domenica 30 settembre 2018

Anna dei tetti verdi. Anna dai capelli rossi #1...

... di Lucy Maud Montgomery.

La scheda del libro sul sito della Gallucci Editore

Matthew e Marilla sono due anziani fratelli che vivono in Canada, nel piccolo villaggio di Avonlea. Un giorno decidono di adottare un orfano che li aiuti a mandare avanti la loro fattoria, ma per errore a casa loro giunge una ragazzina, invece del maschietto atteso. La ragazza, Anna, non è però una bambina come le altre: dotata di ingegno vivace e fantasia smisurata saprà conquistarsi un posto nel cuore dei due fratelli e degli abitanti di Avonlea.

Anna dai capelli rossi (conosciuto anche come Anna dei Tetti Verdi) è un romanzo molto bello, ed in un certo senso riposante. Mi rendo conto che riposante è uno strano aggettivo da usare per descrivere un libro, ma abbiate qualche rigo di pazienza e vi chiarirò meglio quello che intendo.

Anna è una ragazzina che praticamente non ha mai conosciuto i suoi genitori; sballottata da una famiglia all'altra, cresciuta senza amore e alla fine depositata in un orfanotrofio. Arriva per sbaglio ai Tetti Verdi, la fattoria di Marilla e Matthew, ma lì resterà perchè nel giro di una sola giornata saprà conquistarne il cuore. Questa conquista Anna la compie non con la tragicità della sua storia, ma con la vivacità  del suo ingegno e con la forza della sua immaginazione. Anna non suscita pietà o compassione, ma sentimenti di ammirazione e di amore.

Dicevo che questo romanzo è riposante perchè immergersi nelle vicende di Anna ha un effetto benefico e calmante sull'animo del lettore. La capacità di Anna di vedere il mondo con gli occhi della fantasia mostra anche a noi lettori la realtà sotto una nuova veste, ci fa riflettere su quanto, troppo spesso, trascuriamo i dettagli, la bellezza e le piccole gioie della vita. 
La storia di Anna ci impone una pausa, piacevole e sorprendente, dallo stress della routine quotidiana. 

Quello che più mi è piaciuto di questo romanzo è la sua incredibile modernità. Non dimentichiamoci che questa storia è stata pubblicata per la prima volta nel 1908, e ad oggi, dopo centodieci anni, ha ancora molte cose da dire.
Tanto per iniziare, Anna è un personaggio straordinario, che non si piega al conformismo e alla consuetudini della società, e che riesce ad essere se stessa senza polemiche, veleni e rancori, ma semplicemente imponendo la forza della sua intelligenza e della sua personalità. Nonostante la sua triste storia e la sua fame d'amore, Anna non cambia per compiacere nessuno. Le sue peculiarità sono fonte di pettegolezzo e riprovazione ad Avonlea, paesino tutto chiuso nel suo provincialissimo rispetto per le consuetudini, ma Anna non se ne cruccia, e non esce dal suo mondo per adeguarsi agli altri, ma anzi, riesce a mostrare la bellezza delle sue idee a chiunque incontri sulla sua strada. Questo personaggio femminile deciso, intelligente e che nonostante le avversità affronta la vita con gioia credo sia uno dei più belli della letteratura mondiale, e il fatto che provenga da un mondo così distante come è quello del secolo scorso non cessa di meravigliarmi e di riempirmi di ammirazione per la sua creatrice. 

Voto: 7 e 1/2

sabato 29 settembre 2018

Morte di una moglie perfetta. I casi di Hamish Macbeth...

... di M. C. Beaton.


Hamish Macbeth è un giovane poliziotto in un paesino delle Highlands scozzesi, Lochdubh. Innamorato della sua terra, all'apparenza pigro e indolente, Hamish è un poliziotto capace e dotato di grande intuito. Da sempre innamorato di Priscilla, si sente mancare il terreno sotto i piedi quando la giovane rientra dal suo soggiorno londinese in compagnia di un uomo che sembra essere il suo fidanzato. Le cose si complicano ulteriormente quando a Lochdubh si trasferisce Trixie Thomas, donna perfetta, moglie perfetta, cittadina modello, che dichiara guerra a tutte le cattive abitudini della vita di paese: fumo, alcool, cibi poco salutari. Dietro la facciata perfetta di Trixie e del suo matrimonio però, si nasconde qualcosa, e quando Trixie viene avvelenata, Hamish si mette alla ricerca del colpevole.

Come forse già saprete, M. C. Beaton è l'autrice, da me adorata, della serie gialla con protagonista Agatha Raisin e della serie ambientata in epoca Regency 67 Clarges Street
Con questo romanzo facciamo la conoscenza di un nuovo personaggio, Hamish Macbeth, indolente poliziotto delle Highlands scozzesi. Nonostante sembri pigro e non interessato quasi a nulla, Hamish sa benissimo come muoversi a Lochdubh, e sa benissimo come si indaga e come si risolve un crimine.
In questo romanzo si trova a dover indagare sulla morte di Trixie, donna perfetta, massaia efficiente e anche piccola imprenditrice. Purtroppo però, Trixie non era così benvoluta come sembrava in apparenza, e qualcuno decide di toglierla di mezzo. 

Una veduta delle Highlands scattata - da me - dal castello di Stirling
Vi è mai capitato che un libro vi sia piaciuto ma che, allo stesso tempo, vi vengano in mente un sacco di ragioni per cui a molti altri lettori potrebbe non piacere? Ecco, finita questa storia io mi sono ritrovata con questa stranissima sensazione, e dunque nella recensione che segue vi dirò perchè a me è piaciuto parecchio, ma anche perchè, secondo me, a voi potrebbe non piacere.

In primo luogo, io ho amato l'ambientazione. Le Highlands scozzesi... no, dico le Highlands!! Per me, che sono patita di tutto ciò che è scozzese, è stato splendido leggere un libro ambientato in quei luoghi, e lo è stato non solo per una mewra questione geografica, ma anche per il fatto che la trama è ben radicata in quel tipo di contesto, e non funzionerebbe in nessun altro. La vita del paesino, tradizionalista e un po' isolato, è ben descritta e mi ha fatto immergere in quella realtà che - ripeto - io amo tantissimo. Leggere questo libro è stato come aprire una finestra e guardare la vera Scozia, terra di miti, eroi e leggende, senza il velo di romanticismo di cui di solito si ammanta nei romanzi. Invece con Morte di una moglie perfetta siamo trasportati nel quotidiano, ed è stato un cambiamento che ho apprezzato.

Interessante anche la caratterizzazione di Hamish come uomo della Highlands. Hamish è perfettamente integrato nel posto dove vive, lo ama e non desidera vivere da nessuna altra parte, a costo di dover rinunciare a promozioni e avanzamenti di carriera. Ho amato questo personaggio legato visceralmente alle proprie radici, soddisfatto di ciò che è, felice di ciò che ha (forse perchè anche io, se vivessi nelle Highlands, non vorrei andare da nessuna altra parte).

Morte di una moglie perfetta è, inoltre, un libro piacevole e scorrevole, che si legge con facilità e che riserva qualche frecciatina alla società moderna, sebbene la vena ironica che ho imparato a conoscere e ad amare nella serie di Agatha Raisin qui sia meno evidente.

Per quel che riguarda la trama gialla, ho apprezzato la costruzione della storia e l'impianto narrativo, anche perchè, come detto, il tutto era ben inserito nel contesto sociale e geografico. Ma mi rendo conto (come ho detto nella premessa) che un lettore meno sensibile al fascino della Scozia potrebbe trovare l'indagine e soprattutto la sua conclusione un po' inconsistente. L'investigazione infatti non ha un ritmo serrato nè l'azione è particolarmente stringente.
È stato come se l'attenzione dell'autrice fosse concentrata su altro (personaggi minori, vita quotidiana del villaggio e vicende sentimentali e personali di Hamish), e l'indagine fosse soltanto uno degli elementi della trama, ma non il più importante.

Altra cosa da segnalare e che, questa sì, davvero non mi è piaciuta, è stato il fatto che questo libro, il primo tradotto in italiano, è in realtà il quarto della serie di Hamish Macbeth. Come in tutti i romanzi della Beaton, anche qui i personaggi hanno una loro storia personale complessa e in continua evoluzione. E cominciare a leggere la storia di Hamish dal quarto volume mi ha lasciato un senso di straniamento molto fastidioso. La mancanza dei primi tre volumi si sente, secondo me, e parecchio.
Io non so quale sia stata la ragione di questa scelta editoriale, ma sarebbe il caso, se proprio non fosse possibile pubblicare in italiano i primi tre volumi, di includere nei prossimi romanzi una prefazione che faccia il sunto delle vicende di Hamish raccontate nei romanzi precedenti.

In ogni caso, io ho amato questo romanzo dal ritmo tranquillo, ambientato in uno dei posti più belli del mondo, che me ne ha fatto respirare l'aria, insieme a quel pizzico di mistero che rende i piccoli villaggi letterari irresistibili ai miei occhi. Tornerò sicuramente a Lochdubh!

Voto: 7

giovedì 20 settembre 2018

Fidanzati dell'inverno. L'attraversaspecchi #1...

... di Christelle Dabos.

La scheda del libro sul sito della Edizioni E/O

Il mondo è andato in pezzi in seguito alla Lacerazione. La razza umana vive sui frammenti galleggianti della Terra, in città stato chiamate "arche". La giovane Ofelia vive su Anima, l'arca dove gli oggetti hanno un'anima e una personalità. Curatrice di un museo, Ofelia ha il potere di leggere gli oggetti (coglierne le impressioni lasciate da chi li ha toccati) e l'abilità, alquanto inconsueta, di usare questo suo talento per attraversare gli specchi. Timida, miope e maldestra, la ragazza trascorre una vita tranquilla finchè le autorità di Anima non decidono di darla in sposo a Thorn, della potente famiglia Draghi dell'arca Polo, dove la famiglie sono sempre in lotta tra loro e gli intrighi e i complotti sembrano essere uno sport nazionale. Quando giunge su Polo, Ofelia si rende conto che la situazione è anche peggiore di come se l'era immaginata: il suo promesso sposo è freddo, distantee indifferente; la sua vita è in pericolo costante e non può fidarsi di nessuno. Ma perchè le Decane hanno scelto proprio lei per suggellare l'allenza con Polo? Quale mistero si nasconde dietro questa decisione all'apparenza incomprensibile? 

Le vecchie dimore hanno un’anima, si sente spesso dire. Su Anima, l’arca in cui gli oggetti prendono vita, le vecchie dimore avevano più che altro la tendenza a sviluppare un carattere orribile. L’Archivio di famiglia, per esempio, era sempre di malumore. Per esprimere il suo malcontento non faceva che scricchiolare, cigolare, sgocciolare e sbuffare. Non gli piacevano le correnti d’aria che d’estate facevano sbattere le porte chiuse male. Non gli piacevano le piogge che d’autunno gli tappavano le grondaie. Non gli piaceva l’umidità che d’inverno penetrava nei muri. Non gli piacevano le erbacce che ogni primavera tornavano a invadergli il cortile.
Ma la cosa che all’edificio dell’Archivio piaceva meno erano i visitatori che non rispettavano gli orari d’apertura.

Questo romanzo è il primo di una trilogia, chiamata L'attraversaspecchi.
A partire dalla copertina e dall'incipit, Fidanzati dell'Inverno è un libro intrigante. 
Ci troviamo in un mondo in cui è facile riconoscere tracce del nostro pianeta, ma che è diversissimo a partire dalla confermazione geologica. Tanto per iniziare il  "mondo" non esiste più: esistono le Arche, frammenti galleggianti dove la popolazione ha sviluppato culture e tradizioni completamente autonome. Ofelia, maldestra, miope, intelligente ma troppo timida per farsi valere, vive su Anima, disprezzata per la sua apparente mancanza di qualità, fino a che non viene spedita su Polo a sugellare, con il suo matrimonio, un'alleanza importantissima. 
Ecco, laddove Anima è ricca di tradizioni, ricordi, calore, Polo è fredda, inospitale e abitata da gente altrettanto inospitale, con tradizioni brutali. Ofelia sembra la meno adatta a sopravvivere in un mondo dove l'omicidio politico è all'ordine del giorno, eppure, sotto la sua patina di timidezza e sciatteria, la ragazza nasconde molte qualità e una tenacia straordinaria.

L'ambientazione è la cosa migliore di questo romanzo e vale da sola il prezzo del biglietto. Le arche galleggianti, i poteri bizzarri, le famiglie in lotta, le corti reali eccentriche e pericolose, le leggi della fisica e della chimica diverse e imprevedibili sono tutti elementi che rendono Fidanzati dell'inverno un libro originale e gustoso. 
La trama è perfettamente fusa con questa ambientazione, anzi, possiamo dire che i due aspetti del romanzo si sviluppano in simbiosi. La descrizione dell'ambientazione e lo sviluppo della trama procedono di pari passo e l'una non potrebbe esistere senza l'altro.
Se da un lato questa fusione mi è piaciuta moltissimo, dall'altro devo riconoscere che il ritmo della narrazione non è molto serrato, anzi, è piuttosto lento. La scoperta della nuova arca in cui Ofelia dovrà vivere è graduale, e non certo favorita da una popolazione, famiglia acquisita compresa, non proprio incline a parlare a viso aperto. Altresì non ha giovato alla scorrevolezza della trama la continua e incredibilmente ridondante sottolineatura del fatto che Ofelia è piccola, timida, maldestra, trasandata e parla a voce bassa, mentre il suo futuro marito è alto, biondissimo, magro e pallido. Queste cose vengono ripetute ogni volta che i due sono in scena. Ogni volta. Effettivamente è stato un po' troppo anche per me, che pure ho trovato il libro gradevole e interessante.

Certo Fidanzati dell'inverno non è un libro che consiglierei a tutti, ma di sicuro a me è piaciuto parecchio. Non credo sia adatto a chi ama le storie adrenaliniche (e soprattutto autoconclusive, perchè questa proprio non lo è); non lo consiglierei a chi non ama le contaminazioni di generi nel fantasy (e qui uno spruzzo di steam punk fa capolino qui e lì, specialmente nella struttura di Polo, con i grandi ascensori meccanici e i dirigibili). Ma sicuramente lo consiglerei a chi ama un ritmo di lettura lento (ma non soporifero) e a chi è alla ricerca di originalità nel genere fantastico.
Per quel che mi riguarda, resto in trepidante di attesa di Gli scomparsi di Chiardiluna, secondo volume della trilogia, in uscita a gennaio 2019.

Voto: 7

martedì 18 settembre 2018

Volevamo andare lontano...

di Daniel Speck.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Sperling &Kupfer

Julia, giovane stilista emergente tedesca, durante  una sfilata a Milano viene avvicinata da un uomo, tedesco come lei, che le rivela di essere suo nonno, e che il padre che lei ha sempre creduto morto in realtà non lo è, e vive in Italia. L'uomo le mostra la foto di una giovane italiana, scattata negli anni 50. Quella ragazza sorridente e bellissima, che le somiglia molto, è sua nonna. Comincia così il viaggio di Julia alla scoperta di radici che non sapeva di avere, attraverso la storia avventurosa di sua nonna Giulietta, del suo gemello Giovanni e della loro famiglia emigrata dalla Sicilia in cerca di un futuro migliore.

Le domande sull'immigrazione e sugli immigrati finiscono per diventare inevitabilmente domande non solo su chi siamo ma su chi vogliamo essere. Cioè sui temi più profondi. (Hanif Kureishi, Il mio orecchio sul suo cuore - citazione di apertura di Volevamo andare lontano)

Questa è la lunga storia di una famiglia. Una storia che parte dal secondo dopoguerra nel profondo Sud per arrivare ai giorni nostri. È innanzitutto la storia di una famiglia, che attraversa gli anni e l'Europa alla ricerca di quello che ogni essere umano desidera: la felicità.
È un romanzo molto forte dal punto di vista delle passioni e dell'empatia; non c'è una sola pagina che mi abbia lasciato indifferente.
La trama è molto articolata. È ricca di segreti, drammi, bugie, amori e passioni. Ma la cosa che colpisce di più è  l'intensità con cui tutto questo è raccontato. La storia colpisce il lettore dritto al cuore.
Mi è piaciuto molto anche il modo in cui viene narrata. Infatti i diversi membri della famiglia si passano idealmente il testimone durante il racconto, e così questa lunga saga ci offre diversi punti di vista e diverse sfaccettature.
La cosa che più mi ha colpito e impressionato è stata appunto questa: l'abilità dell'autore nel raccontare la storia di una famiglia di emigranti cogliendone perfettamente le diverse sfumature dei sentimenti, che variano dalla speranza per il futuro allo strazio per la casa e la famiglia lontane, dalla frustrazione per il fatto di sentirsi sempre "ospiti" in terra straniera, alla fiducia nel futuro.
Sono andata a curiosare nella biografia di Daniel Speck convinta di trovarci qualcosa che mi spiegasse una tale comprensione dell'autore dei suoi personaggi - che so, un antenato italiano, o una storia di emigrazione alle spalle - ma niente fa intendere che l'autore abbia attinto alla sua storia personale. Questo non fa che accrescerne i meriti di scrittore.

Il tema dell'emigrazione è perfattamente sposato con quello della famiglia, del senso di appartenza, della voce del sangue.

Era possibile scegliere a chi appartenere o era qualcosa di predeterminato, un imperativo del sangue?
Tutti i personaggi, in qualche modo, devono fare i conti con questa domande, divisi fra la nostalgia per la Sicilia e la voglia di far parte della società che li ha accolti.

Un unico appunto che mi sento di fare all'autore è quello di aver a volte indugiato un po' troppo sulla rappresentazione stereotipata dell'emigrante italiano, specie per quel che riguarda i personaggi secondari. Mentre Giulietta e Giovanni sono descritti e approfonditi meravigliosamente, con i loro dubbi, le lacerazioni interiori e la voglia di andare lontano e al tempo stesso di restare attaccati alle loro radici, i personaggi secondari e le semplici comparse sono un po' appiattiti sui luoghi comuni tipici degli italiani all'estero. Ad esempio, il primo contatto di Julia con gli italiani in Germania, avviene tramite un tipo su una Vespa che tenta di abbordarla (ci mancava solo che le dicesse "ciao bella!", ed eravamo a posto); per non parlare del fatto che circa trenta secondi dopo essere scesa dal treno alla stazione di Napoli, Julia viene scippata (ovviamente, e che vi aspettavate? Io personalmente attendevo qualcuno che la consolasse tirando fuori dalla tasca una fetta di pizza, con un  mandolino a tracolla, coinvolgendola in una allegra tarantella). L'episodio è palesemente una nota di colore perchè il furto non ha particolari conseguenze sulla trama (tanto che Julia neanche si pone il problema della denuncia, e sì che le hanno rubato tutti i documenti. Questa cosa l'ho trovata parecchio assurda). Diciamo che da questo punto di vista Daniel Speck poteva, a parer mio, impegnarsi un pochino di più. Fortunatamente si tratta di un difetto marginale, che nulla toglie alla bellezza di questo romanzo.

Un libro che consiglio vivamente a tutti, non solo per la bellezza della trama, ma anche per le emozioni che ha saputo suscitare durante la lettura. 
Noi italiani, ed in particolari noi meridionali, credo, non possiamo leggere questo libro e non sentirci coinvolti. Perchè se non siamo stati emigranti in prima persona, guardiamo i nostri figli e ci chiediamo se un domani toccherà a loro partire per forza e non per scelta. E allora quelle pagine non sono solo una bella storia scritta nero su bianco. Sono la storia del nostro popolo.

Voto: 8-

mercoledì 12 settembre 2018

Ogni piccola bugia...

... di Alice Feeney.


Amber si ritrova immobilizzata in un letto d'ospedale, la mente vigile, il corpo immobilizzato. È in coma e non ricorda come ci sia finita. Nella stanza suo marito e sua sorella parlano, convinti che lei non possa sentirli. le loro parole ambigue, sussurrate, smozziacate le fanno pensare che deve essere successo qualcosa di grave, oltre all'incidente che l'ha portata in ospedale. Qualcuno ha tentato di farle del male? E chi? E di chi si può fidare, indifesa in quel letto d'ospedale?

Oggi vi propongo un altro thriller psicologico, diverso da L'illusione della verità recensito da poco, ma altrettanto meritevole di letture. 
Io l'ho letto in un'unica nottata insonne, semplicemente perchè non potevo metterlo giù. Ecco, la mia recensione potrebbe fermarsi qui, perchè credo non esista niente di più bello per un lettore di imbattersi in uno di quei libri che semplicemente non puoi smettere di leggere.
 
Alice Feeney ha creato per il suo romanzo un'atmosfera claustrofobica: Amber non può muoversi nè comunicare in alcun modo con l'esterno, ma sentendo i discorsi intorno a lei, e con il riaffiorare graduale dei ricordi, capisce di essere in pericolo. Il lettore ripercorre insieme a lei la strada che l'ha portata fin lì, che parte dall'infanzia, fino ad arrivare al suo lavoro di giornalista radiofonica in una seguita trasmissione mattutina. Intorno a lei si muovono diversi personaggi, principalmente la sorella Claire, il marito, le colleghe, i suoi superiori, ed ognuno di loro è enigmatico e ambiguo. Ognuno di loro potrebbe essere  il centro del mistero angoscioso che è la vita di Amber in questo momento.
La bravura dell'autrice, in questo thriller, sta tutta nell'aver costruito una storia misteriosa, tortuosa e intrigante, e di averla costruita benissimo. Come Amber, il lettore non sa chi di può fidarsi e a chi deve credere. 
La trama è intricata ma non risulta involuta o incomprensibile. I plot twist sono diversi, tutti credibili e ben preparati e lasciano il lettore a bocca aperta.
Lo stile dell'autrice è molto fluido, non ci sono digressioni inutili nè pause nel ritmo delle rivelazioni, che sono dosate sapientemente. 

Raccontare questo tipo di storia non è facile: basta dimenticare un piccolissimo dettaglio e tutta la credibilità della trama crolla miseramente. Alice Feeney invece tiene saldamente le fila del suo intreccio. Alla fine ogni dettaglio va al suo posto con precisione. Il lettore è avvinto fino all'ultima pagina, anzi, fino all'ultimo rigo, che riserva anch'esso qualche sorpresa.

Voto: 8


 

lunedì 10 settembre 2018

L'illusione della verità...

... di Wendy Walker.

La scheda del libro sul sito della casa editrice NORD

Le sorelle Tanner, Emma e Cassandra, adolescenti con una famiglia complicata, scompaiono dopo una lite furiosa. L'auto di Emma e le sue scarpe vengono ritrovate sulla spiaggia. Di Cassandra, invece, nessuna traccia. Eppure è proprio lei, tre anni dopo, a ricomparire all'improvviso e a raccontare la storia della loro scomparsa e della prigionia su un'isola che non sa come identificare. Ma il suo racconto lascia molti dubbi all'agente dell'FBI Abby Winter, che si è occupata del caso tre anni prima. La versione di Cassandra non coincide con le testimonianze, e troppi dettagli rimangono oscuri. Cosa nasconde Cassandra? Perchè è ricomparsa proprio adesso? E la sua famiglia, all'apparenza perfetta, cosa nasconde?

L'illusione della verità è un thriller psicologico interessante, che ruota intorno alla figura di una madre disfunzionale e alla famiglia altrettanto disfunzionale che è riuscita a creare intorno a sè. Vittime, ambigue e a volte consenzienti, sono le due figlie adolescenti, unite ma allo stesso tempo perennemente in lotta per l'amore e l'approvazione della madre.  Le dinamiche tra le tre donne, asse portante del romanzo, sono descritte con una cura maniacale per i dettagli. Sono dinamiche di comprensione non immediata, che coinvolgono conoscenze di psicologia, eppure l'autrice riesce a illustrarle in maniera sufficientemente chiara senza appesantire troppo la narrazione.
Anzi, a dirla tutta, l'autrice riesce a creare un clima claustrofobico mentre dipana la morbosa relazione tra le tre donne, clima che mi ha causato una seria angoscia mentre leggevo. E sebbene a volte la lettura diventasse disturbante, alla fine non ho potuto fare a meno di concludere che questo thriller svolge egregiamente il suo lavoro.

Il cuore di questo romanzo sta tutto nel gioco di potere che la verità e i segreti altrui regalano. Ognuna delle protagoniste - in particolare Cassandra e sua madre - sanno dosare verità e bugie per ottenere quello che vogliono, e in questo labirinto in cui le persone credono solo quello che vogliono credere, come dice Cassandra, il lettore si smarrisce, restando incollato alle pagine cercando di ricostruire una storia di torbide relazioni familiari dove niente è come sembra.
Ogni cosa - la lite, la scomparsa, la prigionia, il ritorno - ha due facce. Anche la verità, in questa romanzo ha due facce. E ciò lo rende estramente interessante, a tratti oscuro, ma mai banale o scontato.

Ma è una lettura che buca la pagina, arriva al lettore, lo intrattiene, gli fa tenere il fiato sospeso, e lo conduce attraverso un labirinto buio fino alla fioca luce all'uscita.

Voto: 7 e 1/2

mercoledì 5 settembre 2018

Il club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey...

... di Mary Ann Shaffer e Annie Barrows.

Dopo la pausa estiva, torna la rubrica Questa volta leggo, nata dalla mente vulcanica di alcune blogger - Dolci (Le mie ossessioni librose)Chiara (La lettrice sulle nuvole) e Laura (la Libridinosa). 
Ogni mese un tema, ogni tema un libro. Questa volta, abbiamo letto un libro che non fosse ambientato in Italia. 
Per me, una scelta quasi obbligata: ho letto un romanzo ambientato nel Regno Unito, la mia seconda patria letteraria, che mi ha accolto tra le pagine di un libro molto bello, Il club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey.

La scheda del libro sul sito della Astoria

Londra, 1946. La guerra è finita, e la città sta lentamente tornando alla normalità. Juliet Ashton, scrittrice, si sta godendo il successo dei suoi ultimi libri quando riceve una lettera da un certo Dawsey Adams, residente sull'isola di Guernsey, il quale ha trovato il suo indirizzo sulla prima pagina di un libro usato. Dawsey chiede a Juliet di consigliargli una libreria a Londra presso cui acquistare libri, per uscire dall'isolamento che l'isola ha vissuto durante la guerra e l'occupazione tedesca. L'uomo nomina di sfuggita un club del libro locale dal nome bizzarro, accendendo la curiosità di Juliet. Inizia così una corrispondenza dolce e interessante, che coinvolgerà gli eccentrici membri del Club, e svelerà le storie di ognuno di loro.

Accattivante fin dal titolo, lungo e inconsueto, il Club del libro... è un romanzo epistolare dal sapore dolcemente retrò, che trasporta il lettore su una piccola isola nella Manica, Guernsey. 
L'isola di Guernsey (da Wiki Commons)
Durante la guerra, a questa piccola comunità toccò subire l'occupazione nazista, la quale, sebbene meno crudele che in altre zone, fu comunque molto dura e a tratti spietata. Basti pensare che, oltre a patire fame e altre privazioni, i residenti dell'isola rimasero, per volontà delle truppe occupanti, completamente isolati dal resto del mondo per cinque lunghi anni. Niente telefono, niente radio, niente posta, niente giornali, e niente notizie dai membri della famiglia al fronte o semplicemente sfollati in Inghilterra. Una cosa terribile da immaginare.

A poco a poco, tra le righe delle lettere che Juliet e Dawsey prima, e Juliet e gli altri membri del Club poi si scambiano, scopriamo le storie di quel periodo. I membri del Club, nonostante la leggerezza e il buon umore con cui scrivono a Juliet, hanno un peso sul cuore, e condividerlo con un'estranea si rivelerà la scelta migliore per tutti.

La struttura del romanzo è particolarmente coinvolgente. La sua natura di romanzo epistolare non è assolutamente di intralcio alla narrazione, tutt'altro. È un espediente che ha permesso alle autrici di svelarci la storia poco a poco, di mostrarci molteplici punti di vista, di aggiungere aneddoti ora tristi ora spassosi senza che il romanzo perdesse solidità. Non è facile trovare un romanzo epistolare tra la narritiva moderna, e perciò io l'ho amato ancora di più per questa sua caratteristica.
Con un tono lieve, davanti ai nostri occhi si svelano le crudeltà e le privazioni della guerra, ma ancora di più, si svelano  le anime dei personaggi che popolano l'isola e che hanno dato vita al Club in circostanze piuttosto singolari. Il Club, nato per caso da una bugia, diventa un'ancora di salvezza per chiunque vi si avvicina. Credo non ci sia niente di più bello e appagante, per un lettore, di leggere del potere consolatorio e salvifico dei libri, potere che ognuno di noi ha sperimentato nella vita, prima o poi.

Questo è un romanzo fatto di buoni sentimenti, che però non appaiono nè retorici nè stucchevoli, popolato da brave persone (per la maggior parte, almeno) e condito da una leggera dose di ironia, ed è un inno alla vita e alla resistenza contro le forze del male, qualunque esse siano. È un romanzo che mi ha toccato nel profondo, per la sua capacità di raccontare tragedie tremende, e allo stesso tempo di mostrarci la luce che brilla anche nel buio più profondo.
Nel farlo non ha smarrito il compito preciso di ogni romanzo, ovvero quello di narrare una storia. Mi ha conquistato la grande abilità delle autrici nel mescolare sapientemente le due anime del romanzo (quella  narrativa e quella più filosofica e spirituale). Ancora, mi ha piacevolmente colpito il fatto che la parte che ho definito "filosofica"sia affidata alla voce di persone di umili origini e che poco hanno potuto studiare. Ma a riprova del fatto che non è il titolo di studio che rende un animo colto, queste persone hanno trovato attraverso i libri e la critica letteraria, risposte alle loro domande, e forse, anche altre domande.

Unico piccolissimo neo, il finale: mi è sembrato che le fila della narrazione venissero tirate un po' troppo precipitosamente, ma questo può dipendere dal fatto che Shaffer, molto malata, affidò l'opera per il suo completamento e per la revisione alla nipote, Annie Barrows. Non deve essere  stato facile finire un'opera che non le apparteneva, ma Barrows ha fatto comunque un lavoro ottimo.

Consigliatissimo.
Voto: 8

PS: prima di lasciarvi al calendario della rubrica Questa volta leggo, vorrei spendere due parole sul film tratto dal libro, disponibile su Netflix. Sicuramente una visione gradevole, con atmosfere rese bene ma che a causa, secondo me, di qualche taglio dio troppo perde lo spessore e la liricità del romanzo.