giovedì 26 luglio 2018

Il battesimo del fuoco. Saga di Geralt di Rivia...

... di Andrzei Sapkowski.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Nord

Dopo la rivolta sull'isola di Thanedd, dove una parte dei maghi ha tradito e si è unita al malvagio impero di Nilfgaard, Geralt non è riuscito a salvare Ciri ed è rimasto ferito gravamente. Le driadi di Brokilon lo accolgono tra loro e lo curano. Ma ben presto anche nel regno protetto delle driadi giungono notizie dal mondo esterno. La guerra infuria, e sembra che Ciri sia prigioniera dell'imperatore.  Geralt riprende il cammino con l'amico Ranuncolo e la guida di Milva, arciera di incredibile bravura e guida esperta. Ma per giungere a Nilfgaard e trovare Ciri, Gerart e i suoi devono attraversare le linee nemiche. Inizialmente ossessionato dall'idea di ritrovare Ciri per rimediare ad una sua mancanza, oppresso dal senso di colpa, Geralt sembra disposto a sacrifcare tutto pur di arrivare a Nilfgaard. Durante il viaggio però scoprirà che ci sono diversi modi di tenere fede alla parola data.

Nuovo capitolo della saga che vede protagonista Geralt di Rivia, lo strigo cui il destino ha affidato, sin dalla nascita, la principessa Cirilla, detta Ciri, legittima erede al trono di Cintra.
La saga di Geralt di Rivia è composta da due raccolte di racconti (La spada del destino e  Il guardiano degli Innocenti) che fungono da introduzione del personaggio e degli avvenimenti, e da 5 romanzi più una ulteriore raccolta di racconti (La stagione delle tempeste) scritta nel 2013, dopo la conclusione della saga, che si colloca cronologicamente tra le prime due antologie.
Il battesimo del fuoco è il terzo romanzo della serie, preceduto da Il sangue degli elfi e Il tempo della guerra.

Dopo un romanzo (Il tempo della guerra, recensito qui) molto complesso dal punto di vista politico e diplomatico, con  Il battesimo del fuoco torniamo ad un tema caro al fantasy classico, ovvero quello del viaggio di ricerca che l'eroe deve intraprendere.
L'eroe - Geralt - è senza dubbio un personaggio molto originale, e che si fa amare proprio per questa sua diversità. Geralt è uno strigo, un cacciatore di mostri che attraverso pozioni e incantesimi ha subito alcune mutazioni, ma non ha perso la sua umanità, anzi. E questa è una delle cose più belle che la saga di Geralt ci regala: guardare il mondo con gli occhi di un "diverso", un cacciatore di mostri considerato utile, sì, ma guardato con sospetto e diffidenza. Temuto, isolato, solo.
Credo che buona parte del successo della saga sia proprio dovuta alla straordinaria abilità che l'autore ha avuto nel costruire il suo personaggio. Sicuramente, in questo romanzo, Geralt e i suoi dubbi morali, il suo incaponirsi e le sue sofferte scelte sono quello che mi è piaciuto di più.
 
Il romanzo narra il lungo e difficile viaggio di Geralt e compagni verso l'impero di Nilfgaard, in una missione apparentemente suicida. Nilfgaard è un posto pericoloso, da cui il fuoco della guerra è divampato in tutto il mondo. Sarà proprio attraverso questo fuoco che Geralt dovrà passare se vuole ritrovare Ciri.
La trama non è però, come spesso mi è capitato di leggere in altri romanzi fantasy, un lungo resoconto delle avventure capitate alla compagnia durante il viaggio; la storia si mantiene organica e solida, sorretta dalla presenza di altri personaggi importanti: oltre al bardo Ranuncolo, la guida Milva e l'enigmatico studioso Regis, incontrato lungo la strada. A differenza degli altri romanzi quindi, Geralt  non si muove da solo, ma con una vera e propria compagnia con cui lo strigo stringe legami forti, nonostante la sua proverbiale ritrosia per i rapporti umani. Geralt, abituato ad agire da solo e costretto questa volta, suo malgrado, a muoversi in gruppo, subisce l'influenza dei suoi compagni, e ciò dà occasione all'autore di aggiungere un altro tassello alla già complessa personalità dello strigo.
La scoperta (ulteriore) della straordinaria umanità di Geralt è la cosa che più mi ha colpito di questo romanzo, che coniuga felicemente l'azione, il contesto fantasy e un ottimo approfondimento psicologico.
Non solo: i forti legami nascenti descritti nel romanzo, l'evoluzione e l'approfondimento psicologico di questi personaggi crea un legame anche tra il lettore e le pagine che sta leggendo.
Non mancano i capitoli dedicati alle trame politiche, tema caro all'autore e che conferisce solidità al mondo creato da Sapkowski, ma la storia è ricchissima di azione, di magia, di soprannaturale e sicuramente non deluderà gli amanti del fantasy e i fan di Geralt.

Voto: 7 e 1/2

lunedì 23 luglio 2018

Chiamami col tuo nome...

... di Andre Aciman.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Guanda

Riviera ligure, anni '80. La famiglia di Elio, diciassette anni, ospita per sei settimane estive uno studente americano, che sta scrivendo un libro con l'aiuto del padre di Elio, professore universitario. Elio si innamora di Oliver con una passione che segnerà la sua vita.

Questo romanzo narra la storia di un'ossessione amorosa, quella del giovanissimo Elio per un ragazzo di poco più grande di lui. Tutto si svolge nell'arco di sei settimane di una caldissima estate di una ventina di anni fa.
Elio è un adolescente talmente atipico da sfiorare l'irreale. Tutte le sue conversazione vertono su filosofi greci, musica classica, letteratura ottocentesca. Per carità, niente di male, eh, ma sinceramente mi risulta difficile figurarmi un adolescente che non abbia altri interessi che quelli. Anche a me piacciono da morire i classici e mi piace intavolare discussioni filosofiche con chi mi sta vicino, ma se parlassi esclusivamente di questo, credo che i miei familiari mi butterebbero fuori di casa.
Elio è anche la voce narrante della storia, ma purtroppo per noi la sua voce è piatta, la sua narrazione prolissa e pesante, molto cerebrale, perchè quasi tutto quello che avviene nel romanzo, avviene esclusivamente nella sua testa. Elio passa tutto il suo tempo a rimuginare su Oliver, su cosa fa, su dove va, sull'orario a cui entra e sull'orario in cui esce, analizzando ogni parola che dice o non dice, ogni gesto fatto o non fatto, ogni sbadiglio, ogni battito di ciglia. Non facciamo altro che leggere di sogni ad occhi aperti, dialoghi immaginari con l'oggetto dei suoi desideri, pensieri ed interminabili elucubrazioni mentali sul tema e se...?
Molto probabilmente quello che viene spacciato per amore nel libro non è altro che un mix di morbosa ossessione e desiderio sessuale frustrato.
Emblematico a tale proposito è un passaggio particolarmente famoso del romanzo, quello della famigerata pesca, che riguarda l'uso che Elio fa di una pesca mentre pensa ad Oliver.
Non dirò altro, ma se volete, potete fare una rapida ricerca tramite Google per trovare un breve video, tratto dal film basato sul romanzo, che vi permetterà di capire a cosa mi riferisco. E allo stesso tempo vi impedirà di guardare nuovamente le pesche con gli stessi occhi di adesso.
Cosa esattamente dovesse comunicarmi una simile scena non sono riuscita a capirlo. Come non sono riuscita a capire cosa aggiungesse allo sviluppo della storia.

Oliver è un personaggio che ho apprezzato di più, essendo più ambiguo e più sfumato ma anche meno concentrato su se stesso. Ma il fatto di poterlo vedere esclusivamente attraverso gli occhi di Elio non ha giovato, secondo me, ad una sua completa evoluzione.

Mi dispiace dire questo di un libro che ha riscosso tantissimo successo, ma io mi sono annoiata a morte. Il peccato maggiore di questo romanzo è, secondo me, proprio questo, la noia, la lentezza e la pesantezza della narrazione.

Voto: 4 e 1/2

mercoledì 18 luglio 2018

Il dandy della Reggenza...

... di Georgette Heyer.

La scheda del libro sul sito della Astoria Edizioni

Judith e Peregrine Taverner, da poco rimasti orfani, giungono a Londra per incontrare il loro tutore, Lord Worth, che avrà il compito di vegliare su di loro fino al compimento della maggiore età, nonchè il compito di amministrare il loro consistente patrimonio. I due giovani rimangono sorpresi nello scoprire che il loro tutore non è un anziano signore come avevano immaginato, ma un uomo giovane e che ha fama di essere uno dei dandy più famosi ma anche più indisponenti di tutta Londra. Un'antipatia immediata si instaura fra Worth e i suoi pupilli; quando a Peregrine cominciano a capitare incidenti strani, i ragazzi si chiedono se per caso non ci sia lo zampino del loro tutore.

Avevo grandi aspettative per questo libro, perchè adoro i romanzi ambientati nell'epoca Regency; adoro la letteratura inglese e gli/le autori/autrici che si inseriscono nel solco di Jane Austen. Nonostante questo romanzo abbia tutte queste caratteristiche, ne sono rimasta in parte delusa. 
Ma andiamo con ordine. 

La storia si svolge a Londra nel 1811. I protagonisti del romanzo, due fratelli non ancora ventenni rimasti orfani da poco,si tuffano nella vita londinese sotto l'occhio vigle e accigliato del loro tutore. Sono molto ricchi e ciò rende in particolar modo Judith un ottimo partito. In un turbinio di balli, inviti, piccoli scandali, i ragazzi proveranno a orientarsi tra le regole della buona società. I due infatti provengono dalla campagna e non hanno esperienza dello stile di vita cittadino. Questa loro ignoranza è l'espediente perfetto che permette all'autrice di sviscerare ogni minimo dettaglio riguardante la società dell'epoca: moda, riti, tic, nevrosi e taboo.
L'ambientazione è quella che abbiamo imparato a conoscere attraverso i romanzi di questo genere. Siamo di fronte ad una società frivola, rigorosamente aggrappata al mantenimento delle apparenze e della buona reputazione, che ha trasformato la vita sociale in un rituale talmente rigido da perdere qualunque significato.
Questo aspetto del romanzo è molto interessante. Il quadro che l'autrice dà di questa società e di un intero stile di vita è accuratissimo; l'inserimento nella narrazione di figure storiche come Beau Brummel o il principe reggente avviene con naturalezza e conferisce solidità alla trama.
Anche i personaggi di fantasia come Judith, Peregrine e Lord Worth sono comunque ben costruiti.
In particolare Judith mi è piaciuta molto: è una donna forte, che nonostante la giovane età sa farsi valere e pensa con la sua testa. Il suo anticonformismo però è bene inserito nella trama e nel contesto, e non assume mai caratteristiche eccessive o addirittura anacronistiche come spesso mi capita di leggere. Insomma, il personaggio principale è una donna forte del 1812, ben tratteggiata e sfaccettata.

Le mie perplessità riguardano, più che altro, lo sviluppo della storia. 

In primo luogo, nella lunga introduzione al romanzo, questo viene presentato come una sorta di anello di congiunzione tra Jane Austin ed il romanzo gotico; mi aspettavo di leggere perciò tutt'altro tipo di storia. Mi aspettavo più mistero, un briciolo di suspense in più; insomma, mi aspettavo che qualche ombra inquietante si allungasse sulla frivola vita londinese di inizio XIX secolo. Invece mi sono trovata a leggere un romance storico, non uno dei miei generi preferiti.
Gli elementi gotici (e anche quelli gialli, a dire il vero) sono praticamente assenti. È facilissimo intuire dove la trama andrà a parare sia per quel che riguarda la parte romance che per quella mistery.
Gli elementi mistery, a conti fatti, si riducono al mettere in pericolo la nostra eroina cosicchè l'eroe di turno possa soccorrerla appena in tempo.
La presentazione, a parer mio totalmente errata, non rende giustizia al romanzo e mi ha guastato il piacere della lettura.

In secondo luogo se, come ho accennato, da un lato ho apprezzato la cura dei dettagli e la ricostruzione del contesto storico, dall'altro manca, secondo me, un tocco di leggerezza che renda la lettura più piacevole e scorrevole. La narrazione infatti a tratti mi è parsa pedante. I dialoghi, per quanto arguti, a volte sono troppo lunghi e somigliano a sterili esercizi di stile.

In conclusione, si è trattato di una lettura interessante sotto certi punti di vista, ma che non è riuscita a brillare particolarmente.
Voto: 6

lunedì 16 luglio 2018

L'anello mancante. Cinque indagini di Rocco Schiavone...

... di Antonio Manzini.


Questa antologia ci prensenta cinque indagini del vicequestore Rocco Schiavone, romano trasferito ad Aosta per motivi disciplinari. Le indagini si svolgono tutte in quest'ultima città, ma il lasso temporale va da poche settimane dopo l'arrivo di Rocco nella nuova sede, al periodo in cui ormai è (suo malgrado) integrato nella cittadina così lontana e così diversa da Roma.

Credo che oramai il personaggio di Rocco Schiavone non abbia bisogno di presentazioni, ma per chi ancora non lo conoscesse, va detto che si tratta di un poliziotto a prima vista indisponente, a tratti odioso, non troppo onesto. Insomma, il peggio che si possa immaginare. Ma Rocco Schiavone possiede in primo luogo un grande talento per le indagini, poi una caparbietà che gli impedisce di lasciare le cose a metà, ed infine una personale empatia e una sua dolorosa umanità. Quando il lettore riesce a superare l'iniziale diffidenza, queste caratteristiche glielo renderanno caro.

Quando leggo una storia, racconto o romanzo che sia, con protagonista Rocco Schiavone, mi aspetto sempre che il personaggio sia coerente con le sfaccettature che l'autore ha cesellato nel corso del tempo. Una cosa non semplicissima, visto che Rocco Schiavone è una personalità molto complessa. Eppure anche stavolta l'autore è riuscito a non deludermi. Ancora una volta ho incontrato un personaggio straordinariamente descritto, perfettamente credibile e reale, la cui personalità regge da sola l'impianto narrativo.
Il personaggio uscito dalla penna di Manzini è uno dei migliori in cui mi sia capitato di imbattermi nella mia carriera di lettrice, e questi racconti hanno lo scopo dichiarato di approfondire ancora di più la sua figura.

L'anello mancante

Racconto che da il nome alla raccolta e che comincia in modo misterioso e molto noir: all'apertura di una tomba per una traslazione, viene trovato un cadavere sconosciuto adagiato sopra la bara legittimamente presente in quel loculo.
Questo racconto mi è piaciuto molto perchè mette in luce la bravura di Manzini nel fondere a perfezione lo straordinario talento investigativo di Rocco Schiavone con il suo strano senso della giustizia e con la sua particolarissima empatia. E questo si riverbera nella struttura del racconto stesso: da un lato c'è infatti il macabro mistero, dall'altra c'è Schiavone, il quale, nonostante sia sempre il solito rude, scontroso  e amareggiato poliziotto di sempre, non riesce a far finta di niente di fronte al dolore ed al disagio sociale. E mentre Rocco indaga sul mistero del cadavere, noi indaghiamo su di lui, scendiamo sempre più in profondità nella sua anima.

Castore e Polluce

Tre amici e colleghi di lavoro si concedono una vacanza per scalare le due vette gemelle chiamate Castore e Polluce. Ma durante la salita, avviene un incidente, e uno dei tre muore. Per tutti è una tragica fatalità, ma per Rocco qualcosa non torna.
Racconto con impostazione molto classica; siamo di fronte ad un incidente o ad un astuto delitto? 
Approfondiamo l'idiosincrasia di Rocco per la montagna, il freddo, la neve, e altresì approfondiamo quella caparbietà cui facevo cenno prima. Schiavone non si ferma finchè non riesce a spiegare il particolare che non torna.

...e palla al centro

Racconto più leggero rispetto agli altri, divertente e piacevole, incentrato su una partita di calcio di beneficenza tra Questura e Procura. La narrazione è a tratti spassosa, con la descrizione dei diversi tipi di giocatori amatoriali (la maggior parte dei quali il calcio lo aveva visto, fino a quel momento, solo in televisione), delle piccole rivalità e dei torti che possono essere risolti esclusivamente con una vittoria sul campo. Dietro il divertimento dell'autore ho trovato anche della satira graffiante sul modo di concepire lo sport e la rivalità nel nostro paese. Chiunque segue appena appena lo sport sa che ogni evento (specie nel calcio ma non solo) si trasforma in una lotta sanguinosa e porta a galla la parte peggiore di molti di noi.
Finale perfetto: Rocco non si smentisce mai. Forse il mio preferito, nonostante sia quello meno "giallo" della raccolta, perchè riesce a raccontare, in poche pagine, un mondo intero.

Senza fermate intermedie

Neanche in viaggio il vicequestore Rocco Schiavone riesce ad evitare rotture di... scatole. In viaggio da Roma ad Aosta su un treno ad alta velocità, Rocco si trova coinvolto nell'indagine su un furto, cui ha fatto seguito la morte della vittima a causa di un malore. 
Anche qui abbiamo un'impostazione molto classica del racconto: un treno senza fermate intermedie, una vittima, un colpevole che non può essere andato lontano e un poliziotto che deve indagare spinto dalle circostanze. Il miglior mistero della raccolta, ma forse sono di parte perchè ho adorato l'omaggio al giallo classico all'inglese.

L'eremita

Rocco ha l'influenza, ma, allo stesso tempo, deve indagare sull'omicidio di un uomo anziano che viveva isolato in una casupola ad alta quota. L'uomo è caduto dalle scale; a prima vista sembrerebbe un banale incidente provocato da un malore, ma alcuni dettagli ben presto indicano una direzione diversa. Un buon racconto, ma quello che mi ha coinvolto meno forse a cusa dell'espediente dell'indagine a distanza effettuata da Rocco per telefono, tramite i suoi agenti, mentre si trova a casa febbricitante. Il vicequestore è brillante come sempre, ma io lo preferisco impegnato sul campo.

Nel complesso, questa raccolta  mi è piaciuta molto. In primo luogo i racconti sono tutti di ottimo livello; l'indagine presente in ognuno di essi è ben presentata e pienamente svolta. Nessun racconto lascia l'impressione che la storia avrebbe avuto bisogno di qualche pagina in più per essere completa.
Antologia consigliata a tutti, dunque, stante la sua capacità di parlare a diversi tipi di lettori, ovvero a quelli che amano Rocco Schiavone alla follia, come pure a quelli che non lo hanno mai sentito nominare e sono in cerca di un libro giallo degno di questo nome.

Voto: 7 e 1/2

venerdì 6 luglio 2018

Questa volta leggo #6: Il metodo Catalanotti...

... di Andrea Camilleri.

Buongiorno a tutti e benvenuti ad un nuovo appuntamento con la rubrica Questa volta leggo, creata dalle blogger Dolci del blog Le mie ossessioni librose, Chiara del blog La lettrice sulle nuvole e Laura del blog La Libridinosa
Questo mese tutte l blogger coinvolte nel progetto parleranno di libri ambientati in Italia. Io ne ho scelto uno, a parer mio, emblematico, perchè rappresenta il meglio della letteratura italiana. Sto parlando di Andrea Camilleri, tornato a maggio in libreria con un nuovo romanzo dedicato al commissario Montalbano. Camilleri ha, secondo me, il merito di aver sdoganato la letteratura di genere, averle dato una sua dignità anche in Italia (dove troppo spesso la letteratura di genere viene considerata letteratura di serie B) e aver aperto le porte ai nuovi autori italiani di gialli e noir, un genere che sta vivendo una stagione stupenda, con autori che si rivelano, romanzo dopo romanzo, sempre più grandi (qualcuno ha detto de Giovanni?)
(e potevo mai scrivere un post senza nomnare casualmente Maurizio de Giovanni?)

Ecco, dunque, la mia recensione.

La scheda del libro sul sito della Sellerio 

Mimì Augello irrompe durante la notte a casa dell'amico e collega Salvo Montalbano: scavalcando un balcone per non farsi sorprendere da un marito geloso, ha scoperto un cadavere, con segni di violenza. Una possibile vittima di omicidio, insomma. E mentre Montalbano e Augello si chiedono in che modo possano "scoprire" alla luce del sole il cadavere, c'è un altro corpo, vittima di omicidio , che richiede l'attenzione di Montalbano. Carmelo Catalanotti, regista teratrale dilettante, benestante, apparentemente senza nemici e senza un'occupazione fissa, viene trovato morto. 

Ritroviamo Montalbano, oramai, per quel che mi riguarda, uno di famiglia, sempre più scontroso e sempre più amareggiato dalla piega che il mondo sta prendendo. Ma il tempo per crogiolarsi nei pensieri negativi non è molto; un cadavere (o meglio, due) irrompono sulla scena. Sul primo, l'indagine è ufficiale; il secondo invece, l'ha scoperto per caso Augello durante un incontro clandestino, e più che indagare sulla morte dell'uomo, bisogna trovare un modo di portare alla luce la scoperta senza compromettere il vice di Montalbano.
Il commissario promette il suo aiuto all'amico, ma viene fagocitato dall'indagine sulla morte di Carmelo Catalanotti, figura eccentrica e particolarissima. Prima di indagare sull'omicidio stesso, Montalbano è costretto a  scavare nella vita e nell'animo di quest'uomo, che sembrava collezionare segreti altrui per scopi inizialmente non chiari.
E così ci addentriamo, insieme al commissario, nella contorta personalità della vittima, uomo intelligente, manipolatore, artista autodidatta e coltissimo, che però usa il suo carisma come un grimaldello o meglio, come un burattinaio usa i fili delle sue marionette. Catalanotti  infatti era solito manovrare le persone; e aveva molte facce. A quale, esattamente, puntava l'assassino?
La risoluzione dle giallo ruota intorno alla risposta che il commissario dovrà dare a questa domanda. Questa cosa mi è piaciuta molto; mi ha affascinato la ricerca, più che di un movente, della vera natura della vittima. Questa ricerca è una vera indagine nell'indagine e non può non colpire che ama il giallo deduttivo come me. Infatti la trama gialla è particolarmente ben articolata e ben costruita; ma nuova linfa le viene data dal mistero che circonda la personalità di Catalanotti.

Montalbano arriflittì che non esisteva bravo sbirro che non fusse macari capaci di 'ndagari a funno nell'animo dell'esseri umani.

Altro elemento che ha tenuto vivissimo il mio interesse fino all'ultima pagina è stata la passione per il teatro che emerge evidente dalle pagine. Non si può conoscere Catalanotti senza conoscere le sue teorie sul teatro, sulla preparazione degli attori e sulla verosimiglianza, che egli chiama similvero e porta alle estreme conseguenze. L'autore ci prende per mano e ci conduce all'interno di questo mondo affascinante. Non è un mistero che Camilleri ami il teatro; ma la naturalezza e la semplicità con cui riesce a introdurre il lettore nell'argomento mi hanno lasciato stupita e deliziata.
Finito il libro ho avuto la sensazione non solo di aver letto un ottimo giallo; ma mi sono sentita arricchita. Avete presente quando chiudendo un libro pensate che non vi abbia lasciato niente? Ecco, questo romanzo è esattamente il contrario, perchè oltre a intrattenermi, mi ha spinto ad approfondire alcuni argomenti e ha ampliato le mie conoscenze sul mondo teatrale e anche sul mondo della letteratura poliziesca. Il tutto, naturalmente, senza interventi pedanti, ma con la sola semplice forza del romanzo e dei temi trattati.

Una breve menzione merita anche il finale, che sconvolge la vita privata di Montalbano, ma che mi ha toccata con la sua delicatezza e la sua semplice umanità. Durante il romanzo, il Montalbano privato, per così dire, ci appare a tratti incomporensibile. Ma tutto si spiega, benissimo, nel finale, in poche, semplici parole.
Credo che questo sia uno dei romanzi più belli che Camilleri abbia scritto, nonchè uno dei gialli meglio riusciti e meglio congegnati che siano usciti dalla sua penna. Nella contrapposizione tra il cadavere ritrovato da Augello e quello dell'indagine "ufficiale" è impossibile non scorgere echi di letteratura pirandelliana; il gioco dell'assurdo diventa qui enigma e divertimento allo stesso tempo. Gli stessi echi riverberano anche quando nel romanzo si parla di teatro; e così ne viene fuori un testo dalle anime diverse e complementari, tutte egualmente affascinanti.
Un romanzo chesolo Camilleri poteva scrivere, e che consiglio anche a chi non ha mai letto una sola riga dedicata al commissario Montalbano.

Voto: 8

Ricordandovi che la rubrica ad agosto sarà in pausa, vi lascio il calendario di luglio.