sabato 3 febbraio 2018

Il matrimonio di mio fratello...

... di Enrico Brizzi.

La scheda del libro sul sito della Mondadori
 
Teo, trentanovenne scapolo, con un buon lavoro e di buona famiglia, si mette sulle tracce di suo fratello maggior Max, reduce da un disastroso divorzio, che è sparito insieme ai suoi due bambini. Mentre guida verso le Dolomiti per andare a cercarlo, Teo ripercorre la sua vita, l'infanzia all'ombra dell'adorato Max, i turbamenti adolescenziali, l'Italia degli anni '70 e '80 e il difficile cammino che ha portato lui e suo fratello a diventare adulti.
 
Questa è la storia di una famiglia tutto sommato normale, raccontata attraverso i ricordi del figlio "di mezzo", Teo, stretto tra la brillante personalità del primogenito, Max, e la tenerezza suscitata dalla piccola di casa, la sorellina Sofia.
Teo, ora trentanovenne, guarda indietro con lucidità e una buona dose di cinismo alla vita che ha vissuto, all'ombra di un fratello che sembrava avere tutte le risposte, che sembrava avere sempre le idee chiare e che sembrava sapere sempre cosa fare.
Invece ora quello lucido, quello razionale è Teo. Suo fratello si è sposato a trent'anni e ha divorziato poco prima dei quaranta, è andato in crisi ed ora è scomparso gettando la famiglia nello sconforto.
Teo, invece, si è sempre tenuto alla larga dai rapporti stabili, e ci racconta con disincanto il matrimonio dei genitori, perfetto all'apparenza ma simile ad una gabbia per entrambi i coniugi. Nel raccontarci la sua storia, demolisce impietosamente il matrimonio e la famiglia come formazione sociale. Ce ne racconta i difetti, le piccole ipocrisie, le meschinità.
Ci racconta di come l'ambiente in cui è cresciuto - un ambiente agiato, sicuro e tutto sommato amorevole - abbia trasformato Max in un ribelle pronto a sfidare continuamente i suoi limiti, e di come abbia trasformato lui, da bambino desideroso di affetto e attenzioni, in un uomo disincantato e cinico. E nel farlo, Teo lentamente demolisce il fratello maggiore e la figura esemplare che aveva rappresentato per lui durante l'infanzia e l'adolescenza. Teo sembra deciso a stroncare senza appello la sua famiglia; l'idea stessa dell'amore esce malconcia dalla sua storia, e il pessimismo la fa da padrone.
 
Era finita per sempre, la favola delle famigliole d’una volta, e alla nostra generazione sarebbe toccato, semmai, inventare una forma diversa di rapporti fra uomini e donne. Chiunque si fosse sposato, avrei voluto gridare come Cassandra ai Troiani, sarebbe andato testardamente incontro a un disastro.
 
Eppure Teo è  pronto a correre in soccorso del fratello, dapprima controvoglia, poi, via via che i monti si avvicinano, con sempre maggior apprensione. E mentre cerca disperatamente Max, temendo il peggio, sente che forse non tutto quello che è stato era un'ipocrita finzione, e che l'amore e l'affetto possono esistere.
 
Perché i fratelli, queste creature che crescono nel palmo della stessa mano, possono continuare a volersi bene anche da grandi, ma viene il giorno in cui ognuno di loro è chiamato dal proprio destino, e lungo quel sentiero deve incamminarsi da solo.
 
La trama, a volte amara, a volte nostalgica e malinconica, scorre veloce e mai banale.
Risulta straordinaria in questo corposo romanzo la leggerezza con cui Brizzi riesce a ripercorrere quarant'anni di storia di questa famiglia borghese, mentre sullo sfondo scorrono le vicende che hanno segnato l'Italia in quegli anni (Mani Pulite, le stragi di Capaci e via  D'Amelio, tanto per citarne un paio).  Ma quello che davvero rende questo romanzo una lettura praticamente obbligata per tutti quelli - come me - nati negli anni '70 è la capacità di Enrico Brizzi di dare voce a questa generazione.  Colpiscono la lucidità, la profondità e l'onestà con cui l'autore è riuscito a sviscerare i turbamenti della nostra generazione, una generazione di persone che pensavano di avere il mondo in mano, come Max, e sono dovute scendere a patti con la realtà, come Teo. Come ben sintetizza un amico di Teo:
 
«Siamo una generazione maledetta» argomentò il laureato in Ingegneria Tommy Serpieri, la chioma lucente di brillantina e la carnagione resa quasi fosforescente dalle lampade. «Niente di quel che ci è stato promesso si è realizzato. E ci troviamo a gestire il confronto impossibile con dei genitori terribili. Hanno cominciato a lavorare in un decennio in cui il prodotto interno lordo è cresciuto del settanta per cento. Loro, da poveri, sono diventati ricchi, e noi, cresciuti più o meno nell’agio, stiamo precipitando nell’abisso.»
 
Ma la rassegnazione non è una opzione contemplata.
 
Il mondo che ci era dato era un altro, storto e pieno di guai, ma questo non significava che non si potesse provare a starci in maniera dignitosa. Eravamo chiamati a vivere da uomini liberi, pronti a giocarsi le proprie possibilità per il meglio, e non da schiavi capaci solo di lamentarsi, e giustificare ogni meschinità col peso rassicurante delle proprie catene. Almeno un po’, bisognava proprio provarci.
 
Scrivere questa recensione mi è risultato assai difficile. C'è troppo di noi in questo libro. E poi, Brizzi, onestamente, ha già detto tutto quello che valeva la pena di dire.
 
Voto: 8.
 

2 commenti:

  1. ho già il libro pronto per essere letto, me lo consigliate tutte! (E sono nata negli anni '70, non posso esimermi)

    RispondiElimina