La scheda del libro sul sito della casa editrice Sperling &Kupfer
Julia, giovane stilista emergente tedesca, durante una sfilata a Milano viene avvicinata da un uomo, tedesco come lei, che le rivela di essere suo nonno, e che il padre che lei ha sempre creduto morto in realtà non lo è, e vive in Italia. L'uomo le mostra la foto di una giovane italiana, scattata negli anni 50. Quella ragazza sorridente e bellissima, che le somiglia molto, è sua nonna. Comincia così il viaggio di Julia alla scoperta di radici che non sapeva di avere, attraverso la storia avventurosa di sua nonna Giulietta, del suo gemello Giovanni e della loro famiglia emigrata dalla Sicilia in cerca di un futuro migliore.
Le domande sull'immigrazione e sugli immigrati finiscono per diventare inevitabilmente domande non solo su chi siamo ma su chi vogliamo essere. Cioè sui temi più profondi. (Hanif Kureishi, Il mio orecchio sul suo cuore - citazione di apertura di Volevamo andare lontano)
Questa è la lunga storia di una famiglia. Una storia che parte dal secondo dopoguerra nel profondo Sud per arrivare ai giorni nostri. È innanzitutto la storia di una famiglia, che attraversa gli anni e l'Europa alla ricerca di quello che ogni essere umano desidera: la felicità.
È un romanzo molto forte dal punto di vista delle passioni e dell'empatia; non c'è una sola pagina che mi abbia lasciato indifferente.
La trama è molto articolata. È ricca di segreti, drammi, bugie, amori e passioni. Ma la cosa che colpisce di più è l'intensità con cui tutto questo è raccontato. La storia colpisce il lettore dritto al cuore.
Mi è piaciuto molto anche il modo in cui viene narrata. Infatti i diversi membri della famiglia si passano idealmente il testimone durante il racconto, e così questa lunga saga ci offre diversi punti di vista e diverse sfaccettature.
La cosa che più mi ha colpito e impressionato è stata appunto questa: l'abilità dell'autore nel raccontare la storia di una famiglia di emigranti cogliendone perfettamente le diverse sfumature dei sentimenti, che variano dalla speranza per il futuro allo strazio per la casa e la famiglia lontane, dalla frustrazione per il fatto di sentirsi sempre "ospiti" in terra straniera, alla fiducia nel futuro.
Sono andata a curiosare nella biografia di Daniel Speck convinta di trovarci qualcosa che mi spiegasse una tale comprensione dell'autore dei suoi personaggi - che so, un antenato italiano, o una storia di emigrazione alle spalle - ma niente fa intendere che l'autore abbia attinto alla sua storia personale. Questo non fa che accrescerne i meriti di scrittore.
Il tema dell'emigrazione è perfattamente sposato con quello della famiglia, del senso di appartenza, della voce del sangue.
Era possibile scegliere a chi appartenere o era qualcosa di predeterminato, un imperativo del sangue?
La cosa che più mi ha colpito e impressionato è stata appunto questa: l'abilità dell'autore nel raccontare la storia di una famiglia di emigranti cogliendone perfettamente le diverse sfumature dei sentimenti, che variano dalla speranza per il futuro allo strazio per la casa e la famiglia lontane, dalla frustrazione per il fatto di sentirsi sempre "ospiti" in terra straniera, alla fiducia nel futuro.
Sono andata a curiosare nella biografia di Daniel Speck convinta di trovarci qualcosa che mi spiegasse una tale comprensione dell'autore dei suoi personaggi - che so, un antenato italiano, o una storia di emigrazione alle spalle - ma niente fa intendere che l'autore abbia attinto alla sua storia personale. Questo non fa che accrescerne i meriti di scrittore.
Il tema dell'emigrazione è perfattamente sposato con quello della famiglia, del senso di appartenza, della voce del sangue.
Era possibile scegliere a chi appartenere o era qualcosa di predeterminato, un imperativo del sangue?
Tutti i personaggi, in qualche modo, devono fare i conti con questa domande, divisi fra la nostalgia per la Sicilia e la voglia di far parte della società che li ha accolti.
Un unico appunto che mi sento di fare all'autore è quello di aver a volte indugiato un po' troppo sulla rappresentazione stereotipata dell'emigrante italiano, specie per quel che riguarda i personaggi secondari. Mentre Giulietta e Giovanni sono descritti e approfonditi meravigliosamente, con i loro dubbi, le lacerazioni interiori e la voglia di andare lontano e al tempo stesso di restare attaccati alle loro radici, i personaggi secondari e le semplici comparse sono un po' appiattiti sui luoghi comuni tipici degli italiani all'estero. Ad esempio, il primo contatto di Julia con gli italiani in Germania, avviene tramite un tipo su una Vespa che tenta di abbordarla (ci mancava solo che le dicesse "ciao bella!", ed eravamo a posto); per non parlare del fatto che circa trenta secondi dopo essere scesa dal treno alla stazione di Napoli, Julia viene scippata (ovviamente, e che vi aspettavate? Io personalmente attendevo qualcuno che la consolasse tirando fuori dalla tasca una fetta di pizza, con un mandolino a tracolla, coinvolgendola in una allegra tarantella). L'episodio è palesemente una nota di colore perchè il furto non ha particolari conseguenze sulla trama (tanto che Julia neanche si pone il problema della denuncia, e sì che le hanno rubato tutti i documenti. Questa cosa l'ho trovata parecchio assurda). Diciamo che da questo punto di vista Daniel Speck poteva, a parer mio, impegnarsi un pochino di più. Fortunatamente si tratta di un difetto marginale, che nulla toglie alla bellezza di questo romanzo.
Un libro che consiglio vivamente a tutti, non solo per la bellezza della trama, ma anche per le emozioni che ha saputo suscitare durante la lettura.
Un unico appunto che mi sento di fare all'autore è quello di aver a volte indugiato un po' troppo sulla rappresentazione stereotipata dell'emigrante italiano, specie per quel che riguarda i personaggi secondari. Mentre Giulietta e Giovanni sono descritti e approfonditi meravigliosamente, con i loro dubbi, le lacerazioni interiori e la voglia di andare lontano e al tempo stesso di restare attaccati alle loro radici, i personaggi secondari e le semplici comparse sono un po' appiattiti sui luoghi comuni tipici degli italiani all'estero. Ad esempio, il primo contatto di Julia con gli italiani in Germania, avviene tramite un tipo su una Vespa che tenta di abbordarla (ci mancava solo che le dicesse "ciao bella!", ed eravamo a posto); per non parlare del fatto che circa trenta secondi dopo essere scesa dal treno alla stazione di Napoli, Julia viene scippata (ovviamente, e che vi aspettavate? Io personalmente attendevo qualcuno che la consolasse tirando fuori dalla tasca una fetta di pizza, con un mandolino a tracolla, coinvolgendola in una allegra tarantella). L'episodio è palesemente una nota di colore perchè il furto non ha particolari conseguenze sulla trama (tanto che Julia neanche si pone il problema della denuncia, e sì che le hanno rubato tutti i documenti. Questa cosa l'ho trovata parecchio assurda). Diciamo che da questo punto di vista Daniel Speck poteva, a parer mio, impegnarsi un pochino di più. Fortunatamente si tratta di un difetto marginale, che nulla toglie alla bellezza di questo romanzo.
Un libro che consiglio vivamente a tutti, non solo per la bellezza della trama, ma anche per le emozioni che ha saputo suscitare durante la lettura.
Noi italiani, ed in particolari noi meridionali, credo, non possiamo leggere questo libro e non sentirci coinvolti. Perchè se non siamo stati emigranti in prima persona, guardiamo i nostri figli e ci chiediamo se un domani toccherà a loro partire per forza e non per scelta. E allora quelle pagine non sono solo una bella storia scritta nero su bianco. Sono la storia del nostro popolo.
Voto: 8-
Ciao! Nuova iscritta :-)
RispondiEliminaQuesto romanzo mi ispira molto, grazie per la segnalazione!!
Lo sapevo! Io lo sapevo!
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