lunedì 25 marzo 2019

... che Dio perdona tutti...

... di Pif.


Arturo, 35 anni, single e con scarse ambizioni, ha una sola passione: i dolci. Quando incontra Flora, proprietaria di una pasticceria, crede di aver trovato la donna della sua vita. Ma c'è un problema: Flora è molto religiosa, e non se la sente di impegnarsi con una persona che non condivida la sua fede. Perciò Arturo decide, per tre settimane, di fingersi profondamente cattolico per conquistarla. Ma la finta conversione gli sfuggirà di mano, con esiti inaspettati.

Di solito diffido dai romanzi scritti da personaggi televisivi che troppo spesso si improvvisano autori senza avere niente di significativo da dire; ma la carriera di Pif mi suggeriva che si tratta di una persona con un intelletto sveglio e vivace, e perciò ho deciso di dargli una possibilità. Tutto sommato non sono pentita, anche se ho qualche critica da fare.

Arturo è un trentacinquenne che vive perennemente spaesato in mezzo agli altri. Non sa bene cosa vuole dalla vita, o meglio, l'unica cosa che è sicuro di sapere è che non rinuncerà mai alla sua passione quasi maniacale per i dolci alla ricotta, e che vorrebbe qualcuno che condividesse questo amore con lui. Le occupazione a cui sono dediti gli altri (amici, colleghi, familiari) gli sembrano noiose e un po' futili, anche se accetta passivamente di farsi coinvolgere. Tutto cambia quando conosce Flora, donna che dei dolci ha fatto una professione, e per amore della quale finalmente Arturo decide di prendere in mano la sua vita.

Il romanzo ha un esordio folgorante e divertentissimo. Il protagonista, Arturo, racconta il suo primo incontro con l'esigenza della preghiera, avvenuto da bambino davanti alla partita Brasile - Italia dei Mondiali del 1982.
Il primo impatto con il romanzo è dunque dei migliori. Arturo racconta con molta ironia la trepidazione davanti a quel match, trepidazione talmente forte da richiedere un intervento divino per essere placata.

Dopo un esordio che definire brillante è riduttivo, credo che il romanzo perda un po' di verve e di forza, e sembra quasi afflosciarsi su stesso. Riesce ancora a strappare qualche sorriso, ma durante la lettura ho avuto l'impressione che stessimo girando in tondo, senza sapere bene dove saremmo andati a parare. Certo, in parte la cosa potrebbe essere voluta, perchè il romanzo è narrato in prima persona da Arturo che, come forse avrete capito, non è proprio un decisionista. Insomma, la narrazione rispecchia un po' il carattere del protagonista, che è uno che ama farsi trascinare dalla corrente.
Fatto sta che circa a metà del romanzo ero un po' annoiata, ma poi l'autore ha saputo riscattarsi, a parer mio, con un colpo da maestro.

Senza abbandonare lo stile indolente e ironico della voce narrante, Pif ha saputo inserire nel suo romanzo una critica feroce all'ipocrisia della società moderna, che è risultata tanto ben costruita quanto inaspettata. Le premesse erano state poste sufficientemente bene durante la narrazione, ma a priori non mi ero resa conto che saremmo finiti a parlare di critica sociale. La cosa mi ha piacevolmente colpito, anche perchè l'autore non perde, come detto, la sua vena ironica, e riesce ad evitare i toni del pistolotto moraleggiante, ma, tra un sorriso e l'altro, riesce a far riflettere.

Io volevo fare qualcosa di rivoluzionario, volevo essere Cristo in Terra. Perché tutti possiamo diventarlo o quanto meno avvicinarci a Cristo. Non volevo vivere il cristianesimo come uno sport, da praticare solo quando ne avevo voglia o non avevo impegni. Ci sono certe cose che ci mettono sicurezza e ci confortano. Quando sta male un caro o stiamo male noi, ci ricordiamo di essere cristiani. Quando un presunto invasore rischia di mettere in discussione “le nostre radici cristiane”, allora lo diventiamo. Pratichiamo il cristianesimo quando ci è più comodo. Quando vogliamo divorziare “no”, quando dobbiamo imporre il crocifisso “sì”, quando dobbiamo accogliere “no”, quando giuriamo sul Vangelo “sì”. Perché di san Francesco ci piace che parlasse ai lupi e agli uccellini, ma dimentichiamo quello che potremmo fare anche noi: donare tutto ai poveri, ma basterebbe anche la metà; trattare il prossimo come un nostro fratello, anche quando nostro fratello ci tratta male. Non volevo nascondere le mie responsabilità dietro un santo che fa miracoli. Non volevo vivere la cristianità come superstizione.

A volte, le riflessioni più profonde sono anche quelle più semplici da fare, e si nascondo tra le righe di un romanzo divertente, ironico e scanzonato. Bel lavoro, Pif!
Voto: 7 e 1/2

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