mercoledì 20 febbraio 2019

Warcross...

... di Marie Lu.


Per i milioni di persone che si connettono ogni giorno, Warcross non è solo un gioco, è un modo di essere. Per alcuni rappresenta una via di fuga dalla realtà, per altri una fonte di profitto. La giovane hacker Emika Chen sbarca il lunario braccando i giocatori entrati nel giro delle scommesse illegali. Ma l'ambiente dei cacciatori di taglie, oltre a essere pericoloso, è molto competitivo. Sempre al verde, per racimolare una somma di denaro di cui ha urgentemente bisogno, Emika hackera la partita inaugurale del Campionato di Warcross e, senza volerlo, si ritrova dentro il gioco. È certa che il suo errore le costerà l'arresto, e l'ultima cosa che si aspetta è la telefonata del creatore di Warcross, l'affascinante miliardario giapponese Hideo Tanaka, con una proposta impossibile da rifiutare. Un volo per Tokyo ed Emika si ritrova catapultata nel mondo che fino a quel momento aveva solo potuto sognare. Ma presto le sue indagini sveleranno l'esistenza di un oscuro complotto le cui implicazioni vanno ben oltre i confini dell'universo di Warcross. (La sinossi è tratta dalla scheda del libro sul sito della casa editrice Piemme)

Bene, letta la sinossi? Amanti della cultura nerd, vi suona familiare? In ogni caso dovrebbe. Perchè l'ambientazione del romanzo pare essere presa pari pari da Player One, bel romanzo di Ernest Cline del 2010, da cui di recente è stato tratto un (brutto) film.
Diciamo che con queste premesse, il romanzo non parte benissimo, ma sulla poca originalità dell'ambientazione avrei potuto anche glissare, se mi fossi trovata davanti a una bella storia. E invece no. Warcross non è un bel romanzo.

Emika tenta di hackerare una partita del videogame che tiene avvinte milioni di persone, ma un piccolo errore la fa scoprire e le vale una lavoro da cacciatrice di taglie addirittura per miliardario che ha inventato Warcross. La ragazza entrerà sotto copertura in una delle squadre partecipanti al campionato mondiale di Warcross; vivrà l'immancabile storia d'amore e nel frattempo cercherà di capire chi è l'hacker che minaccia il mondo virtuale creato da Hideo Tanaka.

Da queste poche righe già si capisce che la trama è piatta, banale, noiosa e scorre senza che intervenga nessun guizzo, nessun lampo di interesse a salvarla.

L'ambientazione non è curata, non è approfondita nè riesce mai a imporsi come realistica. È un bel fondale dipinto. Il gioco, Warcross appunto, un misto di realtà aumentata e realtà virtuale, viene descritto come qualcosa che ha cambiato la vita dell'umanità, ma la cosa ci viene detta, e bisogna che la accettiamo come un dato di fatto, perchè mai nel romanzo viene mostrato che sia così. Non ci viene mai mostrato, infatti, attraverso lo sviluppo della trama o le azioni dei personaggi, che Warcross ha avuto un impatto tale da cambiare le abitudini e la vita quotidiana delle persone. Tutto quello che fanno le persone è connettersi per giocare e per guardare altri giocare, e addirittura per le partite ufficiali di questo videogame la gente esce di casa e si riunisce un palasport per seguire il match, proprio come facciamo oggi per un qualsiasi evento sportivo o per i vari tornei di videogame che si tengono in giro per il mondo.
La gente continua a lavorare, uscire, dipingere, fare la spesa, mandarsi messaggi, eccetera. Dove sarebbe il dirompente cambiamento portato alla società da Warcross? 
Ho visto alcuni utenti di Goodreads definire il romanzo come distopico. Ma dove sarebbe la distopia? Dove sarebbe questa società distorta? Potrebbe anche esserci, eh, ma in realtà noi non arriviamo a vederla, perchè poco o nulla ci viene mostrato del mondo che c'è oltre i confini di Warcroos.
In compenso, in ogni momento del romanzo, possiamo sapere cosa indossa Emika, e di che colore sono i vestiti, i calzini e le scarpe suoi e di ogni personaggio che ha la sventura di comparire, fosse anche per poche righe, nella trama di Warcross.

La descrizione della tecnologia è superficiale e non approfondita. In un mondo in cui, in teoria, la gente vive connessa ad una sorta di realtà aumentata, grazie all'invenzione di occhiali detti NeuroLink, collegati direttamente al cervello, i mezzi di protezione del proprio account, dei propri dati, della propria privacy sono ridicoli, anzi, del tutto inesistenti. La gente va in giro esponendo i propri dati sensibili al primo curioso che passa e getta uno sguardo. Praticamente è come essere su Facebook. 
Quando Emika trova una persona che ha un sistema di protezione del proprio account, subito sospetta abbia qualcosa di losco da nascondere. Il che è francamente ridicolo. Una cosa del genere dovrebbe essere la normalità, non qualcosa di sospetto.
Mi vien da pensare che se Emika vedesse la (misera) protezione applicata alla mia rete wi-fi di casa, mi manderebbe direttamente l'FBI, la Digos e la NASA per arrestarmi.

Inoltre la descrizione stessa della tecnologia informatica connessa al videogame e alle abilità di hacker di Emika è molto vaga e inconsistente.
La protagonista bypassa sistemi di protezione, accede ad account, ruba dati, hackera profili di giocatori di Warcross con una semplicità disarmante, ma senza che a noi sia mai dato sapere come fa. 
Tutto ciò che l'autrice ci dice è che Emika scrive qualcosa, oppure fa partire un nuovo script, o anche che usa, e cito testualmente, qualche trucchetto da hacker.
Oltretutto, nel romanzo esiste anche una certa confusione fra la realtà virtuale e internet. Infatti sembra che in Warcross esista una sorta di dark world modellato sul dark web, ma come possa esistere all'interno di un videogame un dark world fuorilegge, dove si nascondono criminali e si scommette clandestinamente, senza che la casa di produzione lo sappia, o prenda provvedimenti per eliminarlo, è un mistero. Non è chiarissimo, poi, se si tratti di una specie di appendice derivante dal gioco o di una zona franca di internet o di chissà cos'altro.

Tutto questo, in un romanzo in cui la tecnologia informatica è parte rilevante della trama  è semplicemente I N A C C E T  T A B I L E.

La rappresentazione del dark web e della realtà virtuale fatta nel film Ralph spacca internet era molto più accurata e credibile. E ho detto tutto.

Ma non basta.  Lo stesso videogame che ha cambiato la vita di milioni di persone alla fine si rivela essere un gigantesco rubabandiera, solo con gli occhiali neurali. Fico! (Sono ironica, in caso non si fosse capito).
Due squadre, con tute per la realtà virtuale, che si sfidano su campi di battaglia sempre diversi, per rubare ciascuna la gemma simbolo dell'altra squadra.
Praticamente quello che facevamo da bambini durante le scampagnate di Pasquetta, solo più costoso.

La cultura nerd e videoludica di cui questo romanzo dovrebbe essere alfiere, poi, non è altro che una figurina attaccata sul fondale dipinto di cui prima. Non basta far indossare alla protagonista una maglietta col logo della SEGA, o farla giocare a Sonic quando è nervosa (tra l'altro, una sola volta in 324 pagine) per scrivere un romanzo imbevuto di questo tipo di cultura. Anche questo aspetto è trattato superficialmente, non entra davvero nella storia. I riferimenti potrebbero tranquillamente essere eliminati e il romanzo non ne risentirebbe affatto.

La storia d'amore, che sembra essere un obbligo in questo genere di romanzo, indirizzato ad un pubblico giovane, è, allo stesso tempo, quanto di più telefonato e di più incomprensibile possa esserci. È una storia d'amore basata sul nulla, o meglio, sul fatto che i due personaggi in questione debbano innamorarsi perchè sì. Non riesco a trovare una sola ragione per cui questo sentimento, che occupa una parte rilevante della storia, debba nascere e svilupparsi. O meglio, ne trovo solo una: la protagonista è una spaventosa Mary Sue [1] e quindi, per definizione, nessuno può resisterle oltre il primo sguardo.

E questo mi porta all'analisi dei personaggi. Nessuno spessore, nessuno sviluppo, nessuna evoluzione.
L'autrice, dopo aver appiccicato addosso ad Emika una patetico passato strappalacrime che avrebbe dovuto avere lo scopo di farci empatizzare con lei (ma che con me ha avuto l'effetto opposto perchè ha decisamente esagerato), lascia che qualunque cosa faccia Emika le riesca senza sforzo alcuno. Lascia che sia la più brava in tutto, anche se non ha mai fatto o non si è mai esercitata in quella cosa. Qualsiasi azione intraprende è coronata da un successo strepitoso, specie all'interno di Warcross, anche se non ha mai giocato partite ufficiali nè si è mai allenata come si deve.
Anche l'ingresso non autorizzato ad una partita ufficiale di Warcross, che le vale l'ammirazione di Hideo Tanaka, viene effettuato con una semplicità ed una mancanza di sforzo incredibili.

È la mia unica possibilità. Trattengo il respiro, aspetto – non farlo – e scrivo una parola, un comando nell’esatto istante in cui l’oggetto abbandona la mano di Jena.

Ecco, questo è tutto. Questo è il modo in cui Emika entra in un gioco intorno a cui, è bene specificarlo, ruotano milioni e milioni di dollari; un gioco che, in teoria, ha cambiato la vita di milioni di persone. Una parola e via. Emika è dentro.
Gli altri personaggi non li commento neppure, perchè comunque esistono solo in funzione di Emika, di quanto possano esserle utili o di quanto possano evidenziare la sua marysuaggine interagendo con lei. Quando, infatti, Emika si trova in difficoltà, uno degli altri personaggi, anche uno di quelli che le è ostile o che la trova odiosa (la mia solidarietà, fratello!) si prodiga per toglierle le castagne dal fuoco, fornendole indizi, informazioni o quello che le occorre. Sia mai che Emika debba faticare troppo per ottenere un risultato!

Questi sono i problemi principali; e a questi andrebbero aggiunti una miriade di piccoli fastidiosissimi dettagli incongruenti, sciocchi o superficiali di cui è costellata la narrazione: corde che tirate sul muso di un drago (virtuale) si annodano da sole e fungono da briglie improvvisate; personaggi definiti crudeli e rabbiosi per aver detto (senza urlare eh) alla propria figlia "piantala"; uno stadio da migliaia di posti che rimane al buio perchè privo di luci di emergenza; le prime partite del campionato di Warcross fastidiosamente somiglianti alle prove del Torneo Termaghi di Harry Potter; un drone al servizio delle squadre ufficiali di Warcross costruito dalla concorrenza e che ha una specie di porta attraverso cui accedere ai dati dei giocatori di ogni squadra, porta ovviamente completamente priva di protezioni... Potrei continuare, ma rischierei di far diventare la recensione più lunga del romanzo stesso.
Il finale ci regala un colpo di scena che dovrebbe essere scioccante, ma che è telefonatissimo, perchè proprio poche pagine prima della rivelazione, l'autrice decide di condividere con noi, con molta enfasi, un dettaglio importante che a me ha fatto subito intuire dove saremmo andati a parare. Lo stesso dettaglio, se fosse stato rivelato in un altro momento, mescolato con noncuranza alle informazioni iniziali su Warcross e il suo creatore, avrebbe avuto sicuramente una minore valenza rivelatrice e magari non mi avrebbe rovinato (pure) il finale.

Voto: 4

(Un consiglio? Se siete, come me, cresciuti negli anni 80 e 90, e siete amanti della fantascienza, dei giochi di ruolo, dei videogame, dei romanzy fantasy - se siete, in una parola, nerd e lo siete da ben prima che diventasse una moda, allora leggete Player One e preparatevi ad una full immersion nella nostalgia).

[1] Per la definizione di Mary Sue, clicca qui

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