mercoledì 27 febbraio 2019

La classe dei misteri...

... di Joanne Harris.


Alla prestigiosa scuola privata St. Oswald sta per cominciare un nuovo anno scolastico, ma dopo le terribili vicende dell'anno precedente, raccontate ne La scuola dei desideri, molte cose dovranno per forza cambiare. Tanto per iniziare, arriva un nuovo rettore, un quarantenne rampante ex allievo della scuola che Roy Straitley, anziano docente di latino che ha salvato la scuola l'anno precedente, conosce e considera ambiguo e poco degno di fiducia. Man mano che il nuovo Rettore inizia ad applicare la sua personale idea di modernizzazione, alcuni segreti sepolti nel passato ritornano a galla, con il loro carico di bugie, verità nascoste, colpe inconfessabili e peccati da espiare.
Ancora una volta toccherà al professor Straitley cercare di capire cosa sta accadendo. 

Il passato, a St. Oswald, non è ancora pronto per essere dimenticato. Dopo gli eventi  che hanno sconvolto studenti e insegnanti l'anno prima, c'è ancora qualcosa che l'esclusiva scuola maschile ha tenuto nascosto troppo a lungo, e comincia ad emergere quando Roy Stratley, nel tentativo di resistere a cambiamenti che lui ritiene deleteri per la scuola, indaga sul passato e le motivazioni del nuovo Rettore.

La classe dei misteri condivide personaggi e ambientazione con il precedente La scuola dei desideri, e ne condivide altresì lo stile denso di parole e descrizioni, a volte un po' involuto, ma perfetto per creare un alone di mistero e una cappa claustrofobica sulla scuola e chi la frequenta. 
L'ambientazione e l'atmosfera che la permea sono magistralmente costruite e valgono da sole il prezzo del romanzo.
Ancora una volta bisogna semplicemente inchinarsi davanti alla capacità di Joanne Harris di dipingere le ombre, sia quelle dei luoghi ma soprattutto quelle dentro le persone.

Ma come tutte le cose buone, questo libro ha bisogno di tempo, e di pazienza.

Un trimestre a St. Oswald, come un buon libro, ci impiega un po' per ingranare.

Questa frase riassume perfettamente l'essenza de La classe dei misteri. Il romanzo ha bisogno di essere letto con molta calma e molta pazienza. L'atmosfera della prestigiosa scuola privata di St. Oswald ha bisogno di molte pagine per essere ben descritta, e anche il lettore ha bisogno di tempo per immergersi e familiarizzare con i nomi e i luoghi del presente e del passato.
Ma se si ha la pazienza di leggere con attenzione, La classe dei misteri rivela una storia cupa e morbosa, eppure terribilmente affascinante e che non delude.

La trama si svolge su due piani temporali: il presente (2005) e il passato (1981), periodo in cui qualcosa di brutto accadde nella scuola. 
I due piani temporali vengono entrambi narrati da due voci: quella di Roy Stratley e quella di un misterioso personaggio, alunno negli anni '80. 
La presenza di due piani temporali e di due narratori può inizialmente rendere la lettura un po' faticosa, specialmente perchè non sappiamo chi sia il secondo narratore ed esattamente se quale legame abbia con St. Oswald nel presente.
Ma il bello di questo romanzo è proprio qui: nella sfida, nella caccia che il lettore deve dare ai dettagli, agli indizi, alle mezze verità.
Questo romanzo non cerca di suscitare facile curiosità o violente emozioni; è costruito con intelligenza per parlare all'intelligenza del lettore.
C'è qualcosa che incombe sui personaggi per tutto il dipanarsi della storia, e cosa sia il lettore lo scopre un po' alla volta, mettendo insieme frammenti di ricordi e di racconti che, con reticenza, i protagonisti si lasciano sfuggire.
Questi frammenti sono come i classici sassolini che rotolano sul fianco di una montagna; inizialmente sembrano innocui e trascurabili; ma ben presto riescono a trasformarsi in una gigantesca frana. E a quel punto, la frana è inarrestabile: le rivelazioni si susseguono una dopo l'altra con ritmo incalzante; ed il libro che era cominciato in sordina, in una polverosa aula scolastica del dipartimento di lettere classiche, diventa quel genere di libro che non si può mettere giù, che si legge con gli occhi sgranati per la curiosità e lo stupore, che racconta una storia che lascia l'amaro in bocca e anche tante domande sulla natura dell'uomo, sulla giustizia, sulla verità e sulla menzogna. 

Voto: 7 e 1/2

giovedì 21 febbraio 2019

Morte di una giovane di belle speranze. I delitti Mitford #2...

... di Jessica Fellowes.


Per la recensione del primo volume della serie, L'assassinio di Florence Nightingale Shore, cliccate qui.

Londra, 1925. Louisa Cannon, dopo le turbolente esperienze narrate ne L'assassinio di Florence Nightingale Shore si è stabilita in casa Mitford come cameriera e aiuto bambinaia. 
I Mitford sono una famiglia nobile, ricca e conosciuta; con l'affacciarsi all'età adulta di Pamela, la seconda delle sorelle Mitford, balli ed eventi mondani si susseguono. Ed è proprio ad una festa ad Ashton Hall, dimora della famiglia, un giovane brillante e scapestrato cade dal campanile della piccola chiesetta situata al confine con la proprietà Mitford. Omicidio? Incidente? Suicidio? 
Quando Dulcie Long, una conoscente di Louisa anch'ella cameriera, viene arrestata per il delitto, Louisa, convinta della sua innocenza, decide di indagare. Le investigazioni la porteranno di nuovo a Londra, dove incrocerà la strada con una gang di pericolose criminali, detta Le Quaranta Ladrone. Ma che legame potrebbe mai esserci fra un giovane di buona famiglia, una festa in casa Mitford e una pericolosa gang di strada?
Al contrario del primo volume di questa serie, Morte di un giovane di belle speranze è un romanzo focalizzato principalmente sul mistero della morte di Adrian Curtis, il giovane di belle speranze del titolo, e sulle susseguenti indagini.
Il giallo è in perfetto stile inglese, e non mancano gli elementi tipici del genere: una dimora di campagna, la buona società riunita, un ristretto gruppo di possibili sospetti e una morte molto, molto misteriosa e apparentemente senza movente.
L'autrice però ha pensato bene di aggiungere un po' di pepe, per così dire, a questo impianto classico inserendo nella trama un gruppo di criminali di strada, le temibili Quaranta Ladrone, i cui tentacoli sembrano essersi allungati fino ad Ashton Hall.
Questo ha permesso a Jessica Fellowes di raccontarci non solo della vita ovattata dell'aristocrazia terreria, con le sue tradizioni e le sue rigide convenzioni sociali (tema che, per quanto non cessi mai di interessarmi, è comunque stato sviluppato più e più volte), ma anche della turbolenta vita di città. A Londra le cose stavano cambiando; si stava prendendo coscienza del mutamento dei tempi; i costumi iniziavano a mutare al ritmo delle orchestrine jazz che suonavano in fumosi night club frequentati tanto da giovani della buona società quanto da piccoli e grandi criminali.
La Fellowes ci descrive un mondo in dinamico cambiamento, in contrasto con quello ormai asfittico e tenacemente aggrappato al passato dell'aristocrazia.
Si tratta di un'ambientazione decisamente stimolante per un giallo, perchè effettivamente il lettore non sa cosa aspettarsi; la soluzione sarà da cercare, in puro stile inglese, nella cerchia degli invitati alla festa, oppure bisognerà spaziare fino a coinvolgere le nascenti organizzazioni criminali che tentano di mettere le mani sulle  nuove e lucrose attività  economiche?

L'ambientazione è perciò la cosa che mi è piaciuta di più. Se siete amanti della letteratura inglese, della storia di quel paese e del tipico modo british di guardare al mondo e ai suoi affanni, questo è il romanzo che fa per voi.
La bravura di Jessica Fellowes ci consente di calarci nei primi anni '20 del '900, grazie ad una accuratissima descrizione storica amalgamata perfettamente con le esigenze di trama.
L'intreccio, variegato ed intricato al punto giusto, è integrato molto bene con l'ambientazione. Le vicende narrate sono credibili e realistiche, ed altrettanto lo sono i personaggi.
Capita spesso, in romanzi d'ambientazione storica, di vedere personaggi, specie quelli femminili, sottoposti nelle epoche passate a restrizioni di vario genere, comportarsi, parlare ed agire come soggetti moderni senza che nessuno lo trovi strano o disdicevole; ecco, qui ad indagare sono principalmente due donne (Louisa e Pamela) e gli ostacoli dovuti al contesto sociale e storico in cui si muovono sono ben presenti e non vengono allegramente ignorati per esigenze di trama, come fin troppo spesso mi capita di leggere.

Il mistero è ben articolato, interessante da scoprire, ben sviluppato e degnamente risolto e spiegato.
 
Ancora una volta Jessica Fellowes non mi ha delusa, anzi, mi ha regalato un romanzo ancora più intrigante e stimolante del primo volume della serie.

Voto: 7 e 1/2

Agatha Raisin. Amore, bugie e liquori. Agatha Raisin misteries #17...

... di M. C. Beaton.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Astoria Edizioni

James, l'ex marito di Agatha Raisin, è tornato a Carsely, e chiede ad Agatha di accompagnarlo in una vacanza a sorpresa. Convinta di fare un viaggetto romantico con l'uomo che non è ancora riuscita a dimenticare, Agatha accetta, per ritrovarsi non nella splendida località esotica che sognava, ma in un paesino triste e grigio chiamato Snoth-on-Sea, un tempo rinomata località balneare e ora decadente cittadina di mare.
Depressa, Agatha litiga con una donna orribile nella sala da pranzo dell'albergo, e quella notte stessa la donna viene trovata strangolata sulla spiaggia con la sciarpa di Agatha...

Una serie che dopo diciassette romanzi riesce ancora a divertire, interessare e sorprendere è una serie da non perdere.
Ecco, così è la serie che narra le avventure di Agatha Raisin, cinquantenne con la paura di invecchiare (e rimanere sola), burbera, poco diplomatica, con il tatto di un elefante in una cristalleria. Agatha però è anche una donna acuta, intelligente e intraprendente. L'agenzia investigativa che ha fondato va a gonfie vele, e quando James, sfuggente amore della sua vita, si presenta alla sua porta, Agatha crede di toccare il cielo con un dito. Ma James è sempre il solito egocentrico, e la romantica vacanza non è altro che un soggiorno deprimente nella località marina, ora in disarmo, che lui frequentava da bambino.
Ben presto, a distogliere la mente di Agatha dal rammarico per la vacanza non proprio perfetta, arriva un omicidio. E qui comincia una delle avventure più movimentate di Agatha.
Questo romanzo infatti è una girandola di avvenimenti, un susseguirsi di colpi di scena e di capovolgimenti di fronte.
La trama è narrata con la solita ironia e leggerezza e scorre piacevole e veloce.
Si tratta di una trama particolarmente articolata, al contrario di quasi tutti gli altri romanzi della serie, ambientati nella quiete dei Cotswold e di impianto abbastanza statico.
Il ritmo è qui davvero frizzante; a volte il romanzo prende quasi il tono di una commedia degli equivoci, dal sapore un po' shakespeariano, con tutta una serie di personaggi, già noti ai fan, che entrano e escono dalla scena in teoria per aiutare Agatha, ma in realtà per ingarbugliare ancora di più le cose.
Questa pennellata, chiamiamola così, non toglie nulla al mistero da risovere, ma anzi, ne mette ancora di più in evidenza la complessità.
Mi è piaciuta inoltre la presenza di tutti i personaggi precedentemente incontrati durante i diciassette volumi della serie. Queste presenze, unite alla vivacità della trama e al ritmo scoppientante, rendono Amore, bugie e liquori uno dei migliori romanzi della serie.

Il mistero è sufficientemente complesso; Agatha è in gran forma e strappa più di qualche sorriso. Allo stesso tempo però la sua creatrice la fa crescere e maturare, dal punto di vista dei sentimenti. Finalmente Agatha apre la mente e cerca di liberarsi dalle sue ossessioni amorose, con alterni risultati. Agatha Raisin è una protagonista ben costruita. È una donna lontana dalla perfezione, con le sue ossessioni, le sue idiosincrasie e la sua testardaggine. Riesce a farci sorridere quando Beaton ne mette a nudo i difetti; ma non scade mai nel macchiettistico.
Io la trovo adorabile perchè è una persona profondamente consapevole dei propri limiti, ma che morirebbe piuttosto che ammetterli con chiunque altro che non sia la sua coscienza.

Il finale è in puro stile Raisin, con le indagini che vanno in senso e Agatha che si intestardisce in un altro e che, a furia di fare domande, ficcanasare e rimuginare riesce a catturare il colpevole quando anche la polizia ha già gettato a spugna accontentandosi di una soluzione parziale.

Insomma, io mi sono divertita moltissimo a leggere questo romanzo, e non posso che consigliarlo agli amanti della serie, nochè esortare chi non l'abbia ancora fatto, a fare la conoscenza di Agatha Raisin.

Voto:7 e 1/2

mercoledì 20 febbraio 2019

La coda del diavolo...

 di Maurizio Maggi.


La notte che il mostro arrivò da noi ci colse impreparati. Aveva rapito una ragazzina seviziandola per mesi e, quando lei era riuscita a scappare, l’aveva rincorsa per la strada e uccisa con un colpo alla nuca a due passi da una pattuglia. Non diedi io l’allarme, ma qualcuno lo fece. Le cattive notizie sono sempre le più veloci e in pochi minuti tutti furono svegli. Non c’era uno solo di noi, guardie o detenuti, che non avrebbe ammazzato il mostro, e anche gratis.

Una ragazzina è tenuta prigioniera da un uomo. Riesce a fuggire, ma l'uomo la raggiunge e le spara a sangue freddo. Catturato, il mostro finisce in carcere, in attesa di giudizio. Tra le guardie carcerarie che lo sorvegliano c'è Sante Moras, uomo tormentato con un passato difficile alle spalle e un segreto mai confessato.
Un ambiguo avvocato lo avvicina gli propone, in cambio di molti soldi, di fare giustizia e uccidere il mostro. Sante esita, dubita, si tormenta ma non agisce. Eppure il giorno dopo l'uomo è morto, e Sante, rienuto colpevole, comincia una fuga che lo porterà a scoprire una trama molto più grande e inquietante di quanto avesse sospettato.

Ho conosciuto questo libro attraverso una garbatissima e stimolante mail di presentazione dell'autore, che mi ha messo davvero la voglia di leggere il suo romanzo. E prima di iniziare la recensione devo ringraziare Maurizo Maggi due volte: per aver scritto un gran bel romanzo e per avermelo fatto conoscere.

La coda del diavolo infatti, mi è piaciuto molto. Questo romanzo mescola con naturalezza il thriller con il romanzo d'azione, riuscendo a darci il meglio di entrambi i generi. Del thriller abbiamo l'approfondimento psicologico dei personaggi, la suspense, il mistero e anche quel senso di claustrofobia dei migliori romanzi del genere; delle storie d'azione abbiamo il ritmo serrato e la trama vivace, ricca di avvenimenti e di qualche colpo di scena. 
La trama è articolata e ben congegnata; non disdegna dei cambi di rotta inaspettati che disorientano il lettore e lo spingono a leggere per cercare spiegazioni e risposte. Anche gli scenari mutano velocemente - dal carcere, alla natura selvaggia, alla città, al mare, senza che una sensazione di urgenza e di oppressione ci abbandoni.
Dicevo prima del senso di claustrofobia. È la prima cosa che mi ha colpito del romanzo. I primi capitoli sono ambientati in un carcere in Sardegna, e la descrizione della routine carceraria è talmente vivida e ben narrata che si sentono le pareti della prigione chiudersi su di noi. Bellissimo, a parer mio, il contrasto tra la struttura opprimente del carcere e la natura libera e selvaggia della costa sarda.

La cosa migliore del romanzo è la capacità di trascinare il lettore dentro la storia. Merito senza dubbio di uno stile curatissimo, ricco di dettagli ma che non risulta mai pesante, ma che al contrario si mantiene scorrevole e avvolgente.
Ma merito anche del protagonista e voce narrante, Sante Moras, i cui dubbi etici sulla giustizia, sulla colpa e sull'espiazione sono esposti con una tale linearità e lucidità da far diventare i suoi dilemmi nostri.

C’era stato un tempo in cui avevo creduto che affermare la giustizia fosse un modo per riportare l’armonia nel mondo, un atto necessario per renderlo più bello. Ma c’era ancora spazio per la bellezza? Il ricordo ancora vivo del cadavere di un’adolescente dalla pelle bianca come il latte mi diceva che non ce n’era, che le nostre vite mediocri erano tutto ciò che avevamo e ciò per cui eravamo venuti al mondo, che non c’era altro.
Ma mi bastava pensare a quella voce, mi bastava alzare lo sguardo a quel cielo buio come catrame che solo certe notti di Sardegna conoscono, perché milioni di stelle brillanti come piccole pietre incandescenti mi suggerissero il contrario.

Sante è un personaggio solido e ben costruito e nonostante alcuni elementi possano far pensare ai soliti clichè (passato militare da duro, e segreto che pesa sulla coscienza) è elaborato in maniera credibile e non risulta mai piatto nè dà mai quell'impressione fastidiosissima in un romanzo del già visto, già letto.
Risulta evidente una accurata ricerca per quanto riguarda i dettagli di tattica, equipaggiamento e in generale dell'ambiente militare e di quello carcerio, ricerca che rende l'ambientazione e l'intero romanzo molto realistici e credibili.

Un romanzo forse poco conosciuto ma che porta una ventata di originalità in un genere che a volte tende ad appiattirsi troppo su se stesso e su formule già collaudate; un romanzo scritto benissimo, curato, in una lingua semplice eppure precisa. Ogni parola ha il suo posto, ogni dettaglio il suo perchè. Una trama articolata, coinvolgente, veloce e scorrevole che riesce a tenere desto l'interesse del lettore dall'inizio alla fine.
Ecco, queste sono tutte le ragioni che fanno de La coda del diavolo un libro consigliatissimo.

Voto: 7 e 1/2

Se siete curiosi e volete dare un'occhiata allo stile e alla capacità narrativa di Maurizio Maggi, potete leggere gratuitamente un racconto, Cartoline da N'Djamena, ambientato circa dieci anni prima di questa romanzo, con protagonista Sante Moras. Cliccate qui.

Warcross...

... di Marie Lu.


Per i milioni di persone che si connettono ogni giorno, Warcross non è solo un gioco, è un modo di essere. Per alcuni rappresenta una via di fuga dalla realtà, per altri una fonte di profitto. La giovane hacker Emika Chen sbarca il lunario braccando i giocatori entrati nel giro delle scommesse illegali. Ma l'ambiente dei cacciatori di taglie, oltre a essere pericoloso, è molto competitivo. Sempre al verde, per racimolare una somma di denaro di cui ha urgentemente bisogno, Emika hackera la partita inaugurale del Campionato di Warcross e, senza volerlo, si ritrova dentro il gioco. È certa che il suo errore le costerà l'arresto, e l'ultima cosa che si aspetta è la telefonata del creatore di Warcross, l'affascinante miliardario giapponese Hideo Tanaka, con una proposta impossibile da rifiutare. Un volo per Tokyo ed Emika si ritrova catapultata nel mondo che fino a quel momento aveva solo potuto sognare. Ma presto le sue indagini sveleranno l'esistenza di un oscuro complotto le cui implicazioni vanno ben oltre i confini dell'universo di Warcross. (La sinossi è tratta dalla scheda del libro sul sito della casa editrice Piemme)

Bene, letta la sinossi? Amanti della cultura nerd, vi suona familiare? In ogni caso dovrebbe. Perchè l'ambientazione del romanzo pare essere presa pari pari da Player One, bel romanzo di Ernest Cline del 2010, da cui di recente è stato tratto un (brutto) film.
Diciamo che con queste premesse, il romanzo non parte benissimo, ma sulla poca originalità dell'ambientazione avrei potuto anche glissare, se mi fossi trovata davanti a una bella storia. E invece no. Warcross non è un bel romanzo.

Emika tenta di hackerare una partita del videogame che tiene avvinte milioni di persone, ma un piccolo errore la fa scoprire e le vale una lavoro da cacciatrice di taglie addirittura per miliardario che ha inventato Warcross. La ragazza entrerà sotto copertura in una delle squadre partecipanti al campionato mondiale di Warcross; vivrà l'immancabile storia d'amore e nel frattempo cercherà di capire chi è l'hacker che minaccia il mondo virtuale creato da Hideo Tanaka.

Da queste poche righe già si capisce che la trama è piatta, banale, noiosa e scorre senza che intervenga nessun guizzo, nessun lampo di interesse a salvarla.

L'ambientazione non è curata, non è approfondita nè riesce mai a imporsi come realistica. È un bel fondale dipinto. Il gioco, Warcross appunto, un misto di realtà aumentata e realtà virtuale, viene descritto come qualcosa che ha cambiato la vita dell'umanità, ma la cosa ci viene detta, e bisogna che la accettiamo come un dato di fatto, perchè mai nel romanzo viene mostrato che sia così. Non ci viene mai mostrato, infatti, attraverso lo sviluppo della trama o le azioni dei personaggi, che Warcross ha avuto un impatto tale da cambiare le abitudini e la vita quotidiana delle persone. Tutto quello che fanno le persone è connettersi per giocare e per guardare altri giocare, e addirittura per le partite ufficiali di questo videogame la gente esce di casa e si riunisce un palasport per seguire il match, proprio come facciamo oggi per un qualsiasi evento sportivo o per i vari tornei di videogame che si tengono in giro per il mondo.
La gente continua a lavorare, uscire, dipingere, fare la spesa, mandarsi messaggi, eccetera. Dove sarebbe il dirompente cambiamento portato alla società da Warcross? 
Ho visto alcuni utenti di Goodreads definire il romanzo come distopico. Ma dove sarebbe la distopia? Dove sarebbe questa società distorta? Potrebbe anche esserci, eh, ma in realtà noi non arriviamo a vederla, perchè poco o nulla ci viene mostrato del mondo che c'è oltre i confini di Warcroos.
In compenso, in ogni momento del romanzo, possiamo sapere cosa indossa Emika, e di che colore sono i vestiti, i calzini e le scarpe suoi e di ogni personaggio che ha la sventura di comparire, fosse anche per poche righe, nella trama di Warcross.

La descrizione della tecnologia è superficiale e non approfondita. In un mondo in cui, in teoria, la gente vive connessa ad una sorta di realtà aumentata, grazie all'invenzione di occhiali detti NeuroLink, collegati direttamente al cervello, i mezzi di protezione del proprio account, dei propri dati, della propria privacy sono ridicoli, anzi, del tutto inesistenti. La gente va in giro esponendo i propri dati sensibili al primo curioso che passa e getta uno sguardo. Praticamente è come essere su Facebook. 
Quando Emika trova una persona che ha un sistema di protezione del proprio account, subito sospetta abbia qualcosa di losco da nascondere. Il che è francamente ridicolo. Una cosa del genere dovrebbe essere la normalità, non qualcosa di sospetto.
Mi vien da pensare che se Emika vedesse la (misera) protezione applicata alla mia rete wi-fi di casa, mi manderebbe direttamente l'FBI, la Digos e la NASA per arrestarmi.

Inoltre la descrizione stessa della tecnologia informatica connessa al videogame e alle abilità di hacker di Emika è molto vaga e inconsistente.
La protagonista bypassa sistemi di protezione, accede ad account, ruba dati, hackera profili di giocatori di Warcross con una semplicità disarmante, ma senza che a noi sia mai dato sapere come fa. 
Tutto ciò che l'autrice ci dice è che Emika scrive qualcosa, oppure fa partire un nuovo script, o anche che usa, e cito testualmente, qualche trucchetto da hacker.
Oltretutto, nel romanzo esiste anche una certa confusione fra la realtà virtuale e internet. Infatti sembra che in Warcross esista una sorta di dark world modellato sul dark web, ma come possa esistere all'interno di un videogame un dark world fuorilegge, dove si nascondono criminali e si scommette clandestinamente, senza che la casa di produzione lo sappia, o prenda provvedimenti per eliminarlo, è un mistero. Non è chiarissimo, poi, se si tratti di una specie di appendice derivante dal gioco o di una zona franca di internet o di chissà cos'altro.

Tutto questo, in un romanzo in cui la tecnologia informatica è parte rilevante della trama  è semplicemente I N A C C E T  T A B I L E.

La rappresentazione del dark web e della realtà virtuale fatta nel film Ralph spacca internet era molto più accurata e credibile. E ho detto tutto.

Ma non basta.  Lo stesso videogame che ha cambiato la vita di milioni di persone alla fine si rivela essere un gigantesco rubabandiera, solo con gli occhiali neurali. Fico! (Sono ironica, in caso non si fosse capito).
Due squadre, con tute per la realtà virtuale, che si sfidano su campi di battaglia sempre diversi, per rubare ciascuna la gemma simbolo dell'altra squadra.
Praticamente quello che facevamo da bambini durante le scampagnate di Pasquetta, solo più costoso.

La cultura nerd e videoludica di cui questo romanzo dovrebbe essere alfiere, poi, non è altro che una figurina attaccata sul fondale dipinto di cui prima. Non basta far indossare alla protagonista una maglietta col logo della SEGA, o farla giocare a Sonic quando è nervosa (tra l'altro, una sola volta in 324 pagine) per scrivere un romanzo imbevuto di questo tipo di cultura. Anche questo aspetto è trattato superficialmente, non entra davvero nella storia. I riferimenti potrebbero tranquillamente essere eliminati e il romanzo non ne risentirebbe affatto.

La storia d'amore, che sembra essere un obbligo in questo genere di romanzo, indirizzato ad un pubblico giovane, è, allo stesso tempo, quanto di più telefonato e di più incomprensibile possa esserci. È una storia d'amore basata sul nulla, o meglio, sul fatto che i due personaggi in questione debbano innamorarsi perchè sì. Non riesco a trovare una sola ragione per cui questo sentimento, che occupa una parte rilevante della storia, debba nascere e svilupparsi. O meglio, ne trovo solo una: la protagonista è una spaventosa Mary Sue [1] e quindi, per definizione, nessuno può resisterle oltre il primo sguardo.

E questo mi porta all'analisi dei personaggi. Nessuno spessore, nessuno sviluppo, nessuna evoluzione.
L'autrice, dopo aver appiccicato addosso ad Emika una patetico passato strappalacrime che avrebbe dovuto avere lo scopo di farci empatizzare con lei (ma che con me ha avuto l'effetto opposto perchè ha decisamente esagerato), lascia che qualunque cosa faccia Emika le riesca senza sforzo alcuno. Lascia che sia la più brava in tutto, anche se non ha mai fatto o non si è mai esercitata in quella cosa. Qualsiasi azione intraprende è coronata da un successo strepitoso, specie all'interno di Warcross, anche se non ha mai giocato partite ufficiali nè si è mai allenata come si deve.
Anche l'ingresso non autorizzato ad una partita ufficiale di Warcross, che le vale l'ammirazione di Hideo Tanaka, viene effettuato con una semplicità ed una mancanza di sforzo incredibili.

È la mia unica possibilità. Trattengo il respiro, aspetto – non farlo – e scrivo una parola, un comando nell’esatto istante in cui l’oggetto abbandona la mano di Jena.

Ecco, questo è tutto. Questo è il modo in cui Emika entra in un gioco intorno a cui, è bene specificarlo, ruotano milioni e milioni di dollari; un gioco che, in teoria, ha cambiato la vita di milioni di persone. Una parola e via. Emika è dentro.
Gli altri personaggi non li commento neppure, perchè comunque esistono solo in funzione di Emika, di quanto possano esserle utili o di quanto possano evidenziare la sua marysuaggine interagendo con lei. Quando, infatti, Emika si trova in difficoltà, uno degli altri personaggi, anche uno di quelli che le è ostile o che la trova odiosa (la mia solidarietà, fratello!) si prodiga per toglierle le castagne dal fuoco, fornendole indizi, informazioni o quello che le occorre. Sia mai che Emika debba faticare troppo per ottenere un risultato!

Questi sono i problemi principali; e a questi andrebbero aggiunti una miriade di piccoli fastidiosissimi dettagli incongruenti, sciocchi o superficiali di cui è costellata la narrazione: corde che tirate sul muso di un drago (virtuale) si annodano da sole e fungono da briglie improvvisate; personaggi definiti crudeli e rabbiosi per aver detto (senza urlare eh) alla propria figlia "piantala"; uno stadio da migliaia di posti che rimane al buio perchè privo di luci di emergenza; le prime partite del campionato di Warcross fastidiosamente somiglianti alle prove del Torneo Termaghi di Harry Potter; un drone al servizio delle squadre ufficiali di Warcross costruito dalla concorrenza e che ha una specie di porta attraverso cui accedere ai dati dei giocatori di ogni squadra, porta ovviamente completamente priva di protezioni... Potrei continuare, ma rischierei di far diventare la recensione più lunga del romanzo stesso.
Il finale ci regala un colpo di scena che dovrebbe essere scioccante, ma che è telefonatissimo, perchè proprio poche pagine prima della rivelazione, l'autrice decide di condividere con noi, con molta enfasi, un dettaglio importante che a me ha fatto subito intuire dove saremmo andati a parare. Lo stesso dettaglio, se fosse stato rivelato in un altro momento, mescolato con noncuranza alle informazioni iniziali su Warcross e il suo creatore, avrebbe avuto sicuramente una minore valenza rivelatrice e magari non mi avrebbe rovinato (pure) il finale.

Voto: 4

(Un consiglio? Se siete, come me, cresciuti negli anni 80 e 90, e siete amanti della fantascienza, dei giochi di ruolo, dei videogame, dei romanzy fantasy - se siete, in una parola, nerd e lo siete da ben prima che diventasse una moda, allora leggete Player One e preparatevi ad una full immersion nella nostalgia).

[1] Per la definizione di Mary Sue, clicca qui