sabato 24 agosto 2019

È tempo di ricominciare...

di Carmen Korne.

È il 1949. La guerra è finita. I nazisti sono stati sconfitti. Come molte altre città, Amburgo è ridotta a un cumulo di macerie e in parecchi si ritrovano senza un tetto sulla testa. Fra questi, Henny, che ha finalmente accettato di sposare Theo e continua a cercare la cara Käthe, che risulta ancora dispersa nonostante l’amica sia sicura di avere incrociato il suo sguardo, la sera di San Silvestro, su quel tram… Nel frattempo, mentre Lina e la sua compagna Louise aprono una libreria in città, Ida si sente delusa dal modesto ménage coniugale con il cinese Tian, pur avendo mandato all’aria il suo precedente matrimonio per stare con lui, e ricorda con nostalgia la sua giovinezza di rampolla di una famiglia altolocata. Sono in molti ad aver perso qualcuno di caro, e sono in molti ad attendere il ritorno di qualcuno, giorno dopo giorno, alla finestra. Ma per i sopravvissuti tornare a casa non è facile, si ha paura di cosa si potrebbe trovare, o non trovare più.
Gli anni passano, i figli delle protagoniste crescono e anche loro hanno delle storie da raccontare. Sullo sfondo, la ripresa dell’economia tedesca e le rivoluzioni sociali che hanno scandito gli anni Cinquanta e Sessanta: lo sbarco sulla Luna, la costruzione del Muro di Berlino, il riarmo e la paura del nucleare, l’arrivo della pillola anticoncezionale, l’irruzione della televisione nella vita quotidiana delle famiglie, l’inizio dei movimenti studenteschi e la musica dei Beatles.
Dopo Figlie di una nuova era, il secondo, attesissimo capitolo di questa fortunata e appassionante trilogia che racconta la vita di quattro amiche nella Germania del Novecento. (Sinossi dal sito della casa editrice Fazi Editore)

Figlie di una nuova era mi era piaciuto tantissimo. Proprio per questo le aspettative per il  nuovo capitolo della storia di Henny, Käthe, Ida e Lina erano piuttosto alte e mi duole affermare che sono andate deluse. Vi spiego perchè.

La guerra è finita da poco, le macerie, fisiche e psicologiche, del nazismo e della conflitto mondiale, sono ancora lì, a ricordarci ad ogni pagina l'orroore degli eventi che si sono ancora conclusi.
I capitoli ambientati nell'immediato dopoguerra sono, a parer mio, i migliori del romanzo, quelli in cui ho ritrovato lo spirito del volume precedente. Quattro donne normali che lottano per non soccombere alla Storia, che cercano di sopravvivere senza dimenticare i legami umani che uniscono al resto del mondo: questa è l'anima del romanzo.
È stato emozionante scoprire come, quando una guerra finisce, non finisce mai dall'oggi al domani, con la firma su un armistizio o su un trattato di pace. Le conseguenze sulla vita delle persone possono trascinarsi per anni. È stato interessante vivere, attraverso le pagine del libro e le semplici ma vivide descrizioni dell'autrice, una sofferta ricostruzione.
Purtroppo, con l'avanzare della narrazione e col procedere degli anni, queste emozioni si sono sciolte tra le pagine come neve al sole.
Le storie narrate, nonostante l'introduzione di nuovi personggi - figli, amici e compagni dei protagonisti - diventano ripetitive e un filino noiose.
Chissà, forse proprio l'aver ampliato il numero dei protagonisti ha causato la perdita di coesione nella trama, che pare voler raccontare mille cose, nessuna delle quali veramente incisive.
O forse, il motivo principale di questa mia opinione è che in questo romanzo non c'è pathos e non c'è quasi mai tensione narrativa.  Sciolto, fin troppo presto, a parer mio, il nodo sulla scomparsa di Käthe, resta ben poco a tenerci incollati alla pagine.
Certo, l'autrice ci snocciola con una certa abilità fatti ed eventi del dopoguerra, che rivivono attraverso le pagine del libro e suscitano anche una certa emozione, ma la compiaciuta riscoperta della storia del cosiddetto secolo breve non è stata abbastanza, dal mio punto di vista, per creare una storia intrigante.
Secondo me, in questo romanzo manca un polo antagonista delle quattro protagoniste, che sia un evento di grande portata come l'ascesa del nazismo, oppure semplicemente il "cattivo"di turno.

Prendiamo ad esempio la storia di Klaus, figlio di Henny e del suo primo marito. 
Klaus è un omosessuale in una società che considera la sua natura un crimine. Mi sarei aspettata che il ragazzo fosse in pericolo, che la sua storia fosse fonte di ansia per il lettore, ma mi sono ben presto resa conto che Klaus, protetto dall'ampia tribù della sua famiglia allargata, non correrrà mai alcun rischio. Certo, mi fa piacere per lui, però che noia.
Stesso discorso potrei fare a proposito di un personaggio (che non nominerò per evitare spoiler) che ha una malattia invalidante e potenzialmente mortale: anche qui, farmaci miracolosi che capitono senza troppa fatica nella trama, e la malattia diventa un dettaglio da menzionare di quando in quando, ma senza effetti dirompenti sulla narrazione.

Ho detto spesso, in altre recensioni, che il conflitto e il dramma sono, secondo me, la vera essenza di una storia ben riuscita. Qui mancano entrambi, e perciò non mi sento di dare la sufficenza al romanzo.
Voto: 5


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