venerdì 31 agosto 2018

Il gatto che annusava le streghe...

... di Lilian Jackson Braun.

Jim Qwilleran,  detto Qwill,ex giornalista di città, ora residente nella contea di Moose, 600 km a nord di ognidove, accetta di trascorrere con i suoi amati felini Koko e Yum Yum due settimane nella Locanda dello Schiaccianoci, di proprietà di una coppia di amici. I due sostengono che una cappa di oscurità incomba sul luogo, e chiedono a Qwill di indagare, insieme ai due gatti, che hanno un fiuto infallibile per il mistero.

Questo romanzo giallo fa parte di una serie, Il gatto che..., che ho conosciuto grazie ad un libro usato scovato su una bancarella, Il gatto che leggeva alla rovescia. Da allora è passato molto tempo ma ogni volta che riesco a recuperare un volume di questa serie, mi butto nella lettura con piacere. Peccato però che questa volta io sia rimasta molto, molto delusa.

La serie che avevo imparato ad amare mi piaceva per la simpatia del suo protagonista, per la originale presenza di due gatti siamesi molto speciali e per l'impianto classico del mistero e delle indagini.
In questo volume, purtroppo, sono rimasti solo Jim Qwilleran e i due gatti, mentre mistero e indagini sono scomparsi, insieme alla trama.
Sì, perchè il vero enigma che permea questo libro è: che fine ha fatto la trama gialla? Anzi, per essere precisi, che fine ha fatto la trama stessa?
Infatti qui non possiamo certo parlare di un intreccio solido e organico; la trama è stata sostituita da una serie di aneddoti buttati là, senza alcun approfondimento, sulla contea di Moose e la simpatica vita di Qwill nella bucolica regione.
I due gatti, di solito scopritori di indizi fondamentali per dare una svolta alle indagini, sono gli unici che provano ad attirare l'attenzione dei protagonisti sui misteri presenti nella storia, ignorati  senza tanti complimenti da Qwill.

Un'altra cosa affascinante della serie era quella sospensione della trama a metà tra la logica e il soprannaturale. Le abilità dei due gatti Koko e Yum Yum, i veri detective della storie meglio riuscite, avevano sempre un che di incredibile; in questo romanzo il loro fiuto pareva indispensabile per comprendere la sensazione di pericolo incombente che la proprietaria della Locanda sente, ma tutto si limita alla scoperta di tre vecchi specchi incrinati tutti nello stesso punto, appartenuti ad una ragazza fuggita di casa per amore sul finire del XIX secolo, e rimasti da allora dietro una porta chiusa. 
Spunto  potenzialmente interessante: perchè gli specchi sono tutti incrinati nel medesimo punto? Perchè sono rimasti chiusi dietro quella porta per quasi un secolo? Peccato che il ritrovamento resti buttato lì, senza alcuno sviluppo, indagine o ulteriore spiegazione, inutile ai fini della trama, declassato ad aneddoto di colore della storia della contea di Moose.

L'asse portante del romanzo doveva essere la morte, apparentemente accidentale, di un uomo in vacanza alla locanda. La vittima si era presentata come un commesso viaggiatore; ma ben presto Koko mette in evidenza diverse incongruenze nella storia della vittima, segnalando a Qwill dettagli che non tornano. Con mio sommo stupore e disappunto, però, Qwill sembra troppo impegnato ad accettare inviti a cena, ad osservare scoiattoli e assistere a opere teatrali amatoriali per trovare il tempo di indagare su una morte sospetta.

Lilian Jackson Braun, insomma, ha scritto un giallo senza indagine, e in cui del delitto avvenuto non importa a nessuno. La soluzione cade pratiacamente dal cielo nelle ultimissime pagine, raccontata in maniera sommaria tanto al lettore quanto ai personaggi stessi. 

Mi dispiace stroncare il romanzo di un'autrice che in passato ho apprezzato, ma sconsiglio vivamente la lettura di questo "giallo", e contemporaneamente consiglio la lettura dei primi quattro o cinque volumi della serie, di sicuro meglio riusciti e in grado di soddisfare gli amanti del giallo classico.

Voto: 4

PS: una menzione speciale poi merita il titolista che ha pensato di tradurre il titolo originale The cat who went up the creek (Il gatto che risalì il torrente) con Il gatto che annusava le streghe. Inutile precisare che le streghe, nel romanzo, non le vediamo neanche dipinte. Complimenti vivissimi.

mercoledì 29 agosto 2018

La ragazza della nave...

di Arnaldur Indriðason.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Guanda

Nel 1940, con la Seconda Guerra Mondiale in pieno svolgimento, l'Islanda richiama in patria tutti i suoi cittadini che si trovano in zone controllate dai nazisti. La nave Esja salpa dal porto finlandese di Petsamo per riportarli tutti a casa. Invano una ragazza aspetta il suo fidanzato sul molo. Lui non arriva, e lei è costretta a salpare senza di lui, senza sapere cosa gli è accaduto, se sia finito nelle mani dei nazisti per la sua attività contraria al loro regime.

Tre anni dopo, Reykjavík è occupata dalle truppe americane.  L’investigatore Flóvent e il giovane soldato canadese Thorson indagano su un caso di aggressione: un giovane con indosso una uniforme americana viene ritrovato ucciso sul retro di una bettola frequentata dai soldati, ma nessun soldato americano manca all’appello. Negli stessi giorni, il cadavere di un uomo annegato in mare viene riportato a riva dalle correnti. Forse si tratta di un incidente, ma durante l'autopsia emerge qualcosa di strano...

Credo che la mia relazione con il giallo nordico finisca qui, con la lettura de La ragazza della nave.
La sinossi mi aveva intrigato moltissimo; il periodo storico dell'ambientazione è tra quelli che preferisco e che sanno sempre riservare sorprese; la diversità di piani temporali mi ha sempre intrigato. Eppure, non ho amato questo libro. Per nulla.
Vi spiego perchè.

Come accennato, la storia prende il via nel 1940, con l'esodo dei cittadini islandesi dalla Scandinavia occupata dai nazisti. Lo storico viaggio dell'Esja è un episodio minore, per così dire, della Seconda Guerra Mondiale, ma ha un grande fascino, secondo me, perchè ha il duplice merito di farci conoscere meglio cosa è stata la guerra nell'estremo nord dell'Europa e di farci conoscere la varia umanità in fuga dalla guerra e dall'occupazione nazista. L'atmosfera del viaggio e della snervante attesa della ragazza del titolo, così come l'angoscia di quel lungo viaggio e la paura di venir affondati dai sottomarini tedeschi sono rese molto bene e a parer mio sono la parte migliore del romanzo.
L'ambientazione in generale è molto ben curata, e si conferma il punto di forza del giallo nordico, secondo me.

I due diversi piani temporali, che si alternano mi hanno invece un po'confusa inizialmente. Essendo separate da soli tre anni, non si coglie immediatamente la diversità cronologica delle due storie. Non mi è sembrato che l'autore abbia fatto uno sforzo per diversificare le due narrazioni, che hanno il medesimo passo, la medesima voce. Onestamente, se non avessi letto la sinossi non so quanto tempo ci avrei messo per capire la differenza temporale.

Purtroppo, la cosa che mi ha convinto di meno è stata proprio l'indagine, anzi, le indagini, perchè ben presto diventeranno tre: due nel presente, e una nel passato, riguardante il viaggio dell'Esja.
Quello che mi ha infastidito di più è stata la reticenza di ogni singolo testimone o sospettato a rispondere alle domande della polizia, e l'arrendevolezza con cui Flóvent desiste dall'esigere risposte. Posso capire un simile comportamento quando l'investigatore si trova davanti un ufficiale delle esercito americano occupante, che rifiuta con sdegno di sottoporsi a interrogatorio (i rapporti tra popolazione e autorità locali e esercito erano molto tesi), ma non posso capacitarmi di un tale atteggiamento quando Flóvent interroga comuni cittadini, molti dei quali vivono ai margini della legge. In un giallo investigativo, questa cosa è frustrante, molto, molto frustrante, e rallenta il ritmo all'inverosimile.
Oltretutto il mistero in sè è facilmente intuibile e i collegamenti fra le varie morti sono più che evidenti al lettore che segue entrambi i piani temporali. Pessima poi la scelta di confermare quello che il lettore ha già immaginato con l'espediente di Tizio che ascolta una conversazione tra due persone, le quali, a distanza di anni, rievocano con precisione nomi, date e modalità di un crimine cui hanno preso parte. 
Anche la soluzione al mistero del cadavere portato a riva dalle correnti è facilmente intuibile e non riserva grandi colpi di scena.

Insomma, un romanzo con una ambientazione e una premessa suggestive, ma con un'indagine che ha veramente poco da dire.
Voto: 5

domenica 19 agosto 2018

Arabesque. Alice Allevi #6...

... di Alessia Gazzola.

 La scheda del libro sul sito della Longanesi

Ci siamo: Alice Allevi non è più una specializzanda ma una specialista in medicina legale a pieno titolo. Il suo primo caso come consulente del Tribunale è quello di una ex ballerina molto famosa, ora insegnante di danza, in apparenza deceduta per cause naturali. Nonostante lo smarrimento iniziale e la nostalgia per la sicurezza che l'Istituo di Medicina Legale le garantiva quando era specializzanda, Alice è decisa a farsi valere, e durante l'autopsia scopre un piccolo particolare che non quadra con l'ipotesi di un decesso per cause naturali. Mentre la sua relazione con il bel dottor Conforti procede tra alti (pochi) e bassi (molti), Alice inizia ad indagare.

Questo romanzo segna decisamente un passo in avanti rispetto a quello che lo precede, Un po' di follia in primavera, che onestamente mi era piaciuto poco. 

Alice ha finito finalmente la sua specializzazione; potrebbe finalmente lasciarsi alle spalle i tremendi anni passati all'Istituto di Medicina Legale di Roma e dedicarsi alla professione che ha scelto. Ma Alice non sarebbe Alice se non amasse complicarsi la vita, e perciò rifiuta tenacemente di abbandonare l'Istituto, che, nonostante tutto, è ormai da considerarsi la sua comfort zone. Questo dettaglio rende la protagonista sicuramente non perfetta ma molto umana, e rende facile al lettore identificarsi e provare empatia. Una caratteristica questa che si trova in tutti i libri della serie e che mi è sempre piaciuta.
Nel caso di Alice, poi, al timore di avventurarsi da sola nel mondo si aggiunge l'impossibilità di fare a meno della presenza quotidiana di Claudio Conforti, bello, stronzo e impossibile, ma oramai re incontrastato del cuore della nostra protagonista.
E da questa situazione deriva la prima critica che mi sento di muovere a questo libro. Ho scoperto con stupore, infatti, che nel corso del romanzo Alice compie trent'anni. Trent'anni! Il dottor Conforti, invece, ne ha ben quaranta. Insomma, siamo di fronte a due adulti a pieno titolo, e mi tocca ancora leggere di giochetti sentimentali, di tira e molla, e sceneggiate amorose del tipo: non ti parlo più perchè non mi hai telefonato subitissimo dopo aver scoperto quella cosa.
Senza svelare nulla della trama, vorrei sottolineare che un grandissimo litigio tra i due nasce perché Claudio non risponde a numerose chiamate urgenti di Alice, per poi accusarla di non aver fatto il possibile per parlare con lui, e di avergli volutamente nascosto un particolare che aveva scoperto. Ora, non voglio commentare un adulto che non riesce a capire che dieci chiamate non risposte saranno pure un segnale; quello che mi preme sottolineare è che io uno così  non lo vorrei neanche regalato. Altro che perderci il sonno! E invece Alice ci perde il sonno, l'appetito e pure la gioia di vivere.
Sebbene le schermaglie amorose tra i due siano, fortunatamente, meno stucchevoli rispetto al romanzo precedente, io a tratti ho provato fastidio a dover leggere pagine su pagine del tenore su descritto. Non è stata la parte rosa in sé a lasciarmi perplessa. Oramai, giunti al sesto volume (settimo, se si conta il breve prequel Sindrome da cuore in sospeso) appare chiaro al lettore che i libri della serie di Alice Allevi sono un mix di giallo e romance, e criticare questa loro caratteristica non avrebbe senso. Ciò è ancora più vero se si considera che, tutto sommato, la fusione delle due anime gialla e rosa è particolarmente riuscita in questo romanzo.
Ho trovato infatti la trama ben costruita, lo sviluppo coerente senza eccessive lungaggini, e la fusione tra la vita privata e quella professionale della protagonista ben riuscita. Anzi, l'idea di inserire nella trama i primi incarichi di Alice come consulente tecnico del Tribunale ha portato, a parer mio, una ventata di novità e di rinnovato interesse nella serie.
Quello che proprio non ho digerito è stato l'approccio alla vita sentimentale dei due protagonisti, che ho trovato troppo adolescenziale e immaturo.

Quello che invece ho apprezzato maggiormente nel romanzo è stato, come accennato, lo spazio dedicato alla nuova vita professionale di Alice, che si muove con la consueta insicurezza ma che allo stesso tempo ostenta una nuova autonomia investigativa. Questa nuova veste da professionista conferisce maggior spessore alle indagini, e la trama nel complesso ne guadagna.
L'intreccio investigativo è infatti interessante; gli indizi ben piazzati e le rivelazioni ben dosate. Peccato però che tutto si perda nel finale, quando il mistero viene risolto grazie al ritrovamento casuale di un reperto che ha praticamente la firma dell'assassino sopra, reperto che poteva tranquillamente saltar fuori anche prima, ma che opportunamente fa la sua comparsa quando Alice ha avuto modo di eseguire le indagini a modo suo. Per intenderci: se il reperto fosse stato cercato e trovato subito, delle indagini non ci sarebbe stato alcun bisogno. Per questo la soluzione mi ha lasciato insoddisfatta.

Nel complesso, non mi sento di bocciare totalmente questo romanzo, che pur con qualche difetto, regala qualche ora piacevole in compagnia di un personaggio particolarmente amabile e ben riuscito (al netto della sua sbandata per Claudio Conforti, che fatico a comprendere).
Voto: 6 e 1/2

sabato 18 agosto 2018

Tre stanze per un delitto...

... di Sophie Hannah.

La scheda del libro sul sito della Mondadori

Hercule Poirot decide di prendersi una meritata vacanza, ma evita di allontanarsi da Londra per sottrarsi allo stress e alle scomodità che un viaggio comporta. Mentre si trova al Caffè Pleasant gli si avvicina una giovane donna di nome Jennie, la quale gli racconta di essere in pericolo: rischia di essere assassinata, ma chiede al famoso investigatore di non fare nulla in proposito, perchè qualunque cosa succederà, se lo sarà meritato. Detto questo, la donna fugge via, pentita di essersi aperta con lui. Quando in un famoso hotel della città viene commesso un triplice omicidio, e tutto fa pensare che le vittime potrebbero salire a quattro, Poirot non può fare a meno di chiedersi se il misterioso incontro con Jennie sia legato a questi avvenimenti.
 
Come forse saprete, sono una grande fan di Agatha Christie e dei suoi personaggi letterari. L'idea che un personaggio che si è tanto amato possa tornare a vivere tra le pagine di un libro è, per ogni appassionato, qualcosa che attrae e terrorizza allo stesso tempo. Raramente, infatti, un altro scrittore riesce a rievocare le atmosfere che abbiamo amato e a fare realmente suo un personaggio che non gli appartiene, a maggior ragione se si tratta di un mito della letteratura gialla (e non solo) come Poirot.
Fatta questa doverosa premessa, sapete come mi sono accostata a questo romanzo, che segna il ritorno sulle scene letterarie del famoso investigatore Hercule Poirot. 

La mia opinione su questo romanzo si può riassumere così: pensavo peggio.
Certo, può sembrare un giudizio non particolarmente incoraggiante, ma non è esattamente così, come spiegherò nelle righe che seguono.

Hannah ha ambientato il suo romanzo in un momento della vita di Poirot in cui c'è una sorta di buco; il nostro investigatore si è preso una vacanza senza abbandonare Londra, ed alloggia in una tranquilla pensioncina. Qui conosce un detective di Scotland Yard, Edward Catchpool, che sarà la sua spalla in questa indagine, nonchè il legame che gli permetterà di indagare su un triplice omicidio avvenuto all'hotel Bloxham.

L'indagine si sviluppa in maniera decisamente classica, con Poirot che investiga, scruta, interroga, raccoglie prove e con il povero Catchpool che brancola nel buio (e noi con lui).
L'aver ricostruito un impianto investigativo classico è decisamente un punto a favore del romanzo di Hannah. Il rispetto delle atmosfere e dei modi e tempi del protagonista mi ha colpito favorevolmente e si vede, a parer mio, uno studio sufficientemente approfondito delle opere della Christie.
Quello che invece non ho apprezzato poi così tanto è stato l'eccessivo calcare la mano sul divario tra l'intuito investigativo di Poirot e l'ottusità di Catchpool. Insomma, per essere un detective di Scotland Yard (mica pizza e fichi, eh!) il nostro mi pare un tantinello sprovveduto. Restio a fare domande approfondite, utilizza il ricordo di un trauma infantile per evitare un'accurata ispezione cadaverica, addirittura restio a scavare nel passato delle vittime, Catchpool sembra a più riprese un dilettante e non un poliziotto. E a volte questa cosa diventa fastidiosa.

Poirot, al contrario, è molto ben curato e approfondito nei suoi tic, nelle sue manie e nel suo modo di agire; le sue rivelazioni (parziali) sono come sempre oscure, i dialoghi ben costruiti e le parole messe in bocca a Poirot suonano quasi sempre giuste, adeguate al personaggio. 

"La punizione e la persecuzione sono due cose distinte" osservò Poirot. [...] Enfin, non possiamo decidere quali sentimenti provare ma possiamo scegliere se seguirli oppure no. Se viene commesso un crimine, bisogna assicurarsi che la giustizio si occupi del criminale in maniera appropriata, ma sempre senza cattiveria nè rancore personale... sempre senza la sete di vendetta, che contamina ogni cosa ed è effettivmente un male".

Di tanto in tanto c'è qualche forzatura (Poirot che prende l'autobus? Ma anche no), ma nel complesso la ricostruzione del personaggio tiene.
Forse si potrebbe dire che a volte l'autrice esagera proprio in questa direzione, ritenendo necessario ribadire a ogni piè sospinto quello che rende Poirot unico: i baffi, le celluline grigie, l'ordine e il metodo, le citazioni in francese (decisamente troppe, secondo me) e così via. Traspare, insomma, a parer mio, un poco di ansia da prestazione da parte dell'autrice, che ci tiene a sottolineare che... beh, Poirot è Poirot.

Al contrario, atmosfere e ambientazioni sono ben costruite. Non mancano il tipico villaggio di campagna inglese e il classico scheletro nell'armadio. Questa è stata la parte migliore del romanzo e quella che ho amato di più.

E veniamo alla trama. Come già accennato, questa si sviluppa intorno ad una indagine di stampo classico, e fin dalle prime battute il mistero appare sufficientemente intricato per tener vivo l'interesse del lettore. Peccato che la trama venga però rallentata dalla presenza di Catchpool, il quale, come detto, non sembra avere molta voglia di indagare nè di far valere la sua autorità per far sì che testimoni e sospettati rispondano alle sue domande. Questo porta al trascinarsi di situazioni che potevano essere risolte con un numero decisamente minore di pagine.

Il mio giudizio sul finale e sulla soluzione del mistero è duplice. Da un lato, trovo che in fin dei conti l'enigma e relativa soluzione non siano poi così male; allo stesso tempo però devo notare come essi siano eccessivamente involuti, con un doppio colpo di scena finale che ho trovato lontano dallo stile della Christie. Questo per me influisce sul voto finale, perchè, scritto in oro in copertina c'è il nome della Christie prima di quello di Sophie Hannah. Perciò ritengo legittimo aspettarmi un certo tipo di romanzo e di intreccio. 
La soluzione finale, inoltre, appare troppo slegata dagli indizi seminati durante la narrazione; anzi, Poirot sembra risolvere l' enigma più a forza di intuizioni che di deduzioni logiche. E questo non mi è piaciuto molto.

Insomma, in conclusione credo sia impossibile giudicare questo libro senza confrontarlo con l' opera della Christie, di cui vuole dichiaratamente essere una prosecuzione; perciò il mio voto è duplice.
Da un lato, assegno un 7 al romanzo valutato in sè, perchè si tratta comunque di un giallo godibile anche se a tratti un po' lento, con un personaggio ben costruito e di facile impatto sul lettore. 
Assegno invece un 6 di incoraggiamento al romanzo valutato come emanazione delle opere di Agatha Christie, perchè ho ritrovato in parte le atmosfere che amo e il personaggio di Poirot, sebbene non perfettamente riuscito, è sufficientemente vicino all' originale, tanto da lasciarmi la voglia di leggere gli altri due romanzi della serie a lui dedicata [1].

[1] Il secondo della serie, intitolato La cassa aperta è uscito nel 2016, mentre il terzo della serie, The Mistery of three Quarters, uscirà il 23 agosto 2018 in lingua inglese. 

La mia vita...

... di Agatha Christie.

La scheda del libro sul sito della Mondadori

Agatha Christie, a tutt’oggi la scrittrice più letta al mondo, fu una donna appassionata e piena di interessi, curiosa, intraprendente. Molto diversa, per carattere ed esperienze, da quella che a torto è considerata da molti il suo “alter ego letterario”, l’anziana investigatrice Miss Marple, con cui condivide solo l’acume. La celebre giallista ebbe una vita indipendente e ricca di avventure, rievocata in queste pagine grazie a una narrazione sincera e avvincente, tanto che alcuni critici considerano addirittura questa autobiografia come l’opera letterariamente più riuscita della Christie. Dall’infanzia spensierata ai due romanzeschi matrimoni con un aviatore e con un archeologo, l’esistenza di Agatha si snoda scandita dai lunghi viaggi e dai numerosi libri di successo. Un racconto affascinante che fa luce, poco a poco, sull’elegante mistero di una vita trascorsa a narrare storie indimenticabili. E non solo… (dal sito Mondadori)

In questo libro Agatha Christie si racconta come se facesse una lunga chiuacchierata col lettore. Con una lucidità straordinaria (ha scritto la sua autobiografia quando asveva già passato i settant'anni), la scrittrice ci narra la sua lunga e avventurosa vita: due guerre mondiali, due matrimoni, viaggi da un capo all'altro del mondo, e natuaralmente anche i momenti della sua tranquilla vita nella cara, vecchia Inghilterra. La sua storia copre un arco che va dalla primissima infanzia (l'autrice era nata nel 1890) fino agli anni del dopoguerra e della ricostruzione.
È una narrazione ricchissima di particolari, a volte talmente precisa da sembrare pignola e puntigliosa; ma è una biografia che ci apre le porte dell'anima di questa straordinaria scrittrice.
Ho iniziato a leggere questo libro soprattutto per curiosità, come una fan che vuole aggiungere qualcosa di particolare alla sua collezione di memorabilia. E invece ne sono rimasta conquistata per molte ragioni.

Innanzitutto, lo stile della Christie è fluidissimo e accattivante. La narrazione scorre piacevolissima; la sincerità e la delicatezza con cui la scrittrice racconta di sè non possono che conquistare il lettore.

In secondo luogo, la cosa che mi è piaciuta di più e che mi fa consigliare questa autobiografia a chiunque abbia anche solo apprezzato i romanzi della Christie, è la straordinaria abilità con cui la scrittrice riesce a rievocare le atmosfere delle epoche che ha attraversato. Leggendo ci si ritrova immersi nello spirito del periodo storico, perchè la Christie è stata, innanzitutto, una persona molto acuta e una grande osservatrice. E questo suo spirito traspare dalle pagine della biografia.

Inoltre, la Christie non si accontenta di narrarci di volta in volta quello che ha vissuto, o gli eventi che le sono accaduti. Sono molteplici i temi sviscerati capitolo dopo capitolo. Infatti l'autrice ama approfondire diversi argomenti, quelli che hanno segnato la sua vita e ci  parla di medicina, di archeologia, di affari, di mezzi di trasporto, della situazione geopolitica del Medioriente, del mercato immobiliare... Insomma, qualunque cosa abbia segnato la sua vita.

Una cosa che mi ha stupito ed affascinato al tempo stesso, poi, è stato il fatto che questa biografia non ruota intorno alla nascita dei personaggi e dei romanzi più famosi della Christie, come ci si sarebbe potuto aspettare. Non ruota intorno alla carriera letteraria della sua autrice, ma intorno alla persona (straordinaria, secondo me) che è stata la Christie.
Scrittrice quasi per caso ma donna autentica e di grande spessore, la Christie non ha bisogno di raccontarsi attraverso le sue opere. Eppure, gli appassionati possono facilmente trovare tra le pagine di questo libro le scintille da cui sono nati i  suoi romanzi . Di pochi titoli viene esplicitamente narrata la genesi; anche la nascita di Miss Marple è raccontata quasi incidentalmente. Ma tra le pagine di questa biografia si può condurre una sorta di caccia al tesoro che permette ai veri fan di riconoscere  situazioni e atmosfere tipiche dei suoi romanzi.
La cosa che mi è rimasta nel cuore forse è stata proprio la scoperta che tutto quello che ho trovato e amato nei romanzi della Christie - la tipica vita del ceto medio alto inglese, la campagna, i rapporti sociali, eccetera - non sono un'invenzione, ma provengono dall'esperienza dell'autrice, provengono direttamente dalle sue esperienze di vita, ed è come se ad ogni romanzo la Christie ce ne avesse regalato un pezzettino.

In conclusione, una storia straordinaria, narrata con sincerità, umiltà e grande naturalezza da una scrittrice tra le più grandi che io abbia mai letto.

Voto: 7 e 1/2