lunedì 30 gennaio 2017

Se una notte d'inverno un viaggiatore...

...di Italo Calvino.
 

La scheda del libro sul sito Mondadori

Un Lettore, di cui non conosceremo mai il nome, vorrebbe soltanto leggere in santa pace il romanzo che ha appena comprato. Ma non ci riesce, perché, a causa di un errore nell'impaginazione, il suo libro si interrompe a pagina 34. Si reca così in libreria per cambiare la sua copia, e qui conosce la Lettrice, che ha il suo stesso problema. In libreria scopre che il romanzo che ha iniziato non è quello di Calvino che pensava di aver comprato, ma il romanzo di un autore polacco intitolato Fuori dall'abitato di Malbork, e decide di procurarsene una copia per terminarlo. Ma anche questo romanzo si rivelerà incompleto, e il Lettore, suo malgrado, salterà di romanzo in romanzo, di incipit in incipit, e di avventura in avventura, senza riuscire a terminare nessuno dei romanzi che aveva iniziato.

L'incipit del romanzo è spiazzante. Calvino si rivolge al Lettore, dandogli familiarmente del tu.
 
Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto.
 
 Il romanzo infatti è scritto in seconda persona. Scelta insolita, ma che ha le sue motivazioni.
 
L’idea di fondo, la «trovata», semplicissima e straordinaria, di Se una notte d’inverno un viaggiatore è la seguente: mettere al centro del libro (di ciò di cui il libro racconta o riferisce) un personaggio che di solito ne sta al di fuori, che di solito viene dopo il libro, cioè il lettore. Dalla prima riga all’ultima è il lettore, al quale lo scrittore si rivolge con il «tu», a tenere il campo, a filtrare vicende e riflessioni, insomma fare da protagonista. (dalla postfazione di Giovanni Raboni).
 
Ovviamente la storia può essere letta come la surreale e divertente epopea di un Lettore qualunque alla ricerca delle pagine perdute di un romanzo, che lo porteranno a fare praticamente il giro del mondo e ad imbattersi in personaggi bizzarri, scrittori in crisi, falsari di libri,  complotti strampalati e dittature da operetta.
Al Lettore si affianca la Lettrice, che però a un nome, Ludmilla, che sebbene meno coinvolta (almeno in apparenza) in questa sorta di caccia al tesoro, è una continua fonte di ispirazione per il Lettore perché, ad ogni incontro con il Lettore, esprime un desiderio riguardo quello che vorrebbe leggere.

Il romanzo che più vorrei leggere in questo momento, – spiega Ludmilla, – dovrebbe avere come forza motrice solo la voglia di raccontare, d’accumulare storie su storie, senza pretendere d’importi una visione del mondo, ma solo di farti assistere alla propria crescita, come una pianta, un aggrovigliarsi come di rami e di foglie...
In questo ti trovi subito d’accordo con lei: lasciandoti alle spalle le pagine lacerate dalle analisi intellettuali, sogni di ritrovare una condizione di lettura naturale, innocente, primitiva...
 
Questo è, come ebbe a dire lo stesso Calvino, un romanzo sul piacere di leggere romanzi. L'autore in particolare si concentra sulla parte di ogni romanzo che genera più tensione e che più si carica di aspettative, l'incipit.
Calvino scrive dieci incipit di dieci romanzi  (più un racconto apocrifo de Le mille e una notte), romanzi diversi per stile, genere e scelte narrative. E per dieci volte riesce a farci immergere in atmosfere diverse ma perfettamente ricostruite.

La fascinazione romanzesca che si dà allo stato puro nelle prime frasi del primo capitolo di moltissimi romanzi non tarda a perdersi nel seguito della narrazione: è la promessa d’un tempo di lettura che si stende davanti a noi e che può accogliere tutti gli sviluppi possibili. Vorrei poter scrivere un libro che fosse solo un incipit, che mantenesse per tutta la sua durata la potenzialità dell’inizio, l’attesa ancora senza oggetto. Ma come potrebb’essere costruito, un libro simile? S’interromperebbe dopo il primo capoverso? Prolungherebbe indefinitamente i preliminari? Incastrerebbe un inizio di narrazione nell’altro, come le Mille e una notte?

Queste parole, pronunciate da Silas Flannery, autore di uno dei romanzi che il Lettore non riesce a terminare, svelano il senso e l'obiettivo del romanzo.
I finti romanzi all'interno del libro sono:

Se una notte d'inverno un viaggiatore
Fuori dall'abitato di Marlbork
Sporgendosi dalla costa scoscesa
Senza tenere il vento e la vertigine
Guarda in basso dove l'ombra si addensa
In una rete di linee che si allacciano
In una rete di linee che si intersecano
Su un tappeto di foglie illuminato dalla luna
Intorno a una fossa vuota
Quale storia attende laggiù la fine?
Chiede, ansioso d'ascoltare il racconto.

Come potete agevolmente notare, i titoli formano un nuovo incipit, e anche questo frutto dell'ironia di Calvino e della sua voglia di giocare col lettore.

Ma come tutte le opere di Calvino c'è anche un secondo livello di lettura. Perché oltre al gioco letterario delle narrazioni interrotte, e dell'affannosa ricerca da parte del Lettore, in questo romanzo viene affrontato il tema rappresentazione della realtà e del rapporto verità e menzogna (sarebbe stato interessante scoprire cosa avrebbe detto Calvino della parola scritta ai tempi di Internet). La misteriosa setta di falsari che sta portando scompiglio nel mondo dell'editoria è il pretesto per riflettere su questi argomenti. Come cambia la realtà quando viene immortalata nella pagina stampata? Cosa è il vero e cosa è il falso una volta che è stato messo nero su bianco?

Tutto quello che ho scritto finora è facilmente reperibile anche in qualunque saggio o scritto critico su Calvino. Suppongo che quello che volete sapere, se avete avuto la pazienza di arrivar fin qui, è il mio punto di vista sull'opera.
Di sicuro non è un romanzo di facile lettura, e non si tratta di narrativa di evasione. La prosa di Calvino è ricca ma complessa e richiede un'attenzione costante. Il punto è: vale la pena di compiere questo sforzo, e perché?
Secondo me il gioco vale la candela. Perché questo è un romanzo dedicato a tutti i Lettori, che Calvino dimostra di conoscere bene e di amare. E a loro si rivolge non solo per raccontargli una storia, ma anche per farli ragionare sul come e sul cosa leggono, e per farli avvicinare cons spirito critico alla lettura. Ma il suo scopo non è certo quello di farci una lezioncina.
L'autore strizza l'occhio a noi lettori, ci dice: lo so, lo so come vi sentite. Lo so cosa vuol dire essere un lettore. Conosco le vostre manie, le vostre frustrazioni, le gioie, i dolori, i pregi i difetti, i desideri, le debolezze.
Leggere Se una notte d'inverno un viaggiatore è come tornare a casa dopo un lungo viaggio.

A proposito di casa e di quanto Calvino capisca noi lettori:

La tua casa, essendo il luogo in cui tu leggi, può dirci qual è il posto che i libri hanno nella tua vita, se sono una difesa che tu metti avanti per tener lontano il mondo di fuori, un sogno in cui sprofondi come in una droga, oppure se sono dei ponti che getti verso il fuori, verso il mondo che t’interessa tanto da volerne moltiplicare e dilatare le dimensioni attraverso i libri.

Da questo romanzo, poi, è tratta la citazione che fa da header al mio blog:

Leggere vuol dire spogliarsi d’ogni intenzione e d’ogni partito preso, per essere pronta a cogliere una voce che si fa sentire quando meno ci s’aspetta, una voce che viene non si sa da dove, da qualche parte al di là del libro, al di là dell’autore, al di là delle convenzioni della scrittura: dal non detto, da quello che il mondo non ha ancora detto di sé e non ha ancora le parole per dire.

Credo che questa sia la più bella definizione di cosa vuol dire leggere che io abbia mai letto.
Perché leggere è sicuramente un hobby, un piacere, un modo per rilassarsi, ma è anche altro, perché i libri belli, quelli con la L maiuscola, oltre a raccontarti una storia ti lasciano altro dentro. Ti cambiano, ti spingono a riflettere, cambiano la tua prospettiva sulle cose, ti svelano un pezzetto di realtà, anche se questo pezzettino di mondo non rientra strettamente nel tema del libro.
Per dare concretezza a quanto affermo, vi faccio un esempio. Avrete sicuramente sentito parlare de Il Signore degli Anelli, anche se magari non lo avete letto. E sapete sicuramente che viene spesso sintetizzato come un romanzo che racconta l'eterna lotta tra il bene e il male. Beh, a me questa trilogia ha fatto riflettere su altro. Il finale mi ha dato modo di meditare sul significato dell'amicizia e sul concetto che potrei sintetizzare, in termini più moderni, come nessuno di salva da solo.
Questi temi non sono esattamente i temi principali de Il Signore degli Anelli.
Ma in ogni libro, c'è una voce che ti parla al di là delle pagine. Fosse anche solo per dirti chiudi 'sto libro, che è meglio.
Se non te ne sei mai reso conto, è arrivato il momento di aprire Se una notte d'inverno un viaggiatore.
Se te ne eri già reso conto, è arrivato il momento di aprire Se una notte d'inverno un viaggiatore.

Un voto a questo romanzo non posso darlo. Preferisco lasciarvi con un famosissimo brano tratto dalle sue pagine. Leggetelo e ditemi se Calvino non è (stato) uno di noi.
 
Già nella vetrina della libreria hai individuato la copertina col titolo che cercavi. Seguendo questa traccia visiva ti sei fatto largo nel negozio attraverso il fitto sbarramento dei Libri Che Non Hai Letto che ti guardavano accigliati dai banchi e dagli scaffali cercando d’intimidirti. Ma tu sai che non devi lasciarti mettere in soggezione, che tra loro s’estendono per ettari ed ettari i Libri Che Puoi Fare A Meno Di Leggere, i Libri Fatti Per Altri Usi Che La Lettura, i Libri Già Letti Senza Nemmeno Bisogno D’Aprirli In Quanto Appartenenti Alla Categoria Del Già Letto Prima Ancora D’Essere Stato Scritto. E così superi la prima cinta dei baluardi e ti piomba addosso la fanteria dei Libri Che Se Tu Avessi Più Vite Da Vivere Certamente Anche Questi Li Leggeresti Volentieri Ma Purtroppo I Giorni Che Hai Da Vivere Sono Quelli Che Sono. Con rapida mossa li scavalchi e ti porti in mezzo alle falangi dei Libri Che Hai Intenzione Di Leggere Ma Prima Ne Dovresti Leggere Degli Altri, dei Libri Troppo Cari Che Potresti Aspettare A Comprarli Quando Saranno Rivenduti A Metà Prezzo, dei Libri Idem Come Sopra Quando Verranno Ristampati Nei Tascabili, dei Libri Che Potresti Domandare A Qualcuno Se Te Li Presta, dei Libri Che Tutti Hanno Letto Dunque È Quasi Come Se Li Avessi Letti Anche Tu. Sventando questi assalti, ti porti sotto le torri del fortilizio, dove fanno resistenza
   i Libri Che Da Tanto Tempo Hai In Programma Di Leggere,
   i Libri Che Da Anni Cercavi Senza Trovarli,
   i Libri Che Riguardano Qualcosa Di Cui Ti Occupi In Questo Momento,
   i Libri Che Vuoi Avere Per Tenerli A Portata Di Mano In Ogni Evenienza,
   i Libri Che Potresti Mettere Da Parte Per Leggerli Magari Quest’Estate,
   i Libri Che Ti Mancano Per Affiancarli Ad Altri Libri Nel Tuo Scaffale,
   i Libri Che Ti Ispirano Una Curiosità Improvvisa, Frenetica E Non Chiaramente Giustificabile.
Ecco che ti è stato possibile ridurre il numero illimitato di forze in campo a un insieme certo molto grande ma comunque calcolabile in un numero finito, anche se questo relativo sollievo ti viene insidiato dalle imboscate dei Libri Letti Tanto Tempo Fa Che Sarebbe Ora Di Rileggerli e dei Libri Che Hai Sempre Fatto Finta D’Averli Letti Mentre Sarebbe Ora Ti Decidessi A Leggerli Davvero.
   Ti liberi con rapidi zig zag e penetri d’un balzo nella cittadella delle Novità Il Cui Autore O Argomento Ti Attrae. Anche all’interno di questa roccaforte puoi praticare delle brecce tra le schiere dei difensori dividendole in Novità D’Autori O Argomenti Non Nuovi (per te o in assoluto) e Novità D’Autori O Argomenti Completamente Sconosciuti (almeno a te) e definire l’attrattiva che esse esercitano su di te in base ai tuoi desideri e bisogni di nuovo e di non nuovo (del nuovo che cerchi nel non nuovo e del non nuovo che cerchi nel nuovo).
   Tutto questo per dire che, percorsi rapidamente con lo sguardo i titoli dei volumi esposti nella libreria, hai diretto i tuoi passi verso una pila di Se una notte d’inverno un viaggiatore freschi di stampa, ne hai afferrato una copia e l’hai portata alla cassa perché venisse stabilito il tuo diritto di proprietà su di essa.

martedì 24 gennaio 2017

La cattedrale dei nove specchi. Parthenope Trilogy #2...

...di Martin Rua.



La scheda del libro sul sito della Newton & Compton

L'antiquario Lorenzo Aragona, già protagonista de Le nove chiavi dell'antiquario, si trova a Praga per partecipare all'inaugurazione di una mostra sugli strumenti degli antichi alchimisti. Ben presto la tranquillità del suo soggiorno viene interrotta da una serie di eventi: un antiquario e fratello massone chiede di incontrarlo e gli consegna un misterioso oggetto; lo stesso antiquario viene poi trovato morto, brutalmente assassinato; l'oggetto di punta della mostra, l'orologio alchemico appartenuto al famoso alchimista Raimondo De Sangro, principe di San Severo, viene rubato; qualcuno tenta di sparargli nella sua camera d'albergo.
Inizia così una nuova indagine su un mistero esoterico per Lorenzo Aragona, che lo porterà a svelare gli enigmi più suggestivi nascosti nella sua città, Napoli, alla ricerca della mitica Cattedrale dei nove specchi. Ma la Cattedrale esiste davvero, o è solo un simbolo del pensiero esoterico?
 
Statisticamente parlando, quante sono le probabilità che il secondo volume di una trilogia sia migliore del primo? 
Solitamente, le probabilità sono scarse, molte scarse. Se l'inizio di una serie ha dei difetti, facilmente li si ritroverà anche nei volumi successivi. Ma siccome il mondo è bello perché è vario, e la vita ama sorprenderci anche in maniera positiva ogni tanto, ecco che dopo un esordio così così, la Parthenope Trilogy (ma 'sto sottotitolo in inglese da dove arriva poi?) ci stupisce con un secondo volume decisamente sopra le aspettative.
Ho recensito il romanzo #1 - Le nove chiavi dell'antiquario - qui e nonostante il volume avesse raggiunto una sufficienza piena, avevo notato alcuni difetti che mi avevano fatto storcere il naso.
E' stato pertanto piacevole notare che alcuni di questi difetti, i più grossi, non si ritrovano in questo nuovo romanzo.
 
Ritroviamo Lorenzo Aragona, l'antiquario alchimista e massone, con la sua conoscenza di tutto ciò che è esoterico e misterioso. Un personaggio che mi piace proprio perché sa e accetta che esiste altro oltre la realtà materiale che ci circonda. Quindi nessuna noiosa incredulità di circostanza che spesso gli autori appiccicano ai propri personaggi per dargli spessore; 3 volte su 5 (sì, ho fatto una personalissima stima) l'incredulità è di facciata, e dura circa quindici minuti. Poi il personaggio potrà vedere di tutto, alieni, buchi neri, discendenti di Gesù (Robert Langdon, anyone?), oggetti magici, una fetta biscottata spalmata di Nutella che se cade non cade dalla parte con la Nutella, che non batterà ciglio (fino al prossimo romanzo, ovviamente).
Lorenzo Aragona non è così, prende i misteri di petto e ha gli strumenti per indagare, e questo mi piace.
 
La trama, dopo una leggera confusione iniziale nella parte ambientata a Praga, è molto più scorrevole e lineare. Come accennato, da principio, tra sparatorie, furti, inseguimenti e omicidi si ha la sensazione che ancora una volta l'autore abbia messo troppa carne a cuocere; ma quando Lorenzo rientra a Napoli e inizia a indagare per conto suo, questa sensazione svanisce.
Il romanzo è quasi tutto ambientato a Napoli e vale la pena di leggerlo soltanto per fare la conoscenza delle più suggestive e inquietanti leggende della città partenopea.
Lo so, io sono un pochino di parte, ma credetemi sulla parola se vi dico che il lavoro fatto dall'autore per amalgamare il mito alla sua trama è davvero apprezzabile. La conoscenza dei luoghi, delle leggende, delle opere d'arte, della storia è completa. Ho apprezzato molto anche che alla fine del romanzo l'autore abbia spiegato cose c'è di storico e cosa no nel suo romanzo.
 
A farla da padrone è la figura del principe Raimondo De Sangro di Sansevero (1), che commissionò la Cappella omonima, dove è conservato il celeberrimo Cristo Velato. Oltre a essere stato un personaggio di primo piano nel panorama culturale della città settecentesca, il Principe (come viene semplicemente chiamato a Napoli) è protagonista di una leggenda nera che nacque quando lui era ancora vivo, e che non lo ha abbandonato tutt'oggi. Scienziato, inventore, alchimista, ma per molti mago e uomo dai misteriosi poteri, il Principe De Sangro ci ha lasciato una cappella di famiglia (2) in cui i riferimenti esoterici e misteriosi si sprecano, e Martin Rua ci va a nozze (e io con lui).
L'autore attinge a piene mani alla storia e alla leggenda del Principe, coinvolgendo anche il conte di Saint Germain (altro affascinante e misterioso personaggio). Analizzando l'epistolario che i due si scambiarono, Aragona comincia la classica caccia al tesoro tra i monumenti più famosi ed enigmatici della città, in una corsa contro il tempo per salvare alcune delle persone che più ama, e che moriranno se lui non riuscirà a svelare l'enigma.
Certo, se state pensando che non c'è niente di nuovo sotto il sole, e se vi pare di scorgere Dan Brown o Glenn Cooper che vi fanno ciao ciao con la manina, avete ragione; ma gli elementi mitici e leggendari utilizzati dall'autore sono così suggestivi che alla fine il romanzo non annoia e non dà la spiacevole sensazione di "già letto, già visto".

Intendiamoci, questo romanzo non è innovativo, né cambierà la storia della letteratura mondiale; ma è una bella storia, piacevole, interessante, che intrattiene. Peccato per il finale che ha provato a stupirci con un colpo di scena un po' forzato.
Mi rivolgo agli autori (e ai loro personaggi cattivoni): questa cosa dei piani macchinosi per convincere qualcuno a collaborare deve finire! Avete mai provato a chiedere gentilmente una mano? Si acchiappano più mosche con il miele che con l'aceto eh.

Insomma, questo libro è come una vacanza spensierata in cui ho apprezzato moltissimo il viaggio ma un po' meno la destinazione.

Voto 7=
 
(1)Per saperne di più su Principe, cliccate qui
(2) Per saperne di più sulla Cappella San Severo, visitate il sito ufficiale. E se ne avete l'opportunità, andate a visitarla di persona.

lunedì 23 gennaio 2017

La promessa sposa del mercante di tè...

... di Janet MacLeod Trotter.


La scheda del libro sul sito della Newton & Compton

India, regione dell'Assam, 1907. La piccola Sophie perde i genitori, un piantatore di tè e sua moglie, in modo misterioso. Viene cresciuta in Scozia da una zia, e non ricorda niente di quello che accadde la notte in cui i suoi genitori morirono. Sedici anni dopo, lei e l'amata cugina Tilly si trovano entrambe in partenza per l'India.
Tilly ha appena sposato un coltivatore di tè molto più grande di lei, che conosce appena, e si appresta a cominciare la sua vita in India, in una piantagione, un luogo che non conosce e a cui, lei, ragazza di città, non sa se si abituerà mai; Sophie invece, follemente innamorata di una guardia forestale, lo seguirà in India, affascinata anche dall'idea di tornare dove è nata e di vivere una vita avventurosa insieme all'uomo che ama.
Entrambe le ragazze troveranno cose diverse da quelle che si aspettavano; e il mistero della morte dei genitori di Sophie tornerà ad inquietare le loro vite.
 
Premessa: il titolo originale del romanzo è: The planter's bride, ovvero la moglie del coltivatore, un titolo che fa riferimento sia a Tilly che alla madre di Sophie, entrambe moglie di coltivatori di tè. Questo perché sarà Tilly a rimanere invischiata nel mistero che avvolge la tragica morte dei genitori di sua cugina, mentre Sophie vive le avventure che aveva sempre sognato. Tilly si ritrova nei luoghi in cui si svolsero gli eventi, e per spezzare la monotonia della vita solitaria della piantagione, inizia ad indagare. Il titolo originale, dunque, voleva giustamente focalizzare l'attenzione sulle spose dei piantatori di tè (quella del passato e quella del presente). La promessa sposa del titolo italiano, invece, non si sa su cosa voglia attirare l'attenzione perché di promesse spose di mercanti di tè, neanche l'ombra. Tilly accetta di sposare il piantatore James Robson e lo sposa nel giro di pochissimo tempo perché desidera sfuggire alla opprimente vita familiare. Quindi è la sua promessa sposa per, diciamo..., due pagine, rigo più rigo meno. 
Bastava tradurre il titolo La sposa del mercante di tè per fare un figurone. Mah.
 
Torniamo alla recensione vera e propria: La promessa sposa del mercante di tè è parte di un trilogia, The India Tea Series, ed è il libro numero 2. Il primo è La figlia del mercante di tè, che racconta le vicende, cronologicamente precedenti, di alcuni personaggi secondari - ma comunque importanti - citati in questo libro. Ovviamente ho scoperto solo in seguito si trattasse del volume secondo di una serie, perché naturalmente è meglio inserire aggettivi a caso nel titolo piuttosto che spendere due parole in copertina per far sapere al lettore che esiste un libro uno. Sia mai che poi il lettore ci capisca qualcosa e venga colto dal desiderio di leggere i libri in ordine cronologico, eh (e giuro che con questo  ho finito con la polemica).
 
Le protagoniste della storia sono Sophie e Tilly, cugine e soprattutto amiche che più diverse tra loro non potrebbero essere. Sophie è stata cresciuta da una zia anticonformista, suffragetta convinta, ed è una ragazza moderna ed indipendente; quando conosce Tam, una guardia forestale che dopo l'addestramento andrà a prendersi cura delle sterminate foreste indiane, decide che deve diventare sua moglie.
Tilly invece è timida e riservata; sogna una vita tranquilla, ma accetta d'impulso di diventare la moglie di un coltivatore di tè perché non sopporta di essere guardata quasi con pietà dai membri della sua famiglia. Non sopporta di essere la povera piccola Tilly che non combinerà mai nulla nella vita.
Quando entrambe le cugine partono per l'India, Sophie sembra quella più capace di adattarsi alla nuova vita e al nuovo continente. La ragazza ha l'entusiasmo e lo spirito avventuroso necessari, e oltretutto ha sempre sentito il richiamo nostalgico dell'India.
Eppure, la vita di Sophie sfuggirà al suo controllo e prenderà strade - anche tragiche e dolorose - che lei non si aspettava, mentre Tilly, dopo il primo iniziale smarrimento - riuscirà a prendere il mano le redini della sua vita e ad indirizzarla dove desidera. Non a caso infatti sarà Tilly a svelare il doloroso segreto sepolto nell'inconscio di Sophie.
Sia Tilly che Sophie sono due bei personaggi; hanno delle emozioni, idee e sentimenti ben delineati e agiscono coerentemente ad essi. Sophie, in apparenza forte e capace di tutto, durante le vicende del romanzo subisce una evoluzione, e scopre le sue fragilità e le accetta; allo stesso modo anche il personaggio di Tilly di evolve, ma facendo un cammino opposto: nella sua fragilità scopre di avere forza e coraggio per affrontare la vita, e accetta di prendersi le sue responsabilità. Mi è piaciuta molto questa evoluzione speculare delle due cugine.
I personaggi che animano il libro insieme alle due ragazze sono molteplici e tutti ben delineati e ben inseriti nella trama. Insomma, intorno alle protagoniste si muovono personaggi reali, non sagome di cartone dipinte sullo sfondo.
E parlando di sfondo, l'ambientazione in cui si svolgono le vicende è altrettanto via e reale.
 L'India in pieno fermento indipendentista, ma ancora saldamente sotto il dominio britannico. la società viene descritta come rigidamente classista, conformista, perbenista e impermeabile a qualunque mutamento, che comincia comunque a germogliare.
 
La trama stenta a partire, ma quando finalmente lo fa, diventa molto interessante. Peccato che il tutto sia rovinato da un finale da romanzetto rosa, frettoloso e troppo "facile". Tutte le tessere del mosaico pazientemente costruito dall'autrice vanno a posto in poche pagine per mera fortuna, o coincidenza; il mistero della morte dei genitori di Sophie viene svelato in fretta scipando tutto il senso di attesa che si era creato.
Quello che mi ha lasciato più perplessa è stato il fatto che Sophie rinuncia alla ricerca di un dettaglio importantissimo che qui non svelerò, ma che viene dimenticato in quattro e quattr'otto perché tanto oramai la ragazza ha trovato il Vero Ammore ™ e quindi chi se ne frega di tutto il resto. Fosse anche la ricerca che è lo scopo di una vita.
 
Peccato.
Voto 6 e 1/2

martedì 17 gennaio 2017

La carriera di un libertino. 67 Clarges Street...

... di M. C. Beaton.


La scheda del libro sul sito della Astoria

In questo quarto episodio della serie di 67 Clarges Street, la casa dalla fama sinistra viene affittata per la famosa season londinese a un ufficiale dell'esercito britannico di ritorno dalla guerre conto Napoleone. L'uomo, lord Guy Carlton, desidera dimenticare gli orrori della guerra affogandoli nei piaceri che la vita può offrirgli. Durante una memorabile e licenziosa festa, lord Carlton attira la disapprovazione della servitù della casa, diretta dal maggiordomo Rainbird, e il disprezzo di una morigerata e bellissima donna, Esther, che vive poco distante, e di cui lord Carlton si innamora all'istante. Rainbird e la "tribù" di domestici, nonostante tutto, correranno in suo aiuto.
 
La storia che è alle spalle della casa situata al 67 di Calrges Street è ormai nota: sembra che porti sfortuna. Appartenente al decimo duca di Pelham, che poca se ne cura, lasciandone la gestione ad un disonesto amministratore, la casa è stata teatro di tragici eventi: il suicidio del nono duca di Pelham, la morte in circostanze non chiarite della figlia di un affittuario, la morte di un presunto assassino. Per questo la dimora viene affittata ad un prezzo molto basso, e gli stipendi della servità sono da fame. Con l'arrivo della season e di un eventuale inquilino, la casa si rianima e i domestici sperano in mance sostenziose.
Man mano che ci avviciniamo alla fine della serie, composta da sei libri, le vicende della servitù - Rainbird il maggiordomo, Mrs. Middleton la governante, Angus il cuoco, Joseph il valletto, Alice la cameriera, Jenny la domestica, Lizzie e Dave gli sguatteri - prendono sempre più spazio. Ciò è bene, perché lo schema delle vicende degli inquilini è più o meno sempre lo stesso: lui o lei cerca una moglie/marito adeguata/o (o non la cerca affatto perché non sa di volerlo... ma come disse qualcuno che scriveva durante la stessa epoca in cui sono ambientati i romanzi: È una verità universalmente riconosciuta, che uno scapolo in possesso di un'ampia fortuna debba avere bisogno di una moglie.); alcuni ostacoli di natura per lo più economica e/o sociale si frappongono; i domestici prendono a cuore la questione e corrono al salvataggio; happy ending.
Nonostante questo schema ripetuto, le storie che si svolgono nella casa non stancano mai.
Ogni personaggio porta il suo contributo umano, e le vicende sono descritte dall'autrice con ironia e leggerezza che non diventa mai superficialità.
Ogni volta che si legge un libro di questa serie, non si può non restarne affascinati. M. C. Beaton riesce sempre ad aggiungere qualcosa che rende la lettura estremamente piacevole.
Qui abbiamo un soldato di ritorno dal fronte che riesce a scandalizzare tutta la città con un'unica, selvaggia, licenziosissima festa, e rischia di pagare un caro prezzo per questa sua trasgressione.
Le macchinazioni sue e di Rainbird per recuperare un po' di dignità perduta sono spassose e perfettamente riuscite; ma la parte che più ho trovato interessante è che al di là sotto della superficie "leggera" del romanzo, l'autrice riesce, come sempre, a mostrarci le miserie di una società - quella dell'epoca regency - tremendamente ipocrita, classista e superficiale.
In particolare c'è un episodio che mette a nudo, con la consueta ironia, le contraddizione della compagine sociale: quando la morigerata Esther decide di salvare una giovane innocente dalla grinfie di una donna che vorrebbe costringerla a diventare una prostituta, la riprovazione sociale cade su di lei, perché si suppone che una donna per bene ignori l'esistenza stessa delle prostitute. Ma la stessa riprovazione sociale aveva colpito anche Lord Guy perché aveva riempito la casa di Clarges Street di prostitute. Quindi, frequentare le prostitute (specie sotto gli occhi di tutti) è disdicevole; ma evitare che una donna si prostituisca è disdicevole alla stessa maniera.
Questo perché in qualche modo la società inglese riteneva che ognuno avesse un posto assegnatogli dalla volontà divina, ed era sacrilego tentare di cambiarlo.
A tal proposito merita una menzione la piccola Lizzie, la sguattera della casa, a cui una precedente inquilina ha insegnato a leggere, scrivere e far di conto. In lei c'è il germe di una coscienza sociale e di una voglia di libertà che rendono il personaggio meno marginale di quanto possa sembrare inizialmente. Lizzie è il personaggio che maggiormente evolve di stagione in stagione.

“Santo cielo,” esclamò Alice sgranando gli occhi. “La nostra Lizzie ha messo un annuncio per trovare marito. Perché, Lizzie?”
“Non voglio più fare la serva,” disse Lizzie, torcendo il grembiule con le dita rovinate dal lavoro. “Ma mancano due Stagioni soltanto,” gemette Rainbird, “e poi potremo comprare quel pub, e allora sarai indipendente.”
“Non lo sarò mai per davvero, con rispetto Mr Rainbird, signore,” disse Lizzie. “Vedete, manterremo ognuno la nostra posizione. Sarà così, lo so. Voi e Mrs Middleton sarete i capi; MacGregor starà in cucina; Joseph, Alice e Jenny faranno i camerieri; Dave si occuperà degli orinali e io farò la sguattera, come sempre.”

Lizzie è l'unica che ha capito come funzionano le cose, e che non le accetta passivamente, anzi, cerca di darsi da fare per cambiarle.

Un romanzo storico ambientato in epoca Regency, leggero, piacevole, ironico, divertente ma assolutamente non superficiale.
Voto: 7 e 1/2

lunedì 16 gennaio 2017

Il rumore della pioggia...

... di Gigi Paoli.



La scheda del libro sul sito della Giunti Editore

«Colonnello, i morti parlano.»
«Prego?» 
«Sì, i morti parlano. E a noi spiegano un sacco di cose.»
«Allora le spieghi anche a me, Argentesi.»
E il capitano gliele spiegò.

Carlo Alberto Marchi è un giornalista che si occupa di cronaca giudiziaria. Vive e lavora a Firenze con la figlia Donata, 10 anni ma già con un cervello da adolescente. Inciampa un po' per caso, un po' a causa della sua curiosità professionale nell'omicidio di un vecchio commesso, che lavorava in un negozio di antiquariato nello stesso palazzo dove ha sede l'Economato della Curia fiorentina. Inevitabilmente diverse piste si intrecciano e si sovrappongo in questo delitto: l'ombra della massoneria, rapporti inconfessabili, denaro, lussuria e anche una storia che torna dal passato a reclamare la sua conclusione. 
 
Il rumore della pioggia è un noir ambientato a Firenze sotto una pioggia incessante e fastidiosa. Il giornalista Carlo Marchi racconta parte delle indagine in prima persona, e intanto tenta di destreggiarsi fra il suo lavoro e il ruolo di padre single di una ragazzina di 10 anni, già adolescente nell'anima. Prima di passare all'esame della trama e del romanzo in sé, una cosa la devo assolutamente dire: non sono riuscita a provare simpatia per marchi. Anzi, i suoi tentativi di essere spiritosa e di giocare con ironia con il ruolo di padre single mi hanno irritato. Probabilmente un problema mio, ma tant'è.
In primo luogo ho faticato a seguire i problemi di una figlia che a 10 anni pensa e parla e si comporta come se ne avesse almeno 14. Figlia in costante crisi esistenziale, che però il protagonista liquida in maniera superficiale e irritante senza mai approfondire il disagio della bambina o il perché a dieci anni già parli e ragioni come un'adolescente annoiata. Marchi la liquida con frasi fatte e stereotipi irritanti.
Qui, per esempio, la figlia si lamenta del poco tempo che il padre le dedica, e lui la definisce "casalinga disperata".
Mentre mia figlia parlava, dando prova di avere già pronto un radioso futuro da casalinga disperata, ebbi l’incauto ardire di salutare un paio di avvocati che incrociai sulla strada.
E così scoprii che non contava l’età, ma il sesso: fa’ che una donna, anche se ha dieci anni, si accorga che non le dai attenzione mentre parla e soffrirai le pene dell’inferno.
 
Ancora:
«Non preoccuparti Carlo, tanto fra un po’ la vedrai uscire insieme alle sue amichette col piercing e in minigonna.»
Un’immagine che mi rese improvvisamente auspicabile l’applicazione istantanea in loco della legge islamica dell’Arabia Saudita.
La figlia sta crescendo e lui come liquida il problema? Agitando un burqa. Che ridere, eh.
 
Ma fino a che non la vidi entrare sana e salva nel grande portone della scuola, ebbi la conferma che una figlia femmina fosse la vendetta di Dio sull’uomo.
Qui l'autore tenta di caratterizzare il suo personaggio sottolineando la sua peculiarità in quanto padre di "figlia femmina"; ma onestamente questa sottolineatura ha avuto solo il potere di irritarmi (l'ho già detto che il personaggio mi irrita? No? va bene, ve lo dico ora), perché si tratta di una patina e niente di più.
Qualunque genitore è divorato dalle preoccupazioni quando i figli cominciano a manifestare i primi sintomi di indipendenza e autonomia... e il fatto che si tratti di una femmina niente toglie e niente aggiunge al grado di preoccupazione medio che un genitore solitamente raggiunge. Non è così che si da veramente vita a un personaggio, secondo me.
Il rapporto padre figlia non è niente più di questo, una patina, una caratterizzazione di superficie. Se l'essere padre single doveva dare una connotazione peculiare al personaggio, ebbene l'impresa non è riuscita. Se si toglie una tirata iniziale del giornalista su quanto, poverino, sia duro per lui essere un genitore single, la sua vita scorre tranquilla e la sua routine non viene assolutamente intaccata. Praticamente il padre si limita a preoccuparsi per questo o per quello in maniera superficiale, senza mai approfondire i problemi o intervenire. In tutto il romanzo mai una volta ha avuto una conversazione sulla scuola con la figlia, le ha controllato i compiti, o è corso ad una riunione scolastica (per fare un esempio sciocco).
 
Per (mia) fortuna il romanzo è raccontato da Marchi solo per metà. L'altra metà è narrata in terza persona e segue le indagini del colonnello dei Carabinieri Lion e del magistrato incaricato Mastrantonio. Qui il registro è completamente diverso e il romanzo diventa interessante. Le indagini sono ben descritte nella loro iniziale incertezza, nella molteplicità di piste che si aprono davanti agli investigatori e anche nelle difficoltà di scegliere una direzione invece che un'altra.
Ci sarebbe infatti una soluzione facile per chiudere il caso, quasi servita su un piatto d'argento da molteplici prove indiziare; e poi ci sarebbe un'altra soluzione che per quanto improbabile continua a ripresentarsi nelle deduzioni logiche del giudice Mastrantonio, il quale vorrebbe liquidarla ma non può. Alla fine sarà costretto a fare i conti con una verità assai scomoda.
A Marchi va dato il merito di aver riportato a galla, tramite un'investigazione giornalistica, una vecchia storia solo apparenza conclusa e solo all'apparenza non collegata al delitto.
L'emergere del passato con i suoi nodi ancora da sciogliere è il nocciolo del romanzo e la parte più bella (nonostante Marchi, sì) e rende la storia degna di essere letta.
 
Tutto sommato, un bel noir con una trama sfaccettata, logica e solida. Interessanti i personaggi appartenenti alla forze dell'ordine e alla magistratura. Meno riuscito il giornalista co-protagonista del romanzo.
Voto: 7

giovedì 12 gennaio 2017

Il Natale di Poirot...

... di Agatha Christie.


Poirot, ospite per Natale del suo amico colonnello Johnson, lo accompagna a Gorston Hall, una dimora nella campagna inglese, per indagare sull'omicidio di Simeon Lee, vecchio e acido ma ricchissimo patriarca della famiglia. Con tutti i figli e i familiari riuniti, Poirot si accorge ben presto che chiunque avrebbe avuto un movente per uccidere Lee. Il giorno della sua morte, per il puro piacere di tormentarli, aveva convocato figli e nipoti e, tra gli insulti, aveva fatto loro capire che avrebbe modificato il testamento.
Ma chi può aver commesso l'assassinio, visto che il cadavere è stato trovato in una camera chiusa dall'interno? Poirot, coadiuvato dal colonnello e dal commissario Snudgen della polizia locale, indaga.
 
Scritto nel 1939, Il Natale di Poirot è la diciassettesima avventura dell'investigatore belga, e sicuramente una delle più paradigmatiche.
In primo luogo ci troviamo di fronte al classico mistero della stanza chiusa, cui, prima o poi, ogni giallista sente il bisogno di confrontarsi.
In secondo luogo, l'azione si svolge praticamente sempre all'interno della tenuta della famiglia Lee, e il numero di sospettati è alquanto ristretto. Difficile, se non impossibile, ipotizzare l'intervento di una mano esterna.
Perciò la storia è un rompicapo in cui ci sono tutti gli elementi, e bisogna semplicemente metterli a posto. Le vicende sono ricostruite attraverso gli interrogatori di ogni persona presente sul luogo del delitto, e contengono, a conti fatti, tutto quello che abbiamo bisogno di sapere per risolvere l'enigma.
Certo di azione ce n'è poca, ma non credo che si legga un giallo di Agatha Christie per trovare suspense e adrenalina; un giallo della signora del mistero si legge per accettare una sfida alle nostre celluline grigie.
 
Nel romanzo c'è ben poco di squisitamente natalizio, eccezion fatta per la tradizionale riunione di famiglia.
Certo, a volte Natale significa anche vicinanza forzata con persone che si sarebbero volentieri evitate; questo è l'aspetto che l'autrice ha scelto per immortalare il Natale del suo investigatore.
Infatti i membri della famiglia, riuniti controvoglia per non scontentare il vecchio patriarca che tiene i cordoni della borsa ben stretti, non vanno affatto d'accordo tra di loro, e sono accumunati dal disprezzo e dall'odio che nutrono per Simeon Lee. Disprezzo odio ricambiati in pieno, oltretutto.
Diciamo pure che la vittima non ha fatto in passato, e non fa nulla nel presente per farsi apprezzare dai suoi familiari; anzi, pare godere nell'umiliarli e tormentarli.
L'unica che si sottrae a questa logica è la giovane Pilar, nipote di padre spagnolo di Lee, e da lui conosciuta poco prima di morire. Pilar, a cui andavano le simpatie del vecchio patriarca, si troverà in pericolo di vita, e involontariamente metterà Poirot sulla strada giusta. Gli altri familiari e ospiti (Alfred Lee e sua moglie Lydia;  Harry Lee, George Lee e sua moglie Magdalene, David Lee e sua moglie Hilda, Stephen Farr, figlio di un vecchio amico di Simeon) sono tutti sospettati, e qualcuno di loro nasconde qualcosa.
 
Un giallo come ce ne sono pochi. La soluzione è logica eppure sorprendente. E poi stiamo parlando di Agatha Christie.
Voto 10.

lunedì 9 gennaio 2017

Le nove chiavi dell'antiquario. Parthenope Trilogy, volume I...

...di Martin Rua.



La scheda del libro sul sito della Newton& Compton

Lorenzo Aragona è un antiquario appartenente ad una antica e nobile famiglia napoletana. Esperto di esoterismo e alchimia, un giorno scopre, grazie ad una misteriosa ragazza ucraina, che tutto quello che lo circonda è una menzogna ben articolata: la sua vita, le persone che crede di conoscere... tutto finto. Qualcuno lo sta usando per arrivare ad un antico manufatto dai poteri inimmaginabili. Ma cosa ha a che fare lui con quell'antica reliquia, sulle cui tracce erano anche i nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale?
 
Le nove chiavi dell'antiquario è il primo volume di una trilogia chiamata Parthenope trilogy e racconta le avventure di Lorenzo Aragona, antiquario, massone ed esperto di alchimia.
Il romanzo segue il filone dell'avventura mistico/esoterica alla Dan Brown e Glenn Cooper. La storia coinvolge i Templari,  i nazisti, la società segreta di Thule, la magia caldea, la massoneria, i servizi segreti, il Vaticano, il controllo delle menti e la nano tecnologia. Francamente, un po' troppo per un romanzo solo.
L'inizio è promettente anche se un po' spiazzante, a causa del ripetersi ciclico degli eventi nella vita di Lorenzo Aragona (capiremo poi il perché). Non aiutano neanche i continui flashback e i parziali cambi di prospettiva. Insomma, per le prime 100-150 pagine ho avuto notevoli difficoltà ad andare avanti nella lettura.
In seguito, la trama si avvia su binari abbastanza definiti e finalmente scorre piacevolmente e a tratti diventa anche interessante, ma nonostante questo il libro non mi ha soddisfatta del tutto.
 
Iniziamo dal nome della trilogia: Parthenope Trilogy.
Io ho un interesse personale per i libri ambientati a Napoli, e non nascondo che è stata la ragione per cui ho comprato questo ebook. Napoli è una città la cui immagine stereotipata sembra molto lontana dal mistero e dal sovrannaturale, invece è la casa di molte inquietanti leggende esoteriche. Cito, per amore di brevità, solo la famosa Cappella Sansevero, costruita per volere del Principe Raimondo De Sangro, alchimista, massone e secondo la leggenda, stregone che percorreva i vicoli della Napoli settecentesca a bordo di una carrozza tirata da cavalli scheletrici.
Oppure potrei citare la Chiesa del Gesù Nuovo, ex palazzo dei Principi Sanseverino, sui cui sembra incombere una maledizione che ha impedito ai proprietari succedutisi nel corso dei secoli di prosperare all'interno di quello mura. Il bugnato della chiesa è coperta di simboli esoterici, che però furono incisi al contrario, portando la sventura anziché la benedizione sul palazzo e sui suoi abitanti. Potrei andare avanti a lungo, ma mi fermo qui.
Ecco, leggende a Napoli ce ne sono quante se ne vogliono, la trilogia si chiama Parthenope, e tutto quello che otteniamo è la citazione di tre o quattro strade che, per quel che mi riguardano, potevano benissimo trovarsi da qualunque altra parte che non sarebbe cambiato nulla.
Purtroppo l'autore ha scelto, per tirare le fila del suo intreccio, un'ambientazione degnissima, per carità, ma già vista e già sentita, ovvero Roma e il Vaticano. Il finale non faceva altro che richiamarmi alla mente il finale di Angeli e Demoni di Dan Brown.
Capiamoci: non sono offesa perché mi aspettavo un libro ambientato altrove, sono perplessa perché mi sembra che l'autore abbia buttato via una ambientazione originale per usarne una già ampiamente sfruttata.

Le scene d'azione, che occupano la lunga parte finale del romanzo, lasciano un po' a desiderare. Sono approssimative e molto telefonate, raccontate e pochissimo mostrate.
Esempio:
Anna sfruttò quella momentanea distrazione di Woland, mi gettò uno sguardo nel quale scorsi gelida determinazione, quindi abbassò gli occhi su Camille, che era ancora accucciata davanti a lei e, in una frazione di secondo, le tolse la pistola, l’afferrò al volo e scomparve dietro le file di tombe.

La gelida determinazione ce la sta raccontando Lorenzo Aragona, che qui parla in prima persona. E vabbè.
Poi Anna toglie la pistola alla sua avversaria  e la afferra al volo... Voi riuscite a immaginarvi la scena? Io no. Perché se le ha tolto la pistola di mano, suppongo che ora ce l'abbia lei, e non l'abbia fatta volare in aria per poi riafferrarla al volo.

A dire il vero tutto il romanzo ha questo difetto.
L'autore continua a dirci come si sentono i personaggi, senza mostrarcelo. Cioè, se Lorenzo Aragona è arrabbiato, l'autore ci dice Lorenzo era arrabbiato, ma non ci mostra, che so, Lorenzo che scaglia qualcosa contro il muro per la rabbia. Questo crea una sorta di barriera fra il lettore e il personaggio.

Qualche spunto interessante comunque c'è.
Nel finale, ad esempio, la storia intorno alle porte della città di Roma è intrigante, ma gli è riservato pochissimo spazio. Un peccato.
La trama tutto sommato regge, non ci sono grossi buchi a parte l'eccessiva (secondo me) macchinosità del piano dei cattivoni.
Il personaggio principale, poi, non è il solito eroe per caso che si trova catapultato in una realtà che non comprende, e che magari continua a ritenere impossibile. Lorenzo Aragona è un esperto di esoterismo e almeno quando capita qualcosa di incredibile non sta lì mezz'ora a dirci quanto gli sempre impossibile che accadono certe cose. E questo l'ho apprezzato molto.

Il romanzo ha, in sintesi, della buone potenzialità non sfruttate a pieno, ma riesce comunque a fornire un buon intrattenimento. Ho letto di peggio, di molto peggio (qualcuno ha detto  Il mercante di libri maledetti?).

Consigliato agli amanti del genere.
Voto: 6 e 1/2

sabato 7 gennaio 2017

Cinder. Cronache Lunari...

... di Marissa Meyer.


Cinder è una ragazza per metà cyborg in un mondo che ha conosciuto anche la Quarte Guerra Mondiale e ne è uscito fuori stremato. Vive a New Pechino con la matrigna e due sorellastre, che la tollerano a mala pena, come del resto quasi ogni essere umano che la circonda. I Cyborg sono disprezzati e considerati creature di serie B. Addirittura usati come cavie da laboratorio. Cinder è un meccanico molto abile; un giorno presso la sua officina si presenta il principe ereditario Kaito con un droide da riparare. Lui è gentile e affascinante, ma quello che colpisce Cinder è che è strano che lui porti il droide a un riparatore esterno alla Corte Imperiale, e soprattutto alcune sue mezzi frasi lasciano intendere che c'è altro oltre le "ragioni setimentali" che sarebbero il motivo per cui l'erede al trono ha assoluto e urgente bisogno del suo droide.

Cinder è il primo volume della saga Cronache Lunari, che conta 4 romanzi più un breve prequel. 
Mi sono avvicinata a questo romanzo con un po' di scetticismo. Diffido parecchio, ultimamente, dalla narrativa considerata young adult perché ho preso più di qualche fregatura (qualcuno ha detto Sono il numero quattro?).
Ma Cinder mi ha piacevolmente sorpresa. Non si tratta di un romanzo perfetto, questo no, ci sono una o due cosette che non mi sono piaciute, ma gli spunti originali tengono viva l'attenzione ne fanno una storia interessante. Cinder non è soltanto un romanzo di fantascienza per adolescenti; è anche un romanzo che rielabora in chiave futuristica la favola di Cenerentola - da questo retelling arrivano gli spunti più interessanti per la trama.

Il mondo in cui vive Cinder è un mondo futuro, uscito da una disastrosa guerra nucleare globale. La Cina fa parte di una confederazione di Stati chiamato Commonwealth Orientale. Tra questae le altre nazioni della Terra c'è pace. Quello che minaccia questa pace faticosamente raggiunta è la colonia lunare, abitata da una razza di umani che nel corso dei secoli sono mutati fino ad avere poteri psichici.
Questo è grosso modo l'ambientazione del romanzo, che come si può notare, è interessante e originale, anche se poteva essere approfondita di più. Diciamo che l'autrice non si dilunga in spiegazioni sull'esatto funzionamento della società, ma i punti cardini sono abbastanza chiari: l'umanità è ancora molto provata dalla Quarta Guerra Mondiale; il regno lunare è una dittatura governata da una sovrana in egual misura pazza e malvagia (non so dire di preciso perchè, ma mi ha ricordato la dittatura della Corea del Nord, per certi versi); i cyborg non sono considerati veri esseri umani e sono in pochi a voler avere a che fare con loro.

La trama di Cenerentola ovviamente non è seguita per filo e per segno, ma gli elementi base ci sono: un'orfana, un principe, un ballo e perfino una carrozza con cui andare al ballo ma con cui sarà impossibile tornare indietro.Cinder ha una matrigna e due sorellastre, e un piede meccanico troppo piccolo che ha bisogno di essere sostituito (e qui si rasenta quasi il genio, davvero). 
Ogni elemento è rielaborato in maniera originale; da un latol'autrice  strizza l'occhio al lettore che riconosce gli elementi di una favola che è parte dell'infanzia di tutti di noi (più o meno); dall'altra riesce a riesce con naturalezza a riscrivere ogni elemento creando qualcosa i sorprendentemente nuovo.
La trama è interessante e ben articolata. Agli elementi presi in prestito dalla fiaba se ne aggiungono altri, come una pestilenza di origine ignota, una colonia lunare,  una regina malvagia pronta a tutto.

Quello che più lascia a desiderare è, a parer mio, la presenza di qualche clichè di troppo. Il principe Kaito che rimane affascinato da Cinder in...quanto? Due nanosecondi? Posso capire che la ragazza si a preda del suo fascino, ma lui perchè rimane estasiato prima che lei possa anche solo aprire la bocca?
Allo stesso modo, più o meno a pagina 14 si capisce che Cinder non è...insomma, non è una persona qualunque. Insomma, questa cosa dell'orfana che non ricorda il passato e poi si scopre essere qualcuno è un po' abusata (non vi dirò chi Cinder sia, ma se deciderete di leggere il romanzo lo capirete comunque entro i primi 4 capitoli).
Interessante la presenza della una colonia lunare, che si è evoluta radicalmente tanto che i Lunari sono considerati una razza a parte ormai - una razza pericolosa e malvagia. Ma la mancanza di sanità mentale della regina lunare, Levana, mi pare un po' troppo marcata. Fa un po' troppo "cattiva perchè sì". Avrei gradito un approfondimento sulle sue motivazioni. Ok, è fuori di testa, è potentissima, ma è pur sempre una statista. Mantenere un contegno sarebbe stato più logico secondo me. So che esiste una novella, Fairest, che ci narra l'infanzia di Levana, ma sono sempre dell'opinione che un personaggio deve stare in piedi da solo, non con l'appoggio esterno di un altro libro che ce lo spieghi.

Detto questo, devo però aggiungere che i clichè riescono a non rovinare la trama.
Nel finale c'è un po' di confusione, ma anche un interessante e continuo rovesciamento di fronti, e una conclusione che non indulge nello zuccheroso e nel lieto fine a tutti i costi.

Voto: 7

mercoledì 4 gennaio 2017

Frankenstein, o il moderno Prometeo...

...di Mary Shelley.



Questo è uno di quei romanzi che stazionano da sempre nella mia libreria, ma che non avevo mai letto perché in fondo la storia narrata è arcinota a chiunque.
Grazie alla sfida di lettura sul blog di Rosaria Niente di personale ho preso il mano il libro e sono rimasta sorpresa dalla lettura.
 
Frankenstein, o il moderno Prometeo è la storia di un uomo colto, intelligente e di animo nobile, Viktor Frankstein, accecato dalla assoluta fiducia nella scienza e nei propri mezzi, che lo porta a trascurare i limiti etici e a dare vita a qualcosa che non potrà più controllare. Darà vita infatti a un essere composto di parti di cadaveri che si porrà al di là del bene e del male, essendo dotato di raziocinio, ma incapace di gestire le proprie pulsioni e i propri desideri. Rifiutato dal suo stesso creatore, il mostro lo perseguiterà mettendo in atto una crudelissima vendetta.  
 
Questo romanzo è sorprendente, se si considera che ha 201 anni (è del 1816) e che Mary Shelley aveva solo 19 anni quando lo scrisse.
Dimenticate il mostro balbettante, rozzo e privo di intelletto che siamo abituati ad associare a Frankenstein (che tra l'altro nel libro non ha nome). Dimenticate le tempeste di fulmini e lo scienziato pazzo chiuso nel suo maniero; la storia scritta da Mary Shelley è molto più ampia, molto più profonda e molto più significativa.
Non so spiegarmi come da questo moderno Prometeo si sia arrivati alle storie cui ci ha abituato il cinema, o anche i cartoni animati.
 
Il romanzo si presenta al lettore come un romanzo epistolare; il giovane Robert Walton, a capo di una spedizione al Polo Nord, trova un moribondo Viktor Franknstein alla deriva tra i ghiacci. L'uomo gli racconta la sua storia, e lui la riporta fedelmente nelle lettere che scrive alla sorella. A sua volta Viktor riporta fedelmente il racconto udito dalle labbra della sua creatura, sicché abbiamo sulla storia anche il punto di vista del "mostro" stesso.
E' una schema narrativa molto originale.
Ciò che colpisce maggiormente, come accennavo sopra, è la Creatura. Non si tratta di un mostro dalla furia cieca, incapace di esprimersi, incapace di ragionare ed intrinsecamente malvagio.
C'è nella descrizione della Creatura un dualismo, un perenne camminare in bilico tra il bene e il male. La Creatura ne conosce la differenza, è attratta dalla virtù, dall'amore, dalla nobiltà d'animo, ma esacerbata dal rifiuto del suo creatore e dalla solitudine, si vota a compiere il male.
Il dualismo all'interno del mostro del resto è lo stesso che c'è all'interno di ogni uomo. In fin dei conti, per dirla con Arrigo Boito, anche l'essere umano è sospeso fra un sogno di peccato e un sogno di virtù.[1]
Credo che questo sia il nocciolo e il significato più profondo del romanzo.
La differenza fra Viktor Frankenstein e la sua creatura a conti fatti sta solo nelle scelte che fanno; inizialmente lo scienziato segue le sue pulsioni e la sua brama senza pensare alle conseguenze, ed in questo non differisce molto dal mostro che ha creato. Nel finale saprà riscattarsi scegliendo ciò che è giusto invece di ciò che sarebbe più facile, cosa che la Creatura non riesce a fare, anche se nel finale il suo grido di dolore e di disperazione è quanto di più umano si possa leggere.
 
Naturalmente la storia può anche essere letta come un semplice romanzo gotico e horror.
La prosa è ovviamente di gusto ottocentesco, a tratti un po' lenta e ridondante ma perfettamente in linea con il gusto e lo stile dell'epoca.
 
 
 
[1] Arrigo Boito, Dualismo. Per approfondimenti, clicca qui
 
 

martedì 3 gennaio 2017

Cinque quarti di arancia...

...di Joanne Harris.


La scheda del libro sul sito della Garzanti

Quando mia madre morì, lasciò la fattoria a mio fratello Cassis, il patrimonio in cantina a mia sorella Reine-Claude, e a me, la minore, il suo album e un vaso da due litri con un unico tartufo nero del Périgord, grande come una palla da tennis, sospeso in olio di girasole che, una volta stappato, emana ancora il ricco profumo dell'umida terra del bosco. Una distribuzione piuttosto diseguale dei beni, ma in effetti Mamma era una forza della natura e concedeva i suoi favori come le pareva, senza lasciare intuire i meccanismi della sua logica stravagante.
E come ha sempre detto Cassis, io ero la sua preferita.
Non che l'abbia mai dimostrato quando era viva.
 
Framboise Dartigen è una bambina di nove anni e vive con la mamma e il fratello e la sorella in una fattoria a Les Laveuses, sulle rive della Loria.
E' il periodo della Seconda Guerra Mondiale, e nel paesino arrivano i tedeschi. L'infanzia di Framboise e dei suoi fratelli verrà segnata dall'incontro con un giovane soldato tedesco, Tomas Leibniz, all'apparenza molto gentile e disponibile.
Ma accadrà qualcosa di terribile, e un piccolo inganno innocente fatto dai bambini metterà in moto eventi spaventosi che non potranno essere fermati.
E dopo quasi cinquant'anni, Framboise ritorna a Les Laveuses, ma i segreti sepolti nel passato non sono affatto ben sepolti come lei sperava.
 
Framboise Dartigen è stata bambina durante l'occupazione nazista della Francia, e in quei giorni la sua infanzia è finita per sempre. Dopo decenni ritorna nel paese dove è nata, in incognito, perché non può affrontare i suoi compaesani e non vuole che il passato torni a tormentarla.
Framboise porta con sé l'eccentrico diario della madre, che oltre a registrare in maniera criptica gli avvenimenti della sua vita, ha raccolto in quel diario ricette di tutti i tipi che sembrano avere qualcosa di magico. Sfruttando le pagine del diario di sua madre, la donna apre una piccola creperie che riscuote un immediato successo.
Come spesso accade nei libri della Harris, il profumo e la consistenza delle marmellate, dei dolci, degli stufati dagli ingredienti poveri ma dal sapore delizioso, sono quello che ci introduce nella storia, nonché l'unico vero legame tra Framboise e sua madre.
Il libro suscita la cupidigia di due parenti di Framboise, disposti a tutto pur di ottenerlo. ma l'anziana donna non può cederlo perché in quelle pagine si cela la verità su quello che accadde durante l'occupazione nazista e di cui Framboise e i suoi fratelli furono protagonisti.
Protagonisti incoscienti e inconsapevoli, ma pur sempre artefici di una serie di tragici eventi.
 
Questa è una storia che oscilla fra l'incanto della vita di campagna con i suoi ritmi e le sue gioie soltanto parzialmente intaccati dall'occupazione straniera, e l'orrore non tanto della guerra, quanto dell'odio, dell'amore cieco che può diventare furia e fare più danni dell'odio stesso.
E' un lungo, dolente racconto del passato, intrecciato con gli avvenimenti del presente, che corre inesorabilmente verso il disastro.
L'infanzia viene descritta nel suo aspetto più crudo e disincantato; Framboise, Cassis e Reine perdono ben presto, senza rendersene conto, le illusioni e la poesia della loro età. Lasciati soli da una madre introversa e spesso malata, seguono unicamente i loro istinti, elaborano eventi e sentimenti a modo loro, senza freni e senza empatia per il prossimo.
In questo quadro già di per sé potenzialmente esplosivo, si inserisce Tomas Leibniz, all'apparenza gentile e premuroso, ma in realtà abile manipolatore senza scrupoli.
 
Il libro lascia dietro di sé una scia di amara tristezza. La storia è davvero amara, non c'è riparazione né espiazione, e l'autrice non cerca comprensione né perdono per i suoi personaggi, sebbene sul finale (molto bello, denso di significato) Framboise arriverà all'accettazione di quello che è stato e non si può più cambiare. E troverà, forse per la prima volta nella sua vita, la pace a cui h sempre anelato.
 
 
 

lunedì 2 gennaio 2017

La maledizione di casa Foskett. I detective di Gower Street...

... di M. R. C. Kasasian.



La scheda del libro sul sito della casa editrice Newton & Compton

Il nostro caro Sidney disedegna il mondo e il mondo ricambia il favore.

Londra, 1882. Gli affari del detective privato (o meglio, personale, come ama dire lui stesso) Sidney Grice vanno male. L'ultima persona che lo aveva assoldato è finita sul patibolo. Poco importa se la persona in questione fosse colpevole; l'opinione pubblica non l'ha presa bene e la reputazione di Grice è a pezzi.
Un giorno si presenta nel suo studio un uomo che vorrebbe che Sidney Grice facesse da garante per la Last Death Society, una specie di società in cui l'ultimo dei soci che sopravvive eredita il patrimonio di tutti gli altri. Purtroppo l'uomo muore avvelenato mentre beve il tè nel salotto della casadi Gower Street. Sidney Grice e la sua protetta March Middleton indagano. 

Questo secondo volume delle avventure dei detective di Gower Street contiene tutti gli elementi che mi hanno fatto apprezzare il precedente. C'è una solida ambientazione vittoriana, dialoghi brillanti, deduzioni logiche e sorprendenti allo stesso tempo, ed un caso intricatissimo da risolvere.

Ecco, partiamo proprio dal caso da risolvere. Alcuni eccentrici milionari londinesi hanno messo su una società dallo scopo alquanto macabro: sopravvivere al resto dei membri. Poichè uno di loro è già morto, essi chiedono a Sidney Grice di farsi garante del corretto andamento della... ehm... vita societaria, e di indagare in caso di morti sospette. La prima morte sospetta però accade proprio nel salotto di Grice, quando Horatio Green, membro della società, viene a chiedere l'aiuto del detective e muore avvelenato bevendo una tazza di tè.
L'indagine si complica quando Grice scopre che fa parte della società anche la baronessa Foskett, membro di una cosa che si dice sia maledetta, a causa della lunga serie di morti tragiche e inquietanti che ne hanno funestato la storia.
La trama è molto complicata e involuta, molti sospetti, molte morti, molti particolari non adatti a stomaci deboli.
Forse la trama è un po' "troppo" in tutto, e seguirla non è stato facile. In realtà questo non mi ha disturbato eccesivamente, perchè mi è sembrato di cogliere una certa atmosfera da Penny Dreadful (i racconti, non la serie tv) in questa ben costruita girandola di situazioni, pericoli, assassini, maledizioni, case decadenti e polverose.
Quest'ambientazione particolarmente cupa viene allegerita dalla personalità eccentrica dei due personaggi.Sidney Grice e March Middleton sono due protagonisti brillanti che si completano l'un l'altro. I loro scambi di battute sono vivaci e acuti. Sono la parte migliore del libro.

"Non serve a niente introfularsi a un ballo prima che l'orchestra abbia cominciato a suonare"
"Il giorno in cui sono arrivata a Gower Street mi avete detto che non amate le metafore", gli ricordai.
"Ed è così". Bevve le ultime gocce dalla tazza.
"Ma le trovo comunque un utile sistema per comunicare con coloro che sono intellettualmente meno dotati di me".
"Cioè il resto del mondo".
"Sarebbe immodesto da parte mia replicare". 

Grice non è esattamente un mostro di simpatia ma non si può fare a meno di seguirlo affascinati. Ho letto in varie recensioni che molti lettori lamentano una somiglianza tra Sidney Grice e Sherlock Holmes; in parte questo è vero, essendo una sterminata conoscenza e una ferrea logica deduttiva alla base del metodo di entrambi; ma c'è una differenza fondamentale che l'autore ha saputo rendere splendidamente nel creare il proprio personaggio: Holmes basa la propria sicurezza sulla consapevolezza della sua intelligenzza; Grice basa la propria, invece, anche sul disprezzo per gli altri esseri umani. Lui non è solo convinto di essere intelligente, lui è altresì convinto che gli altri intorno a lui siano poco più che trogloditi che sguazzano nel fango. Simpatico, vero? Ma comunque efficace.

In sintesi: un bel giallo vittoriano, appesantito da qualche involuzione di troppo nella trama, anche se scritto in maniera brillante e vivace. Ottimi i protagonisti, curata l'ambientazione. Voto: 7