giovedì 27 aprile 2017

Blood...

... di Anne Rice.
 
 
In questo romanzo, seguito diretto de Il vampiro di Blackwood, il vampiro Lestat fa la conoscenza della famiglia Mayfair, potente clan di streghe di New Orleans, già protagonista dell'omonima saga della stessa autrice.
Lestat dona a Mona Mayfair, in punto di morte dopo un lungo coma a causato da un parto con caratteristiche sovrannaturali, il Sangue Tenebroso. Successivamente Lestat decide di aiutarla a scoprire cosa ne è stato della sua progenie, scomparsa dopo la nascita ad opera di una creatura non umana, appartenente alla antichissima stirpe dei Taltos.
 
Questo libro è, o meglio dovrebbe essere, una lettura indispensabile per ogni fan di Anne Rice.
In questo romanzo convergono la storia del vampiro Lestat e quella delle streghe Mayfair, ovvero delle due saghe più amate e conosciute di Anne Rice.
Dal canto mio, io ho amato alla follia L'ora delle streghe, e apprezzato molto anche la saga del vampiro Lestat, la quale, pur con i suoi alti e bassi (per quanto riguarda i bassi, qualcuno ha detto Memnoch il diavolo, per caso?) resta una pietra miliare nella letteratura horror e gotica mondiale. Eppure, soprattutto se siete fan di Anne Rice, vi do un consiglio: fate un favore a voi stessi e non leggete questo libro. Piuttosto riprendete in mano Intervista col Vampiro, o il già citato L'ora delle streghe e fatevi cullare dalla straordinaria abilità narrativa della Rice. Di quella abilità, qui non ne troverete traccia.
 
Ecco, visto che ho citato Memnoch il diavolo... questo romanzo si apre con Lestat,  voce narrante della storia, che rimprovera ai suoi lettori di non aver saputo capire e apprezzare proprio Memnoch il diavolo. Confesso che la cosa mi ha lasciato alquanto perplessa. Non so se si tratta di un geniale espediente narrativo, in cui si ha la fusione definitiva dello scrittore con il suo personaggio narratore, oppure un triste e mal camuffato tentativo dell'autrice di sfogare la sua frustrazione per lo scarso apprezzamento ricevuto dal romanzo precedente. Sul serio, non so cosa dire. L'unica cosa di cui sono sicura è che mentre leggevo quelle righe, mentre leggevo le parole di Lestat, mi sono chiesta se per caso l'autrice stesse cercando di riprodurre il pensiero di qualcuno che avesse appena finito di assumere acidi. Lo so che Lestat è sempre stato un personaggio un tantinello sopra le righe, ma nell'incipit di questo romanzo è totalmente esagerato, fuori sincrono perfino con se stesso.
Sempre tenendo presente la particolarità caratteriale del personaggio Lestat, il cui ego ha avuto ampio spazio nei romanzi, non si può comunque costruire una storia esclusivamente sulle sue intemperanze, sul suo narcisismo, e sulla sua particolare visuale del mondo (che lui considera una sorta di Giardino Selvaggio, in cui tutto è da scoprire, assaporare, provare). Cioè, questo non si può fare, a parere mio, perché è stato già fatto nei romanzi precedenti, in cui però questi tratti erano funzionali alla trama, e utili al lettore nella scoperta di questo vampiro così diverso dalla figura nera e tenebrosa delle leggende sui succhiatori di sangue.
 
Ora invece abbiamo un Lestat che si parla addosso per pagine e pagine, che sprizza autocompiacimento ad ogni rigo soddisfatto dei suoi splendidi capelli biondi, della sua pelle di marmo, dell'amore che prova per i suoi "figli tenebrosi"; abbiamo minute descrizioni di ogni singolo capo d'abbigliamento che egli indossa; digressioni sul fatto che vorrebbe diventare un santo; e sapete invece cosa non abbiamo? Una trama che giustifichi e sorregga tutto questo.
Infatti, a circa un centinaio di pagine dalla fine, la trama non ha ancora ingranato. I nostri personaggi girano ancora a vuoto, e non sappiamo ancora quale storia Anne Rice voglia narrarci. Ci sono una serie di avventurette da vampiri  - ad esempio, trovare una vittima malvagia a cui succhiare il sangue, e poi chiedersi se sia sufficiente per autoassolversi - avventurette, dicevo, che avevano un senso in Intervista col Vampiro, cioè agli esordi di questa saga e 40 anni fa. Ora non hanno alcun senso se non quello di riempire le pagine. Quando alcuni spunti diventano potenzialmente interessanti, vengono liquidati in poche pagine o in maniera poco soddisfacente (mi riferisco alla sottotrama di Lestat perseguitato dal fantasma di Julian Mayfair, altro potente stregone della famiglia).
 
A circa novanta pagine dalla fine, sembra che l'autrice decida di imprimere una svolta alla trama, e finalmente partiamo alla ricerca della stirpe dei Taltos.
Nel corso della serie sulle streghe Mayfair, Anne Rice ci aveva regalato intriganti brandelli di conoscenza su questo popolo antichissimo, misterioso, un  popolo di immortali con capacità sovraumane. Ma, come diceva Darwin, non è la specie migliore o la più intelligente che sopravvive, ma quella con più capacità di adattamento. E questo, nel corso dei secoli, si rivela la vera debolezza dei Taltos: ridotti ad un numero esiguo di esemplari, risultano perdenti nel confronto con gli esseri umani.
Lo spirito di uno di loro, nel tentativo di far risorgere la sua specie, aveva per secoli tormentato la famiglia Mayfair e allo stesso tempo garantito loro potere e fortuna; uno spirito attaccato per secoli ad un suo piano, che, forse, adesso ha avuto successo. Ecco, questi erano i Taltos quando li abbiamo conosciuti;  e quando finalmente siamo sul punto di saperne di più, Anne Rice scrive una novantina di paginette striminzite, in cui tutto quello che poteva essere interessante è già successo e viene riferito ai personaggi in sintesi da chi era presente; i Taltos sono tornati nel mondo  e a noi lettori viene riferito per sentito dire. E come se non bastasse, la stirpe dei Taltos viene ridotta ad un gruppo di individui balbettanti, narcisisti e incapaci di prendere alcuna iniziativa. Badate che i Taltos nascono con la memoria genetica di tutti quelli che li hanno preceduti; pertanto i Taltos moderno dovrebbero sapere a cosa sono andati incontro i loro avi, e perché. Ma qui sembra che non abbiano tratto nessun insegnamento dalla loro storia.
La potenza sovraumana dei Taltos, terrificante perché senza freni e senza morale, che Anne Rice ha impiegato anni a costruire e cesellare nei precedenti romanzi, ridotta così.
Vi giuro che mi veniva da piangere.

Liquidata la questione che doveva essere la spina dorsale della trama, l'autrice torna ad occuparsi di quella che evidentemente è la ragione per cui ha scritto questo libro: parlare di Lestat e dei suoi abiti.
Nelle ultimissime pagine viene poi imbastita una storia d'amore tra Lestat e uno dei personaggi umani (vabbè, non vi dico quale) che  avrebbe potuto avere un senso se solo l'autrice si fosse curata di circostanziare come, quando e perché i due si sentono attratti l'uno dall'altra.
 
Grazie mille Anne Rice per avermi fatto sognare, ma per me questo romanzo è un grosso NO.
(No, non darò un voto a questo romanzo. Non ce la faccio a mettere un voto così basso a Anne Rice. Tanto penso che il mio pensiero su questo libro si sia capito benissimo anche senza voto)

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