza, convinta che l'uomo l'abbia semplicemente lasciata e abbia fatto perdere le sue tracce, ma continuando a scavare nella vita di suo marito, la donna trova parecchie cose che non quadrano.

Infine, negli anni 90, una famiglia tranquilla e felice è in vacanza nello Yorkshire. Gray e Kristie, i due figli adolescenti, fanno quello che tutti gli adolescenti del mondo fanno: stringono amicizie, si innamorano, vanno alle feste e non ascoltano i loro genitori, ma purtroppo sulla loro strada incontreranno una persona di cui non avrebbero dovuto fidarsi.

La trama non appare, fin da subito, troppo complicata; allo stesso tempo però non è facile individuare quali pieghe prenderà la storia. Il lettore più navigato, ovviamente, immaginerà subito che i tre livelli narrativi sono in qualche modo destinati ad intrecciarsi, ma il modo in cui lo faranno rimane in bilico fino alle ultime pagine.

L'autrice non ha bisogno di sensazionali colpi di scena per tenere avvinto il lettore; ci riesce benissimo con la solidità e la semplicità della storia che racconta. Ci riesce con la tranquillità con cui descrive i personaggi mentre intorno a loro le nubi si addensano, creando una empatia col lettore che conferisce una forte fascino al suo romanzo.

Non ci sono alti e bassi in questo romanzo, ma una trama misteriosa che aggiunge un dettaglio ad ogni capitolo, che procede senza scossoni ma riesce perfettamente nell'intento di inquietare il lettore, trascinandolo all'interno di storie all'apparenza ordinarie, che proprio per la loro banalità risultano ancora più spaventose ed inquietanti.

L'ho già detto che le atmosfere di Jewell mi inquietano non poco? E che le sue trame sono inquietanti? Alla definizione di inquetante, sul dizionario, ci starebbe bene la copertina di uno dei suoi romanzi.

Unico difetto rilevato, come avevo scritto già per il precedente romanzo, è che il finale, seppur non scontato, non offre mirabolanti colpi di scena di quelli che ti fanno dire: "non ci sarei mai arrivato". Per alcuni lettori, secondo me, questo potrebbe essere un problema; io trovo invece che sia un po' la cifra stilistica di questa autrice, che per mostrarci il volto del Male non ha bisogno di sangue a profusione, colpi di scena inimmaginabili o alti clichè del genere.

Voto: 7 e 1/2

martedì 6 settembre 2022

I segreti di Sunnylakes...

 ...di Inga Vesper.

In un caldo pomeriggio dell'estate del 1959, Ruby, domestica a ore presso le ricche famiglia bianche di Sunnylakes, arriva a casa degli Haney e si accorge che qualcosa non va. Una delle bambine degli Haney è da sola in giardino, spaurita, l'altra piange nella sua culla e della loro mamma non c'è traccia. In cucina, una macchia di sangue sul pavimento indica che qualcosa di brutto è successo. La polizia dapprima arresta Ruby, poi la rilascia a malincuore: una domestica nera sarebbe un colpevole facile e comodo da sbattere in cella. Nonostante la forte diffidenza, Ruby decide di collaborare col detective Blanke per capire cosa sia successo a Joyce Haney, una donna dolce ed infelice, che considerava Ruby un'amica, e non una semplice domestica.
 
Benvenuti nella ridente provincia americana e soprattutto benvenuti nel 1959! È lì che questo libro ci fa volare, ricreando con accuretezza l'atmosfera e i luoghi di quell'epoca.
 
 Tutto ruota intorno alla domanda: che fine ha fatto Joyce? È stata rapita? Uccisa? Può una donna dalla vita perfetta essersi allontanata volontariamente? Ma la vita di Joyce, tutto sommato, è davvero così perfetta? E cosa si nasconde dietro l'enorme ipocrisia delle famiglia alto borghesi di Sunnylakes? 
 
Ruby, la domestica afro-americana scopre le tracce di un delitto in casa della ricca famiglia bianca per cui lavora, e naturalmente si trova invischiata e viene trattata come la sospettata numero uno, benchè non avesse avuto nè movente nè opportunità. 

Fin da subito i capitoli narrati dal punto di vista di Ruby si fanno soffocanti, quasi claustrofobici intorno a lei. La ragazza è combattuta tra il desiderio di sapere cosa è successo a Joyce, e di aiutarla se ancora viva, e il semplice istinto di autoconservazione.
Nella perfetta e idilliaca provincia americana, niente è semplice per una persona afro-americana, neanche scegliere di fare la cosa giusta.
Il tema della scelta è molto presente nel romanzo, anzi, oserei dire che tutto ruota intorno ad esso. È davvero possibile scegliere il corso della nostra vita, a dispetto dei ruoli imposti dalla società e degli ostacoli che il destino ci mette davanti?
La risposta appare scontata per Ruby, che nonostante i suoi sforzi, sembra non avere altra scelta che quella di percoerrere la triste via di fatica e mortificazioni che la vita le indica; ma non è facile neanche per Joyce, che, nonostante la sua vita apparentemente perfetta, è profondamente infelice.
Ovviamente le due situazioni non sono paragonabili, in quanto Ruby è apppressa da un sistema che la qualifica, se non formalmente, sostanzialmente, come cittadino di categoria inferiore.

Il romanzo è narrato da diversi punti di vista. Oltre a quello di Ruby, già citato, ci sono quello del detective Blanke e della stessa Joyce. Questa scelta stilistica, sebbene non nuova, si è rivelata interessante. Le voci sono ben costruite, coerenti e ben differenziate tra di loro. Riescono a illuminare ciascuna un aspetto diverso della vicenda: cruda, realistica e movimentata quella del detective; sognante e riflessiva quella di Joyce. Quella di Ruby, come già accennato, è la più interessante a parer mio, perchè riesce felicemente ad unire lo sviluppo della trama gialla con alcune spunti di critica sociale.

I segreti di Sunnylakes, infatti, è un romanzo che riesce nel non facile compito di unire una vena dii critica e riflessione ad una buona trama gialla. La trama, dopo qualche incertezza inziale, scorre fluida e appassiona il lettore. Gli spunti di riflessione sono particolarmente ben integrati nella narrazione e non la appesantiscono. 
Il risultato è un romanzo coinvolgente, che presenta al lettore un'epoca diversa (ma neanche troppo lontana, purtroppo), gliela fa conoscere e al contempo gli narra una storia, triste, delicata, malinconica. L'ultimo capito narrato dal punto di vista di Joyce è decisamente stuggente.

Unico difetto del romanzo, un finale un po' sfilacciato e che la tira per le lunghe, con scene non descritte proprio chiaramente (onestamente io sto qui a chiedermi come X possa essere seduto in macchina con Y, avere una pistola e tenerla in mano facendo credere a chi guarda da fuori che sia Y a tenere la pistola... e vorrei sapere anche l'utilità di avere un pistola e puntarsela addosso da soli...).

Voto:7

venerdì 5 agosto 2022

La gazza...

 di Elizabeth Day.

Marisa si è appena trasferita in una nuova casa per iniziare la sua vita insieme a Jake. Anche se si sono conosciuti online, lui è l'uomo perfetto, dolce, premuroso, che non ha paura di impegnarsi.
Presto cominciano a pianificare di mettere su famiglia, e tutto sembra andare per il verso giusto finchè Jake non le propone una coinquilina, per guadagnare qualcosa e ridurre le spese in atessa che la loro famigliola cresca. E così nelle loro vite arriva Kate, bella, in carriera, sicura di sà, ed onnipresente nelle loro vite. Piano piano il fastidio di Marisa si trasforma in disagio, e poi in paura. Qualcosa non va in Kate: quella donna coltiva qualche oscuro disegno e non si fermerà finché non l’avrà realizzato. 
 
La trama che leggete qui sopra è per forza di cose approssimativa e parziale; inoltre parlare di questo romanzo senza fare spoiler è piuttosto difficile, ma vedrò di provarci, principalmente perchè questo è un romanzo che DOVETE ASSOLUTAMENTE LEGGERE se amate i thriller psicologici (ma anche se non li amate perchè è un libro che presenta molteplici sfaccettature).

La gazza comincia in sordina ma ben presto avvolge il lettore come un serpente farebbe con le sue spire. Dopo un breve, apparente idillio, la vita di Marisa si riempie sempre più i segnali inquietanti (a partire dall'ingresso in casa della gazza che dà il titolo al romanzo, presagio di sventura) e l'atmosfera diventa sempre più oppressiva e claustrofobica. Senza bisogno di scene cruente  o eclatanti colpi di scenza, Day riesce a trascinarci a fondo insieme a Marisa, la cui vita viene rubata, un pezzetto alla volta, dall'inquietante Kate.
 
Quando pensiamo che si sia toccato il fondo, e stiamo formulando le prime teorie (consiglio da amica: lasciate stare le teorie, è tempo perso, tanto non ci azzeccate), c'è un primo, inaspettato plot twist che a dispetto della sua imprevedibilità è perfettamente coerente con la trama e perfettamente incastrato nell'intreccio.
 
Quando pensiamo di aver ormai capito tutto, e pensiamo altresì che ormai sappiamo dove la trama andrà a parare, ecco che arriva un altro inaspettato plot twist, anch'esso ben inserito nella struttura del romanzo.
Insomma, leggendo questo romanzo non bisogna dare nulla per scontato, perchè niente (e nessuno) è come sembra. 
Personalmente, questo è quello che chiedo ad un buon thriller, e che di solito mi basta.
Ma devo aggiungere che La gazza, oltre a questo, tocca temi molto profondi e sensibili, che fanno riflettere (temi che non nominerò perchè sono potenziali spoiler) e riesce a parlare di argomenti delicati e allo stesso tempo riesce a costruire un perfetto page-turning come non ne leggevo da anni.

Certo non posso finire la recensione senza trovare almeno un piccolo difetto a questo romanzo. 
Il finale è stato, per me, un po' troppo consolatorio e poco in linea con l'atmosfera claustrofobica della storia. 
Nel complesso però il romanzo è validissimo ed io lo consiglio caldamente a tutti.

Vot: 7 e 1/2


Il dubbio delle signorine Devoto...

 ... di Renzo Bistolfi.

Sestri Ponente, 17 luglio 1960. Nella via Privata Vassallo tutto sembra svolgersi secondo usanze e ritmi ben precisi. Le sorelle Siria, Santa e Mariannin Devoto si preparano per il vespro al santuario di Virgo Potens per verificare – in realtà criticare – i lavori voluti dal parroco; Luigina Leoncini, appollaiata alla sua finestra, trascorre il tempo a osservare le vite altrui; il dottor Cabella non conosce riposo, se c'è di mezzo la salute dei suoi pazienti; e così Isa, che si destreggia tra gli appuntamenti del suo lavoro ufficiale da infermiera a domicilio, e quelli ufficiosi, atti a rallegrare i vecchietti del vicinato. Tuttavia, non è ancora buio quando il subbuglio si impossessa del quartiere: Isa viene trovata morta in casa, il marito, ubriaco e confuso, accanto a lei con l'arma del delitto in mano. Un delitto di rapida soluzione, giacché la confessione del marito arriva presto a chiudere il caso. Qualcosa però non torna, ne è convinto il maresciallo Galanti, e ancor di più lo sono le signorine Devoto, che iniziano a raccogliere informazioni sfruttando l'incrollabile stima di cui godono e la loro innata e provata capacità dispennare le oche senza farle gridare. E mentre i dubbi prendono sempre più consistenza, aumentano i crimini e i pericoli, nel loro ormai non più quieto quartiere...
 
Diversi anni fa, ho letto I garbati maneggi delle signorine Devoto, uno dei primi romanzi di Renzo Bistolfi, ed il primo con protagoniste le sorelle Devoto, e devo dire che non mi avevano impressionato nè l'uno nè le altre.
Eppure nel corso degli anni ho avuto modo di leggere altro di questo autore, e devo concludere che è decisamente, indubitabilmente, indiscutibilmente migliorato.
Questo nuovo romanzo sulle anziane sorelle genovesi mi ha folgorato.

Siria, Santa e Mariannin sono tre anziane sorelle della buona borghesia genovese. Sono rimaste ferme ad un mondo che probabilmente esisteva prima della guerra, un mondo fatto di buone maniere, parole sussurrate, guanti di pizzo e decoro. Nonostante l'apetto un po' vintage ed innocuo, le tre sorelle nascondono acume, ingegno, coraggio e grande solidità, oltre ad un incrollabile senso etico.
Con tatto e delicatezza, accompagnano il marescello Galanti verso la soluzione del caso di omicidio di una conoscente, personaggio ambiguo e chiacchierato, di cui marito ha confessato, senza troppa convinzione, l'omicidio.

Con una ironia e una garbata leggerezza, di cui avevo tanto lamentato la mancanza nella recensione de I garbati maneggi della signorine Devoto, le sorelle indagano e ci portano alla scoperte dei segreti nascosti dietro la facciata di rispettabilità dei protagonisti.
L'ambientazione profuma di tè e biscottini al burro; la trama procede con passo inesorabile e logico rigore verso la sua soluzione. Il giallo è interessante, la soluzione non scontata, gli indizi solidi. I personaggi coinvolti, sebbene siano tanti, sono tutti pennellati con ironia ed accuratezza.
Gli amanti del giallo classico non resteranno scontenti, anzi, si troveranno ad apprezzare la solida costruzione dell'intreccio giallo e la logica concatenazione degli indizi.
 
La vita, care sorelle, è come un pianoforte. Occorre pigiare i tasti giusti nell’ordine giusto, nevvero, altrimenti si ottengono solo suoni sconclusionati e la melodia non prende corpo. Il filo che ci ha portate fin qui, care mie, è un filo logico, annodato tra le chiacchiere, le dicerie, le conoscenze. Un filo logico che parte da una ciarla sbagliata e questa ciarla ci ha suscitato un’intuizione. 
 
Ma anche i diversamente giallisti troveranno che questo libro è delizioso.
Il romanzo si legge velocemente, ed è uno di quei libri che dispiace lasciare una volta finiti, perchè senti che ti mancherà qualcosa, perchè senza che ce ne accorgessimo Renzo Bistolfi ci ha reso parte di un mondo sparito, ma che istintivamente amiamo ritrovare nelle pagine dei romanzi.

Voto: 8

Questioni di sangue...

 ... di Anna Vera Viva.

Raffaele torna dopo quarant'anni a Napoli, nel Rione Sanità, il luogo dove è nato ma che ha lasciato da bambino alla morte della madre. Ci torna come parroco della chiesa di quartiere, e ritrova suo fratello, Peppino, che è diventato il boss di quel luogo.
Lo scontro è inevitabile, eppure qualcosa li unisce inesorabilmente, il richiamo del sangue. Quando un cadavere viene ritrovato in un appartamento del quartiere, e Peppino risulta essere uno dei tanti che avrebbe avuto motivo di eleminare la vittima, Raffaele non riesce a fare finta di niente, e decide di mettere la sua conoscenza dell'animo umano al servizio della verità. Raffaele ha bisogno di sapere se suo fratello è uno spietato assassino, o se in lui c'è ancora qualcosa che può essere salvato.

Se Questioni di sangue fosse un quadro, sarebbe una tela dipinta con colori vividi, con uno sfondo dai toni accecanti, di quelli che saltano subito fuori dalla cornice.
Il romanzo inizia subito forte, e la vicenda prende immediatamente i contorni del dramma doloroso. Il Rione Sanità assurge subito a protagonista, col suo carico di umanità dolente, di sentimenti appassionati e vita vissuta con la pressione sempre altissima, con i battiti costantemente accelerati, con una sensazione di emergenza che stimolava la continua produzione di adrenalina.
 
Ci si sentiva scoppiare di vita - è vero - ma non erano ritmi che si potessero tenere a lungo senza subire danni irreparabili. Per sopravvivere senza lesioni bisognava nascere con gli anticorpi. Bisognava nascere napoletani. 
 
 In questa frase è spiegato tutto il senso e la potenza dell'appartenenza ad un luogo speciale (nel bene e nel male) come è Napoli, e il suo cuore antico, il Rione Sanità. L'ambientazione è descritta senza pietismi, senza pregiudizi, con colori vivi e reali.

Raffaele ritorna dopo quarant'anni, si crede estraneo e invece non lo è. Scopre che non ha mai potuto recidere il legame fortissimo con la sua terra, e la sua riscoperta delle origini a cui era stato improvvisamente strappato è un romanzo nel romanzo e offre riflessioni ed emozioni non da poco.
 Raffaele ritorno come parroco, ed ha tutte le intenzioni di rimboccarsi le maniche e di dare il suo contributo alla rinascita del quartiere. Questo lo porterà inevitabilmente a scontrarsi con il fratello, ormai indiscusso boss della camorra e un rapporto pacifico tra due figure così antitetiche sembra impossibile. Eppure l'autrice riesce a costruire magistralmente la relazione tra i due fratelli, in un modo ambiguo eppure credibile, giocando con l'incoerenza della vita, il dualismo dei sentimenti umani e l'impossibilità di ignorare i legami di sangue.
Il romanzo sarebbe stato profondamente interessante anche solo così, ma su questo sfondo si innesta una trama gialla di tutto rispetto, con una vittima odiosa, un'indagine classica, una miriade di sospettati e di moventi. Eppure la verità sarà una sola, e la meno scontata e quella più sorprendente ed amara.

Se proprio dovessi trovare un difetto a questo romanzo, direi accanto alla ottima costruzione dei personaggi principali (Raffaele e Peppino), quelli secondari a volte peccano di ingenuità e hanno tratti strereotipati: la perpetua pettegola, il giovane che si redime, la bella del quartiera un po' str***a e così via.
Ma è qualcosa che si perdona facilmente, e finita l'ultima pagina resta la sensazione di un romanzo ben scritto, denso di storie e significati.

Voto: 8
 

mercoledì 6 luglio 2022

Un volo per Sara...

 ... di Maurizio de Giovanni.

Un piccolo aeroplano turistico diretto in Sardegna si schianta nel mar Tirreno con a bordo diverse persone. Tra loro, un noto imprenditore che ha rilasciato la sua ultima intervista poco prima del decollo, con il vociare degli altri passeggeri sullo sfondo, tutti tranquilli e sorridenti, ignari dell’imminente tragedia. Quando l’agente dei Servizi in pensione Andrea Catapano sente le voci delle vittime – lui che non vede ma sa ascoltare meglio di chiunque altro – un ricordo nitido riaffiora. Così decide di chiamare l’ex collega Teresa Pandolfi, ora a capo dell’Unità investigativa. Il disastro potrebbe celare un mistero che risale agli anni di Tangentopoli. E se la caduta del velivolo non fosse stata un incidente, ma il nesso tra una vicenda degli anni Novanta e il nostro presente? L’unica che può scoprire la verità è la donna invisibile, Sara Morozzi. Affiancata dall’ispettore Davide Pardo e da Viola, Mora si trova a investigare su personalità pubbliche intoccabili, scavando dentro gli ingranaggi del potere d’Italia a suo rischio e pericolo, senza paracadute. (Sinossi tratta dal sito della Casa Editrice Rizzoli)

Sara Morozzi è un ex agente di polizia, che ha lavorato per oltre vent'anni in una unità segreta vicina ai Servizi, col compito di indagare nell'ombra nei casi più delicati. Sara ha la capacità di passare inosservata, ma anche quella di capire le persone attraverso il loro linguaggio del corpo. Agli occhi di Sara tutti dicono più di quanto vorrebbero.
Sara però è anche una donna che si porta sulle spalle il peso di due grandi tragedie, e dei relativi sensi di colpa. Per questo, quando i suoi ex colleghi le chiedono aiuto, non riesce a negare loro la propria disponibilità.

La trama tocca argomenti interessanti e richiama fatti della storia italiana non troppo distanti nel tempo. Questo conferisce al romanzo una solida struttura narrativa, una trama credibile e ben congegnata.
Ma la vera peculiarità di questo romanzo è, secondo me, la cappa persistente di malinconia che lo avvolge. 
Questo è un romanzo triste: non nel senso di deprimente, ovviamente, ma nel senso che ci narra il lato più malinconico, triste e senza speranza dell'animo umano e dei suoi sentimenti. Però lo fa con tale naturalezza e delicatezza da non risultare pesante, tutt'altro.
Questo romanzo è un volo leggero nell'animo umano, alla scoperta dei lati più dolorosi delle relazioni e dei sentimenti. Eppure il messaggio che se ne ricava non è pessimista. Nella sua malinconia c'è rimpianto, sicuramente, ma anche la dolcezza che deriva dall'aver amato.
Ancora una volta la trama serve a Maurizio de Giovanni per parlarci degli esseri umani, per indagare le profondità dell'animo e i modi, sempre diversi, di reagire al dolore e alla sconfitta.

La trama ruota intorno alla scomparsa di un aereo privato, con a bordo una decina di persone. Tra loro un famosissimo imprenditore, ricchissimo, amato, eppure con qualche ombra (mai provata) nel suo passato imprenditoriale. I riflettori dell'opinione pubblica sono ovviamente puntati su di lui: se non si è trattato di un incidente, chi avrebbe avuto interesse ad uccidirlo? Chi avrebbe osato tanto?
Eppure, mentre tutti piangono la nota personalità, un ex collega di Sara nota qualcosa di stonato... e se fosse tutto fumo negli occhi? Se il noto imprenditore non fosse che un danno collaterale? 
Gli scenari che così si aprono diventano molto più interessanti e stimolanti per il lettore. Il mistero si infittisce, sembra svelarsi e poi infittirsi di nuovo fino all'epilogo.
Ecco, l'epilogo merita un discorso a parte. Forse da qualche parte, nel buio umido di una cantina, una setta di scrittori si incontra nell'ombra e pianifica finali come quello di Un volo per Sara. Finali amari, che prima ti illudono poi ti danno una mazzata, che ti fanno sfogliare la pagine bianche alla fine del libro cercando invano un indizio, una consolazione, una scritta piccola piccola che dice "andrà tutto bene". Finali meravigliosi, per quanto duri e tristi, che da soli valgono il prezzo del romanzo.

Voto: 8


Il segreto di Cedar House...


 ...di Minette Walters.

(vincitore del CWA Gold Dagger Award nel 1994)

In un piccolo paese del Dorset, la ricca e anziana Mathilda Gillespie vive nella tenuta di famiglia, Cedar House. Mathilda conduce un'esistenza solitaria, odiata e temuta da tutti per la sua cattiveria e acidità. Una mattina viene ritrovata morta nella viasca da bagno, con indosso "il morso della bisbetica" (strumento di tortura medievale destinato alle donne che parlavano troppo) e le vene tagliate. 

Suicidio o omicidio?

Sarah Blackney, medico di Mathilda nonchè unico essere umano verso cui l'anziana donna mostrava un po' di gentilezza, non riesce a darsi pace e a credere che si sia trattato di un suicidio. Collaborando alla indagini, Sarah scopre che il passato di Mathilda era stato tutt'altro che facile e qualcosa, proprio dal suo passato, può aver scatenato gli eventi che hanno portato alla sua morte.

Il segreto di Cedar House è un bel giallo che parte da un impianto classico: una persona temuta ed odiata, ricca ma solitaria, viene trovata morta. I dettagli ambigui e inquietanti, uno su tutto l'orrendo strumento di tortura che Mathilda aveva in testa, rendono questa morte sospetta. L'indagine si snoda dapprima in modo convenzionale, partendo da un testamento scioccante e contestato, poi però il romanzo prende una piega diversa, e decisamente più moderna, mescolando all'impianto classico alcuni elementi tipici dei mistery più recenti.Questa commistione, che sulla carta mi avrebbe fatto storcere il naso, si è rivelata particolarmente riuscita.

Walters dà vita ad un giallo dalla classica atmosfera inglese svecchiando il genere. Fanno capolino nella trama, infatti, la violenza, gli abusi e le brutture del mondo che, nei gialli classici, tendono a restare fuori. L'unico elemento che turno la quiete dalla campagna inglese è, di solito, l'omicidio, che va risolto perchè la vita possa tornare a scorrere come prima, uguale a se stessa.

Qui l'autrice invece introduce degli elementi disturbanti, che i protagonisti non potranno ignorare una volta risolto il mistero; la morte non è una semplice lacerazione nel tessuto della tranquilla esistenza dei protagonisti, è un punto di arrivo, e di ripartenza.

L'indagine ruota intorno al lento disvelarsi dei segreti sepolti nel passato della vittima. L'autrice coinvolge il lettore aggiungendo alla narrazione brani tratti dal diario della vittima, i quali, pur senza rivelarci, fino alla fine, movente o colpevole, gettano una luce nuova sulla vittima, troppo frettolosamente bollata da tutti (anche dal lettore, secondo me) come una vecchia bisbetica (per non dire di peggio). 

Invece Walters conferisce alla vittima una profondintà ed una dignità notevoli, costruendo, seppure ex post, un personaggio sfaccettato e complesso.

Altrettanta complessità hanno sia Sara Blackney che suo marito, in piena crisi matrimoniale. Meno riuscita invece è, a parere mio, Joanna, figlia della defunta, che resta l'unico personaggio a non mostrare una evoluzione e a non avere una personalità particolarmente solida.

Il giudizio sui questo romanzo è ampiamente favorevole, perchè unisce ad un'atmosfera classica, da epoca d'ora del giallo inglese, con elementi più moderni, ed un ritmo più inclazante rispetto ai mistery classici.


Voto: 7

lunedì 6 giugno 2022

Il passo falso...

... di Marina Morpurgo.

Il professor Emilio Rastelli è un pediatra in pensione. Da sempre un uomo ruvido, difficile e chiuso, non ha mai voluto parlare del suo passato, e in particolare della sua famiglia. Ma ora che la demenza senile comincia a intaccare il suo autocontrollo, dietro al suo caratteraccio sembra mostrarsi un’ombra assai più oscura: forse il professor Rastelli non è chi ha sempre sostenuto di essere.
Inutile cercare risposte da lui, che ormai alterna momenti di lucidità ad altri di agitazione e delirio, che la moglie e il badante faticano a contenere. Ma un vago indizio c’è, perché il professor Rastelli spesso fugge di casa e ogni volta viene ritrovato mentre si aggira lungo la costa orientale del lago di Como.
Lentamente, in un racconto parallelo, emergono due ragazzi, le cui esistenze si sono incrociate tra il 1943 e il 1944: Giuseppe, ebreo, figlio di un’inglese e di un italiano, in fuga per la sopravvivenza, e Antonio, giovane camicia nera che con indifferenza compie razzie ai danni di ebrei e antifascisti. Entrambi belli e biondi, entrambi giovani, entrambi gravitano sulle sponde del Lario.
Morpurgo, pur tenendo il lettore incollato alla pagina e non abbandonando il suo stile lieve e ironico, ci regala una lezione di storia mostrando una volta di più come il destino possa forgiare, in modo casuale, le esistenze di vittime e carnefici. (dal sito della casa editrice Astoria )

Conoscevo Marina Morpurgo come ottima tradutrice dei miei adorati gialli della serie "I casi di  Agatha Raisin", e questo è la prima volta che leggo un suo romanzo. Sicuramente non sarà l'ultima, perchè questa lettura mi ha conquistato.
 
Con uno stile leggero, snello, lieve e a tratti ironico, Morpurgo ci racconta le storie dei tre protagonisti, le quali sembrano essere molto distanti tra di loro, ed inizialmente non riusciamo neanche a capire il perchè l'autrice abbia scelto di narrarci tre vicende che all'apparenza non hanno nulla in comune.
Inizialmente sembra di leggere tre romanzi diversi. L'effetto può anche essere un po' straniante ma non allontana il lettore dalle pagine, tutt'altro; l'abilità dell'autrice sta nel farci desiderare di saperne di più, nonostante un vago senso di confusione iniziale.
La trama, o meglio, le trame, sono ben costruite e soltanto nelle ultimissime pagine il nesso che le lega verrà svelato.
Personalmente non mi considero una lettrice ingenua, mi capita spesso di capire dove un autore voglia andare a parare quando c'è un mistero da risolvere, eppure questa volta Morpurgo ha saputo immaginato un finale dolce amaro che non mi aspettavo.
 
Ho letto che il romanzo è liberamente ispirato a delle vicende reali, che hanno coinvolto la famiglia dell'autrice negli anni della Seconda Guerra Mondiale.
Ciò appare evidente se si considerano i persoanggi. Nonostante ognuno di loro si trovi a condividere la scena con altri due co-protagonisti, tutti sono solidi, reali, egregiamente tratteggiati. Lo stesso vale anche per i comprimari, l'odiosa nonna di Giuseppe su tutti. 
Credo che la parte migliore del romanzo sia proprio questa,. ovvero l'aver saputo raccontare la nostra storia recente rendendola romanzo, nobilitando entrambe le faccie della narrazione.
Marina Morpurgo non si abbandona a nessun pippone (conesso tempo sentitemi l'uso del termine non proprio ortodosso) moralistico, eppure ci fa riflettere su tante cose: l'ordinario eroismo della gente comune, la faccia banale e ordinaria che può assumere il male, la mescolanza di odio, amore, rancore e vendetta che possono cambiare il corso di una vita che sembrava segnata, e quanto sia facile deviare il corso del destino. Basta un passo (letteralmente!) per modificare il corso delle cose.
 
Allo stesso tempo questo è un romanzo vero, non un trattato di storia travestito: è capace di emozionare il lettore, intrattenerlo, divertirlo e commuoverlo.
E no, non mi è scappata una lacrimuccia nel finale. Mi era solo entrato un ventennio di storia italiana nell'occhio.

Consigliatissimo.
 
Voto: 8

venerdì 6 maggio 2022

La logica della lampara. Le indagini di Vanina Guarrasi #2...

 ... di Cristina Cassar Scalia.

"La pesca con la lampara ha una sua logica precisa. Si accende la luce, non si fa rumore, si sta fermi il piú possibile e nel frattempo si armano le reti. Prima o poi anche i pesci meglio nascosti vengono a galla. A quel punto non possono scapparti piú. Vanina pensò che era l'immagine perfetta per descrivere quel caso."
 
La vicequestora Vanina Guarrasi, in questa sua seconda avventura, si trova ad indagare sulla sparizione di una giovane e bella avvocatessa. Avvertita da due telefonate anonime, Vanina riceve l'aiuto insperato di due testimoni oculari, che hanno visto buttare una grossa valigia da una scogliera la sera della scomparsa. Ben presto, troverà indizi che la porteranno con certezza ad associare la sparizione e la valigia. Ma chi ha ucciso la giovane? E perchè? Per dare una risposta a questi interrogativi, Vanina dovrà indagare tra i personaggi più influenti di Catania, dove non è tutto oro quello che luccica, nessuno è sincero e dietro una apparente verità se ne nasconde sempre un'altra.

Cominciamo col dire che La logica della lampara è un gran bel giallo. Ha una trama solida, ben costruita, misteriosa il giusto, con un finale "a cascata" che per ben tre volte, dopo aver dato risposta ad un domanda, ce ne pone subito un'altra. 
Nella prima metà, però, la trama soffre un po' per un'eccessiva lentezza dello sviluppo, secondo me. L'indagine stenta a decollare, o meglio, è impantanata in mezzo a tutti i lacci e laccioli tipici della burocrazia fatta di autorizzazioni, tempi morti, risultanze scientifiche che non arrivano e così via. Tutto molto realistico, ovviamente, ma avrei gradito un pelino di sintesi in più sul tema.
Nella seconda metà del romanzo, il ritmo si fa più rapido e mano man che le tessere del puzzle diventano più chiare, si riesce ad apprezzare in pieno la perfetta costruzione del caso e della sua risoluzione. Le suddette tessere, comunque, andranno a posto soltanto nelle ultimissime pagine con un finale molto articolato, come detto, ma credibile, verosimile e per nulla macchinoso.
Insomma, il romanzo mi è piaciuto, e anche tanto.

Quello che dopo due romanzi ancora non mi convince è la protagonista, Vanina Guarrasi. Per carità, brava è brava. È una tosta, sa badare a se stessa, sa fare il suo lavoro. Eppure non mi fa sangue, non mi fa simpatia e non riesco a capire perchè tutti la trovino simpatica, irresistibile o entrambe le cose. È chiusa, scontrosa, asociale e pure un filino arrogante, ma pare sempre circondata da persone desiderose della sua compagnia.
Ho anche l'impressione che la sua squadra esista semplicemente in quanto prolungamento dei suoi pensieri e della sua volontà, senza che nessuno degli altri poliziotti riesca a spiccare con una sua personalità netta e ben delineata. Insomma, come se esistessero solo per eseguire gli ordini di Vanina e per non lasciarla sola in ufficio.
 
Un'altra cosa che mi infastidisce è la descrizione dell'ambientazione. Credo che l'autrice indulga un po' troppo su certi aspetti tipici della sicilianità, in particolare su quelli legati al cibo, che invece di dare colore all'ambientazione, creano una sensazione di dejavù. Il cibo come rito, l'abbondanza dei pasti, la descrizioni dei piatti tipici sono già stati usati prima e meglio (mi perdoni l'autrice, ma il paragone è con il grande Camilleri, che considero ad un livello non raggiungibile), e a parer mio qui non aggiungono niente di nuovo o di speciale all'ambientazione.
In certi momenti - ma questo può essere un mio problema - vedevo dietro alcune scene l'ombra di Camilleri, di Salvo Montalbano e di certe sue manie.
Forse è inevitabile, leggendo un poliziesco ambientato in Sicilia, con protagonista un commissario (o vicequestore, per essere precisi) doversi confrontare con un pilastro indiscusso del genere, Salvo Montalbano, e quelli che a me sembrano fastidiosi dejavù sono in realtà un omaggio al personaggio creato da Andrea Camilleri.
 
In conclusione, La logica della lampara è un giallo solido, con la trama che, nonostante alcune sottotrame riguardanti le vicende personali della protagonista e della sua squadra, è il punto focale del romanzo  ed è solida, interessante e ben scritta.
 Voto: 7

giovedì 5 maggio 2022

La chiave dei ricordi...

 ...di Kathryn Hughes.

Sarah ha 38 anni ed è appena passata attraverso un divorzio sofferto e la morte della madre. Mentre si prende cura del padre, decide di scrivere un libro su Ambergate, il manicomio della sua cittadina, ora dismesso, dove suo padre ha lavorato in gioventù. Nonostante incontri la velata ostilità del genitore, Sarah comincia ad esplorare l'edificio abbandonato dell'ospedale psichiatrico, finchè un giorno non si imbatte in un deposito dimenticato che custodisce vecchie valige appartenute ai pazienti. Una in particolare attira l'attenzione della donna, perchè sembra custodire una storia drammatica che attende da decenni di essere raccontata.

Ispirandosi alle vicende di un vero presidio per la salute mentale, Kathryn Hughes narra una storia al tempo stesso affascinante e dolorosa, quella delle vite dei pazienti degli ospedali psichiatrici negli anni 50 e 60.
E lo fa con una delicatezza ed empatia che trascinano il lettore al centro della narrazione.
Il romanzo è strutturato su due piani temporali, uno ambientato nel 2006 ed un altro 50 anni prima.
Protagoniste di quest'ultima ambientazione sono l'infermiera Ellen Crosby, all'inizio del suo lavoro, e la giovane paziente Amy. La storia di Amy è la parte centrale del romanzo, e quella intorno a cui ruota tutto.
Mi è piaciuto molto come l'autrice ha saputo coniugare il dipanarsi della storia di questa paziente (a cui è legato "il segreto della valigia" che Sarah si impegna a svelare) con la descrizione dei trattamenti e della vita quotidiana dei pazienti psichiatrici dell'epoca. Non è il primo romanzo che leggo sul tema, ma ogni volta resto stupita, indignata e tremendamente triste per il modo in cui queste persone venivano trattate. Nessun rispetto per la dignità dei pazienti, nessuna speranza di cura, solo privazioni, cure invasive del tutto inutili e indifferenza (quando non vera e propria crudeltà). Il merito maggiore del romanzo è proprio quello di essere riuscito porre in evidenza questi temi fondendoli in maniera naturale con l'evolversi della trama.
La narrazione è molto scorrevole, la storia intrigante e i personaggi, sebbene tratteggiati con poche pennellate, risultano credibili e sono approfonditi il giusto. Il tema del romanzo è uno di quelli duri, amari, non facili, ma qui viene sviluppato con delicatezza e lascinado che un tenue filo di speranza ci guidi attraverso l'intera trama.
La chiave dei ricordi è il classico romanzo che hai voglia di leggere perchè vuoi assolutamente conoscere il segreto attorno a cui si sviluppa la storia. 
Quando un romanzo mi dà questa sensazione, io lo classifico automaticamente tra i buoni romanzi.
Il finale, benchè contenga la tanto agognata rivelazione (che, almeno per me, non è stata affatto scontata) ha qualche pecca.
Capisco che l'autrice, dopo l'amarezza inevitabile che suscita il tema del romanzo, abbia optato per un finale abbastanza "dolce", ma penso abbia un pochino ecceduto nella quantità di zucchero, cedendo anche a qualche semplificazione narrativa e a qualche ingenuità.
La chiave dei ricordi resta comunque una lettura molto piacevole e consigliata.

Voto: 7

lunedì 25 aprile 2022

La ragazza che cancellava i ricordi...

... di Chiara Moscardelli.

 

Olga è una tatuatrice specializzata nel coprire cicatrici e vecchi tatuaggi e nel portare alla luce la vera essenza delle persone che tatua. Ogni suo disegno è ricco di significato e svela qualcosa di chi lo porta impresso sulla pelle. Di se stessa, invece, Olga svela pochissimo. Un passato tormentato, una madre con l'Alzheimer e un padre misterioso che appare e scompare quando meno te lo aspetti sono le cose che l'hanno portata a vivere in un paesino speduto al confine con la Svizzera. Olga sta sulle sue, non vuole amici, non vuole relazioni, fino a che, suo malgrado, resterà coinvolta nella sparizione di Melinda, una escort che è stata sua cliente e che è la cosa più simile ad un'amica nella sua vita.

Con La ragazza che cancellava i ricordi, Chiara Moscardelli crea un personaggio femminile molto interessante. Olga è una donna autonoma ed indipendente fino all'eccesso. Una donna che sa cavarsela da sola in ogni situazione, e crede che questo basti per poter rinunciare alla compagnia degli altri esseri umani.

Nessun uomo è un'isola è la citazione che ricorre lungo tutto il romanzo, più che altro per essere (apparentemente) smentita. Un leit motiv, che, pagina dopo pagina acquisterà un peso sempre più significativo, fino a quando Olga sarà costretta ad accettare quella affermazione come ineluttabile verità. Olga si renderà conto, infatti, che nonostante i suo sforzi, i fili che ci legano agli altri sono importanti, curano le nostre ferite, anche quelle più profonde e sono quello che rende la vita degna di essere vissuta. Questi legami, inoltre non sono solo quelli amorosi, ma anche e sopratutto quelli che si instaurano tra amiche. Altro tema significativo all'interno del romanzo,infatti, è la solidarietà tra donne. Senza annoiare il lettore con ramanzine moralistiche Moscardelli riesce a mostrarci le potenzialità della collaborazione al femminile, magari con un ottimismo e una fiducia nell'umanità un po' ingenui, ma che hanno il sapore della speranza e dell'augurio. Nel romanzo, infatti, le donne sono raramente in conflitto tra loro, ma anzi la trama si sviluppa proprio perchè questa connessione tutta al femminile diventa come il proverbiale sassolino che scatena una valanga. Mi è piaciuto molto il fatto che l'autrice, oltre a raccontarci una storia, ci abbia lasciato qui e lì piccoli spunti di riflessione, senza che ciò interrompesse la narrazione.

Passando ad esaminare la trama, devo dire che è abbastanza articolata per tenere il lettore avvinto alle pagine. In realtà gli intrecci sono due: uno riguarda il passato di Olga, dominato da un padre misterioso e da una madre che stava dimenticando pian piano ogni cosa; il secondo riguarda una catena di sparizioni che, come detto, arriveranno a toccare Olga da vicino.

Olga, come personaggio principale, è ben delineato e coerente nella sua evoluzione. I personaggi secondari sono tratteggiati a grandi linee ma sufficientemente bene. Nessuno di loro è un "cartonato" bidimensionale che sullo sfondo. 

La scrittura dell'autrice è matura, asciutta e ben curata. Il tono della narrazione è cupo e mesto ma non mancano momenti di leggerezza legati proncipalmente al giornalista Gabriele Pasca, personaggio secondario della storia. Da segnalare anche le deliziose citazioni di serie tv che hanno lasciato il segno nel cuore di chi era adolescente negli anni 80 e 90 (una su tutte: non credo che il nome del gatto di Melinda, Remington, sia una semplice coincidenza... alzi la mano chi, tra le su menzionate ex adolescenti, non aveva una cotta per Remington Steele, interpretato da un giovane Pierce Brosnan)

Unico neo, a parer mio, il finale. La risoluzione del casoè un po' ingenua e arriva, secondo me, con qualche coincidenza fortuita di troppo, con qualche "aiutino" della sorte un po' forzato, e con diversi interventi provvidenziali di personaggi che si trovano al posto giusto al momento giusto. 

Ciò nonostante, La ragazza che cancellava i ricordi è un romanzo di qualità, ben scritto e godibile. 

Consigliato.

Voto: 7

martedì 5 aprile 2022

I delitti di Via Medina-Sidonia...

 ... di Santo Piazzese.

Sinossi:

Palermo come una Parigi coloniale. Un gattopardo attuale indaga a ritmo di blues sul duplice omicidio dell'Orto botanico.

«I sani, buoni, misteriosi delitti, che gli mancano tanto; quelli che rendono vivibili tutti i paesi civili di questo mondo. Quelli con un bel movente, quelli da scavarci dentro, come Maigret, come Marlowe, o - più realisticamente - come don Ciccio Ingravallo, per arrivare alla fine ai meccanismi elementari della psiche. Da noi, però, c'è la mafia che oscura tutto, e non concede a un detective brillante alcuna possibilità di uscire dalla routine». Ma il delitto, il duplice delitto, che insanguina Palermo, nei giorni del pieno scirocco, i giardini botanici, è di quelli sani buoni e misteriosi: senza mafia, radicato invece in una complicanza annosa di gelosie e inconfessabili colpe, in un ambiente di ozi e stranezze universitarie. Conduce l'indagine una specie di prototipo palermitano, colto e nullafacente, raffinato e sensuale, ironico e sentimentale, così simile - per chi conosce Palermo - a una versione sprovincializzata e moderna dei siciliani-dei di cui diceva il principe Fabrizio del Gattopardo (o a un miscuglio meridionale di Marlowe e Philo Vance). Ed è questo suo senso metastorico di superiorità che gli permette di condurre l'indagine con la facilità, e la felicità, di chi insegue un ritmo. Un blues palermitano. (Sinossi dal sito della casa editrice Sellerio)

I delitti di Via Mediana-Sidonia è un romanzo colto, raffinato e scritto benissimo, con un lessico vario e ricercato. Santo Piazzese è padrone delle parole, gioca con gli spunti e  le citazioni colte che semina qua e là, e si capisce benissimo che sa di cosa sta parlando, sia quando l'argomento è l'arte o la musica  o il cinema o la letteratura.

Però... però io mi sono annoiata a morte a leggere questo romanzo.

Perchè? Perchè per avere uno straccio di trama da seguire ho dovuto scavare, pagina dopo pagina, nell'assoluto autocompiacimento con cui Santo Piazzese ci snocciolava nomi di musicisti jazz and blues, marche pregiatissime di whiskey, episodi storici curiosi ma per nulla attinenti alla trama. Le citazioni colte, in questo caso, soffocano la narrazione, non la esaltano. Santo Piazzese scrive benissimo, per carità, ma ne è troppo consapevole e lascia che questo gli prenda la mano. 

Il protagonista, il biologo Lorenzo La Marca, sembra condividere questo indolente autocompiacimento con il suo autore, e spesso mi sono chiesta dove finisse il personaggio e dove cominciasse lo scrittore. Anche qui, per caità, niente di male, se fossi riuscita a percepire un senso in tutto questo sfoggio di cultura. La sensazione, costante per tutto il romanzo, è che in realtà non stessimo andando da nessuna parte,  come se in fin dei conti raccontarci una storia fino in fondo non fosse importante, o non fosse l'obiettivo principale dell'autore. 

Inoltre, a me pare che Lorenzo La Marca indaghi controvoglia, che di per sè potrebbe anche non essere una caratteristica negativa, se non fosse che questa svogliataggine del protagonista rende lo svolgimento del romanzo quasi immobile. L'indolenza del protagonista  rallenta ulteriormente il ritmo di un romanzo già lento e sonnolento di suo.

Veramente memorabile resta l'ambientazione palermitana, affascinante, originale, non tanto nella scelta del luogo quanto nel punto di vista  da cui si è scelto di raccontarla.

La cosa curiosa è che ho deciso di leggere questo romanzo dopo aver letto un racconto dello stesso autore con il medesimo protagonista, Come fu che cambiai marca di whiskey, e ne ero rimasta particolarmente colpita. Lì la medesima formula (citazioni colte + protagonista autocompiaciuto e svogliato + atmosfera noir) funzionava alla grande, e dava vita ad un breve noir di ambientazione mediterranea, godibile ed originale.

Forse l'ampio respiro del romanzo non si addice alla formula scelta dall'autore? Ai lettori l'ardua sentenza.

Voto: 5

Angeli per i Bastardi di Pizzofalcone...

 ... di Maurizio de Giovanni.

Nando Iaccarino era un meccanico dalle mani d'oro. Riparava auto d'epoca, aveva pochi e selezionati clienti e conduceva una vita solitaria e modesta.
Eppure qualcuno lo ha ucciso nella sua officina con un colpo di testa e tocca ai Bastardi di Pizzofalcone scoprire chi e perchè, anche se non ci sono indizi, non ci sono tracce, nè moventi plausibili.
Anche se ognuno dei Bastardi sta attraversando un momento difficile della propria vita, l'indagine non può aspettare e la vittima chiede giustizia.

Leggere un nuovo capitolo della serie de I Bastardi di Pizzofalcone è come tornare a casa ogni volta.
 
Per chi non li conoscesse (e dove avete vissuto finora?!?), I Bastardi di Pizzofalcone è una serie letteraria (e anche televisiva ma, dopo che mi hanno cambiato a tradimento il finale di Buio io fingo che quella non esista) che narra le vicende di un piccolo commissariato nel quartiere Pizzofalcone a Napoli. Il commissariato e i suoi agenti portano sulle spalle il peso di una vicenda criminosa che ha coinvolto agenti infedeli del commissariato prima del loro arrivo. Da qui, l'appellativo di Bastardi che non riescono a scrollarsi di dosso. Sono tutti poliziotti trasferiti al commissariato per ragioni punitive o disciplinari, una squadra improbabile che lavorando insieme riesce a dare il meglio di sè in ogni indagine. Oltre alla risoluzione del caso, grande spazio trovano le vicende umane e personali dei Bastardi, personaggi complessi, sfaccettati e in continua maturazione.

In questo romanzo gli elementi che hanno reso celebre e amata la serie ci sono tutti: c'è la squadra, un gruppo affiatato ma con precise individualità, c'è l'umanità di ciascun componente e l'empatia che ognuno di loro riesce a generare con il lettore, e c'è, naturalmente, l'indagine.
La particolarità del romanzo, stavolta, è che si tratta di una storia meno corale delle altre. Sembra che i Bastardi siano chiusi ognuno nella propria bolla, alle prese con qualcosa che possono risolvere soltanto da soli.
Interessante l'evoluzione che ognuno di loro porta avanti romanzo dopo romanzo. Questa evoluzione è particolarmente significativa qui, dove sembra essere arrivati oramai ad un punto di svolta. Potrei sbagliarmi, ma a parer mio non siamo troppo lontani dalla conclusione della serie. Molte situazioni, relazioni e dubbi sono arrivati al loro momento decisivo, ed esigono una risoluzione.

La trama propriamente gialla occupa meno spazio del solito ma è è intrigante e ben costruita. Dietro un omicidio apparentemente senza senso si nasconde una segreto doloroso, e scoprirlo è stato affascinante.
 
Ma la cosa che mi è piaciuta di più è che il fil rouge che lega le varie anime e i vari personaggi di questo romanzo è la malinconia, il rimpianto. Anche la risoluzione della trama giallaè legata al rimpianto e alla nostalgia.
Si percepisce una vena di tristezza, pagina dopo pagina, che con la sua delicata amarezza ti rimane nel cuore e ti conquista.

Voto: 7 e 1/2

domenica 6 marzo 2022

Violeta...

 ... di Isabel Allende.


Violeta nasce in una notte tempestosa, alle porte della capitale di un paese sudamericano. Nasce in una grande tenuta da una famiglia ricca e antica, ma tutto questo non impedirà alla Storia di irrompere nella sua vita, modificandone il corso. Dalla pandemia di febbre spagnola alle vicende politiche del suo paese, tra matrimoni, amanti, lutti e pericoli, Violeta attraverserà in '900 armata della sua tenacia, della sua intelligenza e nell'incrollabile legame che la tiene unita alla sua grande famiglia allargata.
 
Speravo che questo romanzo segnasse il ritorno di Allende all'antico, a quella prosa incantatrice che chiunque abbia letto La casa degli Spiriti non può dimenticare. Speravo in una epopea lunga e corposa, una saga familiare avvincente e intrigante, ma purtroppo - lo dico subito, così ci leviamo il pensiero - non è stato così.

Ho fatto una fatica infinita a finire questo romanzo. Non perchè sia di difficile lettura. Lo stile scorrevole e la prosa elegante ma fluida di Allende non sono cambiate. L'abilità di questa scrittrice di narrare storie non è mutata. Il problema in realtà sta nel fatto che non c'è stato alcun elemento nel romanzo che mi invitava alla lettura, a proseguire, a immergermi nelle pagine.

Ecco, parlaimo appunto di "immersione" nella storia. Il romanzo è narrato in prima persona da Violeta, che ne è anche la protagonista. Eppure Violeta rimane quasi trasparente agli occhi del lettore.

Io so che Violeta è testarda perchè lei me lo dice, me lo racconta, ma non me lo mostra mai. Io so che Violeta è triste, preda della passione, o sta soffrendo perchè è lei che me lo racconta, e devo crederle sulla parola. C'è sempre una barriera tra la protagonista e il lettore, che si traduce in una mancanza di empatia e perciò di coinvolgimento.

Onestamente, mi è sembrato di leggere il riassunto di un romanzo, e non un romanzo vero e proprio. Una sintesi ben scritta, per carità, ma pur sempre una sintesi, una fredda cronaca in cui la protagnista snocciola senza tanta passione i fatti che hanno riempito la sua vita.

Altra sensazione che mi ha disturbato molto è stata l'impressione che, nonostante tutto, Violeta abbia attraversato il corso della storia e le sue vicissitudini senza essere mai davvero scalfita da alcunchè, oppure senza mai essere realmente in pericolo. 

All'interno della storia succede di tutto, ma il lettore può stare ben sicuro che qualcuno o qualcosa arriverà a salvare la protagonista. Non sono neanche riuscita a liberarmi della sensazione che alcuni personaggi secondari esistono al solo scopo di proteggere Violeta, e questo perchè alcuni di loro sono scarsamente delineati e approfonditi.

Anche la stessa Violeta, secondo me, manca di approfondimento e soprattutto di evoluzione.

Insomma, per concludere, questo romanzo è stato una grossa delusione, o meglio, un'occasione sprecata, e mi sento di consigliarlo solo ai fan sfegatati di Isabel Allende.

Voto: 5

domenica 6 febbraio 2022

Mexic Gothic...

 di Silvia Moreno Garcia.

 Noemì, elegante ereditiera di Città del Messico, riceve una lettera disperata e a tratti delirante di sua cugina Catalina, che la implora di salvarla. Catalina ha spostato un nobiluomo di origini inglesi, e si è trasferita con lui in una remota regione di campagna. 

Nonostante l'apparenza frivola e svagata, Noemì è una donna forte, coraggiosa e molto sicura di sè. Decide così di partire per capire cosa sta succedendo alla cugina. Raggiungerà High Place, dimora della nuova famiglia di Catalina, e ben presto si renderà conto che qualcosa di misterioso e terribile si nasconde fra quelle mura.

 

Ultimamente sto leggendo un sacco di romanzi thriller, gotici o horror. Questo perchè ho bisogno che la mia ansia si concentri su qualcos'altro (misteri, sparizioni, soprannaturale) e non su... beh, su quello che c'è fuori.

Perchè ciò accada, ovviamente, è necessario che il romanzo sia ben costruito, misterioso senza essere incomprensibile, ed abbia la giusta dose di inquietudine che fluisce tra le pagine.

Ebbene, Mexican Gothic, da questo punto di vista fa egrergiamente il suo lavoro, e a parer mio, fa anche qualcosa in più.

Prende i temi classici del genere, tra cui la damigella in pericolo, la casa misteriosa, il fascino tentatore del male e non ultima, l'ambientazione inglese, e tenta di dar loro una ventata di originalità.

Partiamo dall'ultimo elemento citato, la classica ambientazione inglese nella classica dimora di campagna.

Moreno Garcia sceglie di ambientare il suo romanzo gotico in Messico, e la prima cosa che ci viene in mente pensando a quel paese non è certo la nebbia che sale dalla brughiera. L'autrice però "trasporta" un pezzetto di Inghilterra tra le montagne messicane, costruendo una storia affascinante riguardo la casa e dando nuova linfa all'atmosfera cupa e desolata di questo genere di romanzo. La storia che scopriamo sul passato di High Place è intrigante e allo stesso tempo svela squarci di storia messicana che non sono proprio notissimi. 

Anche la protagonista, Noemì, ha poco della classica ingenua e delicata fanciulla in lotta contro le forze del male. È scaltra, consapevole, emancipata ed anche tosta. Questo personaggio mi è piaciuto molto perchè ben delineato e dotato di quel pizzico di ironia che non guasta.

Noemì si troverà a cercare di combattere il misterioso potere che da anni sembra dominare la regione in cui si trova High Place, dove nulla accade se non approvato dalla famiglia di High Place. Allo stesso tempo dovrà cercare di non cedere allo charme del marito di Catalina, così affascinante ma allo stesso tempo pericoloso e ambiguo. Noemì ha la forza di resistere alle lusinghe, alle tentazioni e anche ai pericoli. Mostra una solidità d'animo che la rende un personaggio ben riuscito e che il lettore può amare senza riserve.

Forse gli unici ad essere meno originali della media, in questo romanzo, sono gli antagonisti, che sebbene incarnino perfettamente ( o forse proprio per questo) il Male, la Tenebra in versione inquietante ma fascinosa, sono abbastanza scontati.

A far pendere la bilancia a favore del romanzo e della sua originalità, comunque, è il finale, che ci dà una spiegazione di tutti i fatti misteriosi e sconcertanti accaduti a Noemì (e anche alla povera Catalina) a metà strada fra il soprannaturale e il terreno, cosa che io ho apprezzato molto.

Consigliato agli amanti del genere.

Voto: 7

mercoledì 19 gennaio 2022

Il sale della terra...

 ... di Jeanine Cummins. 

Lydia vive ad Acapulco con il marito Sebastiàn e il figlio Luca, e conduce un'esistenza normale e tranquilla fino al giorno in cui un commando di sicari stermina 16 membri della sua famiglia. Solo Lydia e il piccolo Luca si salvano fortuitamente. Traumatizzata, terrorizzata e sola, la donna inizia un lungo viaggio clandestino per abbandonare il Messico senza che il cartello di naroctrafficanti che la vuole morte li scopra, ben sapendo che, se è vero che la morte la insegue, è anche vero che il viaggio che la attende è pericoloso e pieno di orrori.

Il sale della terra affronta un tema che io ritengo non possa essere ignorato al giorno d'oggi. L'immigrazione, spesso forzata da violenze, fame, guerra, violazione dei diritti umani o estrema povertà, è qualcosa che non possiamo fare finta che non ci riguardi, solo perchè, tutto sommato, siamo nati nella parte privilegiata del mondo.
Perciò ero molto ben disposta verso questo romanzo.

Fin dalle prime pagine, però, ho cominciato a pensare che ci fosse qualcosa che non andava, una sorta di dissonanza. 
Questa sensazione mi ha accompagnato per tutto il romanzo, che ha avuto perlomeno il pregio di essere scorrevole e di veloce lettura.
In pratica, ci ho messo più tempo ad elebaorare e scrivere questa recensione che ha leggere il libro in questione.

Dopo molte riflessioni ho capito cosa mi ha tanto disturbato: Cummins scrive una storia tragica, tremenda e tristissima, piena di episodi agghiaccianti che dovrebbero essere un pugno nello stomaco del lettore ma lo fa con una superficialità e con un ingenuità tali da rovinare un tema significativo come questo.

Lydia e Luca si salvano perchè erano in bagno al momento della strage. I killer sterminano una famiglia intera, e per ragioni che non spoilero sanno benissimo che Lydia è lì ma non la trovano (la cercano eh, ma non la trovano, #tuttoaposto), e già così, secondo me, cominciamo male.
Le proporzioni della strage sono ragguardevoli; ho letto da persone più informate di me che una cosa del genere avrebbe fatto scalpore e sarebbe stata per settimane sui quotidiane nazionali anche in un paese funestato da numerosi omicidi dei narcos. Invece questo evento assume, tra le pagine del romanzo, una dimensione praticamente normale, come se certe cose succedessero un giorno sì e l'altro pure. (Attenzione, non sto dicendo che non accadono; sto dicendo che sono eventi gravissimi e eccezionali che scuotono l'opinione pubblica; descriverli come "normale amministrazione in Messico" significa offrire un'immagine falsata della realtà).
 
In effetti il romanzo non è esente da stereotipi e banalizzazioni. 
 
Il Messico è ridotto a un semplicistico miscuglio di narcos e corruzione, senza alcun tentativo di approfondimento. L'immigrazione invece è un fato ineluttabile, gli Stati Uniti un paradiso in terra, un sogno proibito, senza che mai, mai, mai venga mossa la più piccola critica nei confronti della politica anti immigrazione statunitense, che ha causato e continua a causare immani sofferenze.
 
Un altro esempio di quanto affermo sopra è il linguaggio usato dai personaggi. 
I personaggi sono nella stragrande maggioranza di lingua spagnola e dunque si presume che parlino tra di loro in spagnolo. Perciò non mi spiego il senso di buttare qua e là parole in spagnolo nel discorso diretto visto che si presume che il dialogo che sto leggendo si stia già svolgendo interamente in spagnolo.
Mi pare un mezzuccio per buttare tra le righe un po' di colore, qualche parolina spagnola che fa tanto esotico, olè! Un mezzuccio a cui si ricorre quando l'ambientazione non è sufficientemente approfondita.
 
E a proposito di approfondimento, i personaggi ne mancano totalmente. Lydia e Luca forse sarebbero appena appena sufficienti, in quanto ad approfondimento, ma i comprimari sono perfettamente bidimensionali e sembra siano stati messi lì perchè possano cavare Lydia e Luca d'impaccio quando serve. In particolare c'è un personaggio che compare causualmente nell'ultimo quarto del romanzo, aiuta i due protagonisti a superare un ostacolo, e convenientemente sparisce senza tanti complimenti prima della fine.

Ma il difetto peggiore del romanzo è, a parer mio, l'aver scelto di narrare una storia come questa attraverso un personaggio che non ha nulla della tipica migrante disperata. È vero, Lydia scappa da un vissuto terribile, ma è ricca, colta e ha i documenti in regola (e secondo me anche una fortuna sfacciata, perchè durante il viaggio evita sempre il peggio merntre intorno a lei succede qualunque cosa). Ha quasi sempre una scelta, una soluzione, laddove le migliaia di disperati che tentano di varcare il confine non ce l'hanno.
Per carità, non ci sarebbe nulla di male a raccontare la storia di questa donna sullo sfondo dell'esodo dei migranti centro e sud americani; il problema è che l'autrice ha dichiarato (nella postfazione) di voler dare, col suo romanzo, un volto alla massa di persone anonime che tentano la fuga verso il nord america, ma ha deciso di usare un personaggio che non rappresenta proprio nessuno, neanche se stessa, secondo me. 
Anche la caratterizzazione del villain della storia stride tantissimo col contesto e allontana ancora di più la trama dalla sua pretesa universalità.
 
Nonostante le migliori intenzioni, la storia raccontata in questo libro non riesce ad emozionare nonostante i contenuti forti; la superficialità di ambientazioni e personaggi non suscita alcuna empatia e la pretesa di narrare una storia universale resta solo un'intenzione e nulla di più.
 
Voto: 4 e 1/2
 
(Ultima notazione, e poi giuro, la smetto. In Messico e tra gli statunitensi di origine messicana e centroamericana il libro è stato oggetto di forti polemiche. Le accuse principali rivolte a Cummins sono state quella di aver scritto un libro sull'immigrazione che non turbasse troppo i bianchi che dovessero leggerlo e quella di essersi appropriata di una parte della cultura latino americana e averla ridotta a stereotipo)

martedì 4 gennaio 2022

Loro...

... di Roberto Cotroneo.

Nell'estate del 2018, Margherita prende servizio come istitutrice di due gemelle di una aristocratica famiglia romana, gli Ordelaffi. La ragazza si trasferisce nella loro splendida residenza di campagna, una casa progettata da un architetto famoso, fatta di immense vetrate e dove tutto è curato nel minimo dettaglio. Eppure c'è qualcosa di inquietante nella casa, nelle due gemelle Lucrezia e Lavinia, e perfino nel personale addetto alla villa, a cominciare dal giardiniere Gaetano.
Quando delle oscure presenze cominciano a manifestarsi, Margherita non sa più a chi deve credere, e si trova ad essere trascinata nel misterioso abisso che circonda la casa e la famiglia che la abita.
 
Margherita sembra aver trovato il lavoro dei sogni in una villa, un capolavoro d'architettura, abitata da genete ricca, colta, raffinata. Come spesso accade il sogno si rivela più simile ad un incubo, e la ragazza scrive un memoriale in cui ci racconta perchè è fuggita il più lontano possibile da quella bellissima e luminosa casa fatta di vetri.
 
Iniziando la lettura già sappiamo che qualcosa di orribile avverrà, e che la protagonista fuggirà terrorizzata. Questo espediente narrativo crea fin dall'inizio una cappa di di inquietudine e di ansia (come se a me ne servisse altra...) che rimane, secondo me, la parte più riuscita del romanzo.
 
Loro è un romanzo ben costruito, scritto con una stile scorrevole e una lingua pulita e curata nel dettaglio.
 
Anche i personaggi sono ben costruiti soprattutto nelle loro ambiguità, o meglio, nel loro sfacciato dualismo.
Il leit motiv che scorre attraverso le pagine del romanzo, infatti, è proprio il dualismo. Ogni cosa qui ha un lato luminoso ed un lato oscuro: la casa, le gemelle, perfino il giardiniere.
La casa è quanto di più moderno e confortevole si possa immaginare, eppure nasconde segreti e presenze inquietanti, e ben presto tutto quel vetro che lascia entrare la luce del sole e del giorno ci appare più una trappola che una sicurezza.
Le gemelle sono adorabili, educate, intelligenti eppure c'è in loro qualcosa di preoccupante, una sottile inquietudine, una saggezza antica e perciò non proprio naturale... e non proprio benevola. Nel loro parlare con lo sguardo e con mezze frasi che solo loro posso comprendere, con quell'accennare a cose che solo loro hanno visto e solo loro sembrano comprendere rende l'atmosfera claustrofobica. Ogni passo che la protagonista muove sembra un pericoloso balzo verso il regno dell'ignoto e ben presto Margherita non sa più di chi deve fidarsi, chi (o cosa) va combattuto e chi va salvato, o chi (o cosa) deve temere.

Eppure nonostante queste pregevolissime premesse, Loro è un romanzo che non mi ha convinta fino in fondo.  
Loro è come un arciere che ha scoccato molte frecce, ma ha sempre mancato il bersaglio nonostante l'apprezabile gesto atletico.
 
Innanzitutto, più procedevo nella lettura, più sentivo nella mia testa rimbombare gli echi di quel classico del romanzo gotico che è Giro di vite, di Henry James. Molte, troppe similitudini: l'isitutrice sola contro tutti di fronte all'ignoto che bussa alla porta, due bambini legatissimi tanto da escludere il mondo esterno, ma soprattutto quell'atmosfera di sospensione, immersi nella quale non sappiamo più cosa è vero e cosa invece è follia... almeno fino al finale, fino al famoso " giro di vite".
Ho avuto quasi l'impressione che si trattasse di un reboot moderno del celebre classico.
 
Comprendo perfettamente che in un romanzo di questo tipo, le risposte non possono essere ovvie, ma lo scrittore deve suggerirle, pù che metterle nero su bianco; ma in questo libro ho avuto la sensazione che tutto l'impianto costruito, i molti indizi seminati, gli avvenimenti inspiegabili, le apparizioni misteriose non reggano al colpo di scena finale, che, anzichè valorizzare tutto quanto narrato in precedenza, lo svilisce e lo banalizza, sciogliendo il senso di opprimente inquietudine come neve al sole. 

Perciò mi sento di consigliare il romanzo solo solo se siete fan del genere. Si tratta comunque di una lettura scorrevole e veloce, con qualche spunto apprezzabile.

Voto: 6