domenica 18 settembre 2016

La circonferenz delle arance...

...di Gabriella Genisi.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Sonzogno

Dalla presentazione:

UN COMMISSARIO DI POLIZIA COSÌ A BARI NON SE L’ERANO MAI NEMMENO IMMAGINATO:
LOLITA LOBOSCO, DETTA LOLÌ, 36 ANNI, OCCHI SEMPRE ACCESI, LUNGHI CAPELLI CORVINI E UNA QUINTA DI REGGISENO CHE NEGLI UOMINI EVOCA LA PIENEZZA DEI FRUTTI MEDITERRANEI
Se avesse paura delle maldicenze di colleghi e notabili, non avrebbe certo scelto di fare il poliziotto. E invece ha deciso di seguire con spavalderia la propria vocazione: combattere le prepotenze, riportare l’ordine nella vita degli altri, farsi rispettare dai maschi senza rinunciare a nessuna delle vanità del proprio sesso. Perché mai dovrebbe rinunciare alla cura della bellezza e della cucina, doti di una vera donna del sud? Ma in quella vigilia natalizia anche per lei le cose si fanno terribilmente complicate. E sì che tutto era cominciato alla grande: da anni non si ricordava un dicembre così caldo, se n’era andata in questura scoperchiando il tetto della sua Bianchina con un CD di Roberto Murolo a tutto volume. Al commissariato, però, l’attende una sorpresa. C’è un arrestato, le dicono, uno stimato professionista, con il golfino di cachemire e le mani tanto curate, accusato di violenza sessuale. Ordinaria amministrazione. Almeno finché Lolì non incrocia lo sguardo dell’incriminato. Quell’uomo lei lo conosce bene. E subito capisce che, oltre a far trionfare la giustizia, questa volta dovrà anche difendere se stessa.
 
Che bello, mi sono detta prima di cominciare questo romanzo. Un personaggio anticonformista, sopra le righe, che non ha paura di essere quello che è. Evvai!
Invece no, perché cominciamo maluccio già dalla presentazione. Dunque, qualcuno ha davvero scritto che cura della bellezza e cucina sono doti di una vera donna del sud?!? Ma dai, scherziamo? Ancora a questo punto siamo rimasti? Ma soprattutto, io allora sono un uomo di Bassano del Grappa?
La frase mi ha dato i brividi, ma siccome - suppongo - la presentazione non la scrive l'autrice, ho voluto darle una possibilità.
Ho fatto male.
 
Il commissario Lolita LoBosco riempie tutte le pagine con la sua prorompente fisicità e vitalità. Lei riempie il romanzo molto più della trama, per cui, se casca lei, casca tutto il libro. Peccato dunque che non sia un personaggio ben fatto. Ha la quinta di reggiseno (particolare fondamentale eh, l'autrice non ci permette di dimenticarcelo nemmeno un minuto perché che lo ripete in continuazione) ma anche se occupa un posto di rilievo, delicato e non facile, non rinuncia a essere se stessa, esuberante, dirompente, a vestirsi come più le aggrada, a truccarsi etc. etc. E ad essere sinceri questa è una cosa che mi è piaciuta molto. Ogni donna, anzi no, ogni essere umano ha il sacrosanto diritto di conciarsi e di apparire come gli pare.
Da un personaggio così diverso mi aspettavo qualcosa di diverso dall'etichettare come zoc***a la prima che entra nel suo ufficio a causa del rossetto che porta.
Mi spiego.
Un noto professionista viene accusato di violenza sessuale, e in lui Lolita riconosce il fidanzatino del liceo, bello, abbronzato, in forma e solo per questo - perché non lo vede dai tempi del liceo - decide che deve essere innocente. E vabbè.
Quando convoca in commissariato la presunta vittima e, ancora prima che apra bocca, Lolita l'ha già etichettata.
 
La tipa entra rumorosa e già appare piuttosto nervosa e pure instabile su tacchi a punta zeppati dieci centimetri buoni, se non dodici addirittura. La faccio aspettare in piedi cinque minuti abbondanti e intanto la esamino. Quel tipo di esame da femmina a femmina che non ha niente di indagatorio nel senso stretto del termine, piuttosto stabilisce chi sei tu e chi è lei e come mai gli uomini sono così coglioni da farsi infinocchiare da una come lei. Che poi tutta ’sta bellezza se vogliamo io non ce la vedo proprio, una bonazza più che altro, di quelle vistose e pure un poco cafone. Capelli lunghi lunghi neri, bocca rossa e gonfia come una pettola lucidata a olio e sopra uno di quei rossetti che azzeccano meglio se ti trovi a passare la serata sul lungomare davanti a un falò. E ci siamo capiti, ci siamo.
 
E non basta.
Viene convocata la moglie dell'imputato. Potrà mai passarla liscia?
 
Non vuole nemmeno sedersi nonostante Forte per due volte l’abbia invitata a farlo. «No guardi grazie» risponde tutta civettuola, che certe femmine ce l’hanno dentro ce l’hanno, il puttanamento, «ma adesso devo proprio andare.»
 
Cioè, un sorriso civettuolo e sei put***a. Ottimo.
Viene fuori che il presunto stupratore tradiva la moglie e faceva il cascamorto con le sue clienti (è un dentista).
 
Mi si stringe lo stomaco e capisco al volo che Stefano dev’essere molto innamorato di lei e vuole solo farla ingelosire.
 
Lei ---> sguardo civettuolo=meretrice.
Lui---> cascamorto con le clienti (sorvolo sul tradimento)= poverino, uomo innamorato.
Ok. Prendo nota.
Nel prosieguo più e più volte gli epiteti di tr**** e zoc***a si sprecano, riferite a queste due donne (ma anche al genere femminile in generale). Potrei citare puntualmente ogni rigo ma la recensione diventerebbe troppo lunga. Insomma, l'anticonformista che a Bari non se l'erano nemmeno mai immaginata conduce le sue indagine dando della passeggiatrice alle altre donne.
Che poi...indagini, che parolone. Praticamente il commissario se ne sta nel suo ufficio ad appiccicare etichette alla gente; interroga giusto un paio di persone senza mai approfondire, senza incalzare con le domande, più preoccupata di cosa mettere per capodanno (il giallo - vabbè, giallo... - è ambientato durante il periodo natalizio) che di chiarire la vicenda. Più preoccupata di tirar fuori Stefanuccio suo (sic) che di accertare la verità. Perché tanto lui è innocente. Cheil commissario abbia ragione o meno non ha importanza. Lei è convinta che lui sia innocente, quindi le indagini sono superflue, e stop. La trama è per questo esile esile.
La soluzione del caso le si presenterà in ufficio (e che ve lo dico a fare) sotto forma di confessione spontanea. E vabbè.
 
Sorvolo su un paio di scene che avrebbero dovuto essere erotiche e che a me hanno fatto ribrezzo oppure ridere (tipo: lei che prepara una crostata nuda... e vi taccio i dettagli... ma comunque io quella crostata non la mangerei...; oppure lei che a casa di amici sbaglia stanza - che neanche i film porcelloni per adolescenti - e becca il nipote ventiseienne della padrona di casa che sta per andare a dormire. Nudo. Senza mutande. A dicembre. Vabbè).
 
L'unico brivido - a parte quello con la crostata... non guarderò mai più uno crostata con gli stessi occhi - l'ho provato a poco più di venti pagine dalla fine, quando si verifica un omicidio collegato al caso, quando oramai il caso pareva risolto.
Poi però mi rendo conto che la procura ha stabilito l'ora della morte e incastrato il presunto colpevole grazie all'ora su uno scontrino nella tasca della vittima. Autopsia, esame necroscopico, esame del contenuto dello stomaco... ma no! Che li facciamo a fare, che sprechiamo i soldi dei contribuenti? La vittima aveva uno scontrino in tasca!!1!!1
E toccherà a Lolita smontare la tesi accusatoria di cui non è convinta. Naturalmente senza minimamente ricorrere alle moderne tecniche d'indagine. Con l'autopsia sono capaci tutti, eh.
 
E se a tutto ciò aggiungiamo uno stile pieno di costruzioni dialettali pugliesi, napoletane e siciliane che dovrebbero dare un taglio colloquiale al romanzo ma riescono solo ad apparire artefatte e avulse dal contesto, appare chiaro che del romanzo si salvano solo le ricette a fine libro. Sì c'è anche la crostata all'arancia.
 
Ultima cosa: ad un certo punto Lolita LoBosco riceve una telefonata da un collega siciliano da lei conosciuto durante il periodo di servizio prestato nell'isola. Il collega è a Trani e vorrebbe vederla per un caffè. Il collega è Salvo Montalbano.
Sacrilegio. Eresia. 
Eresia soprattutto perché questo personaggio posticcio tirato in ballo dall'autrice ha esclusivamente il nome del grandissimo commissario di Camilleri, per il resto parla con una voce non sua, tutta zucchero e miele e fa il lumacone con Lolita. Maddai, voi ce lo vedete Salvo Montalbano che fa il lumacone con una collega di vent'anni più giovane? Che lo schivo commissario la implori di prendere un caffè con lui? 
Non bastava rovinare il suo di personaggio? Doveva mettere le mani pure su Montalbano?
 
Voto: 4.
 

Nessun commento:

Posta un commento